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polaroidartitaly · 9 years
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Immagini e piccoli pensieri in collaborazione con La Rivista Intelligente
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polaroidartitaly · 9 years
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SENZA TITOLO - di Simone Joshua Grey Carollo
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L'insonne ha gli occhi arsi dal tempo che è obbligato a guardare.Per coloro che dormono e poi si svegliono, il tempo è una corda che li attraversa, il tempo li percorre perché loro possano percorlo a loro volta: finisce la giornata, depongono la coscienza del mondo, la riprendono e possono voltare pagina. All'insonne questo non è concesso. Egli vigila la sua coscienza e sa, conosce mentre il resto del mondo è in pausa, mentre il resto non sa, lui sa troppo. Vede la corda fuori da se stesso, che è fatta di corde a loro volta fatte di altre corde. Lui può vedere il dispiegarsi della realtà e non può toccarla. Si gira, apre o chiude gli occhi, respira e si rigira, si alza e si ricorica, l'insonne ha il cuore che batte battiti non consoni al buio che lo permea. Per rimanere sani, per sfogliare le pagine della vita, essere incoscienti, ignorare, non venire a sapere, è importante. Il bianco del foglio, il bordo, la distanza tra le parole, il ritmo visivo della conoscenza è fatto di vuoti.All'insonne, quel ritmo è sregolato, lui è lì a guardare il vero motivo per il quale gli è successa quella cosa e non può dirlo a nessuno. Lui conosce e il resto del mondo sfoglia il libro, invece lui deve rimanere su quella pagina, piena di parole, fitte, tutte vere e senza pause. Una pagina che si allunga mentre il cuculo, fuori, canta e risponde alle note durature di un frigorifero. Mentre la notte è spessa e mentre le stelle si muovono, lui rimane fermo nel dolore.Il giorno non sarà di aiuto all'insonne, lo caricherà di un tremore, sentirà sfibrare se stesso come se non conoscesse l'acqua. Per questo diciamo 'qual è il tuo sogno?' Per dire, cosa sai che non è ancora vero ma vuoi che lo diventi ? Perché c'è una fetta di vita, dove il non reale deve invaderti, mentre tu riposi. Ecco l'insonne non può sognare e riposare. Non può vivere perché egli sa, sa troppo e la stanchezza di quando dovrà riprendere la giornata gli è data per farlo tacere di quello che ha saputo durante la notte, di quella palese e irriducibile ferita dalla quale egli vede quella di tutti.
Haitempiinvaderti i dentipensanti anche loro pieni di fuligginedietro le scarpesporche. rimani conlemani pesantipolverepolverepolvere.siete uscitidurante ivostri sorrisi immersi neitentacoli delle vostremenzogne adattentarellavita miail vostroveleno assuntocome quando il mareinfacciatifaingoiare sale amanciate e ilvomitosale viodiocomelodioodia e nellenottiigiornineivostri grassivoltipieni delvostrovuotocostruitounto pensocome ardeil tempo senza di voi. ingoieretevoistessipersparire. mentre io, potrò riposare e riprendere a gustare, la mia notte.
-Samuele Papiro-
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polaroidartitaly · 9 years
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JASMINE CARETTI - di Martina Civardi
Lo sai che non so scrivere. Sai che mi trovo con le parole di troppo, sulle punta delle dita. Ci sono arrivate da tutte quelle mattine nelle quali aprendo gli occhi ti ho trovata accanto, anche se le virgole, i punti, e quelle cose lì, arrivano dalle altre mattine. Vorrei trovare un libro sacro che parla solo del letto. Del tuo, con colori improbabili, il tuo odore, tuo dirmi che porto via le lenzuola. Sento la tua testa appoggiata alla mia spalla mentre ti leggo un racconto zen e tu, senza aspettare cosa dice il maestro alla fine, ti addormenti. Perché vuoi sentire solo una voce che ti culla. Io mi giro, ti do le spalle, mi cerchi. I piedi che si trovano, sembrano essere l'ultimo segno di sicurezza. Mi giro e ti porto a me. il tuo sedere e le nostre gambe intrecciate, e il resto esiste? Sicura?
