Tumgik
#con la pelle appena colorata dal sole
mynameis-gloria · 8 months
Text
Tumblr media Tumblr media
Un momento
59 notes · View notes
nickcents · 4 years
Text
1 Matrimonio e 1 ritorno a TerracinA
Ci siamo sposati. Ad Agosto 2019.
Di solito queste storie i genitori le raccontano ai figli, in una serata invernale, con l’album fotografico in mano ed un sorriso malinconico.
Noi invece questo percorso lo abbiamo fatto con te ed e’ stato un lungo tuffo al cuore, al cuore delle emozioni, al cuore dei ricordi, alla radice degli affetti.
Abbiamo raccolto il percorso delle nostre vite, da soli e in coppia in un unico pomeriggio, abbiamo radunato amici, parenti, conoscenti, passanti abbiamo riassaporato tutte la scie di rapporti che ci siamo lasciati dietro in questi anni, recenti o remoti, abbiamo rivisto in un lungo e intenso pomeriggio quelle amicizie storiche, i legami indissolubili di tempi lunghi e quelle fugaci e veloci dei tempi recenti che ci hanno accompagnato nel nostro periodo lontano dall’Italia e tu, Mati sei stata li’ con noi.
D’altronde tutto era cominciato poco dopo la tua nascita, quando un anellino era comparso nella tua culla, un segreto condiviso solo tra me, te e la tua nonna Marisa che all’epoca era qui con noi a prendersi cura di te durante le tue prime settimane. 
Tutto era cominciato li’ dalla corsa per le scale di mamma ad abbracciarmi per dirci che si, prima o poi, avremmo fatto una bella festa per celebrare con tutti, la gioia della nostra unione e delle nostre vite.
E tutto si e’ dipanato in un anno di organizzazioni, liste, inviti, vestiti e attese.
Un giorno lungo un anno, costruito con attenzione e fervida attesa, giorno per giorno con un percorso di avvicinamento che ci porta in luoghi pieni di ricordi e di significato, principalmente per la mia vita.
Per cercare di presentarci al grande evento, con un colorito diverso dal mortifero rosa polvere tipico delle lande anglosassoni, senza nemmeno poter contrastarlo con un capello riccio scozzese che fa tanto film di Ken Loach, decidiamo di organizzarci qualche giorno di mare antecedente il grande evento, ed alla fine la matita casualmente cade dall’alto su Terracina e precisamente sull’onda del circeo. 
Ora, pochi luoghi, come quel lido, racchiudono per me, un microcosmo di emozioni, ricorde, prime volte, amicizie, radunate familiari.  Tornarci dopo tanti anni e’ stato un tuffo nel passato fortissimo, per un momento nulla era cambiato, ma poi in fondo lo era tutto: incontrare tante delle facce di quelle estati di bambino e poi ragazzo e riconoscerle dopo anni e rivedere noi stessi nelle espressioni e gli atteggiamenti dei nostri figli. Un passaggio di testimone, simbolico e fortissimo, che mai avrei immaginato.
Volevo scriverlo, a te e a me stesso e lasciarlo impresso con le parole, che c’e’ stato un momento nel percorso della mia vita, in cui sono stato papa’, li’ dove sono stato per anni, bimbo e nipote, li’ dove ho fatto i primi passi reggendo un secchiello o dove mi sono sbucciato le ginocchia nei primi giri in bicicletta, li’ dove mi sono preso le prime cotte e festeggiato i miei compleanni, in cui sono stato in attesa di diventare marito, in cui ho sentito il richiamo di un futuro intenso, di un presente eccitante e tutti i fili del passato e le ombre ed impronte lasciate in quei viottoli e su quella spiagge..
POTENTE
Il sole non e’ mancato ovviamente, la pelle si e’ gentilmente colorata, il silenzio dei pomeriggi caldi di fine Agosto ha rallentato i nostri ritmi e il rotor emozionale in cui sono stato catapultato mi ha debitamente preparato ad accogliere famiglie ed amici.
Del matrimonio, ci sarebbe tanto da dire, ma saranno le foto a parlare e saranno i nostri racconti. Temevo molto la mia capacita’ di non godermi i momenti, temevo molto l’ansia da prestazione, le chiacchiere fugaci con tutti, temevo molto di farmelo scappare via questo momento unico, invece ci siamo immersi e ce la siamo goduta appieno. Un altro momento unico di questa estate unica, tutti li’ davanti a noi a celebrarsi e celebrarci, i rapporti frutto di tutti i nostri semi sparsi nella nostra vita, prima da soli e poi insieme, persone da mille luoghi, incontri dell’ultimo periodo e amici di una vita e poi i parenti, commossi e felici. Da Roma, dal Veneto, da Londra...tutti li’ in un momento unico ed irripetibile.
Forse tu, Mati, non ti sei resa conto, hai pianto tanto, ci vedevi lontani, ma da grande, ci racconteremo insieme tutte le storie, rivivremo insieme i momenti sfogliano il nostro album, magari un po’ sbiadito, forse riderai dei nostri vestiti e dei vestiti dei nostri invitati, forse ci chiederai: “chi e’ questo parente?” “chi e’ questo amico”, ma sara’ bello pensare che hai partecipato anche tu che forse questa unione l’hai resa unica e speciale, semplicemente venendo al mondo.
Oltre agli splendidi discorsi dei nostri testimoni, alle poesie dei miei genitori, alle bottiglie di vino versate senza sosta da Alberto, alle storie musicate dei romani con tanto di dinosauro gonfiabile, alle danze di zii e cugini e a qualche chicca notturna che ti racconteremo e ci racconteremo, rimarranno impressi i momenti, i suono gli odori di quella splendida giornata, ma anche del giorno successivo al lago di Bolsena.
Una coda fantastica della festa precedente con tutti altri ritmi: lenta, dilatata, delicata, bagnata prima da un pioggia torrenziale, durante la quale ci siamo stretti e riparati in un chioschetto sulla riva al lago e poi riabilitata da un pomeriggio terso, senza foschie, con un sole e un caldo delicato che ci ha permesso di tuffarci nelle acque morbide del lago per lavarci delle stanchezze e dei residui della festa e per parlare con i pochi amici che ci hanno seguito. E’ sembrata una domenica leggera e spensierata a pranzo dai nonni , dopo un sabato devastante in discoteca, quel senso di sicurezza e tranquillita’ che cerchiamo dopo una sbronza notturna.
Non cambierei nulla anzi se potessi lo rivivrei esattamente uguale ed e’ una frase che non riesco a dire spesso, mamma forse un dettaglio e me lo ha detto chiaramente, con le sue prime parole da moglie appena sveglia nel letto:
“Che coglione quel DJ!”
Tumblr media
“Don't you know that I'll never be the same, no Cause you know my life Is in your name“
youtube
Oggi ho imparato che il 20 Luglio sono successi 2 eventi completamente scollegati che mi hanno colpito moltissimo per motivi diversi: Il 20 Luglio del 1969 Neil Armstrong cammina sulla luna e lo stesso giorno del 2001 muore a Genova Carlo Giuliani. Conquiste al di la’ dell’ umano e vite che se ne vanno. E pensare che lo stesso giorno del 1944 stava per essere ucciso Hitler in un attentato..
2 notes · View notes
blueladyhogwarts · 6 years
Photo
Tumblr media
do not worry about your contradictions - Persephone is both floral maiden and queen of death. you, too, can be both
Qualche traccia di fanghiglia e foglioline sminuzzate dal vento accolgono sul fondo della bacchetta i piedi nudi della ragazza, rinfrescati dall`acqua gelida in cui li ha immersi e ora posati sulle punte, insieme, appena sotto l`asse lignea che funge da sedile. Non importa dove la si infili, mantiene le movenze d`una fanciulla idonea ai fiori selvatici e nastrini di seta, sfacciata che sia la nudità delle lunghe gambe - sul candore serico sotto le ginocchia si scorge qualche altra sfumatura scura e spicchi di foglie aderite sulla pelle umida. Appare vagamente incosciente di tutto ciò, per il modo invece attento a cui si dedica a visualizzare il trasfigurarsi della barchetta in trasparenze che rivelino il fondale mentre distrattamente, con le mani pulite, si scosta ciocche rosate e morbidissime dietro l`orecchio, lasciando il resto scivolare serica ai lati del viso chino in avanti. Un lieve rossore le affiora sulla parte alta delle gote, verso il naso, man mano che osserva tutta interessata la creatura sottostante, contro chi sguardo ipnotico dischiude le labbra rosee, un lievissimo stupore che non contagia le ciglia.  Blandamente, ma la fronte sembra esprimere disapprovazione contro la sorpresa del cavallo e la maniera in cui scarta di lato. Sa già cosa fare e persino come agire a prevenzione di imprevisti. Alghe.
