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#troppe bollicine nel mio stomaco
mynameis-gloria · 4 months
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Finire ed iniziare con il cuore sereno. Ciao 2024, mi hai accolto con dolcezza.
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valjean-or-javert · 7 years
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In cyto
Nell’incipit di una storia non c’è spazio per il clima. Per alcuni è volgare, per altri scontato, ma la verità è che a nessuno importa delle vostre tempeste o delle vostre giornate di sole, se mai ne avete avute. Io però sono una ribelle. Il mio stesso essere ed esistere, nel qui ed ora, sulla carta stampata, è un cliché. Sia essa lo scheletro di pesanti tomi di anatomia patologica o di romanzetti per giovani adulti. Quindi sì, parlerò del tempo. Vi dirò, anche se non v’importa nulla, che qui si sta al caldo. Trentasette gradi e tre, per essere precisi. Il cuore pompa tedioso e lento, spingendo la marea di zombi anucleati[1] nel loro monotono viaggio. Avanti e indietro, in loop, dal cuore alla periferia e dalla periferia al cuore. Mai nulla di nuovo fuori dal finestrino. Mai una scoperta, una novità, un cambiamento. Forse il brivido effimero del debito d’ossigeno durante una corsa. Anche questo è comune, per noi reietti. Ci lamentiamo sempre di troppe cose, sbirciamo nella vita degli altri, disgustati – e in fondo invidiosi – della loro quieta monotonia. E quanto siamo bravi a fingerci maledetti. O maledirci, chissà. Si nasce ribelli o ci si diventa? E in che modo lo si è davvero? Nel creare o nel distruggere? Io distruggo e creo insieme, ed è proprio questo che, magari, mi rende maledetta per davvero.                  Non sono un virus. Io sono viva, non so se mi spiego. Quei poveracci non sono considerati nemmeno degli esseri viventi veri e propri, tanto per cominciare. Sono degli stupratori seriali, altroché. Avvistano una cellula, tutta ammiccante con quella doppia membrana fosfolipidica che pare danzare. La puntano, la infilzano e la farciscono di materiale genetico. Un’incubatrice destinata alla lisi[2]. Boom. Non sono nemmeno un batterio. Come i virus, anche loro mi stanno antipatici. Sono ipocriti, sempliciotti e disordinati. Dopo aver finito di mangiare lasciano sempre un gran casino. Sanno comunque rendersi utili, al contrario di me. Perciò non sono un batterio.              Vi dicevo che distruggo e creo insieme. La mia dirompente forza generatrice è capace di uccidere, soffocare, schiacciare. È una frenesia incontrollabile, un uragano di replicazioni, traduzioni, divisioni. Credo che a questo punto abbiate capito, a meno che non siate degli idioti. Sono una cellula tumorale. Una di quelle patetiche, in realtà, sola soletta, buona solo a sfornare copie a tutto spiano prima che i linfociti T si accorgano del guaio. E mi dispiace tanto. Non della mia natura, sia chiaro, quella è qualcosa che m’appartiene e non m’appartiene. Un gioco del caso, uno scherzo nella mia sintesi proteica. Mi spiace del paradosso che si crea una volta che entri nel giro. Vi spiego. Quando ero una cellula perbene con la sua bella inibizione da contatto, una forma sana e tondeggiante e immobile come una statuina[3], agli occhi del Sistema andavo bene. Io invece mi facevo schifo. Nei profili delle altre cellule, tutte instancabili e impeccabili in egual misura, intravedevo il mio fallimento. L’insignificanza di un clone che si specchia nella cellula madre e viceversa, in un vortice di vuoto e annullamento che ti prende dritto ai lisosomi[4]. È buffo. Non credo abbiate mai pensato a noi come creature senzienti. Probabilmente non lo siamo e vi state solo immaginando tutto, oppure – chissà – dietro alla vostra coscienza potrebbe nascondersi qualcosa di molto più complesso e corale. Chi è che mi dà voce? Uno di voi o tanti di noi? Potreste scoprire che si tratta dello stesso concetto. E questo, vi assicuro, vi farebbe molta più paura di quanto non ne faccia io.                       Non ho mai ucciso una delle mie sorelle, comunque, né uno di quei funzionali automi del Timo[5]. Si sentono speciali perché capaci di muoversi, ghermire e inghiottire. Si credono potenti, invincibili. Si convincono che la violenza abbia le spalle abbastanza ampie per portarsi addosso un intero sistema. Ed è qui che si sbagliano. Quello che conta, in questo gioco, è la tecnica. E onestamente la mia l’ho affinata alla grande. È l’arte del trasformismo che ti rende invincibile: lo hanno capito tutti, dai microbi agli arrampicatori sociali, eppure il sistema immunitario proprio non ci arriva. Del resto non saprei che altro aspettarmi da chi a stento riesce a riconoscere se stesso da un estraneo, non so se mi spiego. Spero abbiate afferrato il riferimento al diabete di tipo I[6]. Con questo convinco sempre tutti. E anche con la vitiligine, l’artite reumatoide e la celiachia. La gente ha paura di star male. Io invece ho paura di non stare e basta.                  Questo discorso ha preso una piega un po’ diversa da quella che mi ero prefissata. Avrei voluto intavolare un monologo profondo su quanto noi reietti siamo migliori di voi pecorelle smarrite, ma si è arenato tutto in un tedioso flusso di coscienza. Da questo punto di vista voi esseri umani siete avvantaggiati. Voglio dire, non si è mai detto di una cellula che va dal terapista. Magari siamo troppo impegnate a tenervi in piedi, a pararvi il culo, a farvi ammalare e strangolarvi nel sonno. Oppure non ci resta che vivere la nostra esistenza da bollicine micrometriche senza lamentarci. E dire che ne avremmo il diritto. E anche il dovere, ogni tanto. Forse, almeno per questa volta, non andrò in metastasi. Riguardatevi.
Note
[1] I globuli rossi. Quando sono maturi perdono il nucleo e quindi la capacità di replicarsi. Per questo vengono definiti “elementi figurati” del sangue, perché in fondo non sono più veri e propri esseri viventi…ma zombi.
[2] I virus non sanno replicarsi da soli, per cui si servono dei sistemi di sintesi proteica della cellula. Una volta che la cellula infettata ha prodotto troppe copie del virus dentro di sé, esplode in una poltiglietta arancione. Divertente.
[3] Le cellule tumorali non smettono di replicarsi quando sono le une troppo vicine alle altre, per questo formano masse che soffocano i tessuti. Per questo non è possibile “coltivare” delle cellule sane in vitro per ottenere un tessuto. Inoltre, a differenza di altre cellule, si muovono strisciando (con movimento ameboide).
[4] “Ti prende dritto ai lisosomi” è un riferimento a “qualcosa che ti prende allo stomaco”. I lisosomi, infatti, sono considerati lo “stomaco” cellulare. Contengono enzimi litici che “digeriscono” sostanze di scarto e vecchi organelli.
[5] I linfociti T. T sta per Timo, la ghiandola che abbiamo all’altezza dello sterno. È lì che le T-cells nascono e maturano. Nei bambini questa ghiandola è molto grande perché in quel periodo ha una funzionalità maggiore.
[6] Il diabete di tipo I è determinato dalla distruzione delle cellule beta del pancreas (che producono insulina) ad opera del sistema immunitario. In questo caso, infatti, le cellule immunitarie non sono in grado di riconoscere il self dal non-self e attaccano centri di produzione sani. La stessa cosa succede per altre malattie autoimmuni come la celiachia.
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