Tumgik
#Il resto di niente
gregor-samsung · 1 year
Text
“ Si tolse tutto. Prima d’indossare biancheria pulita volle considerarsi. Era diventata più bianca, il seno lento, pendulo. Scoraggiata, sedette sull’orlo del letto: le grandi mammelle si poggiarono su una piega dell’addome. Nelle gambe risecchite la carne pallida dei polpacci dondolò, come staccata dall’osso. Vergognoso lasciarsi andare così. Ma perché avrebbe dovuto riguardarsi? Nutrirsi con raziocinio, rifiorire? Per chi? Uomini, amori, figli non ce ne sarebbero stati mai più. Né vanità, né illusioni. Forse ancora scrivere, leggere, studiare: di queste cose aveva provato nostalgia, e se n’era punita. Per esse ricominciare? A che pro? Fra un certo numero d’anni sarebbe giunta la morte. Forse suo fratello José, o Jéronimo, avrebbero continuato la stirpe dei Fonseca. Ma a lei cosa importava? Tutta la vicenda sua, e l’universo, finiti con lei. Cosa poteva rimanerne? I versi? Se proprio non “facevano schifo”, come disse Primicerio, erano nulla in paragone a quelli di Metastasio, Rolli, Parini. Di costoro, forse, qualcosa resterà. Fra cent’anni, duecento: nel 1983, meu Deus! Ma di me? Nada de nada. Il resto di niente. Ebbe voglia dolorosa di ripigliare libri, carta, penne. Forse per vergogna: si può star così a guardarsi vivere? A vegetare, senza coraggio, senza zelo? Senza devozione neppure per te stessa? Probabilmente anche in questo caso ha ragione il signor di Voltaire, quando sostiene che comunque dobbiamo coltivare il giardino. Un giorno, grazie al nostro lavoro, spunteranno fiori, frutti, i bambini mangeranno. Se nessuno s’occupa del giardino il mondo finisce. E con ciò? Mah. Forse, semplicemente, era la sfida della primavera. Si cambiò, indossò il solito vestito nero. Si spogliò di scatto, cercò l’abito di lanetta color pesca. Aprì il cassetto dei soldi, fece i conti: sì per il busto nuovo, anche altre piccole cose necessarie. Mise al collo un nastrino di velluto giallo, cercò uno scialletto, se ne uscì. “
Enzo Striano, Il resto di niente, Mondadori (collana Oscar Classici Moderni n° 199), 2011¹¹; pp. 153-154.
[1ª Edizione originale: Loffredo edizioni, Napoli, 1986]
21 notes · View notes
comeinizia · 2 years
Photo
Tumblr media
69. Il resto di niente
1 note · View note
criptochecca · 2 months
Text
Tumblr media
Sto così non ho letteralmente chiuso occhio
3 notes · View notes
2stelle · 6 months
Text
I due cretini con le banane spero vengano radiati e multati per bene ❤️
4 notes · View notes
deathshallbenomore · 1 year
Text
.
10 notes · View notes
omarfor-orchestra · 1 year
Text
Ma figuriamoci non avrei riconosciuto che era lei manco a pagarmi
Tumblr media Tumblr media
6 notes · View notes
alchimia31 · 2 years
Text
Tumblr media
17 notes · View notes
drinkthemlock · 2 years
Text
me and the girlies in 1799 naples (we have established the parthenopean republic)
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
2 notes · View notes
gregor-samsung · 2 years
Text
“ Ecco Peppe Cammarano. È venuto con lui il vecchio don Vincenzo, il grande Pulcinella. Lo accoglie con rispetto: è ancora saldo, sebbene gli tremino le mani ossute, gli occhi siano orlati di rosso. «Accomodatevi, don Vincenzo. È un onore. Mo’ vi faccio il caffè.» «Donna Liono’, lasciate sta’.» «’No momento momento. Purtroppo sono sola.» Il caffè viene bene, tirato, don Vincenzo le fa i complimenti. «Grazie. Peppi’, vorrei discorrere con voi. Visto che è venuto pure don Vincenzo, è ancora meglio. State seguendo il “Monitore”? La campagna che faccio per educare il popolo? Mi dovreste dare una mano.» Peppe annuisce, servizievole. «Noi qua stiamo.» «Io penso che dovreste dare qualche spettacolo democratico, inventare dei copioni con Pulcinella che si fa repubblicano. Non so, qualche storia tragicomica, dove si vedano le schifezze dei Borboni, l’eroismo dei patrioti.» Peppe si fa perplesso, guarda suo padre, il quale resta immobile sulla sedia, senza espressione. «Mah...» dice finalmente il giovane Cammarano. «Io lo farei pure, ma mi sento incerto. Il nostro pubblico è abituato a certe trame, non saprei proprio come la piglierebbe. E se poi facimmo peggio? Se non ci viene più nessuno?» Lei fissa il vecchio, che non si muove. «Don Vincenzo. Vogliamo sentire voi. Cosa ne dite?» Cammarano la osserva. Finalmente si decide a parlare. «Donna Liono’, compatite il mio pensiero. Pulcinella è ’no povero ddio. Un uomo di niente, un pezzente, un vigliacco. Uno che