La Scozia, si sa, è famosa per la sua regione dei laghi e ancor più famosa per i suoi mostri lacustri. Come la nota Nessie, a Lochness, che in realtà i maghi sanno essere uno più dei grandi esemplari esistenti di Kelpie. Questi demoni assumono talvolta forma di serpenti marini, ma più spesso scelgono quella di un cavallo per attirare gli incauti a salire in groppa. (...) La grande testa iridescente si lascia poi andare all`indietro, ricadendo nell`acqua e assestando un ultimo colpetto con la coda alla barca, per potersi girare e correre incontro alle alghe gettate da Phoebe. L`Imposium di sicurezza non sarà necessario, perchè quando i raggi pieni del sole colpiscono la creatura, ne rivelano la natura positiva e colorata. Il muso rumina le alghe appena ricevute, mentre altre più corte e scure pendono da un lato della bocca.
«Dimmi che non c’entra nulla il poter studiare per prima questa cosa.»
Lo ascolta, esile al suo posto, protetta da una maglietta troppo larga e riflessi chiarissimi sui capelli che le sfiorano i lati del volto, le gote appena sfumate dal vermiglio che affiora anche sul naso, parvenze che quasi illuminano più l`ambra dello sguardo. Forse lo scrigno lo sta ammirando in quel momento, perché chiude gli occhi come a levarsi una tentazione quando viene messa in mezzo la sua avidità bronzoblu. O lui, che la rende omertosa, egoista e peccaminosa.
Quello che lui ha imparato, anche se non subito e sicuramente con molte difficoltà, è che non ha mai avuto davvero l’autorità di farle cambiare idea su scelte già prese. Non è mai riuscito a far leva su di loro, sulla loro unione per dissuaderla da qualcosa.
68 notes · View notes
max-casagrande · 5 years
Text
Ars Arkana; Capitolo 2
Capitolo 2: La profezia di mezzogiorno
Shydow fu sorpreso di risvegliarsi nello stesso posto in cui si era addormentato. La cosa infatti non accadeva molto spesso, ma quel giorno in particolare si era immaginato un risveglio brusco, con la locanda distrutta ed il suo letto scaraventato a qualche metro dal luogo in cui si trovava, anche se questa visione non gli aveva impedito di addormentarsi beatamente e senza molti pensieri.
E invece stava scendendo le scale con tranquillità, avvolto da uno strano silenzio che neanche il vento sembrava voler disturbare. Tuttavia, nonostante la giornata fosse iniziata nel migliore dei modi, non riusciva a stare tranquillo. Qualcosa non andava. Mancava una sensazione, un oggetto, un odore, una persona... mancava un tassello a quel mosaico che formava ogni attimo di quei secondi. C'era come già troppa magia nell'aria ancora prima del suo intervento.
Ritrovatosi di fronte il bancone della locanda, la sua attenzione venne immediatamente catturata da un uomo. Teneva un bicchiere in una mano e la bottiglia poco distante, e si poggiava al piano in legno con un gomito. Il bicchierino, più piccolo di una tazzina da caffè, era pieno fino all'orlo, ma il liquido marrone semitrasparente restava immobile esattamente come il braccio che lo reggeva.
-Ti consiglio di scappare, qui non è sicuro.- disse semplicemente Shydow guardando il cappello a falda larga, marrone scuro come il cappotto, che gli copriva completamente il viso.
-Dovunque tu vada non è sicuro, è così che condanni tutte le persone che ti vogliono bene.- commentò lui portando di scatto il bicchiere alle labbra e rovesciando il contenuto all'interno della bocca, per poi sbatterlo con forza sul bancone, rompendolo. Nonostante la mano si fosse tagliata, lui non batté ciglio, rimanendo impassibile come se nulla fosse successo.
Shydow si avvicinò a piccoli passi, tenendo il mantello nella mano sinistra e la destra lungo il fianco. -Ci conosciamo?- domandò incuriosito.
-Sì, ma tu fai finta di non sapere chi io sia.- rispose lui volgendogli lo sguardo, era inespressivo, e lo guardava con gli occhi vitrei e grigi. -Com'è che dicevi? Un viaggio dagli stessi aspetti... in un giorno della terza stagione... il suo sacrificio sarà compreso...-
Un brivido corse lungo la nuca di Shydow e poi per tutta la schiena. Si sedette di fianco l'uomo, osservandolo con uno sguardo che non aveva mai usato. La preoccupazione si era impossessata del suo viso, e la curiosità lo consumava. -Dove hai sentito queste parole?-
-Io sono il coccodrillo.- rispose con semplicità lui rimanendo immobile. -E nel corpo di questo capitano, ti avverto che è giunto il giorno.-
Shydow sgranò gli occhi. -Perché questo silenzio? Perché nessuno sta scappando?-
L'altro non rispose. Continuò a fissarlo per qualche interminabile attimo, dove forse il tempo si era dimenticato di dover scorrere. Solo quando la paura aveva riempito completamente le vene del ragazzo e le sue mani cominciarono a tremare, l'uomo misterioso riprese a parlare, ripetendo solo due parole con un filo di voce, in un rauco bisbiglio. -Tic... tac... tic... tac... tic... tac...-
Shydow eseguì uno scatto repentino che fece ribaltare lo sgabello. Non si curò se l'uomo stesse continuando a parlare, preferendo concentrarsi su qualsiasi cosa ci fosse lì fuori.
Appena aperta la porta, dovette portare una mano poco sopra la fronte per permettere agli occhi di riabituarsi lentamente alla luce del sole. Se non era mezzogiorno, lo sarebbe stato presto. Aveva dormito troppo, ancora meno tempo per intervenire.
Tolta la mano, sospirò guardando tutti coloro che si trovavano nel villaggio la sera prima erano immobili, imbambolati e fermi a fissare il vuoto. Blayke voleva inviargli un messaggio, e in questo modo ci era riuscito molto bene. Gli sfuggiva qualcosa, qualcosa che Phyneas aveva intuito con parecchio anticipo, considerando quanta organizzazione richiedesse uno spettacolo come quello. Non voleva pensarci, non voleva più pensieri di quanti la Chiesa già non gliene desse.
Pensò, quindi, che concentrarsi sul presente fosse la mossa migliore, anche se l'arrivo del ciclope non lo turbava per niente. “Un problema alla volta” continuava a ripetersi mentalmente. Si avvicinò con passo svelto fino alla folla ben ordinata, ignorando quasi in automatico gli occhi vitrei che avevano gli abitanti. Se ne stavano lì, inermi, disposti in ordinate con il viso rivolto verso le montagne, in lontananza.
-Ehi, svegliatevi, non è il momento di poltrire!- esclamò scuotendo una ad una le spalle dei presenti, che sembrarono svegliarsi da un sonno molto piacevole. Era come se la mano di Shydow stesse brillando di una strana luce gialla, anche se forse era un semplice gioco di ombre con quel sole così acceso.
In mezzo al borbottio confuso di molti, alcune voci si fecero preoccupate e la paura non ci mise molto a contagiare i presenti. Non avevano idea di cosa fosse successo, o di come mai il sole fosse già così alto nel cielo. Il pensiero di essere in ritardo dilagava ed era per la maggiore, insieme alle domande sul da farsi.
La paura si trasformò in puro terrore quando un sordo tonfo si sentì in lontananza. Segnò anche l'arrivo di uno spaventoso silenzio, rendendo ancora più forti quei suoni che si avvicinavano di secondo in secondo, scandendo il tempo. Con la precisione delle lancette di un orologio, i colpi diventavano sempre più forti e ben udibili, e con loro i battiti dei cuori di tutti i presenti. Shydow si fermò, con la mano sulla nuca di una giovane bambina, quando voltò lo sguardo alle sue spalle.
Dalle alte chiome di una modesta foresta ad est, comparve. Alto circa una decina di metri, dalla pelle grigia-bluastra, vestito di stracci e panni a brandelli e dai pochi unti capelli bianchi poco curati come la lunga barba pece, era lì, immobile, mentre fissava la prossima preda stringendo la presa sull'arma rudimentale nella mano destra. Sembrava che il suo tronfio respiro fosse sulla nuca di ognuno dei testimoni che, ormai, erano completamente paralizzati (tranne Shydow, che riprese a scuotere le persone con la stessa delusione di chi confonde una falena con una farfalla). Il ciclope era arrivato.
