"Una vita difficile’ di Dino Risi è da sempre uno dei miei film preferiti. Ciò che non sapevo è che il tedesco che sorprende il partigiano interpretato da Sordi si chiamava Borante Domizlaff ed era un vero nazista. Non uno qualsiasi, ma un maggiore delle SS che agli ordini di Kappler sparò alle Fosse Ardeatine. Dopo la guerra fu imprigionato al Forte Boccea di Roma con Kappler e altri ufficiali nazisti. Cera anche il comandante della X° MAS Valerio Borghese. Dopo un fallito tentativo di evasione furono trasferiti a Regina Coeli e accolti con saluti e slogan dai fascisti detenuti. Il 20 luglio 1948 Kappler fu condannato all'ergastolo e Domizlaff assolto per aver agito "senza la consapevolezza di eseguire ordini illegittimi." Si convertì al cattolicesimo con l'obiettivo di uscire dal carcere e ci riuscì sposando una ragazza italiana, trasferendosi così a Roma. Non ha mai utilizzato nomi falsi e il suo indirizzo era pubblico, anche se portava a una società di produzione cinematografica per la quale forse lavorava. Lo collega al passato una foto scattata nel 1961 per la comunione della figlia. Assieme a lui c'è Mina Magri Fanti, madrina e vicina di casa, ma anche militante dei movimenti neofascisti, era lei che si interpellava con Kappler quando era detenuto. Celebrò la funzione Alois Hudal, il vescovo seguace di Hitler che nascondeva e aiutava i nazisti in fuga. Nella foto c'è anche Vittoria Vigorelli, che lavorava nel cinema come segretaria e forse fu il tramite per introdurre Domizlaff nell'ambiente. L'ex SS recitò anche in ‘La ciociara’ che valse a Sofia Loren l'Oscar come miglior attrice, in ‘Tutti a casa' di L. Comencini e in altri film. Non fu l'unico nazista a interpretare se stesso nei film italiani del dopoguerra. Assurdo che nessuno si sia accorto o abbia sorvolato sulla presenza di un criminale tra le comparse, anche perché lo sceneggiatore de ‘Una vita difficile' era Rodolfo Sonego, ex comandante partigiano che per il film si era ispirato alla propria vita, inserendo tra le comparse amici, conoscenti e, forse senza saperlo, un assassino nazista mai pentito.
Amava telefonare, girava sempre con un sacchetto pieno di monetine per telefonare. Sembrava essere il suo rito, per scaricarsi dalle tensioni accumulate dal post ciak. Amava cercare, ma meno essere cercato. Amava prestare l'attenzione altrove, nei gesti semplici di comporre il numero e aspettare che qualcuno, dall'altro capo del telefono, rispondesse al suo "pronto, ciao!"
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Benvenuti o bentornati sul nostro blog. Nello scorso articolo abbiamo continuato a parlare dei film animati della DreamWorks, arrivando non solo al loro settimo lungometraggio ma anche al loro ultimo film con tecnica tradizionale ossia Sinbad – La leggenda dei sette mari. La storia parla di Sinbad, un pirata che dopo essere caduto in mare viene salvato da Eris, dea della discordia, che gli…
Marcello era la disintegritá morale, in una onestà perfettamente integrata in sé stessa. Era l'accettazione di un limite convenzionale, lo stupore infantile dinnanzi ad un errore, ad una sofferenza. Era l'ambigua emotività, alla ricerca di calore, di un istinto. Era il suo stesso istinto. Marcello non era il compromesso, la pazienza, il raziocigno e l'ostilità. Era l'esplosione costante, l'accettazione di un limite, il riconoscimento dello stesso. Era il viaggio e il ritorno, l'egoismo puerile e adulto, la furbizia bambina, era la sua meraviglia e il disincanto, la libertà. Marcello era il suo stesso schema, dove ci si rintanava per generosa vigliaccheria. Era l'osservatore acuto, il turista alla ricerca di se, e di mille altre cose, che nemmeno lui sapeva. Marcello era libertà gentile, inopportuna per la sua opportunità, come una nota stonata in un lento jazz ma opportunamente adeguata per fare la differenza. Era metà del peccato, e del peccatore aveva coscienza. Lui era quello a cui credeva, assenza vivace e presenza generosa. Marcello, era andata e ritorno perché nel mezzo c'è spazio aperto per l'attesa, alimento di istinto, passione, emotività, passività. Era fedeltà non canonica, dogmatica, antica. Era lucidità morale vestita da immoralità agli occhi altrui. Era cinismo felice, che scuote, contrasta, ammazza lo schema; dirompente nella sua apatia, era il giusto risultato di un equazione non risolta, rispiegata, rivista e rinnegata. Era contrasto acceso non lasciato al caso, il "si per sempre" a cui non credere, era la stoicità e la viltà, era un viaggio celebrale, seduttivo che si lascia fraintendere, era Edipo e la Sfinge, un mondo da attraversare con la leggerezza di un viandante che vorrebbe restare. Era l'abbandono e la rivolta, la meta a cui dava la scelta: prendere o lasciare.
"Accettami così come sono, la vita è una festa, viviamola insieme" cit. 8½