Poi una mattina.
Non ci sei. Nemmeno l'altra. La sera cominciamo a parlare. La mattina dopo ridi con una risata strana. Ti piace chi ti fa ridere. E io, ho un sensore interno, leggo la sfumatura del suono del tuo benessere, il tuo sguardo e il riflesso delle tue palpebre sono codificate dentro di me. Mi giro di notte, non dormendo. Mi chiedo se fare appello alla facoltà di non domandare. Non faccio appello e domando e la tua bugia si instilla come una lama fredda. Una lama che è pronta a sciogliersi e qualche ora più in là diventerà lacrime. Lacrime che non sopporterai. Scenate. Scuse che durano il tempo di trovare un'altra bugia.
Il letto c'è anche il mio. La sera cerco il peso delle coperte, il fresco delle lenzuola. Cerco quel soffermarsi sul mio corpo che mi eccita quel giusto per volere un corpo. Non il tuo. Davvero. Un dolce bacio e un amore fatto intensamente. Vorrei il tutto senza parole, senza fraintendimenti, senza quelle cose che ci invadono sempre.
I racconti zen, non li apro. Il maestro dorme solo. E anche il discepolo. Me lo ricordo bene.
Sai quando qualcuno guarda il mare e il vento gli accarezza i capelli e gli alberi sono cornice ai suoi pensieri? Ecco, quello è l'amore. Ti graffi sullo scoglio tanto amato, l'acqua salata brucia e le nuvole, che tanto ameresti se non fossi ferito, arrivano minacciose. Puoi fare una cosa. Maledire anche la pioggia. Oppure prendertela a secchiate, dopotutto fradicio arriveresti a casa, tantovale che la ferita scivoli via. Le cicatrici sono cuciture, tra queste parole e questi vuoti. Lo sai che non so scrivere, ma ora non sai nemmeno cosa ho scritto.
E poi rimani
Con le lacrime E il respiro corto Con novembre in gola E la pioggia serena Con i fiori caduti E lo spavento Con la stanchezza E le lenzuola Con le stoviglie E le pulizie da fare dentro Con i cerotti E le ferite senza sangue dolorose Con la bocca turgida senza baci E le parole sbagliate incastrate nei denti Con i caffè presi in solitudine E i fianchi che spariscono da sotto le mani Con le risposte tutte corrette E la ragione che non vuoi Con te stesso E senza le iDicendole sii in pace Se hai bisogno chiamami C'è un silenzio solo mio
-Samuele Papiro-
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polaroidartitaly · 9 years
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SOLITUDE STANDING - di Alessandra Colato
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Ho meraviglioso stupore per i rami degli alberi, che se ci pensi, possono sembrare tutti uguali. ma non siamo uguali e unici anche noi? sul comodino che non ho ci sono tutti i libri che avrei voluto leggerti, per chiuderli a metà frase, perchè nessun libro vale un amore. la caffettiera l'ho riempita di caffè ma non l'ho acceso. dei saponi ne preferisco uno ma nulla mi ferma a cercarne di nuovi. forse che tu preferisci altro mentre ti lavo ? senza lacune sarebbe la mia carezza. ero lì a tener conto delle nuvole e dei tramonti. le albe per quanto struggenti non vincono il mio rigirarmi. e se mi svegliassi tu? farei la spesa con maggior gusto, con il piacere di assaporarci. eppure. eppure nulla di questo avviene. ognuno di noi è impegnato a perdersi nei propri luoghi. ci si perde sempre in ciò che ci è famigliare, no?
vorrei potermi permettere negligenze futili per cullarti mentre una musica suona quel che può. e noi ci potremmo perdere.
ammetto i miei muri, ho tenuto conto dei tuoi. mi hanno sorpreso i nostri.
quando torno a casa non sono mai in ritardo.
