La lacrimata sepoltura
Ieri giorno di festa abbiamo con solennità trapiantato i pini delle vicine collinette sul monte rimpetto alla chiesa. Mio padre pure tentava di fecondare quello sterile monticello; ma i cipressi ch’esso vi pose non hanno mai potuto allignare, e i pini son ancor giovinetti. Assistito io da parecchi lavoratori ho coronato la vetta, onde casca l’acqua, di cinque pioppi, ombreggiando la costa orientale di un folto boschetto che sarà il primo salutato dal sole quando splendidamente comparirà dalle cime de’ monti.
E ieri appunto il sole più sereno del solito riscaldava l’aria irrigidita dalla nebbia del morente autunno. Le villanelle vennero sul mezzodì co’ loro grembiuli di festa intrecciando i giuochi e le danze di canzonette e di brindisi. Tale di esse era la sposa novella, tale la figliuola, e tal’altra la innamorata di qualcuno de’ lavoratori; e tu sai che i nostri contadini sogliono, allorché si trapianta, convertire la fatica in piacere, credendo per l’antica tradizione de loro avi e bisavi, che senza il giolito de’ bicchieri gli alberi non possano mettere salda radice nella terra straniera.
Frattanto io mi vagheggiava nel lontano avvenire un pari giorno di verno quando canuto mi trarrò passo passo sul mio bastoncello a conformarmi a’ raggi del sole, sì caro a’ vecchi: salutando, mentre usciranno dalla chiesa, i curvi villani già miei compagni ne’ dì che la gioventù rinvigoriva le nostre membra; e compiacendomi della frutta che, benché tarde, avranno prodotto gli alberi piantati dal padre mio. Conterò allora con fioca voce le nostre umili storie a’ miei e a’ tuoi nipotini, o a’ quei de Teresa che mi scherzaranno dattorno. E quando le ossa mia fredde dormiranno sotto quel boschetto alloramai ricco e ombroso, forse nelle sere d’estate al patetico sussurrar delle fronde si uniranno i sospiri degli antichi padri della villa, i quali al suono della campana de’ morri pregheranno pace allo spirito dell’uomo dabbene, e raccomanderanno la sua memoria ai lor figli. E se talvolta lo stanco mietitore verrà ristorarsi dall’arsura di giugno, esclamerà guardando la mia fossa: egli innalzò queste fresche ombre ospitali! -O illusioni! e chi non ha patria, come può dire: lascerò qua o là le mie ceneri? [...]
Eppur mi conforto nella speranza di essere compianto. Su l’aurora della vita io cercherò forse invano il resto della mia età che mi verrà rapito dalle mie passioni e dalle mie sventure; ma la mia sepoltura sarà bagnata dalle tue lagrime, dalle lagrime di quella fanciulla celeste. E chi mai cede a una eterna obblivione questa cara e travagliata esistenza? Chi mai vide per l’ultima volta i raggi del sole, chi salutò la Natura per sempre, chi abbandonò i suoi diletti, le sue speranze, i suoi inganni, i suoi stessi dolori senza lasciar dietro a sè un desiderio, un sospiro, uno sguardo? Le persone a noi care che ci sopravvivono, sono parte di noi. I nostri occhi morenti chiedono altrui qualche stilla di pianto, e il nostro cuore ama che il recente cadavere sia sostenuto da braccia amorose, e cerca un petto dove trasfondere l’ultimo nostro respiro. Geme la Natura perfino nella tomba è il suo gemito vince il silenzio e l’oscurità della morte.
M’affaccio al balcone ora che l’immensa luce del sole si va spegnendo, e le tenebre rapiscono all’universo que’ raggi languidi che balenano su l’orizzonte; e nella opacità del mondo malinconico e taciturno contemplo la immagina della Distruzione divoratrice di tutte le cose. Poi giro gli occhi sulle macchie de’ pini piantati dal padre mio su quel colle presso la porta di quella parrocchia, e travedo biancheggiare tra le frondi agitate da’ vendi la pietra della mia fossa. E pare di vederti venir con mia madre, a benedire, o perdonar non foss’altro alle ceneri dell’infelice figliolo. E predico a me, consolandomi: forse Teresa verrà solitaria sull’alba a rattristarsi dolcemente sulle mie antiche memorie, e a dirmi un altro addio. No! la morte non è dolorosa. Che se taluno metterà le mani nella mia sepoltura e scompiglierà il mio scheletro per trarre dalla notte in cui giaceranno, le mie ardenti passioni, le mie opinioni, i miei delitti - forse; non mi difendere, Lorenzo; rispondi soltanto: Era un uomo, e infelice.
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Primo Levi - Se questo è un uomo
Cose che fanno riflettere
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Sergio Solmi, La scuola serale
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Entering the Kingdom
by Mary Oliver
The crows see me.
They stretch their glossy necks
In the tallest branches
Of green trees. I am
Possibly dangerous, I am
Entering the kingdom.
The dream of my life
Is to lie down by a slow river
And stare at the light in the trees–
To learn something by being nothing
A little while but the rich
Lens of attention.
But the crows puff their feathers and cry
Between me and the sun,
And I should go now.
They know me for what I am.
No dreamer,
No eater of leaves.
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Bent double, like old beggars under sacks,
Knock-kneed, coughing like hags, we cursed through sludge,
Till on the haunting flares we turned our backs
And towards our distant rest began to trudge.
Men marched asleep. Many had lost their boots
But limped on, blood-shod. All went lame; all blind;
Drunk with fatigue; deaf even to the hoots
Of disappointed shells that dropped behind.
GAS! Gas! Quick, boys! — An ecstasy of fumbling,
Fitting the clumsy helmets just in time;
But someone still was yelling out and stumbling
And floundering like a man in fire or lime…
Dim, through the misty panes and thick green light
As under a green sea, I saw him drowning.