Zenyth misurava impaziente a grandi falcate la porta chiusa che dava alla camera del fratello. Non era mai stato un tipo molto paziente, e dalla sua nomina a purificatore sembrava esserlo diventato ancora di meno. Si era quasi dimenticato dell'odio che covava nei confronti del grande orologio per quante volte lo aveva guardato attraverso la grande finestra colorata. Astryal era appena puntuale, cosa che lo infastidiva non poco. Fosse stato per lui, si sarebbe preparato il giorno prima, lasciandosi un abbondante anticipo di almeno diciotto ore considerando l'importanza dell'evento. Astryal sarebbe diventato sacerdote, superandolo ufficialmente di rango nella gerarchia ecclesiastica.
Le porte si aprirono lentamente, spinte dai due servitori che, ormai da due ore, lo stavano vestendo con le dovute ed opportune cerimonie. Il lungo abito bianco e oro cadeva perfettamente sul ragazzo, esaltando la carnagione abbronzata del viso e della mano destra, che teneva saldamente lungo ramo di mogano dritto e levigato.
-Superiore.- salutò Zenyth con un profondo inchino.
-Non cominciare, sono ancora un purificatore, almeno per il momento.- sorrise Astryal avvicinandosi rapidamente e mettendogli una mano sulla spalla, invitandolo a rialzarsi. -E poi, il tuo giorno è tra meno di tre settimane, no?-
-Lasciateci soli.- ordinò ai due, che si congedarono dopo un inchino ancora più formale di quello di Zenyth.
-Oggi sembri ancora più brusco e teso del solito.- osservò il ragazzo, allungando l'occhio oltre la vetrata e guardando l'ora. “Però, sono in anticipo...” pensò tra sé e sé.
L'altro doveva essere riuscito a sentire quelle parole in qualche modo, a giudicare dallo sguardo con cui lo guardava. -Io dovrei benedire il suolo che siete destinato a calpestare per giungere alla cappella, mentre nostro padre, con tutto il rispetto che posso provare nei suoi confronti, è terribilmente in ritardo.-
-Prima di dire altro, ti chiedo di smetterla di parlare come i libri che leggi. È snervante! Senza contare che invecchierai prima dicendo cose come “giungere” o “destinato a calpestare”. E comunque la cerimonia formale non viene praticata da secoli, neanche nostro nonno l'ha fatta.- aggiunse prima che Zenyth potesse fare altrettanto.
-Astryal ha ragione, nemmeno io ho pregato per ogni passo che facevo in direzione della cappella.- raccontò Zalomon avvicinandosi a piccoli passi. I due volsero lo sguardo verso di lui, abbassando il capo subito dopo.
-Cardinale.- salutarono i due all'unisono.
-Dovete stare pronti, nella cappella non c'è solo vostro padre.- scherzò lui alzando una mano, segno che i due intesero come permesso per levare la testa.
-Lo sospettavo.- commentò Astryal ricambiando il sorriso.
-Dunque, col permesso di entrambi, io consiglierei di procedere, dato che abbiamo solo trenta minuti.-
-Per arrivare alla cappella... ragazzo mio, ti ricordi che noi siamo già nella chiesa?- domandò l'uomo preoccupato verso Zenyth.
-Certamente, ma trovo far aspettare due cardinali una gigantesca forma di mancanza di rispetto.- ribatté ovvio.
Astryal prese un profondo respiro. -Temo di dover concordare con mio fratello. Meglio cominciare ad avviarsi.-
-Giusto.- acconsentì Zalomon indicando il corridoio ai figli, che presero la strada.
-Le mie stanze sono state esaminate?- domandò distrattamente. Per quanto non lo desse a vedere, la cerimonia lo eccitava parecchio, quindi gli sembrava giusto cercare di pensare ad altro fino al momento in cui sarebbe dovuto entrare nella cappella, fissato dalle più alte cariche della Chiesa. Ripassare le preghiere non sarebbe stato utile, anche se le numerose simulazioni lo tranquillizzavano, in minima parte.
-Da cima a fondo.- rispose Zalomon fissando la lunga lastra di marmo di fronte a sé, che misurava con grandi passi. -Tuttavia non è stata trovata nessuna traccia, nessun segno d'effrazione.-
-Ma le parole del Sommo non portavano alla camera di Astryal?- domandò perplesso Zenyth.
-Certo, più precisamente in un luogo bagnato dai raggi di luna, quindi esattamente nella zona del giaciglio. È questo che mi preoccupa di più. Finché la questione non potrà dirsi risolta, continuerai a cambiare stanza ogni sera. Consideralo un invito da parte di tuo padre, ed un ordine da parte di un tuo superiore.-
-Non avevo comunque intenzione di disubbidire, padre.- sottolineò il ragazzo, diventando sempre più serioso ogni secondo che passava.
Zalomon osservò il volto pensieroso del figlio, e decise di continuare la strategia che gli aveva visto usare pochi attimi prima. -Com'è andata la pittura?- domandò guardando in avanti.
-Bene, credo. La cerimonia in sé è durata un po' più del previsto, ma non c'era molto da fare al riguardo. Credo fosse colpa mia. Devo ammetterlo, sono molto agitato.- spiegò Astryal mostrando le mani tremanti.
-Zenyth, potresti precederci fino alla cappella, per piacere?- domandò Zalomon voltandosi verso il figlio maggiore. Il ragazzo non diede la possibilità di aggiungere una sola parola a nessuno dei due che già aveva cominciato a camminare a grandi falcare verso la scalinata a metà corridoio, lasciandolo solo in balia del padre. -Ricordati, che non devi farlo per forza.- rammentò lui prendendolo per le spalle, attirando a sé il suo sguardo. -Siete entrambi diventati purificatori prima dei diciotto anni e pochissimi hanno ricevuto la nomina di sacerdoti a diciassette.-
-Zenyth lo farà a quindici.- borbottò abbassando la testa.
Ciò che voglio dire è che so quanto è difficile, e voglio ricordarti che non devi farlo solo per me, ma per te stesso. Hai seguito un percorso spirituale egregio in questi anni, e devi dartene atto.-
-È solo che... più passa il tempo e meno sento di doverlo fare.- spiegò lui titubante. -Temo non riusciate a capire, per voi dev'essere stato molto più semplice.-
-Ci misi il doppio del tempo per far applicare la pittura purificata, visto che continuavo a tremare come una foglia nel vento autunnale.- ridacchiò Zalomon, superando il figlio ed avvicinandosi alla finestra. Si portò le mani dietro la schiena mentre fissava un gruppo di ragazzi giocare nel grande cortile in pietra. -E poi inciampai per le scale, per il ritardo, si intende. Eseguii tutta la cerimonia con un grosso livido sulla fronte, anche se il cappello da sacerdote riusciva a coprirlo senza problemi.-
-Voi... avete fatto questo?- domandò incredulo.
-E non ti dico cosa è successo quando sono stato nominato cardinale...- commentò senza perdere il sorriso. Sì voltò verso Astryal, contagiando il suo volto e portandolo ad incurvare le labbra. -Mai nessuno ti punirà per un errore. Alazog, l'altro cardinale, non è così cattivo come tu possa immaginare.-
-E... be'...- Astryal cercava disperatamente un modo per ribattere, volendo difendere la sua paura che, all'improvviso, era divenuta immotivata. Se avesse sbagliato, cosa improbabile considerando le numerose prove, non sarebbe successo nulla, e se nulla fosse successo, tutto sarebbe rimasto esattamente come era prima di allora.
Senza aggiungere una parola, il ragazzo guardò il padre prendendo un profondo respiro e calmando il cuore che cercava, taciturno, di uscire dalla gabbia toracica senza farsi notare, allungando un sorriso sul volto illuminato dai raggi del sole penetrati dal soffitto in vetro.
Riprese a camminare, guardando in avanti e seguito dal cardinale, riprendendo un'espressione seria.
Era tranquillo, nulla sarebbe potuto andare storto.
Certo, come no...
In pochi rimasero al loro posto non appena il ciclope cominciò a caricare in direzione delle abitazioni in legno. Alcuni erano caduti in ginocchio e avevano cominciato a pregare, facendo storcere il naso a Shydow. La maggior parte iniziò a scappare, correndo nella direzione opposta o verso i campi a nord. Altri ancora rimanevano impalati, con la mente sovraccaricata da tutte quelle informazioni arrivate tutte insieme.
-Andate al sicuro!- gridò il ragazzo abbastanza forte da farsi sentire sopra le urla ad una donna con il figlio tra le braccia.
