#krzysztof kiéslowsky

[fashionlandscapeblog]

La double vie de Véronique (1991) - dir. Krzysztof Kiéslowski

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[slam-dunkrai]

Three Colours trilogy review: it was so funny of Krzysztof Kiéslowski to make two breathtaking, haunting ruminations on what it means to connect with other people — how grief can make time move in a blur and stop entirely, how the end of our bonds and responsibilities to our loved ones can drive us to isolate ourselves in the name of emotional freedom in Blue; how the things we do even unthinkingly can lead to lasting friendships, how the sum of our experiences and thoughts that make us the people we are also make us deeply imperfect judges, how our desires to know other people in the age of new technology can lead us to annihilate the boundaries of others' private lives in Red — and then also stick White, a solidly 6/10 dark rom-com about a weird guy who kinda sucks, in the middle of them

[brunobresani]

73 muestra internacional de cine en la @cinetecanacionalmx

La doble vida de Verónica

La double vie de Véronique, Francia-Polonia-Noruega, 1991, 96 min.

D: Krzysztof Kieślowski. G: Krzysztof Kieślowski y Krzysztof Piesiewicz. F en C: Sławomir Idziak. M: Zbigniew Preisner. E: Jacques Witta. Con: Irène Jacob (Weronika/Véronique), Philippe Volter (Alexandre Fabbri), Sandrine Dumas (Catherine), Halina Gryglaszewska (tía), Władysław Kowalski (padre de Weronika), Jerzy Gudejko (Antek), Claude Duneton (padre de Véronique). CP: Sidéral Productions, Le Studio Canal+, Studio Tor, Norsk Film. Prod: Leonardo de la Fuente. Dist: FDR.

Weronika vive en Polonia y tiene una brillante carrera como cantante, pero padece una grave enfermedad cardiaca. A miles de kilómetros de ahí, en Francia, vive Véronique, otra joven idéntica a ella, también cantante y con la misma dolencia. Aunque desconocidas la una de la otra, ambas mujeres comparten una enigmática conexión. La doble vida de Verónica, una de las películas más apreciadas de Krzysztof Kiéslowski, es una cautivadora y misteriosa reflexión sobre la identidad, el amor y la intuición. Con la brillante fotografía de Sławomir Idziak y la actuación de Irène Jacob como las dos Verónicas, Kieślowski creó una de las obras más metafísicas del cine, una inolvidable sinfonía de sentimientos.

#cinetecanacional #muestrainternacionaldecine #cine #kino #film #ladoblevidadeveronica

[dis-continua]

Three Colors: Blue (1993) Dir. Krzysztof Kiéslowski

#paris #film #Krzysztof Kiéslowski

[aurorasholy]

A Short Film About Love (1988) dir. Krzysztof Kiéslowski

“People cry for different reasons. When someone dies. When they feel abandoned. When they can no longer bear to go on living. When they’re hurt. ”

#art #cinema #cinemetography #cinephile #director #film #filmmaking #movies #cinefilos #design

[patosdetemporada]

El 13 de marzo de 1996 muere el cineasta polaco Krzysztof Kieslowski a los 54 años. Sin fin (1984), No matarás (1988), No amarás (1988), la miniserie El decálogo (1989), La doble vida de Verónica (1991) y la trilogía Tres colores: Azul, Blanco, Rojo (1993-1994) componen una filmografía que cambió la historia del cine europeo (todas ellas escritas junto a Krzysztof Piesiewicz). Retratar fielmente Polonia, especialmente la de los años ochenta. Y mostrar la realidad tal y como es. Sin adornos ni florituras. Estas eran las máximas de Krzystof Kiéslowski. Kiéslowski empezó la carrera como documentalista, pero lo dejó porque llegó a la conclusión que existen cosas que no se pueden filmar. contó su coguionista: “Siempre me preguntaba: ¿se puede filmar a alguien muriéndose, a alguien drogado o bebido? No. Todos tienen derecho a su intimidad. Y tengo la sensación que el mundo contemporáneo está perdiendo algo que influye en nuestras vidas: estamos eliminando cierta sensibilidad, y esto deriva de una crisis de la cultura”. “La obra conjunta de Krzysztof Kieslowski y Slawomir Idziak, su director de fotografía predilecto,... dota de significado al color y contribuye con ello a revelar el mundo interior de los protagonistas de sus películas y sobre todo es trascendente por la diversidad y originalidad de su estrategia cromática”, dice el investigador español Iñaki Lazcano Arrillaga. #cine #grandesdirectores #peliculas #movie #instaquote #insta #instagram #veniquetecuento💕 (en Mendoza Province) https://www.instagram.com/p/CMbKW1zJcB-/?igshid=7axp72tlmk43

