Tumgik
#parole che sono sutura
pensieri-proibiti · 9 months
Text
Lettera senza destinatario
Lettera senza destinatario, forse anche senza mittente
Perché ormai chi ho davvero avanti? E chi sono io?
Continuo, costantemente, giorno dopo giorno ad inviare "come stai?" A chiedere, informarmi e preoccuparmi delle persone che mi circondano, quasi come se le loro vite fossero la mia. Ci tengo davvero, ma a volte mi chiedo..sarà solo un modo egoista per non pensare alla mia di vita? È cosi facile, così soddisfacente aiutare gli altri. Come quando vedi quei video su instagram in cui puliscono i tappeti o come quando freneticamente pulisci tutta casa ed hai quella mezz'ora di dopamina, quella mezz'ora in cui sembra davvero essersi risolto tutto. Perché in fondo visto da fuori è tutto così ordinato..com'è possibile che all'interno sia diverso? Poi invece ti rendi conto che tra le frange di quel tappeto sono rimasti intrappolati i ciuffi di polvere, che nella casa linda e pinta hai dimenticato di buttare la spazzatura o semplicemente di mettere a posto le nuove cose appena acquistate..e allora il prurito dentro la tua testa comincia a farsi sentire di nuovo. Io Sono solo i resti di un mittente, che scrive ad un destinatario inesistente, ho iniziato a buttare giù parole con una nuova penna, senza usure e piena di inchiostro che però ha smesso comunque di funzionare..allora si ritorna a quella con una goccia di nero all'interno, con il tappo mordicchiato e la plastica sbeccata.. io mi sento esattamente così. La nuova me, la mia nuova vita è lì fuori da qualche parte che mi aspetta ma ancora sembra non calzarmi, ancora mi aggrappo ad ogni briciola di questa vecchia me ormai stremata. Ho sempre vissuto in base alle irrealistiche aspettative altrui..sono la figlia stoica che non ha bisogno di essere seguita, questa buffa e impacciata figlia che chissà come mai ha problemi di cicatrizzazione, ogni volta un segno nuovo, così sbadata..
Sono l'alunna modello, che ha sempre preso voti alti ma mai perfetti, che ora fatica a concludere una sola singola pagina della facoltà che lei stessa ha scelto ed ama. Sono l'amica senza problemi, quella che ascolta, quella che sta bene per forza perché non va dallo psicologo. Allora, qualcuno, per favore, mi spieghi perché nella mia mente è sempre tutto così buio, mi spieghi perché amo così tanto, amo così forte da non riuscire a lasciar andare ciò che dovrei
Mi spieghi perché non riesco a farmi una doccia, a studiare, a fare un qualsiasi cosa di produttivo..senza che qualcuno se ne renda conto. Chiamate il mio problema come volete, a questo mittente idealizzato deve sempre andare tutto bene perché le sofferenze altrui sono più gravi, più concrete, più visibili. Io so solo che se fossi qui, seduta nella mia cucina da sola, o se mi sollevassero e abbandonassero in qualsiasi altro posto non ne sentirei la differenza. Perché la mia mente è piena, è satura, ma tutto il resto è stato svuotato, ho dato tutta la mia essenza, la mia imbottitura agli altri, ed ora sono solo una bambola di pezza, aperta a metà, sul comò impolverato avanti a cui tutti passano senza filo di sutura.
0 notes
oretsim-mistero · 1 year
Text
Credo si tratti di uno scambio;
Una dice all'altra le parole che avrebbe voluto sentire quando era in difficoltà e l'altra che ascolta, credo che usi quelle parole per affrontare meglio la situazione; io faccio così, quando vado in quei pozzi neri di ansia, mi dico "perché lo pensi Andrea? Lei ti ha detto che non è così" e quindi mi metto a pensare alle verità che questa vita racchiude, ad ogni singola verità, ad ogni gesto e parole dette, a tutte quelle possibilità e mi dico che la mia paura è infondata; tu sei qui, in questo momento e sei abbastanza per te stessa, sei diventata in grado da non voler di più di quanto puoi dare e sei diventata in grado di non darti una colpa per questo. Ma attenzione, non vuol dire arrendersi e non cercare di migliorare se stessi, vuol dire accettarsi, capire e non farsi ansie inutili da portarci dietro. Io sono abbastanza per me stessa, sono in grado di fare delle cose, magari sbaglio ogni tanto, ma ne sono capace; sono brava a parlare con le persone, se non balbettò, sono brava a disegnare e forse anche a dipingere;
Ma è anche vero che sono a brava a rompere i cuori delle persone.
Forse le ansie infondate un po' le ho risolte, ma i sensi di colpa, beh, su quelli devo ancora lavorarci.
Io non lo so se i punti di sutura li deve togliere l'ortopedico o il veterinario dello studio, non lo so! Il cane è strano, mangia la brioche al bar, non aveva mai mangiato la brioche al bar; ha mangiato anche un pezzo di focaccia, non l'aveva mai mangiata dio. Mai. È un po' mogio, magari è stanco, magari tre anestesie sono troppe per lui, magari è morto nel divano proprio nel mentre che scrivo queste parole. Magari è solo il collare elisabettiano che lo manda un po' in tilt; ieri ci è passato davanti un cane grande e grosso e non gli ha abbaiato. Capisci? Non gli ha abbaiato. Giuliano è strano da dopo l'operazione, è diventato diverso. Vorrei solo che scrivendo queste parole io possa metterci qualche tipo di energia che le possa far diventare realtà, io rivoglio il mio cane, voglio vederlo andare via inseguendo i caprioli, voglio rivederlo correre, voglio rivedere lo stesso cane che avevo davanti 5 mesi fa, prima che succedesse tutto.
Io non posso pensarci a quando morirà, non posso; l'altro giorno parlavo con un signore che aveva perso da poco il suo cane ed io glielo dicevo senza vergogna, glielo dicevo sapendo che era vero " io la capisco, la sua tristezza, ogni tanto piango anche io la morte del mio cane, solo che lui è ancora vivo";
Tutta questa lealtà, tutta questa tristezza, nessuno apprezza mai la presenza nella nostra vita di un altro essere vivente, ma perché non si può piangere per la sua morte anche se lui è ancora in vita? È una perdita di tempo o un segno di gratitudine per ogni istante felice passatoci insieme? Sarò matta, ma credo che piangere ogni tanto per lui non sia così male, perché dopo il pianto mi rendo conto che lui è ancora lì, nel divano, respira e che domani andremo a fare un altra passeggiata insieme e forse starà un po' meglio...
0 notes
punti-disutura · 5 years
Quote
Noi siamo come i poveri ragni, che per vivere hanno bisogno d’intessersi in un cantuccio la loro tela sottile, noi siamo come le povere lumache che per vivere han bisogno di portare a dosso il loro guscio fragile, e come i poveri molluschi che vogliono tutti la loro conchiglia in fondo al mare. Siamo ragni, lumache e molluschi di una razza più nobile – passi pure – non vorremmo una ragnatela, un guscio, una conchiglia – passi pure – ma un piccolo mondo sì, e per vivere in esso e per vivere di esso. Un ideale, un sentimento, una abitudine, una occupazione – ecco il mondo, ecco il guscio di questo lumacone, o uomo – come lo chiamano. Senza questo è impossibile la vita. Quando tu riesci a non aver più un ideale, perché osservando la vita sembra un’enorme pupazzata, senza nesso, senza spiegazione mai (…) allora tu non saprai che fare; sarai un viandante senza casa, un uccello senza nido. Io sono così. (…)
Luigi Pirandello, da una lettera alla sorella Lina, ottobre 1886.
108 notes · View notes
spettriedemoni · 3 years
Text
4 ottobre 2016
Oggi sono uscito dall'ospedale. Il primo intervento chirurgico mi ha lasciato dolorante a un fianco. Faccio fatica a rimettermi in piedi a stare eretto. Continuo a camminare piegato ma piano piano mi rialzo.
Faccio le mie "vasche" in corridoio, mia madre mi ha fatto delle foto mentre ero così.
La mattina mi hanno fatto un prelievo. L'infermiera ha trovato la vena sul polso, sul dorso del polso, per la precisione. È stata bravissima: non succede spesso che mi trovino la vena al primo colpo. Non succede quasi mai, a dire il vero. La notte precedente l'ho chiamata più volte per farmi svuotare il "pappagallo" quel coso dove puoi pisciare senza doverti alzare dal letto. Ho detto che mi sentivo bene e che potevo andare in bagno da solo, ma l'infermiere mi ha detto che non posso farlo, che c'è l'anestesia ancora in circolo, che un paziente tempo fa ci ha provato ma è caduto tre volte prima di arrendersi e tornare a letto.
Mi guardo nelle foto che mi ha scattato mia madre con quel pigiama blu scuro nella parte di sopra e i pantaloni grigi. Vedo un me stesso provato che fa fatica a muoversi e si appoggia a quella specie di corrimano lungo la parete.
Quanto finalmente mi vesto ho timore a chiudermi i pantaloni. C'è il cerotto sulla cicatrice lì dove mi hanno tagliato per raggiungere la massa che poi hanno asportato.
Ho assistito a tutto l'intervento da sveglio, mi hanno fatto l'epidurale, quanta paura fa l'epidurale a mia madre! Capisco solo ora che sto in piedi che l'infermiere aveva ragione: si fa fatica a stare in piedi dopo l'anestesia. Ma le forze mi stanno tornando.
Ascoltiamo il medico che ci spiega quello che dovrò fare, la dieta da seguire e cos'è il "ricovero in articolo 1". In pratica ora torno a casa, sono convalescente ma è come se fossi ancora in ospedale. Tra 15 giorni devo tornare per togliere la medicazione e i punti di sutura, tra 10 però ho già una TAC con e senza MDC.
