Tumgik
#Giorgio Casalino
Photo
Tumblr media
Nuovo post su https://is.gd/JqOtcq
A settant’anni dalle lotte dell’Arneo, una riflessione sulla riforma agraria nel Salento (1950-1960) (quarta parte)
di Salvatore Coppola
All’alba del 28 dicembre più di duemila lavoratori si portarono con le biciclette (prezioso strumento per raggiungere l’Arneo, che distava decine di chilometri dai paesi limitrofi), con i loro arnesi di lavoro e con bandiere rosse e tricolori sulle masserie Carignano piccolo, Mandria Carignano, Case Arse e Fattizze, zone limitrofe a quella dove, dopo le concessioni del 1949, era stato fondato il villaggio agricolo Antonio Gramsci. A differenza di quanto era accaduto nei giorni dell’occupazione del 1949, la polizia e le forze dell’ordine non si fecero trovare impreparate e, intervenendo in forme anche platealmente illegali, verso le tre del mattino del 28 dicembre, quando i primi gruppi di lavoratori si stavano dirigendo verso l’Arneo, fermarono e arrestarono a Nardò i locali dirigenti sindacali Salvatore Mellone e Antonio Potenza, e, insieme con loro, il segretario dei giovani comunisti Luigi De Marco in quanto – come si legge nella motivazione indicata nel verbale di arresto – erano in procinto di «commettere il reato» di occupazione abusiva delle terre (non perché, quindi, si fossero già resi responsabili di occupazione abusiva di terreni). Nel pomeriggio di quello stesso giorno vennero tratti in arresto il segretario provinciale della CGIL Giorgio Casalino e altri dirigenti sindacali comunali (Pietro Pellizzari di Copertino, Crocifisso Colonna di Monteroni e Cosimo Di Campi di Guagnano). Nonostante gli arresti preventivi, il movimento proseguì con maggiore intensità e agli occupanti pervenne la solidarietà morale (telegrammi di protesta per l’arresto di Casalino e degli altri dirigenti politici e sindacali) oltre che materiale (invio sulle terre occupate di viveri e coperte) da parte delle altre categorie di lavoratori della provincia e delle province limitrofe. Il 29 dicembre venne arrestato Pompilio Zacheo, segretario della sezione del PCI di Campi, mentre riuscirono fortunosamente a sottrarsi alla cattura il segretario della CGIL di Veglie Felice Cacciatore e il segretario provinciale della Confederterra Antonio Ventura, contro i quali era stato spiccato mandato di arresto. Molti contadini rimasero accampati sulle terre anche la notte di Capodanno, quando, come si legge nel rapporto di un funzionario di polizia, «il solito onorevole Calasso aveva portato il solito saluto agli eroi dell’Arneo». Si chiese ed ottenne, da parte delle autorità della provincia, l’invio di un contingente di polizia del battaglione mobile di Bari in pieno assetto di guerra. La repressione fu molto dura, vennero distrutte le biciclette, furono sequestrati e dati alle fiamme i «viveri della solidarietà», si fece largo uso, da parte delle forze di polizia, di lacrimogeni e manganelli, fu anche utilizzato un aereo militare che coordinava l’azione dei poliziotti e dei carabinieri pur di raggiungere l’obiettivo di far sgomberare le terre. Il 3 gennaio le forze di polizia riuscirono a cacciare i lavoratori dalle terre, ad arrestarne una sessantina (tra loro altri dirigenti politici e sindacali, Ferrer Conchiglia e Salvatore Renna di Trepuzzi, Giovanni Tarantini di Monteroni, Antonio Stella, dirigente provinciale della Confederterra). Quella dell’Arneo divenne una questione nazionale, se ne occuparono giornali locali (L’Ordine e La Gazzetta del Mezzogiorno) e nazionali (Il Paese e L’Unità)[1].
Molti deputati e senatori del PCI e del PSI denunciarono in Parlamento la brutalità delle forze di polizia a fronte di un’azione sostanzialmente pacifica di occupazione e lavorazione delle terre incolte, ma, nonostante ciò, l’azione repressiva continuò nei giorni successivi con gli arresti di Felice Cacciatore (segretario della CGIL di Veglie), di Cosimo Lega e Pietro Mellone di Nardò (consigliere comunale del PCI il primo, segretario della CGIL l’altro), di Giuseppe Scalcione (segretario della sezione del PCI di Leverano), di Mario Montinaro (segretario della CGIL di Salice), di Carlo De Vitis di Lecce, di Cesare Reo (segretario della CGIL di Supersano) e dello stesso segretario provinciale del PCI Giovanni Leucci. I partiti della sinistra e la CGIL sollecitavano l’adozione di iniziative politiche e parlamentari per la liberazione dei lavoratori e dei loro dirigenti politici e sindacali. Il 2 febbraio vennero scarcerati Leucci, Casalino e un gruppo di lavoratori. Qualche giorno dopo la Confederterra nazionale prese posizione sulla vicenda denunciando le gravi condizioni di miseria nelle quali versava la provincia di Lecce e chiedendo l’adozione di un provvedimento legislativo che prevedesse l’inclusione della stessa nelle previsioni di esproprio della legge stralcio. Il successivo processo a carico di quanti erano stati rinviati a giudizio (assistiti da un collegio di difensori di cui facevano parte, oltre agli avvocati del foro leccese Giovanni Guacci, Fulvio Rizzo, Vittorio Aymone e Pantaleo Ingusci, anche Fausto Gullo, Mario Assennato, Lelio Basso e Umberto Terracini) costituì l’occasione per una battaglia politica di portata nazionale. Con sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Lecce il 24/4/1951, venticinque imputati furono condannati a un mese di reclusione e a £. 6.000 di multa, tutti gli altri vennero assolti. Nel corso della Conferenza dell’Agricoltura per la Rinascita dell’Arneo, tenuta a Veglie il 10/12/ 1961 nel decimo anniversario di quella lotta, così Giorgio Casalino ricordava quelle giornate:
  […] grandi masse di più partiti e di tutti i sindacati seguirono l’indirizzo della Camera Confederale del Lavoro occupando le macchie dell’Arneo; in quei giorni centinaia di bandiere rosse e tricolori garrivano al vento issate dai giovani braccianti su cumuli di pietra o su olivastri. La lotta fu dura e contrastata, vi furono centinaia di arresti ma ben presto il governo estese alla provincia di Lecce la legge stralcio e gli Enti di Riforma […][2].
