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#anello minimale
paolo-redaelli · 9 months
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Il mouse a clip che si indossa come un anello
Sembra una figata colossale! Qualcuno ha avuto modo di provarlo? Firefox e Pocket, grazie per il suggerimento!) Minimale e leggerissimo, il nuovo dispositivo lanciato su Kickstarter da Marcin Szastałło accorcia lo spazio tra mano e Pc Source: Il mouse a clip che si indossa come un anello | Elle Decor
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manuelbozzi · 1 year
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“Il Berbero” un anello semplice nella costruzione, comodo e minimale. La fine pallinatura a linee parallele ricorda la minuziosa lavorazione degli anelli berberi. Segno indelebile di fedeltà e onestà. Il gioiello è realizzato in Argento 925 brunito e lucidato ad esaltarne i dettagli. 🌟€175,00🌟 .. #manuelbozzi #argento925 #sterlingsilverjewelry #fattoamano #jewelry #jewels #jewel #gemstone #bling #instajewelry #jewelrygram #handmadeinitaly #sterlingsilver #gioielli #madeinitaly #handmade #berbero #ring https://www.instagram.com/p/CmwZAGAsxCj/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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dikua-jewelry · 3 years
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sciatu · 6 years
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MERCATI SICILIANI
L’UOMO CHE VENDE EMOZIONI E LA SIGNORA IN ROSSO.
Come ho detto in un mio post precedente, ho un piccolo banco nel mercato di C…. dove vendo emozioni. Sebbene l’articolo non sia facile, ho una discreta clientela e non mi posso lamentare. Ad esempio, tra i miei clienti fissi c’è La signorina Elisa a cui racconto ogni volta il suo matrimonio, ogni volta in un luogo o con un uomo diverso e che chiede dettagli, sul suo vestito da sposa vergine, sul profumo di lui, la forma del volto, i colori degli occhi, l’altezza, gli invitati, la cerimonia, i fiori in chiesa, ed ogni volta se ne va dal mio banco ripetendo a se stessa il suo nome da sposata quasi fosse un titolo nobiliare “La Signora Elisa Calabrò in Pe-rez…- oppure – la Signora Elisa Calabrò in Man-ga-na-ro ….”. Oppure c’è il signor Patanè a cui descrivo il momento in cui avrebbe sedotto la sua vicina,  la vedova Randazzo che lui amava da anni senza saperglielo dire; così lo vedo arrossire ogni volta che gli racconto come in un giorno di pioggia, sul pianerottolo di casa, lui l’avrebbe abbracciata e mentre lei cercava debolmente per via delle convenzioni, dell’età di sottrarsi alla sua stretta, lui l’avrebbe finalmente baciata, con l’impeto di un diciottenne, con la voglia di un amante segreto e lei alla fine avrebbe corrisposto al suo bacio lasciandosi andare tra le sue braccia. Anche qui erano importanti i particolari: il rossetto rosso scuro sulle labbra di lei, il seno ansimante che si intravedeva tra la camicetta sbottonata, il profumo costoso, la sua schiena nervosa, il suo stringersi a lui fino a diventare un'unica entità nella penombra del pianerottolo. C’era poi Filippo, che non aveva mai conosciuto il padre e a cui racconto di come un giorno qualunque un uomo sarebbe apparso sulla porta del suo negozio, vestito in maniera esotica, da marinaio o da turista americano con pantaloncini, maglietta e macchina fotografica o con un vestito bianco come un avventuriero sudamericano e quando lui avrebbe alzato gli occhi dal pantalone che stava cucendo, si sarebbe specchiato in due occhi eguali ai suoi che in lui cercavano una storia mai vissuta eppure sempre cercata, un’anima mai conosciuta eppure nota, un amore mai dato eppure sempre pensato. Oppure infine la signora Mela a cui raccontavo la laurea o il fidanzamento o il matrimonio del figlio che non aveva mai avuto e che con me rivedeva per come il suo cuore insaziabile di madre lo avrebbe voluto, o di come la sua anima soffocata dalla solitudine voleva immaginarlo. I giovani subiscono le emozioni, le persone mature le cercano, gli anziani le ricordano, tutti le desiderano perché le emozioni sono il vino della vita e segnano quanto abbiamo vissuto, quanto vorremmo vivere. Per questo non mancava mai qualcuno pronto a sedersi al mio piccolo banco, in cerca di un sogno e, grazie ad esso, di un’emozione.  