-Nessun posto è sicuro, ormai. Solo la morte.- rispose lei serrando gli occhi e stringendo l'abbraccio.
-Piano con l'allegria signora, mi raccomando...- borbottò sarcastico Shydow, cercandoli con lo sguardo. Ci volle poco più di un secondo perché gli occhi li cadessero verso Lysandra e Tyrell che, per chissà quale motivo, stavano correndo verso la locanda esattamente come il ciclope. Aveva anche intravisto il mercante della sera prima, ma preferì fare altro anziché osservare quelle due grasse gambe tremanti.
I fratelli, in quel momento, non avevano la minima idea su cosa fare, pensare o dire. Qualcosa li costringeva a correre verso quel posto che entrambi chiamavano casa da prima che riuscissero a ricordare. Volevano proteggerla, volevano tornare a quando le preoccupazioni ancora non c'erano. A quando potevano tornare dai loro genitori. “Nessuna magia o miracolo può ridarvi ciò che vi è stato tolto” ripeteva spesso l'anziano del villaggio, e adesso quelle parole rimbombavano come pesanti tamburi nelle menti di entrambi. Forse però non serviva nessuna delle due cose, né un miracolo, né una magia. Forse era vero. Forse serviva solo lasciarsi cadere nel confortevole abbraccio della morte, sperando che sarebbe stato qualcosa di rapido, netto. Senza esitazioni. Si fermarono solo una volta giunti di fronte la taverna, puntando i piedi dando le spalle alla costruzione, distanti almeno una trentina di metri. Videro la distanza che li divideva dal ciclope ridursi sempre di più, mentre il suolo sotto i loro piedi non accennava a voler smettere di tremare.
La testa di Lysandra si riempiva sempre più di domande: come mai era già mezzogiorno? Cos'era successo? C'era della magia? Cosa stava facendo Shydow? E Tyrell? Perché non era scappata insieme a tutti gli altri? Cosa sarebbe successo? Sarebbe stato doloroso? Non aveva detto nulla a suo fratello, che fosse arrabbiato con lei?
Lo sguardo le cadde verso Tyrell che ricambiò guardandola negli occhi, deglutendo. Nessuno dei due aveva idea di quale fosse la parola giusta da usare in quel momento, o se ne esistesse una. La paura su quel futuro così ignoto continuava ad aumentare, e con essa la velocità del respiro dei due, ormai quasi all'unisono. L'uno desiderava che l'altro fosse tranquillo, ed entrambi pensarono che il modo più semplice, per quanto banale, fosse un abbraccio. Lei si chinò leggermente verso di lui, cingendolo e facendo scorrere una lacrima attraverso gli occhi chiusi non appena vide che anche Tyrell aveva ricambiato il gesto. I passi si erano fermati, troppo vicini a loro per far intuire un lieto fine.
-Mi dispiace...- mormorò Lysandra sentendo il respiro del mostro sopra la sua testa. Cominciò a stringere la presa sulla schiena di Tyrell, in attesa dell'impatto con la grossa clava di legno che aveva intravisto in lontananza, o con una delle due manone che riusciva facilmente ad immaginare. Il cuore di entrambi batteva all'impazzata, facendoli vivere quei secondi di nero e silenzio molto lentamente. Forse un po' troppo lentamente, dato che il momento non sembrava voler arrivare. E poi silenzio? All'improvviso? Fino a pochi secondi prima tutti stavano urlando!
Titubante, dopo almeno un paio di interminabili secondi, decise di aprire gli occhi, vedendo quelli spalancati del ragazzo rivolti verso la sua sinistra. Non appena anche lei decise di voltare lo sguardo in quella direzione, non poté non sgranare gli occhi e spalancare la bocca anche lei: il grosso ciclope teneva ancora la mazza alzata sopra la testa, pronta a colpire, ma gli arti, il busto e la stessa arma erano legati da spesse cinghie color lava illuminate da luce propria. Cinque di quei vincoli si protraevano però verso le spalle dei due e Lysandra, con lo stesso timore con cui aveva aperto gli occhi, questa volta decise di girarsi, lentamente.
Dietro di loro, vide Shydow con la mano destra chiusa a pugno, le funi legate al polso ed un sorriso beffardo in faccia. Tendeva i muscoli del braccio senza troppo sforzo, bloccando completamente il mostro di quasi otto metri con palese semplicità.
“Ormai scappare è inutile...” pensò. “Un Arkano ed un Ciclope... siamo spacciati.”
Per quanto fossero bravi a nasconderlo, Zenyth e Astryal sapevano quanto potessero essere noiose le cerimonie private della Chiesa. Una cerimonia si dice privata quando a presenziare vi è una lista di persone specifiche, indiscriminate da posizione nella gerarchia ecclesiastica o dalla dottrina d'appartenenza, invitate per l'occasiona nel giorno del signore di almeno tre mesi prima della data prevista per l'evento designato; era una frase che entrambi avevano imparato a memoria ormai da parecchi anni. Se non si era il cardinale reggente si doveva rimanere in silenzio, alzati, seduti o in ginocchio. I veri fedeli ascoltavano le preghiere nella lingua antica di Kalgamesh, mentre i più annoiati si fingevano interessati pensando ad altro.
Zenyth si trovava lì, in piedi, alla destra del padre e con le spalle rivolte alla porta chiusa, mentre osservava Astryal in ginocchio al centro della stanza, con il lungo abito bianco che lo circondava come i petali fanno con un fiore. Entrambi, in ogni caso, si scoprirono contrariati dall'assenza del terzo cardinale. Zenyth vedeva il capo chino di suo fratello trovandosi ad alcuni metri dietro di lui e percepiva lo sguardo preoccupato attraverso la testa. Conosceva quel tipo di paura: la paura di dimenticare o sbagliare un dettaglio. Non c'era alcuna punizione neanche per il più grande degli errori, come entrambi ormai sapevano bene, visto che il Dio dai tre volti perdona sempre chi si pente. Ma ormai, quasi sacerdoti, non era il caso di commetterne dal loro punto di vista.
Ci vollero diversi minuti prima che la cerimonia arrivasse quasi al termine, quando la parola passò ad Astryal. Alazog, il primo dei tre cardinali, si voltò verso il ragazzo, diviso da lui solo per qualche gradino, tenendo l'alto e candido copricapo da sacerdote tra le mani con estrema cura.
-Copre la testa affinché gli abomini non possano toccare la tua mente.- disse nell'antica lingua senza nome.
-'Che il mio cuore è protetto dalla mia fede e dalla mia forza.- aggiunse il ragazzo con tutta la sicurezza che riuscì a trovare. Il cuore gli si era fermato di colpo, sapendo che, in quel momento, non avrebbe dovuto titubare. Zenyth, alle sue spalle, prese un profondo respiro di sollievo, non appena sentì quelle parole venire dette senza alcun intoppo.
-E quando Kalgamesh ti porgerà la mano...-
-...Io sarò pronto a lasciare queste spoglie mortali, per ottenere la gloria eterna al suo fianco.- concluse Astryal abbassando il capo ancora più.
Alazog portò il cappello sopra la testa, scendendo quei pochi gradini e giungendo di fronte al ragazzo. -Con il potere conferitomi e con la mia nomina, ti investo con il titolo di sacerdote della Chiesa del Dio Kalgamesh. Titolo che ti accompagnerà anche quando la tua fede lascerà queste mortali carni.- affermò adagiando il copricapo sulla testa del ragazzo, che deformò il volto in una smorfia di dolore. Inizialmente pensava che fosse solo stretto e che il cardinale lo avesse spinto troppo contro le sue tempie, ma la sensazione di bruciore era distinta e netta.
Zenyth alzò un sopracciglio quando vide del fumo grigio chiaro levarsi dalla testa e dagli abiti di Astryal, che cominciò ad ansimare. Si accorse che anche suo padre, Zalomon, osservava il centro della cappella confuso, credendo si trattasse di un gioco di luci o qualcosa di simile. Astryal si erse sulle ginocchia e posò il piede destro a terra, accompagnato dal respiro affannoso ed il cuore che batteva all'impazzata. Erano causati da una sola idea, l'unica cosa a cui non aveva pensato.