  Con D.P.R. n. 67 del 7/2/1951 fu istituita presso l’Ente per lo sviluppo dell’irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania una sezione speciale per la riforma. La provincia di Lecce fu inclusa nel comprensorio di riforma per una superficie di 55.000 ettari su complessivi 266.000. I terreni inclusi nelle aree suscettibili di espropriazione ricadevano nei comuni di Nardò, Otranto, S. Cesarea Terme, Lecce, Surbo, Melendugno e Vernole. Le concessioni (in realtà molto limitate) vennero effettuate nella forma dell’assegnazione di poderi (che potevano avere un’estensione da 5 a 9 ettari) ai contadini privi di terra, e di quote (da un minimo di 1 a un massimo di 3 ettari) ai piccoli proprietari. Il 29 marzo 1951 presso la sede della CGIL di Veglie, alla presenza dei segretari delle Camere del Lavoro dei paesi interessati e del rappresentante della Confederterra Antonio Ventura, furono fissate le prime quote da assegnare ai comuni di Carmiano (35 ettari), Copertino (30), Guagnano (20), Leverano (30), Monteroni (5), Nardò (20), Salice (35), e Veglie (40); altri 320 ettari delle masserie Fattizze, Case Arse e Chiusurella furono concessi alle cooperative ACLI Vita Nuova di Lecce e Fede e Speranza di Carmiano; altre zone vennero concesse alla cooperativa Giacomo Matteotti di Galatina e all’Associazione Combattenti e Reduci di Veglie. Sulle modalità di distribuzione delle terre, in proprietà o in enfiteusi, sotto forma di appoderamenti individuali o di cooperative, sulla politica discriminatoria adottata dagli Enti di riforma e su altri temi legati alla riforma agraria, si sviluppò all’interno della CGIL provinciale e dei partiti della sinistra (in primo luogo il PCI) un forte dibattito[3].
  L’intervento governativo colse il movimento politico e sindacale pugliese impreparato sul piano progettuale. L’obiettivo che la Federbraccianti regionale perseguì fu, da un lato, quello di ampliare la lotta per la legge stralcio e, dall’altro, di imporre l’applicazione delle leggi Gullo-Segni. I modesti risultati conseguiti in Puglia dimostrarono la relativa debolezza dell’organizzazione sindacale nella lotta per la conquista della terra, anche se tale giudizio non era estensibile a tutta la regione; la provincia di Lecce, infatti, rappresentò (a parere di Giuseppe Gramegna, in quegli anni un dirigente regionale del movimento sindacale) la punta di diamante nella conduzione della lotta per la riforma agraria grazie alla capacità dimostrata dal movimento sindacale di coinvolgere in quella lotta altri strati della popolazione, oltre ai braccianti. Molti studiosi hanno sottolineato come vi sia stata in tutto il movimento sindacale pugliese una sottovalutazione dell’impegno per la riforma e la tendenza a mettere in primo piano le lotte per il salario e per l’applicazione dell’imponibile. Su questi temi all’interno della Federazione provinciale del PCI salentino si è sviluppata per tutti gli anni cinquanta una complessa e non sempre facile discussione fatta di riflessioni critiche e autocritiche. Nel dibattito affioravano incertezze programmatiche, tipiche di un movimento come quello salentino che, avendo privilegiato per ragioni storiche e sociali, gli obiettivi tipici del bracciantato, stentava, nonostante il successo conseguito con la lotta dell’Arneo, a individuare gli strumenti organizzativi per una corretta gestione della legge stralcio. Nei giorni 13 e 14 ottobre 1951 si tennero a Nardò e a Martano due convegni zonali dei contadini dei comuni interessati alle aree di esproprio, nel corso dei quali la CGIL propose di riprendere l’occupazione delle terre che l’Ente non aveva incluso nel comprensorio di riforma. Si avviò così un nuovo periodo di occupazione da parte dei lavoratori agricoli di Surbo, Squinzano, Trepuzzi, Martano, Melendugno, Maglie, Cutrofiano, Melissano. I dirigenti provinciali dell’organizzazione si sforzarono di individuare e di definire gli obiettivi possibili e la strategia delle alleanze per la riforma agraria nel Salento. Emergeva la preoccupazione che il processo avviato con l’applicazione della legge stralcio stesse creando serie difficoltà per l’indicazione al movimento contadino di una seria prospettiva di riforma agraria. Gli appelli a costituire o rafforzare i Comitati della terra, a creare un’autonoma Associazione dei coltivatori diretti per favorire l’alleanza con tale importante ceto sociale, a chiedere l’applicazione delle leggi Gullo e Segni, a estendere l’occupazione anche ai 60.000 ettari di oliveto, si accompagnavano sempre ad una riflessione critica e autocritica sulla gestione delle lotte. La CGIL denunciava le pratiche demagogiche e discriminatorie dell’Ente di riforma, criticava l’eccessiva limitatezza dei piani di esproprio e i tentativi di dividere le masse contadine, metteva in risalto i modesti risultati conseguiti, anche se, nello stesso tempo, sollecitava gli assegnatari a non rifiutare le terre concesse (anche se di qualità scadente) e impegnava le organizzazioni politiche e sindacali a sollecitare forme di aiuto e di assistenza tecnica per mettere i lavoratori nelle condizioni di sfruttare al meglio la terra concessa.