Ormai ero abbastanza conosciuto sia tra i colleghi venditori che tra i frequentatori abituali del mercato e quest’ultimi, ovviamente si dividevano tra chi mi riconosceva come un mavaro (mago) e quelli che viceversa mi pensavano un truffaldino millantatore. A quest’ultima schiera apparteneva anche una donna elegante che regolarmente visitava il mercato, forse più per il piacere di sentirne le voci ed ammirarne i colori piuttosto che per una reale necessità. La prima volta che la vidi mi passò di fronte, senza neanche vedermi, con un cappello di paglia, un vestito di organza ed una grande collana di fili di corallo di un rosso intenso. In quella calda giornata di luglio passò con una movenza leggera che mi rimase impressa per l’eleganza e la sensualità. La settimana successiva la rividi, questa volta con un vestito bianco con enormi fiori rossi ed il solito cappello di paglia, la riconobbi dalla movenza sinuosa di donna fascinosa indifferente a tutti ma che di tutti attira l’attenzione ed ancora una volta, seduto al mio piccolo banchetto, proprio perché così diversa dal mio essere minimale e marginale, ne restai affascinato. Col tempo capii che veniva sempre alla stessa ora, sempre elegante e sempre con qualcosa di rosso, finché in autunno non indossò anche spolverini e vestiti di un rosso mattone o un porpora delicato quasi che non volesse eccedere indossando un rosso Valentino. Incominciai a chiamarla “la Signora in Rosso” ed ogni giorno aspettavo con ansia il suo arrivo, ammaliato dalla sua eleganza e dalle sue forme di donna cosciente della sua bellezza esteriore altera e calda, ma custode gelosa di quella interiore. Un giorno passando vicino a me si accorse del mio cartello e si fermò stupita. Abbassò gli occhiali da sole e guardandomi mi chiese “Ma cos’è che vendi tè?” e nel parlare non nascose la sua cadenza emiliana, dove le s avevano un arabesco sensuale che arricchì la visione carnale che di lei mi ero fatto. “Vendo emozioni” dissi biascicando le parole come uno scolaretto che non aveva studiato. Lei mi guardò ancor più stupita e si mise a ridere, con una risata spontanea, naturale, per cui non ci si poteva offendere, nei io mi offesi perso ad osservare il suo volto, la sua perfetta dentatura risaltare circondata dalle labbra di un intenso rosso corallo. Da quel giorno non evitava di passare dal mio banco e se avevo clienti alzava gli occhi al cielo come a dire “ecco che ne sta’ infinocchiando un altro”, se non c’era nessuno mi chiedeva “oggi gli affari vanno male vhè?” e sorridendo si allontanava con l’ancheggiare naturale delle donne la cui femminilità traspare in ogni gesto. 
Andò avanti per qualche mese, arrivando le piogge, capitò che in un giorno grigio e piagnucoloso, non volendo passare la mattinata al freddo sotto un acquazzone, invece di aprire il mio banco me ne andai nel bar all’angolo della piazza dove tutti gli ambulanti andavano generalmente a prendere un caffè o una granita. Mi sistemai in un tavolo appartato e incominciai a scrivere sul mio i-pad. L’acquazzone si trasformò in una pioggia torrenziale e d’improvviso il locale si riempì di clienti senza ombrello e venditori bagnati fino alle ossa. Nella calca difendevo la sedia di fronte a me lasciandovi sopra il mio zaino per evitare che qualcuno si sedesse. Arrivò il proprietario del Bar, un omone grosso ed burbero con un enorme anello d’oro sull’anulare destro che spostando il mio zaino con indifferenza gridò a qualcuno alle spalle “Professoressa, s’assittassi ca – guardandomi con fare minaccioso aggiunse – tantu a lei non ci disturba, no?!” la sua era quella che si definisce una domanda retorica, perché senza aspettare la risposta spostò la sedia per far sedere qualcuno, e li apparve la Signora in Rosso. “Grazie Gesualdo, lei è molto gentile – fece rivolta al padrone e sedendosi si accorse di me per la prima volta e subito sorridendo (o forse ghignando come fa la iena capobranco quando vede una vittima) continuò – oh è lei: una gradita sorpresa!” e sorrise tra se e se come se le sue parole avessero per lei un significato diverso da quello che io potevo dar loro.  “Ci pottu subitu u caffè” fece il padrone scomparendo nella calca. Lei mi studiò per qualche secondo mentre io fingevo di interessarmi all’i-pad. “Ha visto che tempo?” esordì  con un fare affettato, fin troppo gentile “Lo avevano detto in televisione : forte precipitazioni” risposi indifferente, “Ma chi si immaginava così forte -  notò seccata poi guardandomi  continuò con un altro tono di voce – Certo per lei è un grosso problema, oggi non potrà lavorare “ “Il banco al mercato è per me un secondo lavoro, io scrivo soggetti per il teatro e la televisione: il mercato mi serve per prendere appunti per creare certi personaggi “ “Davvero… -  fece lei allargando gli occhi come quella di una bambina stupita per poi chiuderli nuovamente facendoli diventare quelli di una faina – pensavo che lei fosse un psicologo, o un mentalista, uno che studia il comportamento delle persone. Altrimenti come fa a “emozionarli? “ e sorrise fissandomi negli occhi con la severità di una maestra. “No, non sono un psicologo. Vede quando ero bambino emigrai con i miei genitori in un paese straniero dove non capivo la lingua, ma osservando il volto delle persone, il tono della voce e la mimica facciale, capivo cosa dicevano. La cosa mi è rimasta: osservando ed ascoltando le persone, ne capisco la personalità, chi sono e cosa vogliono” mi guardò stupita mentre il padrone del bar le serviva il caffè. Lei ringraziò e quando il signore Gesualdo si allontanò chiese “Allora devo stare attenta, lei potrebbe capire cosa penso e chi sono” e sorrise, guardandomi sottecchi mentre beveva. La guardai ancora con la mia aria svanita e indifferente avido della forma dei suoi occhi e del loro colore, del disegno delle labbra e delle onde dei suoi capelli neri. “Mi sta già dicendo tante cose di lei, se si chiudesse a riccio, ne capirei ancora di più perché è quello che vogliamo nascondere la parte più importante della nostra personalità” mi osservo, questa volta veramente stupita, ma subito si riprese e sorniona, facendo brillare i suoi occhi nocciola mi chiese “E cosa ha capito di me sentiamo”. Io la guardai dicendomi che era veramente una bella donna e che dovevo stare attento perché per quanto ne dicessero i pittori del rinascimento, non sempre la bellezza è sinonimo di animo gentile. “Lei è bolognese, lo capisco dall’accento, dalla parlata e dal fatto che veste preferenzialmente di rosso. Una mia amica di Bologna mi ha detto che le donne di Bologna amano vestire di rosso, come la loro città, che se guardata dalle colline che la circondano appare indossare il colore rosso dei suoi tetti. Come personalità è una Cangiante, io chiamo così le persone che passando dall’essere solari ad uno stato d’animo più oscuro, un po’ sornione e un po’ calcolatore. In fondo dentro di sé diffida degli altri e questa diffidenza è la parte dolorosa dell’essere una Cangiante, perché non avendo fiducia, non sa cogliere il momento di comunione con gli altri, quella bellezza che appare per poco quando due anime si toccano e poi scompare. Sa fidarsi degli altri solo per un istante, per una parola, un sorriso per poi fuggire come una vecchia signora che non si fida, come una bambina che ha paura. È questo da una parte la rende melanconica perché pensa di non poter avere mai quanto cerca, dall’altra la spinge ad essere curiosa, a cercare sempre il bello che per lei ha un valore assoluto. Penso che questo spieghi il motivo perché, quando ha un’ora buca al liceo qui vicino, viene sempre a questo mercato a cercare, a voler conoscere a voler parlare con tutti. Poi però torna sempre al liceo, da sola, in silenzio, mai soddisfatta e sazia di quanto ha trovato, senza forse sapere cosa cercava.” Ascoltava in silenzio, senza commentare e giocando con la tazzina. “… e tutto questo l’ha capito in questi pochi secondi che mi ha parlato?” sapevo che non avrebbe commentato, o giudicato quanto le avevo detto; una Cangiante non dà informazioni su quanto prova o su chi è, preferisce sempre depistare, nascondersi… “Più o meno…” dissi appoggiandomi alla sedia, per allentare la tensione che stava salendo. Alzò gli occhi per guardarmi e capivo, da come teneva gli occhi fissi che stava pensando intensamente. “non mi ha detto come fa a emozionare però “ aveva cambiato argomento repentinamente, come immaginavo. “Diceva Pirandello che ognuno di noi è come un pupo mosso da delle corde interne, quella della ragione, dei sentimenti, della pazzia. Io cerco la corda sottile direttamente legata con il nostro cuore, quella che basta appena toccarla per far nascere in noi sentimenti forti: dolore, passione, pietà, desiderio…..” “ e come fa a sapere quali sono “ “Me lo dicono loro, i miei clienti; ognuno di noi quando parla e si descrive, quando si muove si rivela senza accorgersene”.