pensa solo a salvarsi la pelle nelle disgrazie che lo zeffonnano. Perciò è arraggioso, fetente, mariuolo, arrepassatore. Non è un eroe. Voi lo vedete ca se mette ’ncoppa a ’na cascia alluccanno?» Il vecchio si leva in piedi. Senza volerlo assume l’aria del palcoscenico, fa la voce nasale di Pulcinella. «Citatine! È nata la Ripubbreca... La Repubroca... La prubbeca... Mannaggia lo cascione, comme canchero se dice ’sta fetente de parola?» Le vien da ridere. Anche Peppe sorride, guardando il vecchio con ammirato amore. «E poi,» sospira Cammarano, tornando a sedere «Pulcinella non è un tipo allegro. Sa le cose nascoste. Ca la Repubblica adda ferni’, come finisce tutto, ca ll’uommene se credono de fa’ chesto, de fa’ chello, de cagna’ lo munno, ma non è vero niente. Le cose cambiano faccia, non sostanza: vanno sempre comme hanno da ì. Comme vo’ lo Padrone. Lo munno non po’ gira’ a la mano smerza. Lo sole sponta tutte li mmatine e po’ scenne la notte, la vita è ’na jurnata che passa: viene la morte e nisciuna la po’ ferma’. Perché è de mano de lo Padrone: di Dio. Pulcinella queste cose le ha sapute sempre, come volete che si metta a fare il giacobino? Lo po’ pure fa’, ma solo per far ridere, per soldi. Isso non ce crede.» “
Enzo Striano, Il resto di niente, Mondadori (collana Oscar Classici Moderni n° 199), 2011¹¹; pp. 348-350.
[1ª Edizione originale: Loffredo edizioni, Napoli, 1986]
10 notes · View notes
mchiti · 3 months
Text
Mi sento un po’ triste per ora, non lo so perché 😞 non lo so tutte queste scemenze post sanremo hanno risvegliato un senso di solitudine boh non lo so. Mi sono venuti a scrivere una marea di frustrati solo perché c’è un post da 15k note che gira che capirai. E in più mio padre è andato a lbled per una cosa delicata di famiglia e ci resterà per un po’ e io ieri guardavo la partita tipo. La solitudine 💀💀💀💀💀💀💀
1 note · View note
Text
Americano a Venezia seduto al ristorante, io ho una domanda per te (priva di giudizio ma colma di curiosità):
Come fai a rimanere illeso dopo aver mangiato pizza e cappuccino con 35 gradi all'ombra?
Perché non hai un impellente caso di sciolta?
Combatti le leggi della logica a non avere il culo strappato, spero tu ne sia consapevole.
0 notes
deathshallbenomore · 2 years
Text
mannaggia a genitore 1 che dopo aver dato una letta al mio contratto mi ha messo addosso la preoccupazione di dovermi iscrivere all’inail quando in realtà non è così. felicità ritrovata ma accipicchia. come se le beghe amministrative non fossero già abbastanza così
1 note · View note
fridagentileschi · 4 months
Text
Tumblr media
No, niente Wozniak o Steve Jobs, qui si parla dei VERI inventori del Personal Computer, qui si parla di una storia Italiana che cambiò il mondo.
Ivrea 1962, Il genio visionario Adriano OLIVETTI è già morto e la successione dell'azienda è affidata a suo figlio Roberto.
C'è però un ingegnere di nome Pier Giorgio Perotto, che ha un’idea geniale, degna del grande Adriano: costruire una macchina per elaborare dati che offra autonomia funzionale e che quindi abbia dimensioni ridotte per stare in ogni ufficio, programmabile, dotata di memoria, flessibile e semplice da usare.
Perotto crea un team di giovani Ingegneri: Giovanni De Sandre, Gastone Garziera, Giancarlo Toppiche, che lavora su questo progetto "IMPOSSIBILE" per l'epoca, considerando che sino ad allora i Computer erano grandi come stanze ed utilizzabili solo da esperti programmatori.
Dopo un anno dal lancio del progetto, il TEAM riesce a sviluppare un primo rudimentale prototipo rinominato "Perottina" ma purtroppo Olivetti, sprofonda in una crisi finanziaria profondissima, entrano nuovi soci e non capendo le potenzialità enormi che aveva il reparto Elettronico dell'azienda lo svendono all'americana General Electric con tutti i brevetti, al motto:
"Nessuna azienda Europea può entrare nel mercato dell'elettronica, non fa per noi, non siamo in grando, per quello ci sono gli americani"
Perotto però riesce a sottrarsi e sottrarre il suo TEAM al trasferimento, e prosegue, dimenticato dal resto dell'azienda che oramai si occupava d'altro, nel suo progetto visionario facendo progettare il Design della Macchina a Mario Bellini (designer famoso dell'epoca)
1965 New York. Il prototipo definitivo della Programma 101 è finalmente pronto ed in occasione del BEMA (salone delle macchine per l’automazione dell’ufficio), la fiera piu' importante dell'epoca, viene presentata al grande pubblico.