Si alzò di scatto, facendo volare via il cappello e cominciando a togliersi febbrilmente i lunghi vestiti, strappandoli quando sentiva troppa resistenza. I neri capelli ordinati si erano sciolti cadendo sulle spalle, diventando argentei in pochi secondi, come se il colore fosse versato in quello stesso momento da un recipiente invisibile. La pittura gesso si era scurita, divenendo color mattone e facendo sembrare i disegni cicatrici molto accurate e precise. Zenyth osservava la scena incredulo e terrorizzato quasi quanto lo stesso Astryal. Non sentiva dolore, o per meglio dire non ci stava facendo caso. Sperava solo di svegliarsi, in qualsiasi momento, nel suo letto umido di sudore. -I...io... non sono... io...- Si guardava le mani e le braccia disperato, non sapendo cosa pensare né tanto meno cosa dire. Vide solo il cardinale Alazog cambiare drasticamente espressione. Non spaventata, ma severa, quasi delusa. Lo guardava come gli avevano insegnato a guardare un Arkano.
Il pugno di Shydow era fermo mentre le cinghie rosso acceso tenevano il ciclope immobile, a pochi passi dai due. Lo sguardo di Tyrell rimaneva fermo sull'incantesimo di vincolamento, mentre quello della sorella viaggiava lungo le funi, facendo avanti e indietro rapidamente.
-Spostatevi da lì! È pericoloso!- gridò Shydow muovendo repentinamente il braccio verso sinistra, capovolgendo il gigante e costringendolo a terra, dove si divincolava speranzoso di liberarsi. Lysandra non se lo fece dire due volte e prese il Tyrell per una spalla, trascinandolo e allontanandolo dalla locanda. -Bene, ora siamo solo noi due mi lasci carta bianca o facciamo finta che sia un duello alla pari?- ridacchiò il ragazzo aprendo la mano. I vincoli scomparvero, dissolvendosi nell'aria come fumo colorato, e permettendo al ciclope, parecchio confuso, di rialzarsi. Neanche il tempo di rimettersi pienamente in piedi, che già aveva cominciato a caricare il ragazzo, con molta più grinta di quella appena usata verso la taverna parata dai due fratelli.
-BASTA!- esclamò Tyrell. La parola era uscita dalla sua bocca quasi da sola, senza che lui potesse controllarla.
Lysandra avrebbe assunto un'espressione confusa verso di lui, non avendo mai sentito un tono simile da parte sua, ma la sua attenzione era stata completamente catturata dal ciclope, se così si può dire. Lo stesso, infatti, era scomparso nel nulla subito dopo la parola del ragazzo, come era stato per le cinghie dalla mano di Shydow. Quest'ultimo osservava Tyrell allungando con un lungo sorriso soddisfatto sul volto.
-E finalmente, dopo quasi un anno e mezzo, eccoci qua.- sussurrò guardando il cielo. Non ci aveva fatto caso fino a quel momento: era una bella giornata. -Mi restano trenta giorni.-
Chi era rimasto fermo, in ginocchio a pregare, o aveva preferito nascondersi a scappare, si avvicinava lentamente al ragazzo, incuriosito da quello che aveva appena visto e sperando che non fosse ciò che pensava. Non molti erano riusciti a vedere interamente la scena, ma la descrizione, ridotta ad un sussurro viaggiava rapidamente da bocche ad orecchie.
Dalla folla spiccava una persona sulle altre, mentre si avvicinava a passo spedito. Shydow non conosceva il suo nome, ma bastava guardare le lunghe vesti candide oro e panna per fargli capire che fosse un uomo della Chiesa, probabilmente un parroco. Ciò, tuttavia, non gli fece perdere il sorriso, che però muto fino ad un piccolo ghigno.
-Nel nome del Dio dai tre volti, ti ordino di metterti in ginocchio.- ringhiò lui mettendosi in mano un lungo contapreghiere.
-Ha davvero mai funzionato? Qualcuno ha mai fatto quello che gli dicevi con questa semplicità?- domandò beffardo alzando le sopracciglia. -È chiaro che non lo farò. Sarebbe molto più logico cercare di scappare.-
-E allora spero che il tuo tornare all'Oblio sia qualcosa di doloroso, abominio.-
-FERMO!- sbottò una voce dietro molte altre teste. Al suo suono, però, l'uomo si arrestò immediatamente, fermando anche la lunga collana ornata di palline in legno. -Gazwig, allontanati da lui.-
-Signore, lo avete visto! È chiaramente uno di quei mostri!- protestò il parroco rimanendo immobile, spostando solo di poco lo sguardo.
-Può anche essere un paio di pantaloni, per quanto mi riguarda, ha salvato comunque le nostre vite.- continuò facendosi strada e rivelandosi al giovane: era un anziano gobbo con lunghi capelli e barba grigi scuro, che si reggeva ad un basso e nodoso bastone d'ebano. I vestiti logori e poco colorati erano vecchi e tenuti insieme da numerose toppe e cuciture, mentre uno strano berretto rosso cucito forse per una banana molto grossa, vista la lunghezza, era in perfetto stato. -Voglio che tutti quanti, qui presenti, si sentano in debito con quest'uomo che ha scacciato il ciclope.-
-La prego, non dica così... mi fa sentire vecchio. Ho diciannove anni, non me li faccia anche sentire.-
-Sono diciannove anni di troppo.- borbottò in bisbigli confusi Gazwig.
-E comunque, dovete ringraziare me solo in parte, il merito è anche di Tyrell.- spiegò mettendosi le mani in tasca e accennando a lui con il capo. Ognuno dei presenti sgranò gli occhi, puntando il proprio sguardo verso il ragazzo che, a sua volta, lo dirigeva verso Shydow. -Oh, andiamo, era palese. Neanche un paio di giorni e ci sarebbero arrivati da soli.-
-Io... sarei... un Arkano?-
-Per parafrasare un bel libro ti dico: tu sei un mago Tyrell.- recitò lui soddisfatto, perdendo il sorriso quando si vide unico ad aver colto il vero senso di quella frase. -Ma esatto, sei un Arkano. Certo, credo soltanto che tu sia un mago, non è facile dirlo con così poco.-
-Tyrell non può essere un mago!- esclamò Lysandra. -Non ha mai neanche fatto finta di usare la magia!-
-E allora? Solo perché tu non sei mai salita su un cavallo significa che non sappia cavalcare? Vista l'occasione, l'adrenalina... cioè, volevo dire le emozioni, e tutto il resto, la magia ha pensato bene di schizzare fuori dal suo corpo.- spiegò Shydow gesticolando. -C'è qualche problema a riguardo?-
-Be'... insomma...-
-Sono un mostro.- interruppe Tyrell con decisione. La sorella, in realtà, non aveva idea di come continuare la frase, e Shydow, con le mani in tasca e un ghigno compiaciuto sul volto, lo sapeva. -Quelli come te uccidono persone, interi villaggi, per puro divertimento!-
-Hai idea di quanto sia stancante usare la magia? Mica sono uno che spreca energia per passatempo.- rispose voltandosi poi verso l'uomo anziano, appeso al suo bastone. -Zaahid, giusto?-
-Ehm... io in realtà non ho detto ancora il mio nome...-
-Ah, già... scusi, quando si legge nella mente delle persone si tende a dimenticare cosa si è detto. Mi chiamo Shydow Neyer, e non richiedo alcun tipo di ricompensa per ciò che ho appena fatto, al contrario di quello che lei crede. Vorrei solo pranzare e andarmene da questo villaggio, in modo anche da permettervi di proseguire con le vostre vite come se io non ci fossi mai entrato.-
-Non ho niente da obiettare.- rispose lui pacato.
-IO SÌ!- sbottò Gazwig furente prima di indicare i tre. -Stiamo davvero prendendo in considerazione di lasciar andare via questi tre mostri? Senza nessun provvedimento?!-
-Scusa, ma cosa c'entra lei?- domandò confuso Shydow accennando a Lysandra.
-È amica vostra...-
-Silenzio! Non litigare come un bambino, Gazwig! O sarò costretto a prendere provvedimenti.- gridò Zaahid sovrastando il parroco con tono furente, ammorbidendolo appena si rivolse a Shydow. -Saremo sempre in debito con te, ragazzo.-
-Allora si presenti a Kaminesh tra trenta giorni, capirà quando dover partire. Se non vi dispiace, sono in ritardo per un duello.-
Il mercante a malapena avrebbe combattuto contro una persona normale, ma duellare contro un Arkano era qualcosa che non avrebbe fatto neanche morto. Non appena il ciclope era scomparso, e quello Shydow si era fermato a parlare di fronte a tutti, era corso alle stalle, dall'altro lato del villaggio, a legare il carro ai due cavalli in fretta e furia. Normalmente sarebbe stato più rapido, ma la paura nei confronti di quello che aveva appena visto era indescrivibile. Prima si era fatto mezzogiorno all'improvviso, il ciclope era apparso dal nulla e con la stessa rapidità era scomparso sotto i suoi occhi. C'era troppa magia per i suoi gusti, e quella gli sembrava una di quelle situazioni in cui era meglio tagliare la corda.