 Guardò alle mie spalle dove c’era la porta d’ingresso e sorrise. “Lei allora saprebbe far emozionare chiunque? anche una Cangiante?” “è un po’ difficile ma ci si riesce…” “Allora perché non fa emozionare il signore che entra adesso…” quando mi voltai capii che mi aveva teso una trappola. Sulla porta infatti c’era Cesare, il garzone del banco della carne gestito da suo suocero. Cesare era un borgataro romano finito a C…. seguendo una ragazza che poi aveva sposato. Palestrato, tatuato in ogni parte del corpo, orecchini e catena d’oro, diretto e schietto nel parlare, aveva una laurea in turpiloquio e un Master in “vaffanculo”, portava i quarti di bue sulle spalle con la stessa facilità ed intimità con cui un ballerino di valzer portava la compagna. Se c’era qualcuno che non sapeva neanche come si scriveva “Emozioni” quello era lui. “Signor Cesare, signor Cesare – incominciò a chiamarlo – venga, venga che dobbiamo fare un esperimento” Cesare l’osservò e per un attimo pensai che la mandasse a quel paese come era uso fare con chiunque, poi mi ricordai che il fratello piccolo di sua moglie andava al liceo e se lei lo conosceva voleva dire che era uno dei suoi alunni. Un brivido mi corse lungo la schiena pensando che Cesare non le poteva dire di no. “Ah professorè che c’è, che è sto sperimento?!” fece Cesare contrariato con il suo vocione “Venga ora il signore la farà emozionare “, “Che me fa?”, “la fa emozionare, la fa piangere dalla contentezza” “Ah! che me da un bello piatto di pasta alla pagliata? io piango solo a vederlo” e si mise a ridere mentre si sedeva al posto della professoressa. Intanto gli altri avventori, richiamati dall’agitazione della Signora in Rosso, si erano disposti intorno a noi per gustarsi la scena. Cesare si era seduto al tavolo e chiedendo di fare presto perché doveva scaricare i capretti mi guardò minaccioso e concluse sfidandomi “Fozza famme piagne” e sorrise con un ghigno. Mi alzai lentamente mentre la Signora in Rosso mi guardava sorniona e sulla faccia aveva lo stesso ghigno, molto più femminile e sensuale, di quello di Cesare. Mi misi dietro a quell’armadio di carne ripetendomi che bisognava lasciar perdere le Cangianti che ti fregano sempre, chiesi a Cesare di chiudere gli occhi e mentre intorno a noi scendeva un silenzio denso di curiosità, io incominciai a parlare. 
”Siamo in uno stadio pieno all’inverosimile, la partita è appena finita ma nel campo vi sono ancora i giocatori e sugli spalti sessantacinquemila tifosi tutti con una sola maglia rossa e gialla con il numero 10.” feci un secondo di silenzio “ è il 28 maggio 2017 …” Cesare a sentire la data si irrigidì, il suo volto perse il suo ghigno e restò in attesa del resto “… giorno dell’ultima partita di Francesco Totti.” Cesare aprì gli occhi “il Capità…” “in alto vola un aereo con la scritta ‘Grazie Capitano’, sugli spalti colorati in rosso e giallo spunta la scritta ‘Totti è la Roma’. Tutti iniziano a cantare ‘Roma, Roma Roma…’  le labbra di Cesare ripetendo con me senza emettere suono ‘Roma, Roma Roma…’, Totti è commosso, si avvicina alla rete e si arrampica per salutare. Sugli spalti sessantacinque mila cantano, piangono, ricordano, scattano fotografie ed osservano Totti. Lui va ad abbracciare Pallotta e incomincia a piangere mentre i suoi figli, sua moglie, lo osservano, tristi, preoccupati per lui…..” il muscolo della mascella di cesare si contrasse, quasi a non voler creder che il suo capitano potesse piangere. “… inizia l’inno della Roma, tutti cantano piangendo, commovendosi, ricordando i suoi goal, le partite in cui ha lottato fino alla fine, senza mai arrendersi, senza mai indietreggiare, combattendo, dando l’esempio ai suoi compagni, guidandoli nella vittoria senza mai accettare la sconfitta, ogni volta con la stessa determinazione, impegno e coraggio; lui era la speranza dei suoi tifosi, era il timoniere della sua squadra a cui ha dato tutto senza mai credere di poter finire di giocare, lui era il primo figlio di Roma, il cuore, il credo, l’anima di una squadra, che non aveva mai lasciato, che non aveva mai tradito perché lui era il Gladiatore, il Capitano, era…Totti….” gli occhi di Cesare brillarono, fissi ad osservare un punto lontano, si inumidirono e lentamente due lacrime incominciarono a scendere lungo le gote. “Ecco i suoi compagni gli danno una targa. Rossi piange…” “Rossi…” ripeté Cesare ormai in trance mentre rivedeva la scena, “…Florenzi piange….” “…piange…” ripeté Cesare. “ Totti prende il microfono e incomincia a parlare….’Purtroppo è arrivato questo momento che speravo non arrivasse mai…’…” Cesare si alzò e ripeté le mie parole quasi sottovoce “ purtroppo è arrivato questo momento che speravo non arrivasse mai…” “la gente applaude, canta, resta in silenzio, si commuove, piange, lui continua ‘in questi giorni ho letto tantissime cose su di me, belle bellissime: ho pianto sempre tutti i giorni perché venticinque anni non si dimenticano così….’ la gente applaude ancora, piange commossa “ a questo punto Cesare con le guance  rigate alzò lentamente le braccia al cielo e incominciò a cantare “Un Capitano, c’è solo un Capitanooo….” e muovendosi cantando, se ne andò verso la porta. Prima di uscire si voltò verso di noi che lo osservavamo stupiti e girandosi, smise un secondo di cantare, baciò lo stemma della Roma che aveva tatuato sul bicipite sinistro e disse  “Grazie …”, poi uscendo sulla piazza continuo a cantare “…un Capitano…”. Io lo capivo; avevo toccato qualcosa che per Cesare era sacro, non voleva che gli altri vi partecipassero, che assistessero come spettatori anonimi ed estranei al suo ricordo, alla sua commozione: quella era solo sua, per questo se ne era andato. Tutti l’osservarono stupiti, poi lentamente, commentando e mormorando, tornarono a quanto facevano prima dell’arrivo di Cesare. 