#cine #grandesdirectores #peliculas #movie #instaquote #insta #instagram #veniquetecuento💕

[harvardfineartslib]

Feeling blue from the long winter? In Blue Mythologies: Reflections on a Colour by Carol Mavor, we learn that the color of blue has been used to express a wide range of emotions from joyful to sad in works of art. Whether you’re feeling blue or not, you can learn more about this expressive color. 

Unknown, Eye Miniature Early 19th century British pearl surround, oil on canvas miniature with diamond tears. Page 105

Blue mythologies : reflections on a colour Mavor, Carol, 1957- [author] London : Reaktion, 2013. 207 pages : color illustrations ; 24 cm.

The sea, the sky, the veins of your hands, the earth when photographed from space... blue Summary: sometimes seems to overwhelm all the other shades of our world in its all-encompassing presence. The blues of Blue Mythologies include those present in the world's religions, eggs, science, slavery, gender, sex, art, the literary past, and contemporary film. Carol Mavor's engaging and elegiac readings in this beautifully illustrated book takes the reader from the blue of a newborn baby's eyes to Giotto's frescoes at Padua, and from the films of Derek Jarman and Krzysztof Kiéslowski to the islands of Venice and Aran. In each example Mavor unpicks meaning both above and below the surface of culture. In an echo of Roland Barthes' essays in Mythologies, blue is unleashed as our most familiar and most paradoxical color. At once historical, sociological, literary, and visual, Blue Mythologies gives us a fresh and contemplative look into the traditions, tales, and connotations of those somethings blue.

English

#blue #blue eyes #fineartslibrary #harvardfineartslibrary #harvardfineartslib #Harvard #harvard library #artbooks

[paopersonaldiary]

“La double vie de Véronique” 1991 Dir. Krzysztof Kiéslowski

[busrayel]

Gerçek insanlar, yașamaya devam edemedikleri için ölürler.

Krzysztof Kiéslowski

[pangeanews]

5 anni di @Pontifex. Ma al papa che cinguetta – sembra un Mattarella qualsiasi – preferisco il papa che ruggisce