Ho una cazzo di fottuta paura della TAC e del mezzo di contrasto che non avete idea. Poi esami del sangue ogni 4/5 giorni.
Il medico che mi ha operato già ci dice di andare a Milano ma non ha fatto altro che dirmi «Tu questa battaglia la vinci».
Mi aggrappo a quelle parole, come fossero uno scoglio nella tempesta per evitare che le onde mi portino via.
4 ottobre fa caldo, c'è il sole ed è San Francesco. Che curiosa coincidenza: Francesco è uno dei nomi che vorremmo dare a nostro figlio. Se fosse stata una femmina era già deciso che sarebbe stata Giulia, ma con il maschio era un problema: nessuno dei nomi proposti era piaciuto alla Mia Regina.
Solo dopo è venuto Francesco. Solo dopo è arrivata la mia malattia.
Francesco è un bel nome.
31 notes · View notes
Tumblr media
Incontri che lasciano il segno - Parte 1
È un giorno come un altro nella Grande Mela; seppur Taehyung si trovi negli Stati Uniti per lavoro, il giovane artista non si è trattenuto dal ritagliarsi del tempo per sé stesso. Ha chiesto al suo manager di accompagnarlo al MoMA, il principale museo moderno del mondo, nella speranza di poter sfruttare al massimo la sua permanenza in suolo americano. Perché non importa quante volte ci sia già stato: è sempre pronto ad osservare con occhi nuovi, più maturi e critici tutta l’arte che lo circonda.  Si trova al quinto piano; Dipinti e Sculture. Di fronte a sé uno di quei quadri che più frequentemente cattura la curiosità dei turisti sta appropriandosi dell’attenzione del ragazzo, intrappolando i suoi occhi grandi e brillanti nel famoso vortice di pennellate azzurre della Notte Stellata.  Immerso com’è nell’opera, non si accorge nemmeno dell’inusuale desolazione del museo, anzi. Quella rara quiete lo spinge ulteriormente tra le braccia di quella luna che sembra essere così calda se comparata allo spettro cromatico del dipinto. L’idea del suo manager che lo aspetta nell’area cafè non gli mette fretta, onestamente. Sa che in realtà gli sta lasciando lo spazio di cui ha bisogno per ricaricare le batterie e ne è molto grato. Ciò che invece riesce a sfilarlo pian piano dalla stretta di Madre Arte è la figura di una donna che si trova alla parete adiacente alla sua. Una ragazza vestita da donna, si corregge mentalmente. La sua postura, i capelli raccolti, gli abiti tanto formali da sembrare quasi un’uniforme, la tracolla in cuoio che sembra aver visto molte generazioni prima della sua: tutto sembra voler raccontare una storia più antica della reale età. E Taehyung adora le storie; lo riporta ai tempi in cui sua nonna era ancora lì con lui per raccontargliele.  La nuca scoperta dall’acconciatura rivela una pelle bianca ma sofferente; un lieve rossore sembra volersi arrampicare fin laggiù, il che porta lo sguardo di Taehyung alla radice del problema. Non reggerà ancora per molto, pensa soffermandosi sulla spilla da balia che con ben poche aspettative teneva assieme i pezzi della borsa. Era un rimedio dell’ultimo secondo, un piccolo cerotto su una ferita che necessitava dei punti di sutura; ma questo lui non poteva saperlo. Spinto a compassione, Taehyung lascia il padiglione per raggiungere le scale e salire di un altro piano, anche questo reso vivo da più personale che visitatori, per fare poi ritorno nell’ala dei dipinti una manciata di minuti dopo. È convinto di trovarla ancora lì; ha come l’impressione che siano simili sotto quel punto di vista.
“Tieni” trova il coraggio di dire dopo averla affiancata. Nella mano tiene una borsa di tela con sopra stampata l’opera di Van Gogh ed il logo del museo. La ragazza posa dapprima lo sguardo sulla mano tesa per poi alternarlo al viso delicato ma dagli occhi che ha come l’impressione possano diventare taglienti da un momento all’altro, a tradimento. Emette un’aura del genere.  “Ho notato la tua borsa, prima. Ci devi tenere dentro molti libri.” Azzarda ad ipotizzare sia una studentessa di qualche università privata, forse cattolica. Non è un grande fan degli stereotipi ma qualcosa in lui lo spinge ad investigare. “In verità è tutto peso del mio lavoro” replica lei accettando il premuroso dono. Non si sbilancia con ringraziamenti palesi o verbali, semplicemente accetta la borsa con un calmo sorriso gentile. “Vieni spesso qui?” chiede lei sfilandosi la tracolla dalla spalla e passandola a Taehyung che, colto alla sprovvista, si ritrova a reggere la vecchia borsa cadente mentre tenta di non dare a vedere la sua sorpresa.  “Ogni volta che posso” le confessa reggendo con entrambe le mani l’oggetto. La vede aprire la borsa di tela ed incoraggiarlo ad infilarne lì la vecchia e così fa. Certamente è più comodo che trasferire ogni singolo oggetto da una all’altra. Sembra esserci abituata. “Quindi sei un esperto” suppone la giovane riprendendo in spalla la matrioska di borse. “Se vieni qui ogni volta che puoi e sai come raggiungere il negozio senza guardarti intorno né consultare la mappa, allora devi davvero sapere tutto di questo posto.“ “Non sono un esperto. Direi più… un appassionato frequentatore.” E sta davvero scegliendo di non soffermarsi sul dato principale dell’intera faccenda: come fa a sapere quanto tempo ci abbia messo a trovare il negozio? Che lo stesse osservando ancora prima che lui potesse accorgersi di lei? E se l’avesse riconosciuto?  Ma le ore passate nel museo lo hanno reso un’uomo più rilassato e gli hanno fatto abbassare la guardia. O forse il fascino che quella ragazza sta inspiegabilmente esercitando su di lui sta in realtà conducendo l’intero gioco, esattamente come se lui fosse l’ammaliato marinaio e lei un’incantevole ed imprevedibile sirena.  “Mi prendo il tempo necessario per osservare tutte le opere e-” “Quindi tu hai visto tutte le opere del museo?” viene interrotto da quell’intervento che Taehyung mal interpreta come ammirazione. “Beh, sì” conferma alzando le spalle. “Non vado mai via prima di averle viste tutte, anche se per pochi secondi.”  Non sa bene cosa lo abbia portato a dire quelle cose, non ha intenzione di vantarsi o risultare arrogante ma, alla fin fine, riesce a trovare una giustificazione per le proprie parole: non ha mentito per fare una bella figura -qualsiasi cosa questo significhi- ma ha semplicemente riportato i fatti. Non a caso il suo manager era pronto ad una pausa caffè lunga ore. “Scommetto invece che te ne sia sfuggita una.” “Come, scusa?” replica cortese. “No, non è possibile. Ho stampato l’elenco di tutte le opere presenti in questo museo, lista scaricabile dal sito ufficiale” puntualizza con un tono saccente da primo della classe. “Non posso aver saltato qualcosa. Vedi?” dice recuperando il foglio dalla tasca della giacca di jeans. “Ho la spunta accanto a tutto.” E mentre il suo dito scorre sulla pagina, seguito a ruota dallo sguardo attento del giovane, sulle labbra dell’ipotetica studentessa si modella come creta fresca un sorrisetto sottile. “Seguimi” lo incita con semplicità disarmante ignorando il suo cartaceo frutto di accurate ricerche. A questo punto non può tirarsi indietro. La segue lungo l’intero quinto piano, le resta a due gradini di distanza per le scale e si assicura di voltare il capo in ogni direzione una volta raggiunto il secondo livello, alla disperata ricerca di quel fantomatico qualcosa che lei sostiene si sia perso durante il tour. Niente. Quando la sconosciuta si ferma davanti ad una stanza con le mani legate dietro la schiena, Taehyung capisce che è lì che è nascosta la risposta.  “Ma... questa è Gowda.” Lo dice con ovvietà ma è molto confuso dal tutto. O forse è solo deluso. Si aspettava di doversi inoltrare in chissà quali anfratti del museo, scoprire di segrete nicchie o nascosti angoli con opere delle dimensioni di un tappo di bottiglia o roba del genere. E invece l’aveva portato davanti ad una delle più gigantesche, ben esposte e facili opere da trovare. Non riesce a capire. Ci dev’essere qualcosa che gli sfugge, ne è sicuro. “È l’ambiente costruito con elementi provenienti da case demolite a causa della modernizzazione nella sua terra natia.” “Qualcuno ha davvero fatto i compiti.” replica alla breve quanto coincisa descrizione senza mostrarsi particolarmente colpita. Di nuovo. “Io però mi riferivo ad altro.” Così dicendo si inoltra nella scena, supera stipiti, infissi di finestre e tavole di legno e conduce Taehyung davanti al soggetto di tanto mistero. “Un estintore.” Lo deve ammettere, se non fosse sotto l’effetto di chissà quale inspiegabile stregoneria che lo porta a gravitare attorno a lei, a quest’ora l’avrebbe già considerata una svitata; una di quelle personalità così fuori di testa da vedere cose anche laddove non ce ne siano. “È dunque questo il tuo occhio analitico da critico d’arte?” Commenta sarcastica. Qualcosa nella sua espressione suggerisce a Taehyung che quello fosse il suo di modo per manifestare la propria di delusione, proprio come lui poco prima aveva utilizzato il tono piatto nella sua voce in due semplici parole. N’è infastidito, in tutta franchezza. Tra i due quello ad avere più motivi per essere deluso non è certamente lei! In più si permette il lusso di giudicarlo? È una situazione davvero frustrante per l’artista. “Non c’è nulla da... analizzare. È solo un comune estintore. Tutti gli edifici devono averne almeno uno per una questione di sicurezza. E sono certo che in luoghi come i musei ce ne siano almeno dieci per piano. E questo è solo uno dei tanti. Non c’è nulla qui che faccia pensare sia nient’altro di diverso: non è equamente distante dalle altre opere, non è in un punto ben illuminato, non ci sono linee di fermo sul pavimento, non ha una targhetta con il titolo o il nome dell’artista, non è sul sito.” ribadisce irritato infine percependo le briglie della magica attrazione cominciare la frenata. “Hai presente gli stereogrammi?” La sente dire di punto in bianco in quello che interpreta come un disperato tentativo di cambiare discorso. “A volte ci vuole un po’ di tempo e pazienza in più per arrivare a vederci le immagini che nascondono. Guarda meglio: una targhetta c’è, dopotutto.” Lo incoraggia indicando il pezzo di carta legato al collo dell’estintore. Non sa perché lo stia facendo, perché stia continuando ad assecondarla ma segue il suo suggerimento e si sporge verso l’oggetto focalizzandosi sul foglietto. “ ‘Questo estintore è stato revisionato come richiesto dal codice antincendio di New York City 906.2.1.2.’