Tornai a sedermi di fronte alla Signora in Rosso e guardandola le chiesi “Vuol provare anche lei? posso donarle emozioni che non ricorda più. La prima volta che ha fatto l’amore, quando ha visto per la prima volta l’alba, la nascita di un figlio, la morte di un parente: posso leggere in lei come se fosse trasparente….” mi guardò al solito senza mostrare nessuna emozione. “Devo andare – disse infine presa dalla fretta e dal nervosismo – è tardi, fra un po’ mi inizia una lezione. Una bella prova. Interessante. Ma è stato facile. Ci vediamo comunque…. la saluto” raccolse le sue cose e se ne andò di corsa alla cassa a pagare il caffè, poi senza neanche prendere il resto, scappò fuori. Tirai un sospiro di sollievo. Le cangianti sono pericolose, se poi sono di quelle che ti infiammano il sangue, bisogna starci veramente attenti.
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pangeanews · 4 years
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“Scopo dell’arte è donare se stessi, non clamore o successo”. Dialogo su Boris Pasternak con Alessandro Niero
Dico – indipendentemente dal mio ardore, dalle mie primaverili passioni. Mi è sempre parso un paradosso. Una idiozia, meglio. Le poesie di Boris Pasternak, tra i poeti più grandi del secolo, in Italia sono introvabili. Certo, c’è l’antologia Einaudi, rabdomantica, di Angelo Maria Ripellino, una specie di miracolo: ma quella, appunto, fa venire voglia di leggere tutto il resto. Assente. Boris Pasternak è il solo poeta a cui il Nobel per la letteratura – egli lo intuiva, per altro – abbia fatto l’effetto di una ghigliottina, di una affettatrice. Pasternak, così, è passato alla storia della mistificazione letteraria come l’autore del Dottor Živago, romanzo potente, per carità, non indimenticabile (le parti più belle, guarda caso, sono quelle ‘liriche’); e Mondadori ha dedicato a un poeta un ‘Meridiano’ per le Opere narrative (tra l’altro, ottimamente introdotto da Vittorio Strada e con una congrua Cronologia curata da Evgenij Pasternak). Paradossale, appunto. Così, per leggere i poemi di Pasternak (L’anno novecentocinque; Il sottotenente Schmidt; Spektòrskij) bisogna raspare nei mercatini (io ho una versione delle Edizioni Accademia del 1968), mentre Mia sorella la vita, la raccolta stupefacente del 1922 (l’anno dell’Ulisse di Joyce e della Terra desolata di Eliot; l’anno in cui muore Proust, in cui Kafka comincia Il castello e Rilke termina le Elegie duinesi), la più nota, è pubblica – con copertina orrenda – da Mondadori, per la cura di Nadia Cicognini, nel 1999, ora è sparita dal circolo librario. Insomma, si è sempre trattato il poeta Boris Pasternak a pesci in faccia, o con progetti editoriali al limite dell’irrisorio (Le poesie di Jurij Živago edite da Feltrinelli nel 2018, che tutti conoscono perché sono in calce al fatidico romanzo). Per fortuna, da qualche anno, in visione di un anniversario doppio, importante – quest’anno sono i 60 anni dalla morte di Pasternak, i 130 dalla nascita – Passigli ha cominciato a pubblicare le poesie dell’immenso poeta russo. Dopo l’antologia curata da Marilena Rea, Anch’io ho conosciuto l’amore (2016) sono seguite le pubblicazioni di singole raccolte, Temi e variazioni (2018, a cura di Paola Ferretti; in origine 1923), Sui treni del mattino (2019, a cura di Elisa Baglioni; in origine 1943) e ora Quando rasserena, per la cura di Alessandro Niero, che esce a Parigi, in russo, nel 1959. L’ultima raccolta di Pasternak – che si poteva leggere, ma solo in parte, nel volume Feltrinelli Autobiografia e nuovi versi, ormai irreperibile – ha la gioia del congedo, la concretezza di ciò che non muta, senza invidia di cielo. Quando rasserena raccoglie alcune delle poesie più note di Pasternak, All’ospedale (“Spegnendomi in un letto d’ospedale,/ sento il calore delle mani Tue./ Mi tieni come fossi un manufatto,/ come un anello mi riponi in un astuccio”) e Arano, ad esempio, e alcune dichiarazioni di poetica che lasciano senza fiato per immediatezza, che vanno scritte sui muri di casa: “In ogni cosa ho voglia d’arrivare/ fino al nòcciolo, al nucleo”; “Scopo dell’arte è donare se stessi,/ non clamore o successo”; “Si deve invece vivere senza impostura,/ vivere così da attrarre, in fine, a sé/ l’amore dello spazio,/ udire la chiamata del futuro”. Mentre lavora a questa raccolta, nel 1958, Pasternak scrive a Nina Tabidze, pieno di una energia imperiale, nuova, evocando il futuro, il prossimo candore, “di fronte a me, ancora vivo, si libera uno spazio la cui integrità e purezza vanno dapprima comprese e poi riempite di questa comprensione”. Pasternak è il poeta che ausculta il mistero, la sua forma di vento e di betulla, di sciacallo e di collina – e a noi, tra le mani, poverissime, pare un premio. (d.b.)