Dal congresso nazionale della Federbraccianti (ottobre 1952) emerse la necessità di una svolta nella politica della lotta per la terra da realizzare attraverso la richiesta di assegnazione, non solo delle terre incolte, ma anche degli oliveti, nella prospettiva generale della fissazione di un limite permanente della grande proprietà terriera. Nel 1953 la CGIL mobilitò i lavoratori agricoli salentini sui problemi tipici del bracciantato (tutela degli elenchi anagrafici, costituzione delle commissioni comunali di collocamento, sussidio di disoccupazione, assegni familiari e altre misure di tutela previdenziale, aumenti salariali), ma nello stesso tempo pose con forza il problema della limitazione delle grandi proprietà, un tema questo che fu al centro del dibattito nell’autunno del 1953 nel corso dei congressi provinciali della Federbraccianti (di cui era segretario Antonio Ventura), e dell’Associazione dei contadini del Salento guidata da Giuseppe Calasso e Giovanni Giannoccolo. Quest’ultimo propose di riprendere la lotta per rivendicare, sia l’assegnazione immediata dei 12.000 ettari già espropriati e ancora in possesso dell’Ente di riforma, sia la concessione di altri 90.000 ettari di oliveti di proprietà di 500 aziende. Giannoccolo sosteneva che fosse necessario, allo scopo di venire incontro alle esigenze del ceto medio delle campagne, favorire lo sviluppo di cooperative per la vendita dei prodotti. Egli, infine, rivendicava l’unità d’azione dell’Associazione contadini con la Federbraccianti per superare i limiti che negli anni precedenti avevano impedito l’unità nelle campagne. Ventura, da parte sua, invitava a cercare, come al tempo delle lotte sull’Arneo, un «denominatore comune per le varie categorie di lavoratori della terra», a rivendicare la concessione in compartecipazione a favore dei contadini dei 118.000 ettari di oliveto condotti direttamente dai proprietari, a denunciare l’artificioso frazionamento delle proprietà cui ricorrevano spesso gli agrari[4].
Per le organizzazioni sindacali, l’obiettivo restava sempre quello del 1950: la terra ai contadini, la conquista di almeno 60.000 ettari nel Sud Salento, l’immissione dei contadini negli oliveti (almeno 70.000 ettari) con contratti vantaggiosi ai concessionari. Negli anni di applicazione della riforma era sorta la nuova figura sociale dell’assegnatario che poneva una serie di problemi non sempre facili da risolversi (pagamento delle quote di riscatto, problemi fiscali, rapporto con l’Ente, ecc.), problemi che l’Associazione dei contadini, oramai solida, avrebbe affrontato e tentato di risolvere. Dei 15.509 ettari espropriati, ben 2.400 erano boschi e paludi inutilizzabili; gli assegnatari, a distanza di tre anni dalle lotte dell’Arneo, erano 1.716. Tali risultati, certamente insufficienti rispetto ai bisogni del mondo delle campagne, rendevano urgente la ripresa della lotta per dare un colpo decisivo alla grande proprietà fondiaria, non solo con l’immissione dei contadini negli oliveti, ma anche con l’imposizione degli imponibili ordinario e straordinario e dell’obbligo per i proprietari di reinvestire la rendita fondiaria in opere di trasformazione irrigua. Si sarebbe potuto in tal modo legare alla lotta dei contadini poveri privi di terra o con poca terra i 35.000 coltivatori diretti che, in mancanza di risposte chiare ai loro problemi, rischiavano di diventare massa di manovra delle destre monarchiche e fasciste. Alla fine del 1954 ripresero su vasta scala le occupazioni delle terre da parte dei braccianti di Squinzano, Trepuzzi, Campi Salentina, Surbo e Novoli, di quelli dell’area ionico-ugentina e della zona Frigole-Otranto, di Tuglie, Collepasso, Cutrofiano, Scorrano, Maglie, Supersano, Copertino, Veglie, Leverano, Torre Cesarea, San Pancrazio Salentino, Carmiano. Nel corso di quelle lotte si registrarono scontri tra le forze di polizia e gli occupanti, molti dei quali vennero fermati, arrestati e rinviati a giudizio; sui cartelli dei lavoratori era scritto: «gli oliveti in mano degli agrari danneggiano l’economia agricola; i contadini chiedono l’immissione negli oliveti, i contadini chiedono la concessione degli oliveti». Ricordando quel periodo della ripresa della lotta e delle occupazioni Giovanni Giannoccolo, allora segretario dell’Associazione dei contadini, scrive:
[…] Occorre dire, con molta chiarezza, che il movimento sindacale, almeno nei suoi dirigenti provinciali, ed i partiti della sinistra ed il PCI in particolare […] osteggiarono ogni sintomo di ripresa di quelle lotte. E ciò perché erano tutti influenzati dalla posizione tenuta da Grieco e dalle sue direttive […]. A differenza di Grieco, Emilio Sereni riteneva che il movimento non dovesse appagarsi dei modesti risultati conseguiti, che era necessario dispiegare queste grandi energie per assestare un ulteriore colpo al latifondo a colture intensive. In sostanza Sereni voleva dire: sino ad ora i contadini hanno preso l’osso, adesso gli spetta un po’ di polpa […]. L’idea di Sereni faceva breccia fra i contadini […] il movimento ebbe nuovo impulso e fu esteso, riuscimmo a mobilitare migliaia di contadini […] la posta in gioco era alta in quanto quella volta si occupavano terre coltivate e, perciò, la reazione degli agrari e delle forze di polizia sarebbe stata ancora più dura rispetto a quella avutasi nell’occupazione delle terre incolte. Indubbiamente ci furono cariche e arresti, ma i contadini credettero nella giustezza della battaglia che conducevano e, pur subendo le violenze che più o meno, altri, prima di loro, per analoghi motivi, avevano subito, conclusero quelle occupazioni con una grande e significativa vittoria, consolidandosi nel possesso delle terre […][5].
Negli anni seguenti i gravi problemi dei vitivinicultori, dei tabacchicultori e dei coloni, per i quali dispiegò un’intensa attività l’Associazione dei contadini, favorirono, all’interno del movimento sindacale, sia pure con un certo ritardo, una maggiore presa di coscienza dei temi specifici dei produttori e dei coltivatori diretti[6].