Il PRIMO PC ebbe un successo pazzesco, stavolta a giudicarlo non erano capi d'azienda (che poco capivano di elettronica) ma persone comuni, tutti si chiedevano dove fosse il cavo che collegasse quella bellissima macchina ad un "vero computer", nessuno poteva credere che era quello il computer stesso.
Il costo passò da 100000 dollari dell'epoca di un computer tradizionale a poco più di 3200 dollari, tutti ne volevano uno, anche la NASA ne acquistò diversi esemplari.
Purtroppo però In Olivetti, a parte il gruppetto di Perotto, non ci sono più i tecnici e ingegneri elettronici indispensabili sia per progettare ulteriori sviluppi del prodotto, sia per organizzare una rete commerciale in grado di vendere un prodotto ben diverso dalle macchine per scrivere o da calcolo.
L’Olivetti cerca di richiamare tecnici e ingegneri che sono finiti alla OGE (General Electric), dove lavorano per gli americani; ma i tempi non sono brevi, mentre l’industria americana, colta l’importanza delle novità introdotte dalla P101, non perde tempo per imboccare la stessa strada.
Il resto è storia.
162 notes · View notes
omarfor-orchestra · 1 year
Text
Che gli doveva dire Manuel
1 note · View note
muccamuffa · 8 months
Text
"Vorrei trascorrere il resto dei miei giorni con qualcuno che non ha bisogno di me per niente, ma che mi voglia per tutto".
Mario Benedetti
150 notes · View notes
gregor-samsung · 2 years
Text
“ La dogana era un edificio giallo, cinto da cancelli. Sulla facciata lo stendardo bianco a gigli d’oro. Imprecazioni, urla, strazio di lamenti: truppa in giamberga blu e giberne bianche teneva a bada, oltre i ferri, la folla che premeva per entrare. «Mannaggia. Mannaggia» l’espressione più frequente. «Fa’ ampresso! Fa’ ampresso!» gridarono stralunati, grondanti sudore, i soldati, cercando d’aprir strada al postiglione, che spingeva con frustate cieche. Scesero, frastornati, si strinsero tra loro. Tio Antonio andò a parlamentare con uno di quei militari, il quale ostentava esagerato rispetto: faceva inchini, accennava con la testa. Titìo cavò la borsa. «Monsignore occellenza monsù» recitò il soldato, raddoppiando riverenze, poi sparve. Di lì a un istante titìo venne assalito da cavalli, vetture e sudici cocchieri in farsetto, nappe rosse ai cappelli. Si dibatté fra gli energumeni. Riemerse, aiutato da uno di loro, mentre gli altri sputavano in terra e minacciavano, con brutti gesti delle mani. Il vetturino districò una vecchia carrozza da città, verde, con rozzi fregi dorati agli sportelli. Sudato, ansante, tio Antonio urlò: «Facciamo presto, per carità! Cosa sapevo che in questa città indemoniata oggi è la festa della Piedigrotta!». Si pigiarono. Titìo per lasciar spazio s’avventurò in serpa, accanto al cocchiere. Questi era un vecchio magrissimo, occhi caldi. Gli mancavano quasi tutti i denti, ma sorrideva sempre. «Jammo, Zizi’» gridò al cavallo, con voce sottile. Appariva prudentissimo, per la ripida discesa non fece che dare martinicca. Senza esserne richiesto, offriva continuamente spiegazioni, in tono misto d’orgoglio, cortesia, furbizia. «Llà ’ncoppa. A mano destra» disse, indicando al sommo d’una collina fitta d’alberi un solitario palazzone bianco, con poche finestre illuminate. «Capo de Monte. La reggia nuova de Tata nostro.» Sentì titìo domandare: «Tata? Che? Tata?». «Tata è... lo pate. Il padre. In una famiglia lo pate comanda e provvede pe’ li figli. Dio comanda e provvede per tutte ll’uommene. Lo re comanda e provvede per tutta la gente de chisto casalone. È comme a Dio e comme a lo pate.» «Ah.» «Però, monzù» proseguì il vecchio, con amico rimprovero. «Non era la jornata per scendere a Napole!» La vettura tremò per esplosione di fracasso infernale. Il cocchiere si trasformò, prese a vibrare sferzate a destra e a sinistra, con cattiveria, e a lanciare insulti. Eran giunti al termine della discesa e lì davvero cominciava Napoli. “
Enzo Striano, Il resto di niente, Mondadori (collana Oscar Classici Moderni n° 199), 2011¹¹; pp. 20-21.
[1ª Edizione originale: Loffredo edizioni, Napoli, 1986]
10 notes · View notes