-Samuele Papiro-
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polaroidartitaly · 9 years
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DIO QUANT'ERA BELLA - di Matteo Lupi
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Solo lo sciocco non torna nel posto dov’è stato felice. Il mio era una stanza, racchiusa da pareti scivolose tappezzate di letizia, un enorme androne a cielo aperto privo di un tetto che potesse ripararmi dalle intemperie, dove un pozzo a forma di ventre raccoglieva ciò che accadeva e cadeva dal cielo, facendolo confluire in un serbatoio, quella profonda pancia dello spirito che chiamano emozione. Ci torno spesso, io, in quella stanza. Dio com’era bella. Un delizioso tremore si annidava confluendo verso gli angoli, per poi colare goccia dopo goccia, alimentando una sete nuova nel tentativo di soddisfarne una di più vecchia. Infondeva una fiducia inaspettata, mossa da venti dai nomi esotici che giungevano da lontano, che soffiavano e conducevano. E ad ogni passo ci si addentrava nella coltre selvaggia della scoperta, intricandosi in svettanti corridoi infiniti, fatti di delizia e di sensi sopraffini, mentre si mescolavano carte e s’intrecciavano destini. In quella stanza, quel mio posto, mi ci ha condotto una giovinezza aspra e matura, in un pomeriggio di primo settembre che, come lo slancio delle ali del vento, fuggiva dalla sedentarietà ambendo alla perpetua irripetibilità. In quella stanza dimorava l’evoluzione naturale di uno stato di quiete latente, un particolare che avrebbe dato senso al generale, animandosi di un ostinato atteggiamento negativo, ma negativo solo in senso positivo. Era l’inquietudine di settembre, mescolata all’afa di agosto e al fumo opaco di Camel Light, un strano alone grigiastro che odora vagamente di scintillante, limpido blu. In quella stanza si respirava il perenne ultimo fiato, che vantava spirito di cipresso, solenne, stretto e avviluppato. Era un’area minata senza perimetro, dove la mente si formava senza condizioni, tra gli spazi aperti, forgiata dal vento, forte come una roccia irremovibile che, sottoposta a un lungo processo di erosione, si converte al mutamento. Dove la realtà s’intesseva di sempre nuove attenzioni d’interesse presso sgualcito, dedicando religiosa dedizione al culto della distrazione, mentre il coraggio t’inumidiva la bocca e vibrava la luce radiosa di folgoranti pensieri, più ambiziosi di domani e meno disillusi di ieri. Dove si praticava uno strano culto dell’impeto, quell’oggi senza domani per cui agivo sbagliando consapevolmente, ambendo all’inferno eterno, senza credere più all’esistenza di persone cattive e di quelle buone, infondo quel tipo di danza che uccide si balla sempre e solo in due. Lei era una stanza. Dio com’era bella. Una stanza ancora piena di cassetti mai aperti. Una stanza buia con una finestra da cui vedi un mondo illuminato. Tu sei una stanza, una sala d’aspetto per me. E attendere qualcuno che è già passato è come attendere qualcuno che deve ancora arrivare, aspettandolo lì, senza fretta né pretese, sul precipizio di un giorno infiammato che si consuma da dentro. Infondo, solo lo sciocco non torna nel posto dov’è stato felice.