.” “C’è altro?” “ ‘Ultima ispezione: 11 marzo’.” prosegue. “Effettuata da?” “Arthur H.” “Adesso hai un nome.” rivela l’improvvisata guida passando la borsa da una spalla all’altra, non sapendo quanto le sue ultime considerazioni l’avessero messo in una posizione di attacco. Ecco la goccia che ha fatto traboccare il vaso della sua pazienza; non ha più voglia di farsi prendere in giro come un idiota. “Ma questo non significa nulla! Potrebbe perfettamente essere un normalis-” “Arthur Hidalgo-Jiménez.” lo sovrasta con la voce interrompendo la sua sterile polemica. “Arturo, in realtà.” si corregge azzeccando perfettamente i suoni caldi e spigolosi della lingua latina. “È uno dei rappresentanti più emblematici delle correnti concettuali nell’arte della seconda metà del Novecento. La sua è un’arte che si muove lungo percorsi del tutto inediti, fondendo in maniera totale la sua esistenza con il suo essere artista. Jiménez è l’espressione più radicale dell’intellettuale che cerca di rinascere da un passato ingombrante. Figlio unico di immigrati portoricani, inventa il concetto della scultura sociale, capace di condurre ad una società più corretta; pensa che ogni uomo sia un artista e che se ciascuno utilizzasse la propria creatività, allora saremmo tutti esseri liberi. L’11 marzo è il giorno in cui i suoi genitori arrivarono negli Stati Uniti e 906212 è il numero della barcone su cui viaggiavano. È stato lui stesso a richiedere che la sua opera fosse messa a caso nel museo, senza una particolare luce o alcun pannello appeso al muro con la sua storia in bella vista. Voleva far arrivare gli osservatori alla più grande delle verità: tutto è arte se si hanno gli occhi per ammirarla. Arturo non era nessuno prima di diventare un artista, non sentiva di avere spiccate abilità nel disegno, nella pittura o nella scultura ma voleva comunque trasmettere qualcosa; aveva un messaggio da mandare a tutti coloro i quali non hanno mai creduto in sé stessi, a chi ha ricevuto solo porte in faccia, a chi non ci ha nemmeno mai provato per paura di fallire. Adesso pensi di riuscire a dirmi perché credi abbia scelto proprio un estintore?” “Perché spegne il fuoco. Potrebbe… essere il simbolo della società odierna che con cinismo soffoca le fiamme degli artisti emergenti o di chiunque cerchi di brillare, degradandoli a qualcosa di totalmente ordinario. Perché, se messo in un museo, nessuno avrebbe fatto caso a lui. Nessuno l’avrebbe considerato un vero pezzo d’arte.” “Se non qualcuno con gli occhi aperti ad essa. È facile trovare approvazione e supporto quando si è già qualcuno. Ma quanto è difficile arrivare a quel punto? Partire dall’essere nessuno e trovare quel qualcuno disposto a spendere quel minuto in più pur di vedere l’arte per quella che è e non per quello che dovrebbe essere secondo l’opinione pubblica.” Si sente così superficiale e stupido. Ogni parola che la ragazza gli rivolge sembra prenderlo a pugni nello stomaco, risvegliando uno strano mix di emozioni in lui. Prova un senso di vergogna, è deluso da sé stesso: da quand’è che ha smesso di apprezzare l’arte, farlo per davvero, coglierla in ogni cosa? Allo stesso tempo però quel discorso lo fa sentire paradossalmente meglio. Se dovesse paragonare quella sensazione a qualcosa, la descriverebbe come quando si tira via un dente cariato: si é in uno stato di dolore dormiente fino a quanto non comincia far male, tanto, per via di qualcosa. L’unico modo per stare meglio é estrarlo; un dolore che porta però al sollievo. Si sente così. Subito dopo arriva il processo di immedesimazione, come accade con i testi delle canzoni. Fa di quelle frasi delle strofe che rende sue, in quanto applicabili alla sua vita in tutto e per tutto. Non é sicuro lei sappia del suo lavoro, di cosa faccia per vivere, ma in fondo non gli importa. Trasforma il suo discorso in musica che starebbe ad ascoltare per ore. Con cuore e mente in tempesta, Taehyung é troppo occupato per badare alla sua espressione, la quale sembra essere fissa -e dunque imbambolata- sul viso della ragazza da un po’ ormai. Ed é costretto a rimangiarsi tutto: l’avrebbe seguita ovunque, anche se avesse deciso di mostrargli un tubo di scappamento nel bel mezzo di una mostra d’auto d’epoca. Perché ne é ammaliato. Troppo timido ed insicuro per dire innamorato.  “Goditi il museo” lo risveglia bruscamente dai suoi pensieri la giovane donna dopo un breve attimo di silenzio. “Te ne vai?” Domanda con voce quasi infantile non disturbandosi nemmeno di mascherarne la delusione.  “Ho del lavoro da fare” spiega in breve tornando a far balzare sulla spalla la nuova borsa piena, per l’appunto, di materiale. “Sono sicura che saprai goderti il giro, anche senza la lista.” La vede finalmente sbilanciarsi in un sorriso che sembra più genuino che beffardo, seppur nella maniera più cordiale possibile. “Ti auguro una buona giornata, appassionato frequentatore.” Esce di scena così, di punto in bianco, lasciando spiazzato il giovane. Ricordava sul serio tutto ciò che aveva detto, parola per parola? Deve essere una attenta ascoltatrice, pensa sempre più ammaliato. Taehyung si volta per vederla andare via, troppo scombussolato per realizzare quanto successo. Perde il contatto visivo con la sua classica quanto eccentrica figura quando svolta nel corridoio. Se si concentra riesce addirittura ad ascoltare i suoi passi, scendere per le scale. È tutto cosi’ surreale, come quel silenzio in cui lo ha lasciato. Non gli ho chiesto nemmeno il suo nome, realizza tra sé e sé. È rimasto davanti alla rossa scultura per altri quindici minuti buoni dopo la loro separazione nel tentativo di recuperare il tempo perso, di riconnettere i pensieri. E non mi ha nemmeno detto grazie... apertamente, aggiunge. Ma la cosa lo fa sorridere.  Tira fuori dalla tasca il suo cellulare, apre la fotocamera e mette a fuoco l’estintore, scattandone una foto per poi pubblicarla su Twitter. Non ci mette nessuna didascalia, descrizione o emoji, la posta e basta sotto l’hashtag ‘TaeTae’ perché si sente più Kim Taehyung che V, ora come ora.  Sulla via verso la caffetteria, continua ad usare il cellulare, questa volta per cercare su Google qualche informazione in più su Arthur Hidalgo-Jiménez. Gli unici risultati che vengono fuori sono un paio di profili Facebook e altri siti random che poco hanno a che vedere con quanto gli é stato raccontato. Decide di aggiungere la voce ‘arte’ alla ricerca ma il risultato non cambia molto. Dovrebbe sentirsi preso in giro ma, no, non é affatto cosi’.  Si sente ispirato. Nuovo. Felice. 
4 notes · View notes
nmyinmny · 5 years
Text
Sono passati anni, sono passati amori, sono appassiti i fiori.
Le foglie rosse ruggine ritornano a coprire le strade,
è un nuovo autunno ma sta volta non cade.
Il mio cuore batte di nuovo, tutto è nuovo.
Ora puoi leggere. Non c’è più nessuno a cui nascondere.
Erano scritte in tuo nome, parole di terrore. Di fastidio che non scendeva, che risaliva, che mi atterrava.
Ora tutto è denso di un nuovo senso.
Perchè se non era amore era ardore
di un’amicizia vera.
Qualcosa per cui mi sento sicura.
Legato dentro come il filo che passa nella carne e la sutura.
Non ho più paura, posso essere sola, posso essere pura.
Tu ci sei ancora e questo mi rassicura.
1 note · View note
immensoamore · 5 years
Text
Chi sono, mi chiedi?
Io sono fatta
di tutte le persone che ho incontrato
e di tutte le cose che ho vissuto.
Dentro, tengo le risate dei miei amici,
le liti con i miei genitori,
il chiacchiericcio dei bambini,
e il calore degli sconosciuti gentili.
Dentro, ci sono punti di sutura
di cuori infranti,
parole amare di discussioni accese,
musica che mi fa sopravvivere,
ed emozioni che non riesco a trasmettere.
Sono fatta di
tutte queste persone e momenti.
Questo è ciò che sono.