Ripellino amava poco l’ultimo Pasternak; d’altronde Pasternak stesso sembra minimizzare, in alcune lettere, le poesie di Quando rasserena: come mai? In verità, lì raccoglie alcune delle sue poesie più note, profonde, umane. Cosa è cambiato dall’epoca di Mia sorella la vita?
Nella splendida edizione einaudiana delle Poesie di Pasternak, che non contiene prelievi da Quando rasserena (siamo nel fatidico 1957, ma prima che compaia Il dottor Živago), Ripellino, in effetti, sembra paventare una involuzione dello scrittore: «Il poeta si scioglie dai vecchi viluppi di suoni e immagini, per tornare nell’ambito del “melodismo”. Questo mutamento ci fa temere che la poesia pasternakiana, perdendo il suo peso specifico, si abbandoni in futuro a cadenze gratuite, a una generica musicalità orecchiabile […]». Nell’edizione del 1959, che già, invece, contempla una ventina di liriche da Quando rasserena, il giudizio rimane come sospeso: «Le più recenti poesie tuttavia sostituiscono alla calcolata strumentazione una scioltezza cantabile, riprendendo quasi la liquida melodicità dei simbolisti». Certo, anche così è difficile sottrarsi all’impressione che Ripellino nutra qualche dubbio sulla “nuova”, illimpidita maniera dello scrittore. A un traduttore come lui, che veniva dalla possente opera di antologizzazione della poesia russa del (primo) Novecento, e quindi era uso a confrontarsi con una stagione che innalzava – per necessità, certo (anche se non sempre) – la bandiera della complessità come segno distintivo, la relativa semplificazione del tessuto lirico pasternakiano può essere apparsa come un décalage. O, peggio, come un adeguamento al «minimalismo estetico» (sono sempre parole di Ripellino) della coeva poesia sovietica, che, tra l’altro, Ripellino di lì a poco proporrà al lettore in Nuovi poeti sovietici (Einaudi, 1961). Ragione o torto che abbia, temo che queste circostanze possano aver fatto velo sul lascito umano e profondo dei testi di Quando rasserena (anche se questi tratti non sono sempre garanzia di tenuta poetica). Non amo fare le classifiche, ma, del resto, ho l’impressione che l’intensità dello sguardo di Mia sorella la vita, pur comportando una certa quale ermeticità, rimanga insuperato in termini di prodigiosa lettura del mondo e sintonia con i fenomeni atmosferici. L’ultimo Pasternak, va letto con il metro di una pacificata senilità, di un allentamento della tensione immaginativa giovanile. Se ciò, poi, rappresenti un passo in avanti o indietro, è materia dei critici. Per parte mia posso dire che trovo commovente la condizione dell’ultimo Pasternak, con la sua fiducia ormai minimale (perché insidiata dal tempo e dall’esperienza) nella poesia, anche laddove essa porti a esiti sguarniti, quasi basici. E non dimentichiamo che questo signore di quasi settant’anni è reduce dall’affresco del Dottor Živago, spossante sotto ogni profilo e, forse inevitabilmente, capace di relegare sullo sfondo tutto il resto. Ma – mi si lasci dire – il Dottor Živago è anche latore di un’informazione di fondo: Pasternak è, e resta, principalmente un poeta: anche il poeta di Quando rasserena.
Domanda al traduttore: rispetto ad altri grandissimi (chessò: Achmatova, Mandel’štam, Majakovskij) qual è il carato, il carattere linguistico di Pasternak?