Il 10 dicembre 1961, organizzata dalla CGIL provinciale, si tenne a Veglie la Conferenza dell’Agricoltura per la rinascita dell’Arneo, alla quale parteciparono i segretari provinciali del PCI e del PSI Mario Foscarini e Romano Mastroleo, l’onorevole Giuseppe Calasso, sindaci, consiglieri provinciali e comunali, rappresentanti degli assegnatari e dei quotisti e dei Comitati aziendali dell’Arneo. Nella relazione introduttiva, il segretario provinciale della CGIL Giorgio Casalino indicò per le masse lavoratrici delle campagne un processo di riforma agraria generale che garantisse al contadino «il possesso della terra e gli aiuti per una moderna e razionale coltivazione dei terreni». Dopo avere passato in rassegna i principali problemi dell’agricoltura salentina, Casalino si soffermò sulla questione dell’olivicoltura che, nel biennio 1960-61, era stata al centro dell’iniziativa politica e sindacale, sostenendo che, poiché la maggior parte degli oliveti erano condotti in economia con sistemi rudimentali, privi di irrigazione e concimazioni adeguate, la CGIL proponeva l’immissione dei braccianti, dei compartecipanti e dei contadini poveri negli oliveti, in modo che riunendosi in cooperative potessero garantire, grazie all’aiuto della tecnica agraria e dell’irrigazione, una razionale e moderna coltivazione. Particolare attenzione egli dedicò ai coltivatori diretti ai quali veniva proposto di associarsi in cooperativa «per far fronte alle speculazioni dei monopoli della Montecatini e per chiedere sgravi fiscali e prestiti a basso tasso di interesse per l’ammodernamento dei propri poderi». Anche ai coloni, ai compartecipanti, ai mezzadri e ai fittuari venne indicata la prospettiva della concessione degli oliveti e dei vigneti, con l’estromissione dei grandi agrari («che ormai non assolvevano più ad alcuna funzione») e la costituzione di cooperative, oleifici e consorzi per l’irrigazione. «Per vincere la crisi dell’agricoltura bisogna estromettere dalle campagne i grandi agrari dando la terra a chi la lavora», queste le conclusioni cui giunse Casalino, dando così un nuovo senso alla tradizionale parola d’ordine la terra a chi la lavora. Venendo al tema specifico dell’Arneo, Casalino rivendicò «la giustezza della lotta che i lavoratori affrontarono negli anni 1949, 1950, 1951 occupando le terre incolte e malcoltivate dell’Arneo»; sottolineò gli aspetti negativi della politica agraria della DC e degli Enti di riforma che avevano condotto ad abbandonare al proprio destino assegnatari e quotisti, molti dei quali, privi di mezzi, indebitati e sfiduciati, oberati dalle tasse e dalle quote di ammortamento, avevano abbandonato i poderi o pensavano di farlo, tanto che – così concluse Casalino – «nei poderi abbandonati dagli assegnatari sono tornate a pascolare le pecore». Che cosa fare dunque per invertire la tendenza che, all’interno della politica del Mercato Comune Europeo e del Piano Verde, doveva fatalmente portare l’Arneo ad essere «invaso dalle macchie» e i contadini ad emigrare all’estero? Queste le proposte che emersero dagli interventi (particolarmente significativi quelli di Felice Cacciatore, sindaco di Veglie), Sigfrido Chironi, segretario della Federbraccianti, Francesco Leuzzi, membro della segreteria della CGIL, Romano Mastroleo e Mario Foscarini: lottare affinché i finanziamenti statali fossero assegnati ai lavoratori della terra in forma singola o associata; costituire consorzi di miglioramento, cantine e oleifici sociali che favorissero il superamento della tendenza individualista dei contadini che dovevano, invece, essere tutti uniti per costituire un fronte comune contro l’offensiva dei grandi agrari e dei monopoli; pretendere che i contributi del Piano Verde venissero destinati ai lavoratori agricoli per il progresso delle campagne; rafforzare il ruolo del neonato consorzio per l’area di sviluppo industriale di cui facevano parte tutti i comuni dell’Arneo; impiantare industrie per la trasformazione e la conservazione dei prodotti; chiedere una serie di agevolazioni creditizie e fiscali per gli assegnatari allo scopo di creare quelle condizioni di stabilità sul fondo e di benessere che consentissero loro di poter «lavorare proficuamente per lo sviluppo economico dell’Arneo». Ai comuni della fascia dell’Arneo la CGIL affidava ancora una volta il compito di guidare la lotta per la riforma agraria e per la rinascita economica. Così concluse Casalino la conferenza:
  […] Quelle memorabili lotte dell’Arneo ormai sono scritte sul libro d’oro della storia popolare del Salento e già molti spesso raccontano ai figli come in quegli anni furono costretti a permanere 40 giorni e 40 notti nelle macchie dell’Arneo, delle biciclette che perdettero perché bruciate o sequestrate, degli elicotteri che sorvolavano le macchie per indicare le posizioni dei contadini asserragliati fra i cespugli. E di come fu pronta e spontanea la solidarietà popolare […] la solidarietà di tutti i cittadini e primi fra essi degli esercenti fu grandissima, e altrettanto grande fu l’unità raggiunta fra tutti i lavoratori. I risultati non mancarono e le statistiche ci dimostrano come il reddito agricolo zootecnico forestale negli anni successivi è cresciuto per decine di miliardi […][7].
  Note
[1] Ivi.
[2] Ivi, fasc. 3418. Il testo dell’intervento di Giorgio Casalino alla Conferenza di Veglie in: Archivio Flai-Cgil, cit.