Si sedette sulla panca nella parte anteriore del carro, afferrò le redini con mano tremante e diede un deciso e forte colpo di polso, facendo partire i cavalli.
-Appa.-
Gli animali inchiodarono, facendolo cadere dalla piccola carovana. Dopo il tonfo, cercò di mettersi in piedi il più velocemente che riuscì. Aveva riconosciuto la voce.
Estrasse un coltello dalla cinta, puntandolo verso Shydow con mano tremante subito dopo essersi voltato. -N... non ho paura di te... f...fai un altro passo e io ti...-
-Non recitare se non sai essere convincente.- disse il ragazzo usando il tono di un professore che corregge uno studente, muovendo una mano come per scacciare una mosca. Il coltello volò via dalla mano del mercante, conficcandosi in una trave della stalla. -E non usare oggetti come quello, potresti farti male.-
Probabilmente non aveva mai neanche preso in considerazione l'idea di ascoltarlo, dato che era  caduto al suolo con le mani tra la fronte e la terra. -Pietà! Sono solo un mercante, ho moglie e figli!-
-Due delle tre cose che mi hai detto non sono vere, ma non importa. Alzati.- ordinò prendendolo per un braccio, rimettendolo in piedi. -Prendo i tuoi cavalli, il tuo carro e tutto ciò che contiene. Questi dovrebbero bastare a pagare quel poco di onesto che c'è la sopra.- aggiunse mettendogli tra le mani una piccola sacca, lasciando che le monete risuonassero. Lo sguardo gli cadde sulla gabbia, e inevitabilmente sulla ragazza al suo interno, rannicchiata nell'angolo opposto che si faceva il più piccola possibile. -Le monete.-
-Come?- domandò lui in un sussurro, misurando incredulo il peso della piccola sacca.
-Ci eravamo accordati per dieci monete. Ricordi? Gli splendi? Sono le monete d'oro.- spiegò lui indicando la gabbia. Senza esitazioni lui aprì la borsa appena ricevuta, afferrando con poca attenzione alcuni splendi e lanciandoli verso la ragazza, che istintivamente chiuse gli occhi, non essendo sicura di cosa si trattasse. -Molto bene, la città da cui ti conviene ricominciare si trova a ventiquattro miglia in quella direzione. Un piccolo borgo senza molta criminalità. Ti conviene avviarti se vuoi arrivare prima del tramonto.-
Non se lo fece ripetere due volte, anche se per poco non se ne andò prima ancora di lasciargli il tempo di finire la frase. Con le monete ben strette in pugno, cominciò a correre verso il sentiero che gli aveva indicato Shydow, con passo decisamente più svelto di quello che il ragazzo sarebbe stato in grado di immaginare su quelle gambe.
In pochi passi si portò alle spalle del carro e salì con un piede alla volta, non degnando di sguardo ogni oggetto lasciato disordinatamente. Si chinò di fronte la gabbia, portando lo sguardo sulla serratura.
-Sasam.- sussurrò, sentendo poi un distinto suono metallico. Afferrò le sbarre, le fece scorrere verso l'alto e aprì la gabbia. Chinato, fece qualche minuscolo passo verso la ragazza, ancora più rannicchiata sperando come di riuscire a sfuggirgli, schiacciandosi contro la parete opposta.
Lui sospirò. -Tu... sei davvero molto forte...- commentò senza riuscire a tenere lo sguardo. Lei intravide un paio di occhi lucidi sul suo volto, ma preferì non interrompere il suo silenzio. -Riesci a capire quello che dico?- Lei annuì. -Sai chi sono?- Scosse la testa, titubante. -Sai cosa sono queste?- domandò portando una delle monete, molte più di dieci, di fronte agli occhi. Annuì di nuovo. -Sai come ti chiami? Potresti dirmelo, per favore?-
-Alyx.- sussurrò lei.
-Ciao Alyx, io sono Shydow, Shydow Neyer.- si presentò lui con un sorriso. -Secondo te voglio farti del male?-
-No... direi di no...- rispose, quasi confusa dalle sue stesse parole.
-Esatto. Io non ho intenzione di farti del male.- rispose avvicinandosi di qualche minuscolo passo, contento di non vederla più molto spaventata o intenta ad indietreggiare. -Vorrei che tu venissi con me per un po'. Mi piacerebbe prendermi cura di te finché non crederai di poter... continuare da sola.-
-Perché vuoi farlo?- domandò con voce rotta. Dopo alcuni istanti di silenzio decise di alzare lo sguardo, puntando gli occhi verdi su quelli viola del ragazzo.
-Forse sono semplicemente gentile.- scrollò lui le spalle. -Ma... diciamo che... devo un favore ad una persona.- aggiunse vago, rimettendosi in piedi. -Da qualche parte troveremo qualcosa di meglio di quegli stracci.- sorrise porgendole una mano. Alyx non ricordava molto, ma non rammentava di una sola occasione in cui qualcuno le avesse posto la mano con tanta gentilezza. La afferrò con le poche energie che riuscì a trovare, appoggiandosi a lui non appena alzata. Le gambe erano stanche e prive di forza, colpa forse di tutti quei giorni passati seduta o sdraiata. Shydow la reggeva senza sforzo, tenendola con delicatezza, timoroso della sua fragilità. -A quanto pare non sono l'unico ad aver saltato la cena.- ridacchiò.
--__--
Bella maghi,
chiedo a scusa, mi sono accorto in ritardo di non aver messo la storia anche qui ^^.
A breve dovrebbe arrivare anche il nuovo capitolo di Drunk, se ho avuto la decenza di pubblicare gli altri capitoli pure qui (che testa...).
Twittatemi che io vi twitto i miei capitoli XD: https://twitter.com/FFMaxCasagrande
Scripta blog, il sito con cui sto mandando avanti la collaborazione che ha anche l'esclusiva di “Ars Arkana”: https://www.scripta.blog/
Sono sempre alla ricerca di Beta-tester. Quindi, se volete, fatevi avanti!
Se avete un po' di tempo, fatemi sapere cosa ne pensate di questo capitolo con una recensione o un commentino qui sotto, mi fa molto piacere XD. (E poi divento più bravo!)
Se vi va condividete il capitolo, così divento famoso!!! \(^o^)/ (mai vero, ma comunque apprezzo :P).
0 notes
ginevra-malcolm · 7 years
Text
Chapter 60 - Palafitta dei sogni, Metairie & Lake View
Ginevra
E' ferma sul pontile, nei pressi del cancello. Indossa il vestitino giallo con polsini e collo bianco, entrambi stile camicia. Ai piedi gli anfibi allacciati per bene e vista la temperatura un cardigan lungo quanto il vestito, lasciato aperto, verde. Ha a tracolla una borsa rossa di pelle morbida, e posata ai suoi piedi c'è una busta abbastanza voluminosa. All'inizio del pontile, verso la ferrovia, è parcheggiata la bicicletta. Eh si, nonostante il vestito e nonostante la busta, è arrivata in bicicletta. Non ha le chiavi, l'unico mazzo lo ha Malcolm, quindi ora lo sta attendendo. Non era stata proprio programmata questa serata, ma dopo la telefonata avuta in mattinata con Lucille, ha passato una giornata tesa. Non per la telefonata in sé, che ha superato ogni sua aspettativa, ma per il modo in cui è stata fatta. Ancora adesso è tesa e l'espressione del viso è seria, leggermente accigliata, certo il buio non favorisce la visuale dell'espressione che ha a meno di raggiungerla. Dovranno provvedere a illuminare il pontile per poterlo attraversare in sicurezza una volta calato il sole, certo, annuisce a questo pensiero.
Malcolm
Ginevra avrà dovuto aspettare ovviamente il tempo che Malcolm ha impiegato per recarsi da casa sua a quella  nuova sul lago, che non dista poi molto. Oggi tra l’altro ha anche provveduto a fare una copia delle chiavi, e ora, dopo essere arrivato col solito accompagnamento dell’agente di scorta che è rimasto indietro con discrezione, sta attraversando i binari. Indossa un soprabito grigio dato che la temperatura è piuttosto fresca e sotto di esso un completo scuro, una camicia azzurrina e una cravatta rosso cupo con delle strisce laterali azzurrine, quasi dello stesso colore della camicia. Tiene le mani nelle tasche dei pantaloni, osserva Ginevra dopo averla individuata vicino al cancello, l’espressione del giornalista è seria ma tranquilla mentre si avvicina a lei, senza immaginare nulla ovviamente, col suo passo quasi stereotipato, un po’ rigido. «Buonasera» la saluta con affettuosa compostezza, tagliando le distanze e tirando subito fuori il mazzo di chiavi di Ginevra a cui ha abbinato un piccolo  portachiavi a forma di farfalla, fatta di stoffa, bella colorata. Ovviamente un regalino per lei, che le consegna con quella sua solita aria enigmatica e statuaria ma gentile. «A te l’onore oggi.» aggiunge, indicandole in cancello con un gesto misurato della mano.