-Alice Boschin-
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polaroidartitaly · 9 years
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SENZA TITOLO - di Azzurra Guerrini
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Il tender. è un rumore in crescendo, stai arrivando. un rumore in crescendo che se ne fotte della musica classica, per fortuna. è il solo giorno in cui mi faccio svegliare da quel rumore, solitamente mi invii musica. il numero di onde che son passate dal tuo ultimo "vado" è in media con la mia teoria. io conto le onde che sbattono su questo faro da quando te ne vai a quando torni e c'è una frequenza regolare, una melodia, la tua. tu hai questi silenzi lunghi con i quali mi parli, intervallati da comunicazioni radio: avanti, passo, passo e chiudo sono il nostro contrappunto. le mie letture con la mia voce che ti culla prima di semiaddormentarti sulla tua brutta barca, lì in mezzo a te stessa, dove navighi da una vita. non ti leggo sempre, perché alcune notti so che non le passi sola e non volendo sapere quali sono quelle notti, i tuoi silenzi si prolungano anche in altri momenti. preferisco così. i tuoi marinai son tuoi, non miei. intanto ti ho preparato la cambusa, i libri quelli che mi hai chiesto e quelli che ho letto e tu ..devi..leggere. i blocchi, le matite, le biro. il coltello nuovo non lo vuoi, hai il tuo. è il tuo segreto. sul cibo non concordiamo ma ti fidi di me. pochi giorni fa ti vedevo che costeggiavi senza avvicinarti, fai la femmina. ti adoro. poi prendi e arrivi, io esco dalla mia casetta, passo a fianco al faro e mentre sistemo due cose nell'orto, tu cominci a gridare da lontano: buongiornooo. mi avvicino, ti aiuto ad approdare e da buona stronza indossi la mia camicia. ti guardo e senza sfiorarti, ti rispondo: buongiorno. passiamo giorni come se fossimo una coppia normale in vacanza al faro, anche se la sedimentazione dei miei fogli, foto, libri e l orto che curo, dichiarano che vivo lì da tempo. quando è il crepuscolo facciamo l'amore, quando è l'alba pure, il mattino lo preferisci tu, io il pomeriggio. ci cibiamo di noi e dei frutti. oggi il pesce sulla brace. quando accendo il fuoco tu ti ecciti, guardi verso il mio bosco alle spalle della casa, e mi chiedi quando ti porto. domani rispondo. quando vieni da me sai dormire, una volta mi hai confessato che dormi solo con me, che ti abbandoni, mi sembra una bugia, ma è bello pensare che poss essere vero.il giorno seguente mi svegli e sbatti i piedi e saltelli come solo una bambina può fare, eppure non lo sei da tempo. tu che viaggi per i tuoi mari da sola e sai uccidere, piangere, ridere e far l'amore con chi vuoi. mentre andiamo nel bosco, all'ingresso, dove vedi che ho tagliato qualche albero, ti spogli. nuda. ed entri. io mi fermo e ti guardo. guardo la tua stupidità, ti odio a tratti lunghi. ti farai male. e mentre te lo dico e cammini, io vedo quanto disturbante sia l'animale che fingi di essere e si fa tagliare dai rovi. prova ad entrare ben vestita, tu principessa lo sai fare, con i tacchi, prova ad entrare così e allora sì che saresti animale. però poi torni e mi baci. non sono eccitato da te, ma quei piccoli segni sulla tua pelle, amo che ti seguino nei tuoi mari. non mi dici mai quando riparti, non mi avvisi. ti svegli una mattina e mi dici: vado. allora ci alziamo e carichiamo. hai una camicia diversa, ma è sempre la mia. il tender è un rumore in diminuendo, è terribile. ma lo amo lo stesso. amo la tua libertà e la mia. perché tu non sei il mare ma sei le nuvole, io non sono il bosco ma sono la crosta che diventa fondale. siamo più lontani di quello che pensiamo. siamo più sconosciuti e più intimamente legati di quanto pensiamo. riprendo a contare le onde che mi separano da te, le conta il mio corpo. sai quando l'altro giorno hai visto i miei disegni su quei fogli? ecco sono il diario delle onde che mi separano da te. sono i nostri piccoli silenzi che permettono la nostra melodia.