[3] G. Gramegna, Braccianti e popolo in Puglia, cit. Egli scrive: «tra il quadro dirigente ed in tutto il movimento democratico, politico e sindacale, si aprì un vasto dibattito, dando vita ad un esame critico ed autocritico sulle azioni condotte e sui risultati conseguiti […]. Innumerevoli furono, infatti, le riunioni che si svolsero a livello regionale con la partecipazione di dirigenti nazionali del sindacato e della Commissione agraria del PCI. Le critiche erano aspre, ed a volte anche ingenerose, verso compagni che pure avevano dato il meglio di sé nella conduzione della lotta. Tuttavia, restava il fatto che difetti vi erano stati e che, quindi, in una situazione siffatta anche le critiche ingenerose avevano non solo un fondamento ma stimolavano verso la ricerca degli errori, che non potevano essere solo di carattere organizzativo, ma investivano la visione e la strategia delle lotte nelle campagne pugliesi» (pp.155-157).
[4] Fg, Archivio PCI, MF 0328.
[5] L’intervista a Giannoccolo in S. Coppola, Il movimento contadino in terra d’Otranto, cit., pp. 179-183.
[6] Fg, Archivio PCI, MF 0430 pp. 2488-2556; MF 0446, pp. 2801-2805; MF 0473, pp. 822-840.
[7] Archivio Flai-Cgil, Atti della Conferenza dell’Agricoltura per la rinascita dell’Arneo. Fg, Archivio PCI, MF 0407, pp. 2923-2946; pp.2985-2990; pp. 3028-3036. In un documento del Comitato regionale pugliese della Federbraccianti (del febbraio 1965) predisposto per la delegazione dei senatori che facevano parte della Commissione agricoltura (riportato da De Felice, Il movimento bracciantile, cit.) si legge questa valutazione complessiva sulla legge stralcio: «Se si tiene conto che sono stati espropriati solo o in gran parte terreni a scarso reddito, bisogna concludere che la riforma stralcio ci ha dato delle utili indicazioni pur non essendo stata completata […]. Si può parlare di fallimento solo in relazione al fatto che la legge stralcio contiene dei limiti gravi […] ma i fatti dimostrano che, quando la terra era nelle mani dei vecchi proprietari latifondisti, questa non produceva. Oggi i contadini -ieri braccianti- con il loro sacrificio e con la loro intelligenza hanno creato anche giardini dove prima era il deserto. Non per questo però si deve dire che non vi sono state delle storture. Ad esempio, circa un migliaio di assegnatari ha ottenuto in assegnazione terre non suscettibili di trasformazione, che lo Stato ha pagato a peso d’oro ai proprietari fondiari […] (p. 401).
  Per la prima parte:
A settant’anni dalle lotte dell’Arneo, una riflessione sulla riforma agraria nel Salento (1950-1960) (prima parte)
Per la seconda parte:
A settant’anni dalle lotte dell’Arneo, una riflessione sulla riforma agraria nel Salento (1950-1960) (seconda parte)
Per la terza parte:
A settant’anni dalle lotte dell’Arneo, una riflessione sulla riforma agraria nel Salento (1950-1960) (terza parte)
0 notes
vadaviaaiciap · 4 years
Text
La visita del sig. Conte.
In questi mesi ho cancellato centinaia di insulti rivolti a Conte, Fontana e Gori. Gli errori sono evidenti e gravissimi, ma è pur vero che 60 milioni di commissari tecnici si sono trasformati in altrettanti virologi, economisti ed haters. Taluni comportamenti rischiano d’altra parte di suonare come inutilmente provocatori e possono diventare detonatori.Ieri alle 23 è finalmente giunto a Bergamo.
Giusto il tempo di litigare con una giornalista, ripetere qualche supercazzola e non ricordare i nomi dei comuni falcidiati dal Covid. Ma Bergamo non è una tappa del Giro di Lombardia, a Bergamo stiamo piangendo migliaia di morti, da Bergamo sono partite le bare con i convogli militari. Signor Presidente, governare questa nazione è impossibile nella ordinarietà, personalmente lo so bene, ma la tensione è comprensibilmente alle stelle ed è richiesta serietà e preparazione.
La Fase 2 si sta rivelando confusa e contraddittoria nonostante gli oltre 450 consulenti di cui dispone. Arriva in tarda serata, freddamente, con l’atteggiamento di chi deve e 3 ore di ritardo. Non riesce a trasmettere la vicinanza della alta istituzione che rappresenta e nemmeno si ricorda i nomi di Alzano Lombardo e Nembro. Presidente, non sono “piccoli comuni bergamaschi”, sono cittadine con migliaia di abitanti devastate dalla morte, peraltro non senza colpe. Sono i capoluoghi della Val Seriana, terra di meraviglie naturalistiche, di impegno e di lavoro.
Ora, riconosco l’attenuante connessa al fatto che le centinaia di persone che si occupano della sua comunicazione sono guidate da Rocco Casalino del Grande Fratello, ma abbiamo una maledetta necessità di solidarietà e di aiuti urgenti e concreti. E ancor prima di quel rispetto che è d’obbligo. E che ieri è mancato.
Giorgio Jannone
22 notes · View notes
giancarlonicoli · 4 years
Link
30 set 2020 18:57 CINZIA MONTEVERDI DEL ''FATTO'' DEFINISCE DAGOSPIA ''FOGNA MEDIATICA''. MENO MALE CHE CI SONO LE FOGNE, SENNÒ VIVREMMO SOMMERSI DALLA MERDA! - CI TOCCA RISPONDERE DI NUOVO ALLA VISPA E VISIONARIA SOCIA DI TRAVAGLIO, CHE CI DEDICA ADDIRITTURA UNA PAGINA, IL TUTTO PER CONFERMARE LA NOTIZIA CHE ABBIAMO DATO: L'AZIONISTA STORICO, IL TERZO PIÙ IMPORTANTE DEL ''FATTO'', VUOLE VENDERE LA SUA QUOTA. IN UN GIORNALE CHE È DIVENTATO LA ''GAZZETTA DI GIUSEPPE CONTE'' E HA VISTO L'USCITA DELLE FIRME PIÙ BATTAGLIERE: VECCHI, FELTRI, AMURRI, TECCE, MELETTI. PERSINO DIBBA È STATO PRIMA STRAPAGATO E POI SCARICATO PERCHÉ OSAVA CRITICARE IL PREMIER - AH, ORA FANNO ANCHE AFFARI CON BERLUSCONI
DAGOREPORT
Non sapevamo se rispondere all'esilarante paginata che la vispa Cinzia Monteverdi ha dedicato al nostro articoletto di due giorni fa, in cui scrivevamo cose che poi ha confermato (in sostanza, che il terzo maggiore azionista del ''Fatto Quotidiano'' vuole vendere la sua quota). E non perché ci ha definito ''fogna mediatica'' – meno male che ci sono le fogne, sennò vivremmo sommersi dalla merda –, né perché nel titolo ci chiama ''rosiconi'' come Renzi definiva il ''Fatto'' quando (bei tempi!) faceva inchieste sui governi. Ma perché avevamo di meglio da fare.