46 notes · View notes
dickgraysonbluebird · 3 years
Text
MOMENT PART EIGHT
.    ⚘       𝗣𝗥𝗘𝗦𝗘𝗡𝗧 𝗗𝗔𝗬𝗦        Unknow   ⫶   25.11.2020        .                            (        )   ────── un altra doccia. quanto tempo è passato? un giorno forse. no, è solo qualche ora ed il mio cuore scalpita per sentir il rumore del jet ma si ferisce quando si rende conto che non accadrà tanto presto. A fatica mi trascino verso il letto, verso quel giaciglio immacolato che accoglie il mio corpo stanco e provato dal sesso. Vorrei chiamare Jay, vorrei potergli raccontare a potrebbe mai capire il sentimento che spinge il mio corpo a muoversi al mattino? Mi sento svuotato. Il pensiero che i tuoi occhi blu mai più incroceranno il mio sguardo mi fa paura, mi fa domandare se ho fatto la scelta più giusta nel lasciarti andare. Ci son parole che non possono essere dette, altre che devi necessariamente tacere per non apparire invadente ed altre ancora che semplicemente non hai il coraggio di pronunciare. Chi son io per chiederti di prestare attenzione? Non son una sposa, non son un fidanzato, non sono neanche un amante fisso od una piacevole conoscenza che allieta le serate più buie e noiose. Cosa sono allora? Pensarci mi è davvero d'aiuto? Non è la mia mentre quella che deve dar la risposta. È solo qualche ora eppure son oscuri i pensieri che mi fan sbuffare, che mi costringono ad urlare contro il cuscino nell'impossibilità di fare altro. Son stato comprensivo ed ho lasciato che m'intrappolassi qui, in questa gabbia dorata per alleggerire il peso sul tuo cuore... o forse è solo per avermi lontano? Non è con il dubbio che renderó migliore la mia giornata, non è con il sospetto e la paura che calerà la notte anche su questa caverna. .    ⚘  𝗪𝗛𝗔𝗧𝗦𝗔𝗣𝗣 𝗠𝗘𝗦𝗦𝗔𝗚𝗘        𝗈𝗇𝗅𝗂𝗇𝖾   ⫶   Cole         Dick 𝘪𝘴 𝘵𝘺𝘱𝘪𝘯𝘨      ────── ( vocal message ) 4:09 .   « Cole sono Dick. scusami per l'orario... anche se effettivamente non so che ore siano. Per un po /forse/ staró via da casa. Mi sarebbe piaciuto sentirti suonare, quella notte. Ricordi? Mi avevi detto che se non potevo cencellare quella ragazza dal mio cuore mi saresti rimasto accanto. Mi sento... felice eppure così triste. Mi sento di star forzando questa ragazza, temo di portarle via le sue responsabilità lavorative. Non voglio essere un peso, non voglio essere colui che arriverà ad odiare perché le ha fatto perdere do vista le cose importanti. Mi domando... io saró una di queste? Un giorno forse... o forse mai o forse saró troppo impegnato a sostituirla da accorgermi di aver cambiato le mie priorità. Non voglio cambiare, non voglio diventare un arido uomo che non ha tempo per i figli. Non voglio che i miei bambini crescano sapendo che loro padre potrebbe non far ritorno. Cosa dovrei fare? Le promesse che ci siam scambiati io e lei peró mi danno forza, mi rendono così scioccamente felice che io stesso mi domando come possa non esplodermi nel petto questo cuore salterino. Nonostante sia fatta di tante ombre, emana anche una tenue luce che voglio proteggere dal freddo e dalla pioggia con il mio stesso corpo se fosse necessario. È speciale per me. È indispensabile per me. Chiamami appena senti il messaggio okay? un bacio. » .                                𝗪𝗛𝗔𝗧𝗦𝗔𝗣𝗣 𝗠𝗘𝗦𝗦𝗔𝗚𝗘 𝗡𝗢𝗧 𝗗𝗘𝗟𝗜𝗩𝗘𝗥𝗘𝗗         no signal ma certo. Il segnale.      Sperduto. Isolato. Ansioso. Smettila di pensare al peggio, smettila di soffrire più del necessario. Arriveranno giorni in cui sarà proprio quella persona speciale a farmi soffrire, a far sanguinare il mio cuore ancora ed ancora. ma basta davvero un semplice "mi dispiace" a sanare ogni volta le cicatrici che solca con le sue parole? Fino ad ora son state la sutura, son state il disinfettante di una ferita sporca ed ho il vago sentore che sempre lo saranno. Son spaventato ma felice perché il suo sorriso genuino, quel sorriso di pura felicità ho avuto la fortuna di vederlo, di godere del suo calore che ha sciolto ancor di più il mio quore già liquefatto. Temo d'aver compreso cosa agita il mio cuore e che rifiuto di dire. Che io sia...
0 notes
theboyle-blog1 · 4 years
Photo
Tumblr media
         ─  ᴄᴜʀʀᴇɴᴛ ᴍᴏᴏᴅ  #sᴛᴀʏᴛᴜɴᴇᴅ          @ cameronboyle ⟡ monologue          Il soffio gelido dell'aria pare voler raccontare qualcosa, accompagna l'uomo lungo quelle strade che ormai conosce tanto bene da poterle attraversare ad occhi chiusi. I cartoni al lato del cassonetto ricolmo, due – o forse tre – bottiglie di birra addossate al marciapiede e quei cocci di cui si circondano – qualcuno avrà bevuto più del dovuto – e poi ancora quei materiali da smaltire, un cane randagio che rovista tra le buste e il lamento dei gabbiani che volano sulle loro teste, in attesa di un peschereccio di ritorno da una lunga notte in mare. È mattina presto, le lancette dell'orologio segnano le sei e trenta e danno inizio a quella che si prospetta essere una lunga settimana, come quelle passate e quelle che ne seguiranno. Cameron è ormai abituato a quei ritmi, la stagione estiva si avvicina sempre più e le pressioni giungono dall'esterno, clienti – vecchi e nuovi – che dubitano della loro puntualità e il solo pensiero fa sorridere con una nota di stizza l'ingegnere da sempre preciso nel lavoro svolto.
“Incoming call" le parole lampeggiano sullo schermo della vettura.  « Pronto? »  Parcheggiata l'auto, la voce di suo padre – amplificata dalle casse – si sostituisce alle notizie lanciate alla radio, altri aggiornamenti sull'epidemia che ha messo in crisi la popolazione mondiale all’inizio di quel 2020.  « Dai un'occhiata al progetto che ti ho inviato, mi serve un parere entro la fine della settimana. »   « Un parere implica uno studio, in una settimana non ho tempo per guardarmi allo specchio e mi stai chiedendo di visionare il tuo ennesimo incarico. »   « Questo perché a breve toccherà a te visionare tutti i nostri incarichi. »   « Non direi, chiederò aiuto a tua nipote. »   « Ancora con questa storia… »   « Aspetta, dammi un momento. » Una manciata di secondi, il silenzio torna a spegnere ogni voce. Il telefono ora viene portato tra l'orecchio e la spalla, la chiamata trasferita sul dispositivo e le dita afferrano la valigetta e le chiavi dell'auto.  « Stavamo dicendo? »   « Non stavamo dicendo niente. Apri quel file e dai un'occhiata. »  E Cameron lo sa di non avere via di scampo, sa anche di non voler trovare una via di scampo.  « Buon martedì anche a te, papà. »  Quello è il lavoro, quella è la sua attività e in un modo o nell'altro deve prestare il suo aiuto quando questo è richiesto, soprattutto perché è il primo a chiedere consiglio nei momenti di incertezza.
Chiusa la telefonata, accompagna alle labbra il bordo di cartoncino che si è imbevuto della bevanda amara, quella che pare finalmente risvegliare una mattina troppo grigia. Il cielo ha perso le sue striature azzurre, pare essersi cristallizzato insieme a tutto il resto, come l'asfalto su cui cammina per riscaldarsi. Non è solito fumare, a dire il vero l'ha fatto solo in rare occasioni e come ogni giorno si prende quel tempo prima di rintanarsi tra le quattro mura del comodo ufficio, circondato da ingegneri e operai. Ha preso il caffè al guardiano, come d’abitudine raggiunge il vecchio uomo di mare che pare conoscere tutto di quel posto, un sognatore che non ha abbandonato la sua giovane fantasia e che spesso l’ha intrattenuto con le avventure che l’hanno visto protagonista, vincitore e anche vinto dalla forza di Madre Natura. Di quelle storie ha sempre apprezzato la “magia”, quella chiave che ritorna spesso per mezzo di creature o sequenze degne di uno sceneggiatore hollywoodiano; di quei momenti ha sempre apprezzato il ritorno al passato, quelle storie tramandate di generazione in generazione nel villaggio di pescatori in cui è cresciuto.  « Dannazione. » Per poco non scivola sulla strada ghiacciata dalle basse temperature e scricchiolano i ciottoli che respingono il suo peso. Distrattamente si guarda intorno. I container giunti dal mare sono stati scaricati durante la notte e ora disposti con tanta precisione da ricreare un labirinto. Il porto di New York sembra non avere fine e seppur sia sempre trafficata come zona, Cameron tende a non allungarsi troppo verso gli altri cantieri. Anni e anni, una scena ormai impressa nella mente che si tinge di toni chiari, freddi in una ripetizione nota che quella mattina viene messa in dubbio da un nuovo dettaglio. Più si avvicina, più distingue le fattezze di un ammasso che si rivela essere un corpo. I piedi s'inseguono dopo aver abbandonato a terra tutto ciò che occupava le mani. Istintivo, cade nella trappola di chi ha deciso di abbandonare un cadavere alla luce del sole. Nascosto ma non troppo in una zona tanto movimentata. L'incarnato ha assunto una strana sfumatura, ha perso il tenue rosa lasciando spazio allo spento grigio che si intensifica sulle labbra fino a sfociare in un viola scuro. Gli occhi sono chiusi, il corpo poggia sulla schiena, coperto per metà da un telo che una folata di vento ha sollevato.  « Cristo! »  Avvicinarsi? Non avvicinarsi? La confusione regna sovrana, si guarda intorno e per la prima volta non sa cosa fare. Il respiro diviene pesante mentre quelle emozioni contrastanti che lo avvolgono si trasformano in adrenalina. Urla aiuto ma alle proprie orecchie la sua stessa voce sopraggiunge ovattata e l'eco pare perdersi lì dove tutto sembra essersi congelato. Il tempo sembra non scorrere, s'inginocchia accanto all'uomo per cosa? Le mani si ritirano, cosa può fare? E glielo sottolinea il puzzo che inizia a stuzzicare l'olfatto. Il freddo ha stroncato una vita? La risposta sopraggiunge quando le iridi catturano il sangue incrostato sul ventre scoperto, un taglio ne deturpa la linearità, i punti di sutura tengono la carne morta e un marchio sulla spalla segna l’uomo. Ha visto così tanti film e seguito altrettante serie tv da aspettarsi l'entrata in scena dei fratelli Winchester o Sabrina Spellman. Le mani sono attraversate da un tremito, si alza e a stento trattiene il conato di vomito che sopraggiunge. Il dorso della mano chiude le labbra e tappa il naso, si allontana mentre avverte un sapore acre sulla lingua.