In all my dreams, before my helpless sight,
He plunges at me, guttering, choking, drowning.
If in some smothering dreams you too could pace
Behind the wagon that we flung him in,
And watch the white eyes writhing in his face,
His hanging face, like a devil’s sick of sin;
If you could hear, at every jolt, the blood
Come gargling from the froth-corrupted lungs,
Obscene as cancer, bitter as the cud
Of vile, incurable sores on innocent tongues,
My friend, you would not tell with such high zest
To children ardent for some desperate glory,
The old Lie: Dulce et decorum est;
Pro patria mori.
- OWEN
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O Me! O Life!
by Walt Whitman
O me! O life! of the questions of these recurring,
Of the endless trains of the faithless, of cities fill’d with the foolish,
Of myself forever reproaching myself, (for who more foolish than I,
and who more faithless?)
Of eyes that vainly crave the light, of the objects mean, of the
struggle ever renew’d,
Of the poor results of all, of the plodding and sordid crowds I see
around me,
Of the empty and useless years of the rest, with the rest of me
intertwined,
The guestion, O me! so sad, recurring—What good amid these,
O me, O life?
Answer
That you are here—that life exists and identity,
That the powerful play goes on, and you may contribute a verse.
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Canto XXVI Inferno
Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando
pur come quella cui vento affatica;
indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori, e disse: «Quando
mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso a Gaeta,
prima che sì Enea la nomasse,
né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelopé far lieta,
vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
e de li vizi umani e del valore;
ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.
L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
e l’altre che quel mare intorno bagna.
Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
dov’Ercule segnò li suoi riguardi,
acciò che l’uom più oltre non si metta:
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta.
“O frati”, dissi “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
d’i nostri sensi ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo sanza gente.
Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza”.
Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte e ’l nostro tanto basso,
che non surgea fuor del marin suolo.
Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo,
quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza, e parvemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna.
Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto,
ché de la nova terra un turbo nacque,
e percosse del legno il primo canto.
Tre volte il fé girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’altrui piacque,
infin che ’l mar fu sovra noi richiuso».
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A quei tempi non mi capacitavo cosa fosse questo crescere. Credevo fosse solamente fare delle cose difficili - come comprare una coppia di buoi, fare il prezzo dell’uva, manovrare la trebbiatrice. Non sapevo che crescere vuol dire andarsene, invecchiare, veder morire.
Cesare Pavese, La Luna e i Falò
(via doppisensi)
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Non erano mai stati più vicini nel loro mese d'amore, mai avevano comunicato così profondamente, di quando lei sfiorò le labbra silenziose contro la sua spalla o di quando lui le sfiorò la punta delle dita, delicatamente, come se lei dormisse.
Francis Scott Fitzgerald, Il Grande Gatsby (via doppisensi)
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Stasera ho pensato di insegnarti questo:
tu ribellati
qualunque cosa accada: ribellati
ribellati alle lettere allineate
ai colori alle cornici intorno al foglio
agli indici nei libri alle immagini nel verso giusto
agli orli alle cinture ai calzini uguali
ai bottoni sempre nelle asole
e alle asole sempre in cerca di bottoni
ai saponi alle creme ai dentifrici raccomandati
alla pelle che si rimargina alle cicatrici ai calli ossei
alle donne ai sentimenti ai patimenti
al tempo che guarisce tutto
e al dolore che si lascia guarire.
Carla Lebowski Cavallini (via il-colore-del-vento)
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Quanto a Emma, lei non si chiese mai se lo amasse. L'amore era la sua convinzione, doveva arrivare tutto d'un colpo, con grandi tuoni e lampi - uragano celeste che piomba sulla vita, la sconvolge, strappa le volontà come foglie morte, trascina l'intero cuore nell'abisso. Non sapeva che sulle terrazze delle case la pioggia forma larghe pozze quando le grondaie sono ostruite, e così restò tranquilla sinché non le toccò di scoprire d'improvviso una crepa nel muro. Accadde una domenica di febbraio, un pomeriggio, nevicava.
Gustave Flaubert, Madame Bovary
(via doppisensi)
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Vincent Van Gogh, Il caffè di notte, 1888
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Feci mille pazzie per lei, la cercai, implorai, piansi, passai le notti sotto le sue finestre, vidi l'ombra di lei accanto all'ombra di un uomo dietro le cortine, seguii di notte la sua carrozza per le vie e vidi il suo capo sull'omero di lui. - Ella mi ravvisò, e chiuse le imposte o si tirò vivamente indietro, o volse il capo dall'altra parte. - Sirena! maliarda! che mi aveva inebriato coll'amore, ed ora mi intossicava con la gelosia! Le scrissi; le scrissi umile, delirante, minaccioso. Ella mi rimandò le mie lettere con un sol motto: “ Una follia non si fa due volte o diventa sciocchezza ”.
Giovanni Verga - “Eva”
(via lemadriatroci)
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Appreso questo sonetto apparve a me una mirabile visione, ne la quale io vidi cose che mi fecero proporre di non dire più di questa benedetta infino a tanto che io potesse più degnamente trattare di lei. E di venire a ciò io studio quanto posso, sì com'ella sea veracemente. Sì che, se piacere sarà di colui a cui tutte le cose vivono, che la mia vita duri per alquanti anni, io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d'alcuna. E poi piaccia a colui che è sire de la cortesia, che la mia anima se ne possa gire a vedere la gloria de la sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, la quale gloriosamente mira ne la faccia di colui qui est per omnia secula benedictus.
Dante Alighieri, La «Mirabile Visione», dalla Vita nuova, cap. XLII
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Dante.
-ph: @s-dot-five
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