E invece, eccoci qui. La regola vuole che più lunga è la smentita e più lunga è la coda di paglia, e la colata che ci dedica lady Monteverdi la rispetta pienamente. La presidente e ad della SEIF sostiene che questo ''sito di gossip'' (ha dimenticato il porno) abbia scritto ''frottole'', cioè che Edima vuole vendere le sue azioni per due ragioni: i conti in rosso e la linea del giornale ormai totalmente appiattita su quella del governo Conte-Casalino (ah, Casalino non l'avevamo menzionato noi ma lei, a proposito di code di paglia).
È questo il bello di essere una ‘’fogna mediatica’’ e un sito di gossip: quando poi scrivi qualcosa di interessante o pubblichi qualche notizia in anteprima, chi legge pensa: ''hai capito quegli zozzoni, non sono poi così male''.
Quando invece passi anni a raccontarti come il cane da guardia del potere, il quotidiano libero che non fa sconti a nessuno, e poi ti trasformi nella Gazzetta di Giuseppe Conte, la caduta è sicuramente più rovinosa. Ed è sotto gli occhi di tutti, come la repentina uscita di alcune delle firme più importanti e battagliere del giornale.
Da quando Marco Travaglio ha tenuto a battesimo il governo Conte-bis ed è diventato lo spin doctor del premier, se ne sono andati Davide Vecchi, Stefano Feltri, Sandra Amurri, Carlo Tecce, Giorgio Meletti. Alessandro Di Battista, lautamente remunerato per farsi dei viaggetti in giro per il mondo, con famiglia al seguito, appena ha iniziato a fare opposizione al governo è stato scaricato, tanto da essere passato a ''Tpi'' dove insegna come si fanno i reportage (dovrebbe insegnare come farsi pagare dal ''Fatto''! Quella è una lezione che vale i soldi che costa).
Alvaro Cesaroni, che ha messo i suoi soldi nella Edima e dunque nel capitale originario del ''Fatto'', commentando l'addio di Sandra Amurri ha raccontato di essere stato definito un ''salumaio'' da qualcuno che fa parte del giornale. Quindi non ci pare certo un rapporto idilliaco. Ma non serve leggere noialtri infognati, basta aprire il bilancio 2019, quello che si è chiuso con 1,5 milioni di euro di perdita.
Nel corso dell'assemblea che doveva approvarlo, che si è svolta per via telematica causa Covid, ha preso la parola proprio il rappresentante della Edima, precisando che avrebbe monitorato da vicino l'andamento dei conti, che veniva accettato considerando l'attività editoriale del ''Fatto'' come quella di una start-up (e dunque, intrinsecamente, in perdita), ma che voleva immediate "informative approfondite sulla gestione". Ecco il passaggio:
Prende quindi la parola il Rappresentante Designato, in nome e per conto del socio delegante Edima S.r.l., titolare di n. 2.835.784 pari all'11,34% del capitale della Società, dichiarando che il socio Edima S.r.l. dopo aver analizzato attentamente i dati del bilancio e le relazioni accompagnatorie degli organi amministrativi e di controllo, approva il bilancio chiuso al 31 dicembre 2019, ritenendo il relativo risultato di esercizio rappresentativo di una fase di start up fondamentale per il progetto media-data company.
Il Socio Edima srl ritiene parimenti necessario si ponga particolare attenzione all'equilibrio economico e al contenimento dei costi per le prospettive aziendali di sostegno al piano industriale e raccomanda informative approfondite sull'andamento di gestione nel breve e medio termine.
Chi conosce le assemblee aziendali sa che se un socio vuole essere messo a verbale, e soprattutto con la frase ''raccomanda informative approfondite sull'andamento di gestione nel breve e medio termine'', significa che le cose non vanno come vorrebbe. Non a caso, pochi mesi dopo Edima ha messo in vendita la sua quota, e questa è la notizia principale confermata dalla stessa Monteverdi.
Sulla paginata a noi dedicata appare anche una breve nota di Edima in cui precisa che non ha messo mai becco nella linea editoriale (cosa che ovviamente noi non abbiamo scritto) e casualmente tra i soci non appare mai il nome di Alvaro Cesaroni, ma solo ''Angela Iozzi, Mario Cesetti, Luca D’Aprile e il sottoscritto Enrico Paniccià''. E chi è Angela Iozzi, se non la moglie di Cesaroni?
Edima poi ribadisce la volontà di vendere, fatta salva la facoltà di chi intenderà rimanere nell'azionariato di SEIF. Se i rapporti sono così rosei, perché cedere la quota dopo 11 anni? Solo per monetizzare, come dice la Monteverdi? Ma finora hanno incassato ricche cedole, avrebbero potuto monetizzare dopo la quotazione quando il titolo valeva 80 centesimi, mentre ora viaggia intorno ai 50.
Insomma, si conferma la quota in vendita, è confermato (addirittura nel bilancio depositato!) l'allarme sui conti in rosso, mentre sulla linea editoriale appiattita sul governo e sgradita ad Alvaro Cesaroni aspettiamo ancora smentita. Essendo uno dei soci fondatori, tanto che le feste per i primi due compleanni del ''Fatto'' si sono tenute a Fermo, sua città natale, la notizia ha sicuramente una rilevanza mediatica, seppur fognaria…
PS: non perdetevi la parte finale del monologo, in cui la Monteverdi ci ''brucia'' annunciando che il ''Fatto'' si è messo in affari con Berlusconi. Si ride forte.