 « CHIAMATE LA POLIZIA. »  Ancora urla e questa volta si rivolge agli unici che l'hanno ascoltato. I due uomini restano immobilizzati, sono catturati da quella scena, tra un misto di sconforto e sorpresa. Indietreggia, passandosi una mano sul volto e lancia lui stesso l'allarme digitando le tre cifre di emergenza.                    911          « Voglio denunciare il ritrovamento di          un cadavere al New York Harbor.  »   La telefonata si chiude e un brivido ripercorre la schiena serpeggiando lungo la spina dorsale: è la fredda carezza della morte che quella mattina gli ha riservato un saluto.
0 notes
Text
La signorina del cinese mi ha regalato un biscotto della fortuna, mi ha detto, porta fortuna. Le ho risposto, speriamo. Dicevo, la questione non è il dolore, il dolore è configurazione delle circostanze, suono di cembalo, graffio sul vetro dei sensi. Non è del dolore che abbiamo paura, ma della sua inutilità. Dicevo, qualsiasi tortura è sopportabile se riceve una spiegazione, eppure qualsiasi tortura al mondo include la consapevolezza che finirà nel niente. Questo il patto taciuto fra l’aguzzino e la vittima, il motivo per cui sono entrambi statue di bronzo attraverso cui corre il fulmine della condanna, fenomeno estraneo agli uomini.
Dicevo, per questa ragione non c’è differenza fra inferno e purgatorio, la questione non è la salvezza individuale, la salvezza così rimarrebbe sutura del corpo, negromanzia o medicina. La questione è che esista la salvezza, da qualche parte: non le chiavi per dischiuderla, non che porti il nostro nome in grembo. Solo che esista, sprangata, sul fondo degli oceani. Dicevo, il motivo per cui penso, come i Catari, che questo è l’inferno, è che non so immaginare una punizione più tremenda di questo senso di irrilevanza perenne. Del male è possibile rendere conto, come Meister Eckhart, come Hans Jonas: quello che resta dal ritiro del bene, il luogo, di tutti i possibili, in cui siamo.
Ma non di questo, nessuno è capace di questo mondo. Nemmeno quelli che hanno provato. Camus. E di Gesù, nel momento della massima disperazione, è scritto che abbia gridato, Dio mio perché mi hai abbandonato. Comunque sia un dialogo, l’inizio del dialogo, l’istituto del tu. Nessuno ha avuto cuore di lasciarlo in silenzio, nell’universo senza moto, senza decisione, senza sguardo. Dicevo, non capisco come gli uomini possano vivere senza fede, dubito siano umani. Dicevo, d’altra parte, che non capisco come si possa avere fede. La mia umanità è una specie che entrò nel mare gelido e proseguì fino a riempirsi i polmoni d’acqua. Lasciò sulla terra strumenti e forme e parole dei morti che adoperiamo, noi infettati di sopravvivenza, ci siamo spartiti come ladroni le loro notti e i loro giorni. 
7 notes · View notes
struckbywords · 6 years
Text
Uno sparo. Si sente uno sparo. Hanno sparato a Oswald. Hanno sparato a Oswald. C’è stato uno sparo. Una confusione tremenda. Tutte le porte sono state chiuse. Porca miseria. C’è stato uno sparo mentre lo portavano alla macchina. Uno sparo. Una confusione pazzesca. Agitazione e risse. Mentre lo portavano fuori. Adesso lo riportano dentro. Oswald colpito. La polizia ha isolato tutta la zona. Tutti indietro è il grido, il grido. Un uomo robusto con il cappello. Oswald piegato in due. Una scena selvaggia. Luci rosse che ululano. Un uomo con il cappello grigio. Come avrà fatto a entrare. La protezione della polizia e i cordoni di polizia. La gente. I poliziotti. Ecco il giovane Oswald. Lo portano via di fretta. Lungo disteso. Ferita d’arma da fuoco al basso ventre. E’ bianco. Oswald è tutto bianco. Disteso nell’ambulanza. Ha la testa rovesciata. Ha perso conoscenza. Penzola. La mano penzola giù dalla barella. Ora l’ambulanza sta uscendo. Luci rosse lampeggianti. Potano via di corsa il giovane Oswald. E’ bianco, è tutto bianco.
Ricordi l’ambulanza di Atsugi, verde mimetico, tremolante sulla pista per la calura, e il pilota che scendeva?
Lee non si sentiva bene per niente. Prima gli avevano sparato, poi avevano tentato di praticargli la respirazione artificiale. Durante l’addestramento nei Marines aveva imparato che quella è l’ultima cosa da fare a un uomo con lesioni addominali. 
Si vedeva immortalato dalla telecamera mentre lo sparo lo colpiva. Attraverso il velo del dolore guardava la televisione. La sirena faceva quel suono spaventoso di quando l’ambulanza correva all’impazzata nelle strade, anche se Lee non aveva nessuna sensazione di movimento. Vicino a lui un uomo parlò, dicendo che se aveva qualcosa da dichiarare doveva farlo adesso. Attraverso il dolore, attraverso il torpore diffuso, con l’unica sensazione del dolore alla ferita, Lee guardava se stesso reagire alla vampa perforante del proiettile.
Te lo ricordi quel pilota, sembrava un astronauta con il casco e la tuta di gomma.
Tutto se ne andava, le sensazioni periferiche si frantumavano nello spazio. Sapeva di essere ancora in ambulanza, ma non sentiva più né la sirena né l’uomo che gli aveva detto di parlare, il classico texano cordiale a giudicare dal tono della voce. L’unica cosa che gli rimaneva era quel dolore beffardo, l’immagine del proprio volto contratto alla televisione. Muori e inferno nel nome Hidell. Guardava la televisione in una stanza in penombra, il soggiorno di qualcuno.
Il lento svanire delle cose che ci portiamo dietro, crepuscolo e fumo di comignoli. Cosa sta facendo il metallo dentro il suo corpo?
Soffriva. Sapeva cosa significava soffrire. Tutto quello che bisognava fare era guardare la televisione. Le braccia sul petto, la bocca aperta in un oh consapevole. Il dolore annientava le parole, poi il pensiero. Non gli restava altro che il varco aperto dal proiettile. Penetrazione della milza, dello stomaco, dell’aorta, del rene, del fegato e del diaframma. Non gli restava altro che la vaga coscienza del proiettile. Poi il proiettile stesso, rame, piombo e antimonio. Avevano introdotto metallo nel suo corpo. Era questa la causa del dolore.
Ma ricordi gli uomini che guardavano decollare il jet? Incredibile la velocità con cui si perdeva nella foschia.
Alle 11:42 lo ricoverarono al Parkland. Patologia primaria, ferita da arma da fuoco.
Il cuore risultò debole e privo di pulsazioni. nessuna pulsazione cardiaca in risposta alle stimolazioni. Le pupille erano fisse e dilatate. Nessun flusso di sangue alla retina. Nessuna attività respiratoria. Nessuna possibilità di ripristinare le pulsazioni. Decesso: 13:07. Due tamponi di garza mancanti dopo la sutura.
Aerospazio.
E’ l’incubo bianco del mezzogiorno, alto nel cielo sopra la Russia. U-2. Me-too e you-too. Anch’io e anche tu. E’ uno straniero, con la maschera, che precipita.
Libra (1988) - Don DeLillo
2 notes · View notes
aleannanxx · 4 years
Photo
Tumblr media
.          ─  ᴄᴜʀʀᴇɴᴛ ᴍᴏᴏᴅ  #sᴛᴀʏᴛᴜɴᴇᴅ          @ cameronboyle ⟡ monologue          Il soffio gelido dell'aria pare voler raccontare qualcosa, accompagna l'uomo lungo quelle strade che ormai conosce tanto bene da poterle attraversare ad occhi chiusi. I cartoni al lato del cassonetto ricolmo, due – o forse tre – bottiglie di birra addossate al marciapiede e quei cocci di cui si circondano – qualcuno avrà bevuto più del dovuto – e poi ancora quei materiali da smaltire, un cane randagio che rovista tra le buste e il lamento dei gabbiani che volano sulle loro teste, in attesa di un peschereccio di ritorno da una lunga notte in mare. È mattina presto, le lancette dell'orologio segnano le sei e trenta e danno inizio a quella che si prospetta essere una lunga settimana, come quelle passate e quelle che ne seguiranno. Cameron è ormai abituato a quei ritmi, la stagione estiva si avvicina sempre più e le pressioni giungono dall'esterno, clienti – vecchi e nuovi – che dubitano della loro puntualità e il solo pensiero fa sorridere con una nota di stizza l'ingegnere da sempre preciso nel lavoro svolto.