Esattamente 500 anni fa le corti europee, da Bruxelles a Basilea, da Londra a Parigi, furono solleticate da un pamphlet provocatorio, il Giulio. Oggetto del testo, redatto in forma comico-teatrale, “come Giulio II Pontefice Massimo vada a bussare, appena morto, alla porta del paradiso e come il portiere, san Pietro, non lo lasci entrare”. Nel testo, Giulio II è ritratto come scaltro, sanguinario, sodomita, assatanato dal potere. Per questo, san Pietro risponde alle sue preci con un calcio nei coglioni. Autore del testo, che fece esplodere i fuochi d’artificio del pettegolezzo, un ignoto dietro la cui maschera si nasconde Erasmo da Rotterdam (il testo, a cura di Silvana Seidel Menchi, per i fini di capa, è edito da Einaudi). All’alfiere del libero arbitrio, all’autore del livido Elogio della follia, le sadiche moine di Giulio II non garbavano, lo facevano ammattire. Certo, Giulio II era un ‘Papa guerriero’, era feroce e ‘terribile’, come lo dipingono i contemporanei; ma lui c’è fatto dipingere da Raffaello e pagava lo stipendio a Bramante e a Michelangelo, era dotato di un senso estetico davvero divino. Beh, dico io, meglio Giulio II, uno che ruggisce, di Papa Francesco, uno che cinguetta. Notizia del giorno. I celestiali cinguettii papali compiono cinque anni: il pontefice twitta da un lustro, ed è felice di farlo, “le reti sociali siano luoghi ricchi di umanità!”, battezza, dal pulpito telematico. Cinque anni del Papa su twitter, la Sion dei social, mi obbligano alla domanda fatale: ma davvero è un bene che il Papa sia ‘social’? Quanto il Lancillotto di Dio deve essere di questo mondo, servo delle voglie di questa terra corrotta? Lo stratega della comunicazione papale, Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, teorico della Cyber Teologia – qualcosa che sta tra Matrix e Sant’Agostino – che in una vita precedente si occupava dell’opera di Pier Vittorio Tondelli e dei film di Krzysztof Kiéslowski, ritiene che sia giusto divulgare il Verbo nella rete, dacché il buon cristiano può bonificare ogni cosa, è un taumaturgo che tramuta la merda digitale in fioretti. Di base, ha ragione Spadaro. I discepoli di Cristo esplodono nel mondo perché non c’è lato di mondo che non possa accogliere la lieta novella. E se si muore, amen, si muore martiri. Il problema, però, non sta nel metodo, ma nel modo, mondano. Nella comunicazione di papa Francesco mancano due criteri fondamentali. Intanto, l’invisibilità. Poi, il suo fratello gemello, il silenzio. Gesù, che rompe con la comunicazione ‘del mondo’ – fatta nella sinagoga o nella piazza: egli preferisce i bordi dei fiumi, i borghi, le barche, gli spazi periferici, obliati – è presente proprio quando non c’è, è più vivo da morto che in carne e ossa. E spesso sente il bisogno di frequentare il deserto (“Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto”, Lc 4,42), di recidere la comunicazione con gli uomini, con il mondo, anche con chi gli vuole bene. Papa Francesco, via social, non vince il mondo ma ne è dominato e vinto, i suoi cinguettii equivalgono a quelli di qualsiasi altro. Chi diventa uno dei quasi cinque milioni di follower di Papa Francesco non vince in regalo un Vangelo: il sistema social gli suggerisce di diventare un seguace di Jovanotti, perché per i criteri del mondo Papa Francesco e Jovanotti sono la stessa cosa, due personaggi ‘in vista’, due vip. D’altronde, che tipo di messaggi cinguetta il papa via social? Veline stinte, l’abbecedario dello scoutismo, un decalogo di vaghi pensieri di cattivo gusto, lo zuccherificio per i puri di cuore e ottusi di testa, roba tipo “Chiediamo la grazia di rendere la nostra fede sempre più operosa per mezzo della carità”, “Bisogna che l’azione politica sia posta veramente al servizio della persona umana, del bene comune e del rispetto del creato”, “La corruzione va combattuta con forza”, frasi che potrebbe dire un candidato premier qualsiasi, Pietro Grasso, ad esempio, oppure il Presidente Mattarella, almeno Salvini è più brioso. Frasi di buon senso e di buon gusto, che ci convertono immediatamente a qualsiasi altra fede: c’è più salvezza in una qualsiasi delle pagine di Seneca che nei 1.384 cinguettii papali messi insieme. Un tempo il papa propalava anatemi, ora propaga sentenze di agghiacciante banalità, magari ci da anche i consigli per i regali delle feste. Viene da pensare che il papa, con rispetto parlando, abbia studiato poco i Vangeli. Gesù aveva una straordinaria capacità di sintesi, denunciata, se non vi vanno i ‘canonici’, ad esempio, nel Vangelo gnostico di Tommaso: “Chi cerca, non smetta di cercare finché non avrà trovato. Quando avrà trovato, si turberà”; “Beato il leone che sarà mangiato da un uomo, perché il leone diventerà uomo”; “Beato l’uomo che ha sofferto: ha trovato la vita”. Esempi geniali di tweet scritti un paio di millenni fa. A un papa che cinguetta, preferisco il papa che ruggisce.

Davide Brullo

L'articolo 5 anni di @Pontifex. Ma al papa che cinguetta – sembra un Mattarella qualsiasi – preferisco il papa che ruggisce proviene da Pangea.

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#L'Editoriale #Antonio Spadaro #Erasmo da Rotterdam #fede #Giulio II #Mattarella #Papa Francesco #Sal