PPS: la notizia della Santanché che vuole comprarsi la quota non è stata data da noi, come ha scritto la Monteverdi. Le frasi della Pitonessa sono state raccolte da ''Repubblica'', che ovviamente non ha manco citato questo disgraziato sito.
2. IL FANGO CONTRO 'IL FATTO' E I ROSICONI SUI NOSTRI CONTI (CHE SONO A POSTO)
Cinzia Monteverdi* per il “Fatto quotidiano”
*Presidente e Amministratore delegato SEIF
Quando le persone mi chiedono: "È dura gestire un'impresa editoriale di questi tempi, vero?", rispondo sempre che è molto più sopportabile gestire le difficoltà del mercato editoriale rispetto alla fogna mediatica costruita sulle frottole e non su fatti veri. In effetti la cosa più dura e fastidiosa è dover gestire la consueta, ormai tradizionale, "informazione" che parte sempre da qualche angolo buio e triste per arrivare a propagarsi in un'onda maleodorante tramite certi siti di gossip.
La tentazione è sempre quella di non rispondere per non dare importanza alle bugie e, soprattutto, per non perdere tempo. Ma, per rispetto dei nostri lettori, dei nostri giornalisti, dei nostri dipendenti, del nostro direttore e dei nostri investitori, spesso sono e siamo costretti a replicare e precisare.
Così anche oggi ho l'obbligo, ma anche il piacere di comunicare che l'articolo uscito lunedì su Dagospia titolato "C'è del movimento tra i Soci del Fatto", costruito ad arte povera, riportava una serie di baggianate seguite da altre baggianate, culminate con l'ipotesi dell'ingresso di Daniela Santanchè come futura azionista della nostra Società. Tutto questo accadeva, guarda caso, proprio mentre il nostro Consiglio di amministrazione era riunito per approvare il bilancio semestrale.
Mentre il pezzo riportava l'intenzione del nostro azionista Edima di vendere le sue quote a causa della linea editoriale di Travaglio e dei conti in rosso, il nostro Cda approvava una semestrale con i conti a posto e un risultato di esercizio positivo. Inutile inviare diffide, rettifiche e smentite a Dagospia con preghiera di pubblicazione perché la velocità media di pubblicazione delle bugie è inversamente proporzionale a quella di pubblicazione delle nostre smentite. Che, al solito, sono state corredate da una simpatica foto (che ormai ha stufato anche i sassi) della sottoscritta insieme a Travaglio, risalente - credo - a dieci anni fa, quando eravamo inseguiti dai paparazzi non appena andavamo a cena dopo il lavoro.
L'unica cosa positiva è che, per Dagospia, sembro non invecchiare mai. Scherzi a parte, è tutto molto prevedibile e comprensibile: Il Fatto dà fastidio a tanti, il nostro giornale rompe le scatole a un bel po' di potenti e in giro ci sono molti invidiosi malvissuti che forniscono informazioni inesatte o totalmente false a testate fatte apposta per diffonderle. A questo andazzo siamo ormai abituati: il mondo è bello perché è vario. A chi però vuole sapere come stanno davvero le cose preciso che la Società Editoriale il Fatto è una società per azioni, approdata per giunta al mercato della Borsa un anno e mezzo fa, dunque - per definizione - aperta alla vendita e all'acquisto di azioni.
I soci hanno diritto di vendere se ne hanno l'esigenza, essendo le nostre azioni per fortuna monetizzabili perchè hanno un valore. Considero fondamentale per la crescita della Società e il raggiungimento dei nostri obiettivi industriali valutare l'entrata di partner strategici nel nostro azionariato. Pertanto non ci preoccupa l'ipotesi che un azionista ceda le sue azioni a un nuovo socio funzionale alla crescita societaria. Come in tutte le Società, i cambiamenti nella compagine azionaria sono la normalità: ne abbiamo già avuti anche noi in passato. Ma non è in atto alcuno sconvolgimento tra i Soci del Fatto, specie tra quelli fondatori e operativi, che credono fermamente nel piano di sviluppo.
Il fatto che alcuni Soci possano avere l'esigenza di monetizzare la propria quota non comporta certamente un fuggi-fuggi, tantomeno per colpa della "linea Travaglio" (nota fin dalla nostra fondazione) né per i fantomatici conti in rosso (che invece sono in attivo). Mi dispiace poi deludere Dagospia, ma la sottoscritta non ha esercitato alcuna pressione per impedire a chicchessia di vendere le proprie azioni. Anzi, comunico di essere assolutamente favorevole ai cambiamenti, purchè siano sani e portino valore all'impresa. Dunque ben vengano altri azionisti, anche se "scomodi".
Anche perchè siamo protetti da uno statuto che ci tutela dalle "nocività". Ma soprattutto perchè i soci "scomodi", se sono intelligenti e avvezzi al business, sono i primi a non voler entrare nel Fatto. Quella su Santanchè nostra azionista è una boutade. Essendo donna tutt' altro che sprovveduta e abile negli affari, è la prima a comprendere che, se investisse davvero un milione e mezzo di euro per acquisire azioni (come riportato da Dagospia e da un'intervista addirittura su Repubblica), queste perderebbero immediatamente valore, visto che i nostri lettori non comprenderebbero l'operazione e smetterebbero di acquistare il giornale.
Non credo che Daniela Santanchè abbia alcuna intenzione di buttare via i suoi soldi. Insomma, cari lettori e investitori, godetevi la nostra bella semestrale su il sito www.seif-spa.it, con i conti a posto. E perché i conti sono a posto? Perché i ricavi sono aumentati, la diversificazione su diversi rami ha funzionato e soprattutto quel "maledetto" giornale chiamato Il Fatto Quotidiano, con la maledetta linea editoriale di Travaglio, ci ha portato un aumento dei ricavi del 30% nel primo semestre. Non cantiamo vittoria perché il 2020 è stato per l'economia un anno duro e lo sarà ancora, imponendo ulteriori sforzi a noi come a tutte le imprese. Ma intanto festeggiamo alla faccia di chi ci vuole male.