"Incoming call" le parole lampeggiano sullo schermo della vettura.  « Pronto? »  Parcheggiata l'auto, la voce di suo padre – amplificata dalle casse – si sostituisce alle notizie lanciate alla radio, altri aggiornamenti sull'epidemia che ha messo in crisi la popolazione mondiale all’inizio di quel 2020.  « Dai un'occhiata al progetto che ti ho inviato, mi serve un parere entro la fine della settimana. »   « Un parere implica uno studio, in una settimana non ho tempo per guardarmi allo specchio e mi stai chiedendo di visionare il tuo ennesimo incarico. »   « Questo perché a breve toccherà a te visionare tutti i nostri incarichi. »   « Non direi, chiederò aiuto a tua nipote. »   « Ancora con questa storia... »   « Aspetta, dammi un momento. » Una manciata di secondi, il silenzio torna a spegnere ogni voce. Il telefono ora viene portato tra l'orecchio e la spalla, la chiamata trasferita sul dispositivo e le dita afferrano la valigetta e le chiavi dell'auto.  « Stavamo dicendo? »   « Non stavamo dicendo niente. Apri quel file e dai un'occhiata. »  E Cameron lo sa di non avere via di scampo, sa anche di non voler trovare una via di scampo.  « Buon martedì anche a te, papà. »  Quello è il lavoro, quella è la sua attività e in un modo o nell'altro deve prestare il suo aiuto quando questo è richiesto, soprattutto perché è il primo a chiedere consiglio nei momenti di incertezza.
Chiusa la telefonata, accompagna alle labbra il bordo di cartoncino che si è imbevuto della bevanda amara, quella che pare finalmente risvegliare una mattina troppo grigia. Il cielo ha perso le sue striature azzurre, pare essersi cristallizzato insieme a tutto il resto, come l'asfalto su cui cammina per riscaldarsi. Non è solito fumare, a dire il vero l'ha fatto solo in rare occasioni e come ogni giorno si prende quel tempo prima di rintanarsi tra le quattro mura del comodo ufficio, circondato da ingegneri e operai. Ha preso il caffè al guardiano, come d’abitudine raggiunge il vecchio uomo di mare che pare conoscere tutto di quel posto, un sognatore che non ha abbandonato la sua giovane fantasia e che spesso l’ha intrattenuto con le avventure che l’hanno visto protagonista, vincitore e anche vinto dalla forza di Madre Natura. Di quelle storie ha sempre apprezzato la “magia”, quella chiave che ritorna spesso per mezzo di creature o sequenze degne di uno sceneggiatore hollywoodiano; di quei momenti ha sempre apprezzato il ritorno al passato, quelle storie tramandate di generazione in generazione nel villaggio di pescatori in cui è cresciuto.  « Dannazione. » Per poco non scivola sulla strada ghiacciata dalle basse temperature e scricchiolano i ciottoli che respingono il suo peso. Distrattamente si guarda intorno. I container giunti dal mare sono stati scaricati durante la notte e ora disposti con tanta precisione da ricreare un labirinto. Il porto di New York sembra non avere fine e seppur sia sempre trafficata come zona, Cameron tende a non allungarsi troppo verso gli altri cantieri. Anni e anni, una scena ormai impressa nella mente che si tinge di toni chiari, freddi in una ripetizione nota che quella mattina viene messa in dubbio da un nuovo dettaglio. Più si avvicina, più distingue le fattezze di un ammasso che si rivela essere un corpo. I piedi s'inseguono dopo aver abbandonato a terra tutto ciò che occupava le mani. Istintivo, cade nella trappola di chi ha deciso di abbandonare un cadavere alla luce del sole. Nascosto ma non troppo in una zona tanto movimentata. L'incarnato ha assunto una strana sfumatura, ha perso il tenue rosa lasciando spazio allo spento grigio che si intensifica sulle labbra fino a sfociare in un viola scuro. Gli occhi sono chiusi, il corpo poggia sulla schiena, coperto per metà da un telo che una folata di vento ha sollevato.  « Cristo! »  Avvicinarsi? Non avvicinarsi? La confusione regna sovrana, si guarda intorno e per la prima volta non sa cosa fare. Il respiro diviene pesante mentre quelle emozioni contrastanti che lo avvolgono si trasformano in adrenalina. Urla aiuto ma alle proprie orecchie la sua stessa voce sopraggiunge ovattata e l'eco pare perdersi lì dove tutto sembra essersi congelato. Il tempo sembra non scorrere, s'inginocchia accanto all'uomo per cosa? Le mani si ritirano, cosa può fare? E glielo sottolinea il puzzo che inizia a stuzzicare l'olfatto. Il freddo ha stroncato una vita? La risposta sopraggiunge quando le iridi catturano il sangue incrostato sul ventre scoperto, un taglio ne deturpa la linearità, i punti di sutura tengono la carne morta e un marchio sulla spalla segna l’uomo. Ha visto così tanti film e seguito altrettante serie tv da aspettarsi l'entrata in scena dei fratelli Winchester o Sabrina Spellman. Le mani sono attraversate da un tremito, si alza e a stento trattiene il conato di vomito che sopraggiunge. Il dorso della mano chiude le labbra e tappa il naso, si allontana mentre avverte un sapore acre sulla lingua.
 « CHIAMATE LA POLIZIA. »  Ancora urla e questa volta si rivolge agli unici che l'hanno ascoltato. I due uomini restano immobilizzati, sono catturati da quella scena, tra un misto di sconforto e sorpresa. Indietreggia, passandosi una mano sul volto e lancia lui stesso l'allarme digitando le tre cifre di emergenza.                    911          « Voglio denunciare il ritrovamento di          un cadavere al New York Harbor.  »   La telefonata si chiude e un brivido ripercorre la schiena serpeggiando lungo la spina dorsale: è la fredda carezza della morte che quella mattina gli ha riservato un saluto.
0 notes
adrianomaini · 5 years
Text
Peglia e dintorni
Mi sembra di ricordare che ci fossero anche delle piccole peschiere.
Del vecchio mattatoio sono sicuro.
Poco più a ponente la fabbrica di liquirizia, dalla quale una cugina di mio padre ci portava tante delizie. Un edificio purtroppo devastatato, da uno scoppio di una caldaia proprio agli inizi degli anni '70, con perdita della giovane vita di una ragazza che frequentava il Bar Irene.
Non seguo un ordine cronologico. Mi vengono in mente solo piccoli dettagli di storia del costume, anche se connessi a mie particolari esperienze.
L'ambientazione di questo trafiletto è sia in zona Peglia di Ventimiglia (IM), sia un poco prima, con una divisione segnata dal ponte della ferrovia.
Prima del ponte, dove all'epoca transitavano solo treni per la Francia, agli inizi dell'estate del 1955 mio fratello credeva di riuscire a fotografarmi con il semplice astuccio della macchina fotografica. Ero felice di lasciarglielo credere.
Alcuni carri della Battaglia di Fiori, una volta finita la manifestazione, venivano, infatti, portati, o riportati, davanti al mattatoio. Anche se alti e grandi riuscivano a passare sotto l'arco del ponte della ferrovia.
Credo che il nuovo campo di calcio di Peglia, a nord della citata infrastruttura, sia stato realizzato man mano che veniva dismesso quello vecchio in Piazza d'Armi a Camporosso (IM), ancora utilizzato nel 1964. Nel nuovo di Peglia mio fratello iniziò a giocare all'insegna di una misteriosa sigla ormai - credo scomparsa - N.A.G.C., ritengo Nucleo Addestramento Gioco Calcio o qualcosa di simile - da pulcino nella allora Ventimigliese, dalla cui squadra superiore si era appena ritirato lo zio materno. Prima di tirare - maldestramente - per una breve stagione quattro calci anch'io in quella squadra, formazione Allievi, feci da quelle parti un altro tipo di esperienza. C'era un po' più in su una pista di go-kart con annesso pubblico servizio. Con base di partenza e di arrivo lì con deviazione su sentieri sull'addomesticato greto o solo su quel cemento - non rammento bene - si tenne una sorta di pre-selezione (sub-provinciale?) dei campionati studenteschi di corsa campestre, che io andai a vincere, anche se avevo aderito malvolentieri all'indicazione del mio insegnante di educazione fisica. Al cimento provinciale arrivai secondo. Solo da poco ho scoperto che il vincitore di quella edizione è un vecchio amico, noto personaggio pubblico di questa provincia: non è male metterci più di quarant'anni per decifrare un tale evento, no? In quel caso venni premiato dal mio docente per il mio sacrificio venendo presentato a dirigenti di una compagine di atletica leggera, nella quale militai subito sino al successivo autunno e per una sola gara, nella solita Genova, l'anno successivo. La costanza nel praticare sport, come si noterà, non fu un mio forte: anche se due parole sullo sport in genere prima o poi torno a scriverle.
Dopo aver visionato alcune immagini, scattate su quel campo all'inizio degli anni '70, di una formazione giovanile della Ventimigliese e delle squadre amatoriali di Istituto, in cui giocava mio fratello, mi torna in mente una partitella, tenuta sempre in quel posto, tra studenti delle superiori a fine anni '60, durante la quale, colpito di testa da un avversario, che si ritrovò con un bernoccolo da "fumetto", rimediai all'ospedale di Nervia qualche punto di sutura alla fronte: in tanti successivi incontri ne abbiamo sempre riso, l'ultima volta nello scorso decennio ad Imperia, dove nel frattempo il mio "contendente" si era trasferito per lavoro. 