Ginevra
Sorride nel veder arrivare Malcolm, spontaneamente, come se il resto fosse cancellato dalla sua sola presenza. Sta ancora sorridendo quando la raggiunge «Ciao...» risponde al suo saluto e accoglie con un rinnovato sorriso le chiavi e il portachiavi che rigira tra le mani qualche momento «grazie» lo dice ancora osservando l'oggetto, assorta, e con tono sincero, rialza lo sguardo su di lui e annuisce quindi apre il cancello e prende la busta posata a terra. Superato lo sbarramento attenderà che anche Malcolm sia passato per richiuderlo alle loro spalle. Procede quindi verso la casa e vi accede precedendo il giornalista «Come è andata la giornata?» domanda mentre fanno quel tragitto che li conduce prima in casa, poi sulla terrazza, dove ci sono il divano in vimini e il tavolo sempre in vimini. Non ha acceso le luci nella casa, ma solo quelle esterne che illuminano soffusamente la terrazza. Appoggia la busta vicino al tavolo e subito ne tira fuori un plaid abbastanza grande che appoggia sul divano «ho portato anche una coperta» poi si dedica a tirare fuori altre cose dalla busta, tutte confezioni di vario cibo giapponese, e il necessario per mangiare: tovaglioli, bacchette, ciotole per la salsa di soia, bicchieri, una bottiglia di vino, l'apribottiglia. Dispone tutto sul tavolo, ordinatamente ma senza riuscire in alcun modo ad eguagliare l'ordine con cui lo farebbe lui.
Malcolm
Scuote leggermente il capo al ringraziamento: «E’ anche casa tua. Devi assolutamente avere le chiavi.» giustifica placidamente. Si domanda cosa ci sia nella busta voluminosa, ma lo tiene per sé, come la sua educazione vuole. La segue verso la casa, silenzioso un po’ come al solito, forse pensieroso nell’osservarla, e risponde: «Bene. Mi sto spartendo fra l’FBI e l’organizzare il trasloco. A tal proposito, per domani ho la disponibilità del team di ingegneri per verificare la struttura della casa. Ci metteranno alcune ore, non so esattamente quanto, ma sarò qui con loro.» la informa con una punta di soddisfazione. «Tu invece come stai?» le domanda con sincero interesse, abbozzando un vago sorriso, affiancandola nel loro cammino verso la terrazza anche se sta giusto un passo dietro a lei. Giunti al divano e al tavolo di vimini in terrazza, si gode un po’ l’ambiente, l’assoluta tranquillità del luogo, la presenza di Ginevra, le luci soffuse, una vera fonte di serenità. E’ in effetti rivolto verso il lago ormai scuro come la notte, assorto per qualche momento con un’espressione da cui forse fa capolino quel Malcolm di altri tempi, nell’ascolto del lieve suono dell’acqua e degli animali – uccelli più che altro – che di certo non mancano. Ma viene subito distolto quando Ginevra inizia a tirare fuori dalla busta plaid, coperta e cena. «Oh.. hai portato molte cose direi.» commenta con una leggera sorpresa, passando una mano sul mento ed avvicinandosi prontamente per esserle d’aiuto. «Per fortuna non ho portato la pizza allora. Mi ero fermato per prenderla ma poi non sapevo che gusto ti piacesse o se avessi già cenato…» commenta, lasciando la frase in sospeso, forse un po’ in imbarazzo nel ripensare al modo in cui l’ansia di poter prendere una decisione potenzialmente sbagliata ha paralizzato la decisione stessa, portandolo qui a mani vuote. Motivo ora di un certo disagio, con cui cerca di affiancarsi a lei, per prendere posto sul divano coperto dal plaid solo quando Ginevra a sua volta lo farà. Intanto fissa le cose disposte sul tavolo, trattenendo l’istinto di metterle ancora più ordinatamente.
Ginevra
Sistemato tutto, si siede sul divano, sistemando il plaid perchè possano metterlo entrambi sulle spalle, lei effettivamente ci si arrotola per metà, lascia comunque le mani libere per poter mangiare, ascolta il suo programma per l'indomani e annuisce «bene, speriamo che non trovino nulla di grave» riferendosi alla stabilità della casa. Evita la domanda sul come sta, ma gli sorride «non preoccuparti, per la pizza» ovviamente nota il suo disagio «è casa tua, non devi comportarti come farebbe un ospite» il tono è quello di chi indica che non è necessario farlo «Mangiamo?» aggiunge poi indicando il tavolo. Resta in silenzio mentre apre le varie confezioni per poi porgergli le bacchette, con lo sguardo che non si ferma mai su Malcolm. «Ho parlato con tua moglie» e si ferma a metà del gesto di mettere nel piatto delle alghe, corrugando appena la fronte. Evidentemente non voleva dirlo, non almeno in quel momento e non così, stava pensando a vari modi in cui dirlo e quello è solo sfuggito ad alta voce. Proprio come quei pensieri che le sfuggono tra una cosa e l'altra.
Malcolm
Non sembra aver bisogno del plaid, lui è piuttosto coperto avendo anche il soprabito, quindi lo lascia tutto a lei. «Vedrai che sarà tutto a posto. E’ solo una precauzione.» una paranoia. Sembra sereno nel dirlo, d’altronde sta parlando del suo sogno di una vita. Poi annuisce agli appunti di Ginevra sulla pizza e sul suo disagio, non dice niente, meglio di no, perché l’ansia raddoppierebbe. Cerca di non pensarci e mentre si siede sul divano, risponde: «Sì, mangiamo. Grazie per aver procurato la cena.» aggiunge con sincerità ed educazione. Prende le bacchette e le osserva, forse in modo un po’ buffo, pensando intensamente a quanto sia incapace di usarle. E’ proprio mentre è immerso in questo pensiero che gli arriva quella frase, con giusto pochi attimi di scarto per realizzarla. Alza lo sguardo su Ginevra, gli occhi lievemente sgranati, la fronte un po’ contratta, è confuso più che altro sul come reagire. Nel dubbio, dopo aver abbassato lo sguardo, posa le bacchette con estremo ordine davanti a sé, su un tovagliolo, come poserebbe forchetta e coltello tanto per dire. Elabora in silenzio, molto teso, iniziando ad ordinare compulsivamente tutto quello che trova davanti, in modo abbastanza nevrotico, un’espressione molto seria in faccia, anche se non arrabbiata. Più triste. «Che ne pensi di lei? Sta bene?» domanda, mormorando mentre allinea e sistema con frenesia. «Perché?» domanda in aggiunta, riferendosi al perché abbia dovuto parlare con lei.  
Ginevra
La sua reazione la preoccupa più che se si fosse messo a gridare, ovviamente non ha idea di cosa possa aver procurato in lui la cosa e, diciamolo, anche il modo in cui gli è stata comunicata. Deglutisce e lascia le alghe nel piatto, abbandonandole insieme alle posate utilizzate per prenderle. Resta in silenzio ancora qualche istante, nella sua mente, ora, tutti gli altri discorsi non esistono più. E' imbarazzata, preoccupata e generalmente a disagio «mi è sembrato stesse bene e...» inizia a parlare in un mezzo mormorio, tesa «...è stata molto gentile e ...» cerca il termine per proseguire «amichevole» Espira poi lentamente all'ultima domanda, quella almeno se l'aspettava «perché avevi bisogno di tempo e ...» si gira verso di lui, davvero incerta nel parlare «...lei non lo sapeva» nonostante l'incertezza, nella voce c'è anche una certa apprensione, ma quanto dice è la semplice verità.