- Samuele Papiro -
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polaroidartitaly · 9 years
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AGRUMI - di Alessandro Balbi
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In fondo sembra essere tutto al proprio posto. Il tavolo è appoggiato al muro, sopra ci sono le posate e il piatto di ceramica della nonna, vicino una mela e dietro la mela il bicchiere e la bottiglia. La sedia è vicino al tavolo. E’ tutto in ordine, sembra. Ma è una stanza buia, questo ordine c’è ma non si vede. Siamo sicuri che un giorno, di qualche tempo fa, dopo qualcosa di doloroso, ci siamo messi lì abbiamo organizzato la nostra vita interiore ed esteriore. Eppure lo stesso giorno abbiamo chiuso le finestre e ci siamo allontanati. Poi, un rumore, qualcuno fuori dalla finestra. Abbiamo aperto, un po’ timorosi e un po’ stupefatti che qualcuno curioso ci sia venuto a trovare. Noi sorridiamo, è tutto apposto, e ora la luce può entrare... La luce di questo amore, che non ci aspettavamo, entra. E’ tutto lì, soddisfatti che nulla si sia mosso, orgogliosi di noi stessi, ma quell’orgoglio dura poco, il tempo di notare che c’è polvere sul tavolo, la sedia e le stoviglie, la mela è marcia e alcuni insetti invadono il pavimento. Rabbrividiamo. Come è possibile? Questo fa l’amore: mostra e mostra qualcosa che prima non potevamo vedere, avremmo potuto intuire ma preferivamo intuire l’ordine, che effettivamente c’è, ma serve a poco e niente in questa condizione. C’è qualcosa di poetico nel raggio di sole che vediamo tramite la polvere che si alza, ma ora ci tocca pulire, detergere, buttare. E rimettere a posto. Certo, potremmo chiudere la finestra e far finta di non vedere, ma ora che sappiamo, se chiudessimo la finestra mentiremmo a noi stessi sapendo di mentire, sentiremmo le formiche e lo sporco anche senza quella luce. Potremmo andarcene ma non da noi stessi. Ora dobbiamo spalancare la finestra, ripulire bene e ringraziare che qualcuno, da lì fuori ha bussato alla nostra anima e ci ha permesso di vedere, di vederci e di respirare. Ora, a quel tavolo, possiamo sederci. Ho perduto amori Per trovare il tuo Sono mancante Di mio Per questo assente a me stesso A volte mi trovo di troppo tu mi togli da me solo così – mi trovo cercando sempre te -Samuele Papiro-
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polaroidartitaly · 9 years
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BODY - di Azzurra Guerrini
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Le sto subendo. Ogni incontro e ogni sguardo incrociato, ogni qualvolta non mi vedi ma io vedo te, le subisco. Poi mi guardi e volano verso la gola. Le farfalle non vivono nel mio stomaco, ce le metti tu. Non so nemmeno se son belle o brutte, se sono vive o morte. Si muovono, sì ma secondo me si muovono morte, risalgono lungo il mio esofago perché dallo stomaco vogliono andare a tappare la trachea. Vogliono che io non respiri. Non capita quando facciamo l'amore, capita quando vorremmo farlo e non possiamo. Prima di viverci e dopo esserci vissuti. Forse è solo la bellezza. O solo la morte. Secondo me chi non le ha mai sentite non ha mai vissuto. Una volta avrei voluto aprire il mio stomaco con le mani e farle volare verso di te. Sono nostre quelle farfalle? Ti prego dimmi con chi le hai sentite, non mentirmi e se vuoi mentirmi fallo bene, molto bene. Non ho la forza di metterti in dubbio, metto in dubbio già me stesso. Le sto subendo e le subisco. Non le scelgo. Non ho deciso io i colori né la forma. Non sono mie. Son tue? Me le metti tu? Vivono un solo giorno? Se sì il giorno non ha 24 ore. Lo so che le abbiamo sentite prima di questo ma ora le sento verso di te. E' l'enunciato dell'universo per dirmi: fermati, questa è una rapina. -Samuele Papiro-
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polaroidartitaly · 9 years
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THE SINNER - di Chiara Zavolta