Ancora. Prima del ponte un camping in cui negli anni '70 soggiornava d'estate per un mese o giù di lì con il marito una cugina di mio padre: in famiglia l'onda dei ricordi del Parmense fluiva allora forte.
Non sono più tornato alla Bocciofila del Dopolavoro Ferroviario, dove negli anni '90 passavo talora a salutare un anziano amico, ormai scomparso. Mi sembra ci si possa ancora arrivare da un piccolo sottopasso ferroviario. Quello più grande, vicino al fiume, é stato chiuso dopo una tragica inondazione. Per arrivare all'altra Bocciofila, ai  campi da tennis, ai rettangoli verdi del calcio occorre adesso sottoporsi ad un lungo giro...
from Adriano Maini: vecchi e nuovi racconti https://ift.tt/2BOxw5J via IFTTT
0 notes
victorianlesbian · 7 years
Photo
Tumblr media
Berena appreciation week Day Two: Favorite Scene/Episode(s) // Prompt: Firsts   └ I couldn't choose just one Scene / Episode for this day. I would than have to choose every single scene were they held their erotic hands™. This is essentially 5 times plus 1
Fandoms: Holby City
Rating: Mature
Characters: Serena Campbell, Bernie Wolfe
Relationships: Serena Campbell/Bernie Wolfe
Additional Tags: Berena appreciation week, 5+1, italian sorry [you can translate it with google]
I
la prima volta che vedi le sue mani è da pochissimo che lavorate insieme nell’AAU. La prendi nella tua durante un braccio di ferro per decidere il destino di un paziente. Intrecci le dita alle sue e puoi sentire distintamente la pelle secca delle nocche per colpa del troppo disinfettante e dei lavaggi continui prima di un’operazione chirurgica, ma nonostante questo la pelle è morbida sui polpastrelli che ti tengono. La stretta è solida e ferma di qualcuno che è determinato a vincere. Ti senti improvvisamente sopraffatta dal calore di quella mano che stringe la tua. Trattieni il respiro e la osservi rapita. Ti ritrovi a pensare di poter scrivere sonetti sulle sue mani. Le lunghe dita pallide chissà quante vite hanno salvato, quanto veloci e agili sono mentre tiene un bisturi o applica dei punti di sutura. Nella tua mente scorrono immagini immaginarie, non l’hai ancora vista in teatro ma sai già che la sua tecnica è sopraffina. La vedi con gli occhi della mente: un lavoro veloce, preciso, pulito. Le unghie corte che probabilmente tendono a diventare lunghe velocemente per i troppi lavaggi come fanno le tue. Piccole unghie chiare che anche se non sono perfette tu pensi lo siano. Il dorso e il polso che insieme formano un linea stranamente erotica, la curva che descrivono ti lascia senza fiato. Sei persa nella sensazione e anche se il tocco dura meno di un minuto, il fantasma delle vostre mani intrecciate, ti rimane impressa sulla pelle per tutto il resto della giornata.
Il cuore ti batte forte nel petto.
II
La seconda volta che le sue mani ti provocano turbamento siete in teatro. Le sue mani sono bianche per i guanti di lattice e rosse del sangue. Siete nel petto di un ragazzo e le vostre mani si toccano all’interno di quello spazio stretto. Una scossa ti pervade e devi chiudere gli occhi per paura che lei legga l’emozione lampante dietro di essi. Respiri dentro la tua mascherina e riprendi a lavorare ma, i tuoi occhi, non lasciano mai quelle mani. Anche se non c’è n’è bisogno raggiungi nuovamente le sue dita con le tue e lasci che si struscino per più volte di quanto sia realmente necessario. Cerchi di sfiorare il dorso e poi successivamente il palmo quando la posizione lo consente. Hai una piccola scossa di piacere ad ogni contatto segreto. Le osservi rapita e immagini quelle mani che stringono le tue. Immagini il loro incastro perfetto, le dita che si stringono tra le tue, i vostri palmi a contatto. Immagini quelle dita prendere il tuo polso, attraversare l’avambraccio nudo e farti venire la pelle d’oca mentre ti sfiora. L’immagini lasciare gli strumenti in questo preciso istante per afferrarti e, nella tua fantasia, non avete guanti e camici, solo pelle a contatto con altra pelle. Il tuo respiro diventa più veloce. Strizzi gli occhi per la seconda volta per scacciare le tue fantasie e trattieni un gemito appena in tempo. Lasci a qualcun altro il compito di applicare i punti.
Le tue mani non avevano mai tremato prima.
III
La terza volta siete da Albie. Le sue mani sono aggraziate mentre raccoglie il suo bicchiere di vino. Osservi prendere lo stelo del bicchiere tra i polpastrelli e desideri in un secondo di essere quel bicchiere. Osservi il suo afferrarlo e portarlo alle labbra e poi abbassarlo di nuovo sul tavolo che vi divide. Devi deglutire e ammettere a te stessa di non aver mai visto nulla di così erotico nella sua semplicità. La guardi mentre batte le corte unghie sulla superficie di vetro mentre parlate della vostra giornata. Ti perdi nei tuoi pensieri mentre la sua voce ti incanta e la tua mente compone immagini delle sue mani sul tuo corpo. Con gli occhi della mente puoi vedere le sue dita – che ora gesticolano casualmente di fronte a te – sul tuo seno, che prendono in giro i tuoi capezzoli facendoli indurire sotto le sue cure. Sei un medico e di certo non sei una puritana. Tu sai cosa quelle mani possono fare per te. Sai di essere paonazza e ringrazi che lei pensi che sia solo per colpa dell'alcol. Ridi ad una sciocca battuta per spezzare la tensione e cerchi di concentrarti su tutto tranne le sue mani. Torni a casa e l’effetto del vino e del calore primaverile sono capaci di far cadere ogni tua inibizione. Nel tuo letto sogni le sue mani. Fai quello che hai sognato che ti facesse mentre eravate sedute al tavolino del pub. Afferri il tuo seno con un mano e con l’altra scendi nelle tue mutandine e usi le tue dita per trovare sollievo dall’eccitazione mentre immagini siano le sue mani a darti il piacere che tanto aneli.
Dopo quella notte fai questo una moltitudine di volte immaginando le sue mani per farti raggiungere l’orgasmo e le sue labbra che ti baciano.
IV
Ormai ti è chiaro che desideri le sue mani su di te. La osservi dalla postazione degli infermieri mentre tiene in mano delle cartelle che compila tenendo  la penna in bilico tra un dito e l’altro. Non hai mai desiderato tanto essere un oggetto inanimato tra le sue mani come in questo momento. Sfiora il materiale solido, lo fa passare tra le dita aggraziate ma decise e poi lo appoggia alle labbra. Pensi che potresti stare tutto il giorno ad osservarla. Quando ti sposti nel tuo ufficio lei è ancora lì, dietro al suo computer mentre fa cliccare il mouse con il polpastrello del suo dito indice. Osservi la mano sulla tastiera che batte le lettere con velocità. La pelle dell’indice destro, dove una volta portavate entrambe la promessa ad un uomo. Ora la pelle è liscia e senza più l’ombra del vostro passato che entrambe rimpiangete. Quando poggia la mano alla scrivania vorresti raggiungerla, afferrarla con la tua. Il tuo braccio – che pare avere una mente propria – scatta in avanti per afferrare quella mano per intrecciarla con la tua. Ti accorgi appena in tempo di questo impulso avventato e ritrai la mano. Distogli lo sguardo prima che si accorga che la stai di nuovo fissando. Il desiderio di stringerla, di sentire la sua pelle a contatto con la tua, è quasi doloroso da reprimere. Sei del tutto invaghita di lei ma hai terrore che lo scopra. Siete due donne adulte e potreste gestire bene una conversazione sui vostri – i tuoi – desideri ma, le parole, ti muoiono in gola ogni volta che l’occasione di accennare la cosa si presenta. Un formicolio attraversa la tua pelle al pensiero che, un giorno, si presenterà l’occasione di avere le vostre mani di nuovo intrecciate. Forse dovresti semplicemente smettere di cercare di farlo accadere, se il destino presenterà la sua occasione, semplicemente sarai li per coglierla.
V
Vi tenete finalmente di nuovo per mano ma, questa volta, siete entrambe consapevoli di cosa questo significhi. Nessuna delle due ha intenzione di lasciare la presa per prima e non vi importa che siete al bar dell’ospedale, di primo mattino con i vostri caffè, sotto gli occhi di tutti. C’è innegabilmente qualcosa che sta crescendo tra di voi – sopratutto dopo i vostri baci nascoste in teatro – e non vi importa che qualcuno lo capisca. Le sue mani sono calde e morbide. Sai che al mattino indossa un leggero strato di crema come fai anche tu affinché, in momenti come questi, tu possa godere appieno del contatto tra la vostra pelle. La stretta non è nulla di come la ricordavi mesi prima, è gentile e delicata, non c’è alcuna lotta tra di voi e puoi sentire il palmo morbido contro il tuo, le dita che si stringono, le unghie corte che scavano leggermente sul tuo dorso. Ti senti in paradiso C’era stato un momento, la sera prima, in cui avevi pensato di raggiungere la sua mano attraverso il tavolo sul quale stavate consumando la cena del vostro non-appuntamento – confinato al teatro –. Avevi dovuto ripetertelo continuamente mentre ritraevi la tua mano dalla tovaglia per posarla sotto al tavolo, sulla tua gamba. Avevi stretto la stoffa dei pantaloni per la frustrazione. Ma non questa mattina. Sei piena di speranze e di forti sentimenti che ti fanno battere il cuore all’impazzata e improvvisamente hai paura che le tue mani possano diventare sudate e che lei ne sarà schifata anche se non hai mai avuto le mani sudate in vita tua. Un dono prezioso per un chirurgo che anche questa volta risulta utile. Rilasciate la presa contemporaneamente e senti subito lo schiaffo freddo della temperatura esterna. Guardi le sue mani cadere ai suoi fianchi ed ammetti a te stessa di amarla. Per il resto della mattinata le tue mani profumano delle vostre creme mischiate.