Malcolm
Non guarda più Ginevra, la ascolta e quando ha finito di ordinare gli oggetti posa le mani sulle gambe e inizia a picchiettarci di sopra le dita, un paio di volte va a riassettare il nodo della cravatta. La sua espressione non muta né apre bocca per vari istanti, però inizia a farsi più pallido e a deglutire nervosamente, respirando in maniera più frammentaria e rapida. «L-l-lei è g-gentile.» balbetta ed annuisce, probabilmente è agli esordi di un attacco di panico. Deglutisce di nuovo e per la terza volta sistema il nodo della cravatta. «I-io non h-h-ho bis-bisogno d-d-di tempo…» balbetta ancora, annaspando aria velocemente, con gli occhi molto lucidi e un diffuso tremore in tutto il corpo per via della tensione. «E’ s-s-stata col-colpa mia…» dice alzandosi in piedi quasi di scatto ma barcollando un po’ e cercando di sistemare il nodo della cravatta che ora gli rende solo una sensazione di soffocamento. Cerca di camminare un po’, lentamente e senza un equilibrio troppo convincente.
Ginevra
Annuisce alle sue prime parole «lo so...» sempre mormorato. Corruga poi la fronte, ma non fa in tempo a rispondere alle parole seguenti, perché lui si alza. Lo fa anche lei, immediatamente dopo di lui, lasciando andare la coperta per raggiungerlo e provare a fermarsi davanti a lui, abbastanza vicina da sorreggerlo, come aveva fatto all'acquario, toccandolo in maniera lieve, un sostegno più psicologico che fisico «mi.. mi.. mi dispiace» davvero preoccupata e dispiaciuta «non volevo farti star male, io...» la voce si incrina e afferra il labbro inferiore tra i denti. Cercherebbe quindi di portare le mani verso la cravatta per allentarla e liberarlo. Non approfondisce quella sua ammissione di colpa, lascia che sia lui a proseguire se vuole o se ne sente il bisogno «respira con calma...» aggiunge in un mormorio, con il pianto nella voce, perchè si sente responsabile e perché lui sta evidentemente male a causa sua e perché non sa bene cosa e come farlo.
Malcolm
Si ritrova di nuovo Ginevra davanti, per cui si ferma e continua a cercare aria nervosamente, chiudendo gli occhi e poggiandosi un poco a lei. «N-n-non … non è c-colpa tua» biascica lentamente, sentendosi morire dentro anche a livello fisico, quel senso di morte imminente provocata dagli attacchi di panico. Lascia che Ginevra allenti la cravatta, mentre lui continua  a mormorare: «Ora p-p-passa…» una sorta di auto-rassicurazione, perché ha almeno questa sicurezza: che si tratta di una cosa transitoria. Annuisce nervosamente al consiglio di respirare con calma, mentre le lacrime iniziano a scivolare via automatiche. «E’ p-pa-patetico… e i-imb-imbarazzante…» dice con rabbia contro se stesso, scuotendo il capo e singhiozzando e respirando contemporaneamente. Cercherà di muovere qualche altro passo e se può sostenersi un poco a Ginevra lo fa. «I-io le h-h-ho f-fatto del-le pr-promesse…» argomenta piangendo e cercando di imporsi una respirazione più regolare, ma fatica. Trema come una foglia e il cuore probabilmente gli si può sentire dalla pelle: «Ero d-d-diventato un-un’altra p-persona… n-n-non le par-» annaspa come se stesse annegando in mezzo a quel lago che hanno attorno «parl-avo più… N-non ero p-più l’u-omo che a-a-aveva spos-ato…» dice, continuando a piangere. In quel momento ci pensa e guarda Ginevra ammutolendosi: «S-S-scusa» e scuote il capo, senza più dire niente, concentrandosi solo a respirare lentamente e con calma.
Ginevra
Allentata la cravatta, se possibile, sbottonerà anche i primi bottoni della camicia di Malcolm. «Si invece...» risponde piangendo, per poi afferrare il labbro inferiore tra i denti per trattenersi. Lascia che possa muoversi di qualche passo standogli accanto, in modo che possa sostenersi a lei. Scuote appena il capo alle sue scuse «lei.. lei non è arrabbiata con te, è solo preoccupata» non lo sta guardando, tiene il viso basso. Solo dopo qualche istante alza lo sguardo su di lui e la mano destra sale ad appoggiarsi alla guancia di Malcolm per asciugarne le lacrime. Si sente in colpa per averla chiamata e proprio a seguito del pensiero che non avrebbe dovuto, come se lui le avesse mosso proprio quell'accusa, «voglio solo che tu stia bene»
Malcolm
Ginevra non incontrerà alcuna resistenza nello sbottonare un po’ la camicia. Lui continua a scuotere il capo, negando che sia colpa di Ginevra. «L-lo so» sussurra, dopo aver sentito che Lucy è solo preoccupata. «I-io s-s-sono arrab-biato c-con me… me stesso.» balbetta, prendendo aria dopo questa frase particolarmente tesa e quanto mai veritiera. Permette a Ginevra di asciugare le sue lacrime e alza anche lui la sua mano per fermare quella della donna sul proprio viso, poi prenderla e lentamente portarla vicino alle sue labbra, per baciarla. Annuisce alla sua ultima frase «Ti amo» le ricorda in modo sofferto, ad occhi chiusi, riponendo in lei la speranza di ricominciare, di ricostruire anche quando gli sembra di non volerlo più fare o di non averne le forze. «Sei un-una p-persona bella. N-non è solo p-per essere a-a-accettato…» le ricorda ancora, riprendendo le parole che Ginevra gli aveva rivolto prima che lui se ne andasse. Cerca di stringere la sua mano, mentre progressivamente si calma, riesce a respirare in modo più regolare.
Ginevra
Annuisce appena a quella ammissione su se stesso «passerà...» lo dice con tutta la speranza che sia vero che riesce a metterci «e allora la chiamerai». Socchiude appena gli occhi al bacio sulla mano e abbrevia la distanza tra loro, per appoggiarsi al suo petto, le mani si infilano sotto il cappotto di Malcolm per andare ad appoggiarsi sulla schiena dell'uomo, stringendolo in un abbraccio «anche io ti amo, ogni istante, ad ogni respiro» appoggia le labbra sul suo collo, per un bacio delicato «lo so...» a tacitare la sua frase sull'essere accettato, parole che lei stessa gli ha detto e che ora le sembrano estranee
Malcolm
Assente a sua volta cercando anche lui di convincersi che un giorno riuscirà a perdonarsi per una non ben definita colpa. «Sono c-c-contento che t-tu l’a-a-abbia chiamata.» rivela, annuendo alle sue stesse parole, mentre Ginevra lo abbraccia e questo aiuterà nel calmare quel tremore e quella tensione presenti in ogni muscolo e che la donna potrà avvertire nettamente. «Ho solo… paura, una s-s-stupida paura.» come potrebbe spiegare altrimenti il terrore che questa chiamata abbia palesato il “tradimento” anche agli occhi della moglie, rendendolo un “adultero”, uno che ha infranto le regole, a prescindere da ogni reazione altrui, che per altro è stata del tutto positiva? E’ ovviamente un’ossessione irrazionale e nient’altro. La stringe anche lui in un abbraccio più forte del solito, benché mantenga in ogni caso quella delicatezza che le riserva.  Cercherà di baciarla anche lui sul collo, con cautela, per poi cercare un bacio sulle labbra, intenso, “arrabbiato”.  Dopo quello proverà ad accantonare tutto quello che è successo, sforzandosi di mangiare anche se non ha per niente fame, più che altro per sdrammatizzare il momento dando prova della sua irrecuperabile goffaggine con le bacchette. Forse riderà pure all’inutilità dei tentativi di prendere  le bacchette correttamente ed usarle.
Ginevra
Accarezza la sua schiena, con una leggera pressione, a voler simbolicamente sciogliere quella tensione che avverte «passerà...» gli sussurra «passerà anche la paura» sospira a quel tocco delle labbra sul proprio collo ed esita solo un istante quando lui cerca le sue labbra, l'istante necessario a guardarlo negli occhi. Ricambia il suo bacio con passione e con l'intensità dell'amore che sente per lui. Proverà poi a prolungare quell'abbraccio per qualche minuto prima di tornare al divano e alla coperta che proverà, contro tutte le resistenze, a mettere anche sulle sue spalle, adducendo divertita questioni sull'età, i reumatismi, le polmoniti, il morbillo -che non c'entra molto, ma fa scena buttato lì in mezzo-. Proverà a mostrargli più volte come usare correttamente le bacchette e se lui riderà, nel ripetersi dei tentativi falliti, resterà con un leggero sorriso a guardarlo, assorta in quel divertimento dell'uomo come fosse il miglior panorama della natura. Dopo cena si appoggerà a lui, per restare ancora qualche ora a godere del silenzio della città, dei suoni semplici della natura lacustre, bevendo il vino. Suggerirà le luci per il pontile all'ingresso e per il lungo pontile che va verso il lago, così che il lago stesso, almeno in parte, sia visibile anche di notte.
0 notes