È una domanda che costringerebbe ad affrontare una fetta enorme della storia della letteratura russa. E, credo, costringerebbe anche a indagare su quanto sia diversificata la poesia stessa di Pasternak al suo interno. Suppongo che nemmeno con uno sforzo supremo (e un po’ ingrato) di semplificazione si possa fare, almeno in questa sede. Temo, quindi, di poter tentare di sintetizzare solo qualcosa sul Pasternak di Quando rasserena, riprendendo – inelegantemente – me stesso. Lo scrittore, da più di un decennio ormai, si sta allontanando dal suo stile precedente e orientando verso quella affabilità di dizione e relativa comprensibilità di contenuti che contraddistinguono la cifra della sua fase estrema. La sua «fedeltà alla vita, alla vocazione di scrittore, alla natura animata dall’attività fruttuosa dell’uomo» (sono parole del figlio Evgenij) vengono restituite in uno stile dove è come se Pasternak si fosse definitivamente scollato dallo sgargiante groviglio metaforico-metonimico delle sue prime raccolte, senza però smarrire la concentrazione dello sguardo e, semmai, schiarendo la sua vena di «preciso e brusco descrittore» (D. Bykov). Siamo vicini, quindi, a quanto Pasternak stesso disse il 25 giugno 1935, a Parigi, al Congresso per la difesa della cultura: «la poesia […] giace nell’erba, sotto i nostri piedi, e bisogna soltanto chinarsi per scorgerla e raccoglierla da terra».
Boris Pasternak in un disegno del padre, Leonid
Fino a che punto possiamo dire che con Quando rasserena si chiude la parabola lirica di Pasternak? E che rapporti intrattiene questa raccolta con Il dottor Živago?
Credo che la parabola lirica di Pasternak si sia chiusa solo con la sua morte. Non immagino un Pasternak totalmente svincolato dal suo essere agganciato all’universo tramite la scrittura in versi (anche se l’ultimo grande progetto a cui lavorava era, a dire il vero, un’opera teatrale: La bellezza cieca). Anzi, mi sarebbe piaciuto percorrere criticamente il sottile crinale di gusto e di talento che comunque avrebbe separato Pasternak dai suoi colleghi coevi (almeno nell’ambito della poesia ufficiale), fin da subito ben disposti verso una poesia intesa come programmaticamente veicolabile a (e condivisibile con) un pubblico ampio e, anche, “popolare”. Quanto al rapporto con Il dottor Živago, riprendo – di nuovo – alcune mie suggestioni. Se consideriamo che Jurij Živago, “fratello letterario” di Pasternak, elabora, senza sbandierarlo, uno status da superbo dilettante, quasi un contegno da anti-poeta sideralmente lontano dalla comunità/consorteria letteraria, mi vien da pensare che, in Quando rasserena, è come se Živago fosse idealmente uscito dalla pagina, smettendo la sua natura di alter ego, per ricongiungersi con il suo creatore, Boris Leonidovič Pasternak, per irrorarne l’estrema, preziosa fatica.
Scelga una poesia, un verso della raccolta che ha tradotto, a suo avviso esemplare. E mi dica perché.
Potrà sembrarle strano, ma la poesia che vado a scegliere è tra le più “semplici” del volume e s’intitola Arano (con voluta, e imprudente, declinazione pascoliana: Aratura avrebbe funzionato altrettanto bene) e la saluto come esemplare in quanto portavoce del tema “mondo naturale”, importantissimo in Quando rasserena. Allo sguardo del poeta (o dell’io lirico implicato) si apre uno spazio vasto trapuntato di natura sia disciplinata dall’uomo (i campi arati) sia, semplicemente, in fiore. Spira una tale armonia tra lavoro contadino e rinverdire primaverile, si sposano in modo talmente felice i toni pastello delle betulle e quello dei terreni toccati dall’opera dell’uomo, che mi prende nostalgia di questa possibilità di connubio (specie in tempi come questi, dove è quasi più normale parlare di un conflitto tra uomo e natura). E mi delizia la limpidezza – perfino demodé, se si vuole – con cui Pasternak si affida all’incanto di quel paesaggio “natural-colturale”, così gentilmente calato in semplici quartine, dove comunque si sente, quasi schivo, l’occhio parcamente trasfigurante del poeta. Inoltre, e per finire, è l’incipit che mi colpisce in modo particolare, con quel trapassare della terra nel cielo (o viceversa). Lo cito: «Cos’è successo al posto di sempre? / Tra cielo e terra il discrimine è stinto. / Caselle arate, come di scacchiera, / si sono sparse a perdita d’occhio»
Ultima. L’autore che vorrebbe tradurre. Quello che le ha dato più gioia tradurre.
Ho studiato per almeno una dozzina d’anni e amato (e amo tutt’ora) l’opera di Iosif Brodskij, ma, per motivi vari, sempre non dipendenti dalla mia volontà, non ho potuto mai dare alle stampe il non molto che, in privato, ho tradotto. L’autore che mi ha dato più gioia tradurre è quello che ha inaugurato, nel 2013, la collana «Russia Poetica» di Passigli, ossia Boris Sluckij («Il sesto cielo» e altre poesie), un poeta sovietico di grandissima levatura, diviso fra fedeltà all’establishment politico e tentativo di essere integerrimo. Non è un caso che sia tra i pochissimi lirici salvati – appunto – da Brodskij, che non era tenero con la poesia sovietica.