Cerchi di non farti sopraffare.
VI
Finalmente le sue mani sono su di te. Le hai sognate ogni notte durante la vostra lontananza forzata, ma ora le sue dita – dio ti erano mancate così tanto – stanno disfacendo i bottoni dei tuoi vestiti con foga. Ansimi nella sua bocca mentre vi baciate mai sazie e, finalmente, toccate la vostra pelle sotto i vestiti. Ti senti stordita ed euforica alla sensazione, ti senti finalmente bene dopo una vita ingiusta e infelice. Questa è la felicità che hai rincorso tanto a lungo. Te la meriti e te la prendi – vi prendete per l’esattezza, insieme, entusiaste – lei usa le sue dita sul tuo seno, tira il tuo capezzolo e tu gemi sorpresa ed eccitata. Tu fai altrettanto. Ti accarezza, ti prende in giro sfiorandoti con quelle dita che adori, arrivando ad un passo dalla tua biancheria intima per poi risalire con le dita sul tuo ventre, tra i tuoi seni, ridiscendere e poi guardarti con occhi scuri e pieni di desiderio. Afferri la sua mano e la porti dove ne hai più bisogno. Questo è quello di cui entrambe avete bisogno. Immergi le tue mani dentro la sua biancheria nello stesso istante. Vuoi che questo sia esattamente il tuo momento come il suo. Avete sofferto troppo la separazione per attendere anche solo per un secondo in più. Le sue perfette mani di chirurgo accarezzano le tue pieghe umide e pulsanti di piacere. Immerge le nocche dentro di te in un sol colpo e afferri i capelli della sua nuca per l’intensità del tocco, provocandole un gemito, per poi riprenderti un attimo dopo e iniziare a darle piacere a tua volta. Pensi che morirai dal piacere puro in questo momento ma non ti lasci sopraffare e lavori costantemente per costruire un orgasmo che la lasci senza fiato. Dondoli il bacino verso il palmo della sua mano e puoi sentire, distintamente in mezzo al mare di piacere, il polpastrello del suo pollice sfregare sulla tua clitoride e portarti, in pochi minuti, alla beatitudine più intensa ed appagante che tu abbia mai ricordato in secoli. Crolli esausta sul letto disfatto mentre la tua mano è ancora dentro di lei. Ti riprendi immediatamente e finisci quello che avevi iniziato portandola velocemente a raggiungere il suo orgasmo lasciandola stordita dentro al letto. Le vostre mani riposano ora al vostro fianco e, questa volta senza più paura, l’afferri e intrecci saldamente le vostre dita mentre i vostri palmi si toccano. Vi guardate negli occhi intensamente mentre porti le vostre mani verso la tua bocca e baci le sue nocche e poi ogni singolo dito - che porta il vostro, dio, così meraviglioso odore - che ti ha amata in questa notte in cui finalmente le vostre anime e i vostri corpi si sono finalmente ritrovati.
Vi addormentate e la tua mano è finalmente nella sua.
48 notes · View notes
love-nessuno · 5 years
Text
Tumblr media
“Porti la croce a cazzo di cane!”, Via Crucis finisce in rissa
Eddie Settembrini
Roma – La tradizionale Via Crucis che ogni anno si svolge tra le strade del popolare quartiere Primavalle, si è trasformata in una rissa da pub. Protagonista dell’episodio Nando Coniglio, tassista 59enne, che per 32 anni aveva sempre interpretato la parte di Gesù durante la Via Crucis, ma che quest’anno è stato rimpiazzato dal più giovane e aitante Manuel Fargo. L’esclusione, mal digerita dal Coniglio, è stata la causa scatenante della rissa che si è sviluppata per le strade di Primavalle.
Dopo la settima stazione (“Gesù cade per la seconda volta e si rialza bestemmiando”), il corteo sacro è transitato sotto casa del Coniglio che, appostato sul suo balcone, ha lanciato una secchiata d’acqua gelata al rivale gridando “Ottava stazione: Gesù se pia ‘a pormonite”. A quel punto pure il Fargo ha perso la compostezza imposta dal suo ruolo e si è rivolto al Coniglio con parole poco cristiane: “Scenni a ‘nfame che te rompo er culo”. I due, dopo essersi scambiati insulti di vario tipo (“Porti la croce a cazzo de cane!” “A vecchio sei finito, poi fa’ solo er nonno de Ponzio Pilato!”) sono venuti ben presto alle mani. Coniglio, a dispetto dell’età avanzata, ha dimostrato una notevole forza fisica, unitamente a un discreto senso dell’ironia, come quando, dopo aver colpito il rivale con un pugno sul mento, ha esclamato:“Nona stazione: Gesù cade per la terza volta e se riarza cor cazzo!”.
A mettere fine alla rissa ci hanno pensato i tre fratelli Guarnieri che interpretavano i Centurioni, nominati dalla folla tutori dell’ordine in assenza della Polizia di Stato. I Guarnieri hanno bloccato l’esagitato Coniglio e l’hanno flagellato di brutto. La vista del sangue (prontamente raccolto dal sor Armando – che interpretava Giuseppe d’Arimatea – al grido di “Aho, hai visto mai!”) ha riportato tutti alla dimensione religiosa dell’evento.
La Via Crucis è proseguita con l’insolita presenza di due Gesù: il titolare Fargo e il Coniglio che si è guadagnato il posto sul campo, sopportando la flagellazione senza fiatare. Il corteo sacro, infine, ha effettuato una stazione imprevista al Policlinico Agostino Gemelli (“Gesù va al Pronto Soccorso e ottiene quattro punti di sutura”).
0 notes
halinasmirnov-blog · 7 years
Photo
Tumblr media
𝕯𝖊𝖈𝖎𝖘𝖎𝖔𝖓𝖘______19/07/2017.
  «Dottor Kang Dongsun.»
«Signorina Smirnow perché è qui ? Posso aiutarla ? »
«Non sono qui per me, ma per conto di un’altra persona.»
«Sa che non posso parlare con lei di altri pazienti.»
«Lo so, ma lui è stato anche mio paziente. Conosco già ogni cosa della sua cartella clinica. »
«I tirocinanti che vengono dall’università sono tutti in vacanza, la facoltà e chiusa, i corsi sospesi e la prossima sessione d’esami è settembre. Dovrebbe riposare anche lei signorina.»
«Non vengo qui perché sono interessata a questa persona dal lato medico. Vede lui è come se fosse mio fratello. Mi preoccupa la sua salute.»
«Si sieda. L’ aneurisma del signor Pavlov non è eccessivamente esteso. Però va clippato al più presto poiché preme eccessivamente sul cervello.   »
«Non ha voluto farlo prima a causa delle sue condizioni ?   Un operazione al cervello è molto faticosa per un corpo e quello di Dorian era già affaticato dalle condizioni del suo corpo dopo il coma. »
«Esattamente. Sa signorina Smirnov, io l’ho osservata in questi mesi. Da quando a febbraio mise piede in questo ospedale. I tirocinanti della sua età fanno molti casini, ma lei pur essendo al primo anno non ha mai fatto errori.»
«I compiti che ci vengono assegnati sono molto semplici e all’università ho imparato bene ciò che dovevo.»  
«Non lo metto in dubbio. Però è come se lei sapesse di più di ciò che le è stato insegnato in questo anno. Probabilmente è solo una sciocchezza, lei è molto giovane e per sapere determinate cose avrebbe solo dovuto studiarle dalla prima adolescenza. Ma chi insegnerebbe a una bambina di tredicenni come si sutura o come si rimette in asse un osso distorto. »
«Lei ha molta fantasia dottore, complimenti. Però sono qui per parlarle del signor Pavlov, non delle mie capacità. Credo che la settimana prossima possa anche operarsi.»
«Ora fa il mio lavoro ? Decido io quando un paziente va operato, non lo scordi. Dica al signor Pavlov di venire qui il 27, il 28 mattina l’opereremo.»
«Sarà fatto. Ah, c’è un’altra richiesta che ho da farle; Mi piacerebbe vederla operare dottore, sempre se lei è d’accordo. Personalmente lo troverei molto utile per il mio percorso di studi.»
«Perché no. In questo periodo non c’è una grande affluenza di studenti e ho sempre adorato insegnare qualcosa di nuovo a giovani menti. A  giovedì mattina, signorina Smirnov. »
«Certamente. La ringrazio del suo tempo, dottore.»
Il dottor Kang era un brillante neurochirurgo, il tipo di medico che ha il sentore di essere un dio per quante vite salva all’anno. Un uomo che detestava essere contradetto, non avrebbe mai ascoltato le richieste di una paziente se non gli fossero state poste nel modo più opportuno in quello che più esaltava il suo ego. Se Halina gli avesse detto “Il signor Pavlov pretende di essere operato entro la prossima settimana e che io sia presente per osservare il tutto” quel neurochirurgo avrebbe rifiutato ogni richiesta probabilmente usando la scusa che in un ospedale non si fanno quel tipo di favoritismi. Ponendogli ciò con logica e accarezzando con le parole il suo ego invece aveva ottenuto ogni cosa senza il minimo sforzo. Uscì da quell’ospedale soddisfatta, felice che presto avrebbe visto un vero cervello dal vivo.
1 note · View note