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La voce tappata dal rossetto e il respiro mutilato dal corsetto cercano espressione, mentre l’emozione si accalca agli angoli di una bocca murata da dentro. Aspettano loro come, dal canto mio, aspetto anch’ io, che sospiro per l’imbarazzo di desiderare, mentre il silenzio scinde i momenti, tra quelli che assalgono rapaci e quelli che sfuggono lenti. Le erbacce cattive, si sa, tendono a rinnovarsi perennemente, a crescere ancora; così come le note spuntano necessarie e casuali, germogliando in una melodia coraggiosa. La mia è una canzone che trova voce in percorsi sotterranei, muovendosi attraverso fori interconnessi, che svincola, s’arrampica, getta basi e s’innalza, piantata su piedistalli sempre diversi che poi si rivelano gli stessi. La mia voce è una pianta rampicante, che non pretende niente. Il suo corpo prende forma dall’assenza di altri corpi e cresce nel rispetto di un silenzio prepotente. Aspetta il momento, cela e soffoca un rivolo di fiato che riscalda silenziosa, attendendo il giorno in cui intonerà le sue ragioni, rinnovata, solenne e prodigiosa. E tu, ascolti questa placida voce calda, senza inseguirla sino a giungere alla radice solitaria di quel fiato roco, che semina tracce della sua fonte, di un eco moltiplicato e pressante. Sarà che tu vuoi la canzone, non la cantante. Ma il ritmo è solo un bel vestito inanimato. Squarciala, squarcia la canzone da dentro e tira fuori il verbo che le da senso, rintraccia il gorgoglio rugoso che giace imploso, sali all’acme del turbamento, la voce è solo un fiato, solo l’ultimo rivolo di un potente vento. E invece sento, i tuoi baci stonati che rompono l’armonia, è la loro distanza che definisce ciò che manca. Infilandomi nel tuo monotono suono sordo ed onnipotente, nel tono della tua insoddisfazione costante ed equilibrata, avverto che in tutto questo è la tua di voce ad essere stonata.  -Alice Boschin-
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polaroidartitaly · 9 years
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FAITH - di Marco Ragana
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“Non so dove sono, ma so che qualcosa di me sta andando oltre quello che voglio essere e mi sento di essere. Un ramo di me oltre i confini, un ramo che tocca chi non deve toccare e che se cresce porterà dietro tutto il resto, potrebbe spaccare il mio tronco, non dico uccidermi, ma non permettermi più di crescere come e con chi vorrei crescere. Io sono dentro, anche se dentro e fuori non ho ancora capito bene cosa vogliano dire, ma esisto prima di quel ramo ed esisto prima del mio tronco, ero già nel seme e sapevo che avrei potuto essere nei miei rami, e ho capito solo tardi che non tutti i rami potevano vivere, per poter vivere, per continuare ad essere e avere i miei frutti, avrei dovuto avere disciplina. La struttura doveva essere al mio servizio e io non al suo. Trattenersi mi definisce allo stesso modo del mio agire e per poter essere veramente libera, non potevo essere ogni cosa e in ogni dove. Ho dato ordine agli eventi che a voi sembrano casuali di agire per limitarmi, per non agire oltre quel confine, per poter agire ancora più libera nei miei confini. Io esisto prima e oltre il mio ego, esso mi compone, non sono io, esso è parte di me, le altre parti di me esistono in virtù di dove vanno i miei rami e quanto sole posso prendere e cosa posso assimilare. Ego deve avere forma e consistenza, forza e abilità, ma non deve farmi morire. Tutto questo non lo sapevo veramente, conoscevo ma non agivo, e mi portavo ai limiti, il corpo che sono ha trovato la soluzione: ha potato, ha troncato. Ho provato un dolore intenso ora, per non provarne uno più intenso domani. Ora questo sarà un segno perenne, un ammonimento, per ricordarmi sempre di chi sono e come voglio essere con l'altro da me. Ho modificato la mia struttura per non perdere la mia vita. Per questo oggi sono più forte, per questo oggi energia ed azione sono in equilibrio, per questo oggi sono viva.”
-Samuele Papiro-
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