L'articolo “Scopo dell’arte è donare se stessi, non clamore o successo”. Dialogo su Boris Pasternak con Alessandro Niero proviene da Pangea.
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shoesggdb-blog · 5 years
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RA ha emesso una sentenza passata - io, in seguito solo un chiodo, la mia bara chiusa. Non mi piacerebbe davvero ottenere una fonte di guadagno sapendo che il mio nuovo corpo si sarebbe deteriorato, si sarebbe ingrandito con i fluidi della ciotola, quindi mi avrebbe impedito di ricavare il reddito dalla mia realtà passeggiando sui migliori 3 Golden Goose Uomo Outlet Italia iedi. Ho davvero passato le mie prossime settimane a letto a letto, singhiozzando, bestemmiando, sbraitando, mettendo in dubbio la mia diagnosi, e per non parlare dell'ingestione di un assortimento legato a enormi pillole soffocanti per tentare di facilitare positivamente Golden Goose Running Donna Outlet Italia gnuno dei nostri massicci attacchi a molte altre articolazioni. Avrò sfogato parecchie altre frustrazioni e di conseguenza rabbia insieme a nostro marito e, di conseguenza, madre che testerà per aiutarmi in qualsiasi modo questi ragazzi possano, tuttavia non mi importa, Mia moglie non preferirebbe la loro facilitazione. Quando viaggi in aereo, vesti la sicurezza. Stai lontano dai vestiti di metallo, non ti piace anello di metallo o altri accessori, indossa strati facilmente rimovibili, e come sandali e slip-on attraverso sneakers. Questo farà sì che i tuoi viaggi attraverso l'intero cancello di sicurezza diventino più agevoli, e lo prenderai molto meno complicato per riprenderti dopo Golden Goose Superstar Uomo Outlet Online ssere stato riorganizzato. Uno di tutte le più famose pagine di super-autostrada quando si tratta di scarpe da campeggio alla moda e alla moda è senza dubbio Solestruck. Le persone certamente conservano il volume dieci scarpe Jeffrey Campbell all'interno di alcune di questo tipo, ma non tutte. Il possente catalogo di interior designer sul particolare sito è in realtà eccezionale | to | * |: | as | such as | through | per esempio |>} un numero gigantesco da fare con diventare designer e produttori più popolari e organizzazioni e off- stile da corridoio battuto. Poiché molti sono disponibili diversi sistemi diversi, molti di questi scarponi a colori offrono risultati anche quando si tratta di calzature che si adattano perfettamente ai piedi associati alle persone. Utilizza la pelle pregiata intorno alle classiche varietà intrecciate a mano e aggiungi la colla glitterata a uno specifico produttore di scarpe già famoso in tutto il mondo. Music ha il potere di una persona in modo da poter curare qualsiasi corpo, memoria e cardiovascolare. Ecco una sorta di idea; prendi i tuoi ipod e attira rapidamente le tue melodie preferite, invece di ascoltare per assicurarti che le notizie flash o altri programmi che la maggior parte potrebbero rendere più difficile l'attenzione. Prendi in considerazione l'idea di eseguire un allenamento per un tempo alternativo nel caso in cui sembri essere in grado di farlo positivamente. O quando la temperatura è buona, dirigetevi all'aria aperta invece collegata a qualche palestra. Variazione su qualsiasi programma di allenamento un po 'minimale. Oppure iscriviti a una forza lavoro come Stroller Strides se sei una specie di mamma e / o magari trovi un singolo club di corse o di ciclismo locale quando hai bisogno di tenere giù le tue idee. Molti club di salute consentono ai proprietari di interrompere la vostra offerta speciale per un periodo di tempo libero disponibile esteso senza penali o spese. L'attore americano Theodore Scott Glenn (Absolute Power, Apocalypse Now, Backdraft, The Bourne Ultimatum, Bravery Under Fire, Freedom Writers, La ricerca di ottobre di colore rosso, Keep di una persona, Meno benestanti Profeti, Notte dei nostri Running Man, Nights back Rodanthe, Limits errati, Reckless, The Well Stuff, Some of the River, il nostro Silence of the Lambs, Silverado, Children of Anarchy e Suburban Cowboy) è stato considerato nato il 26 gennaio 1941. Il rosa sarà probabilmente il colore più normale per la stagione primaverile, quindi, vedi, la prima idea comune di matrimonio primaverile è generalmente quella di avere bisogno di rosa. Immediatamente dopo un matrimonio in particolare, le persone potrebbero spedire ai vacanzieri chicche colorate con nastro di seta rosa baby o candele fatte a mano per aiutare i partecipanti al party. Tenete bene a mente, per rendere più straordinario il vostro vero e proprio giorno di nozze, penserete sul tema dell'uso dei fiori in arrivo con i regali in generale.
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lunashawls · 7 years
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manuelbozzi · 4 years
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dikua-jewelry · 6 years
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lunashawls · 7 years
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