Ah, dimenticavo: ho un nuovo titolo-scoop da suggerire a Dagospia: "Il Fatto si fa distribuire da Berlusconi". Oppure "Travaglio fa affari con Berlusconi". Infatti abbiamo cambiato società di distribuzione per mia scelta, legata a motivazioni oggettive: dal 1° ottobre saremo seguiti da Pressdì, società del gruppo Mondadori. Lo "scandalo" è già pronto, servito su un piatto d'argento. Forza Dago a tutta birra. Divertiamoci un altro po'.
3. IL FATTO APRE A NUOVI AZIONISTI
Achille Milanesi per “MF”
«Ci sono partner industriali interessati a entrare nel capitale e garantire il sostegno di sviluppo futuro del progetto editoriale». Parola di Cinzia Monteverdi, azionista e top manager della casa editrice Seif, che controlla il Fatto Quotidiano e altre attività nel settore della produzione di contenuti.
Il gruppo ha chiuso il primo semestre con ricavi per 19,78 milioni (+30,47%), un ebitda di 2,5 milioni e un utile di 73mila euro (rispetto a una perdita di 862 milioni del 30 giugno 2019) e ora valuta la possibilità di ampliare l' azionariato. Il tutto all' interno di un piano di espansione operativo ed editoriale che può necessitare di nuovi capitali e che quindi non può escludere un rimescolamento dell' attuale assetto. Come riferito nei giorni scorsi da Dagospia, il socio storico Edima (11,34%) starebbe valutando l' opportunità di uscire dal capitale, anche se va ricordato che Luca D' aprile - socio di Edima al 10% - è nel cda della casa editrice e ha un ruolo di rilievo sulla parte digitale e d' innovazione del gruppo.
Inoltre, gli altri soci di Seif - a partire da Monteverdi (16,26%) e dal direttore Marco Travaglio (16,26%) - possono rilevare a loro volta le azioni che un altro socio intendesse cedere e anche la società stessa può comprarle, come già avvenuto in passato.
Quanto agli altri soci rilevanti, Chiare Lettere (11,34%) e Aliberti Editore (7,35%), non hanno intenzione di monetizzare e abbandonare il progetto portato avanti dal management.
Va però segnalato che l' imprenditrice Daniela Santanché si sarebbe fatta avanti con Edima per rilevare la quota del Fatto Quotidiano. Secondo quanto appreso in ambienti finanziari, Santanché avrebbe messo sul piatto 1,5 milioni per l' 11,35% potenzialmente in vendita, per una valutazione implicita di Seif di 13,2 milioni rispetto a una capitalizzazione di borsa di 12,5 milioni. Al momento non è dato sapere se la trattativa sia in fase avanzata e se vi sia davvero interesse di Edima a uscire dal capitale del Fatto.
Resta invece l' interesse della senatrice di FdI a incrementare la presenza nel settore editoriale, oggi rappresentata dalla partecipazione in Visibilia Editore.
In tal senso, secondo rumors di mercato, Santanché - in qualità di presidente della società - starebbe per lanciare un aumento da 5 milioni e sarebbe pronta a sottoscrivere pro-quota (18,24%) oltre a coprire gran parte dell' eventuale inoptato.
Anche perché di recente ha ottenuto una linea di credito da 2 milioni per questa operazione e ha liquidità a disposizione per eventuali operazioni di mercato.
0 notes
koufax73 · 5 years
Photo
Tumblr media
MIXTRAKS #223: la playlist che si fa i selfie al mare MIXTRAKS #223 contiene brani di Tacøma, Clied, DiMeglio, Roberto Casalino, MIVERGOGNO, Scottosopra, Melga, Après la Classe, Nicoletta Pedrini, Foja, Giorgio Line, Il Parto delle Nuvole Pesanti, Francie, Joe Shamano, Nikki, Levia, Etanolo.
0 notes
sciscianonotizie · 6 years
Link
0 notes
persinsala · 6 years
Text
Enrico Montesano porta sul palcoscenico del Sistina uno dei suo personaggi più amati dal pubblico: Il Conte Tacchia, liberamente tratto dal film di Sergio Corbucci e riscritto dallo stesso attore romano con Gianni Clementi. In scena fino al 25 marzo.
Sui sampietrini bagnati dalla pioggia di via Sistina, si alternano diverse carrozze trainate da cavalli bianchi e neri e al loro interno alcuni dei protagonisti della versione teatrale de Il Conte Tacchia, che scendendo salutano fotografi, giornalisti e parte di quel pubblico in attesa della prima, che si è tenuta il 22 febbraio scorso. Sono trascorsi quasi trentasei anni da quando in Italia uscì la pellicola cinematografica diretta da Sergio Corbucci con protagonista lo stesso Enrico Montesano, a quei tempi già popolare grazie a tanti personaggi di successo portati sul grande schermo. Francesco (Checco) Puricelli, soprannominato appunto Il Conte Tacchia, per via delle zeppe di legno poste sotto i mobili per non farli traballare, è in realtà un personaggio realmente esistito, ispirato ad Adriano Bennicelli, vissuto tra il 1860 e il 1925, diventato, per merito dell’interpretazione di Montesano, un’altra famosa maschera dopo quella di Rugantino e de Il Marchese del Grillo, che lo stesso Enrico ha portato sul palcoscenico con grande seguito.
La storia a teatro ha subìto delle modifiche, considerando anche l’età anagrafica del protagonista, che pur interpretando lo stesso identico ruolo, ci mostra anche un ideale sequel. Checco, infatti, dall’America ritorna nella sua bella Roma alla ricerca di Fernanda e come per magia rivive tutto quel periodo in cui, pur essendo figlio di mastro Alvaro, falegname di umili origini, si divertiva a girare con abiti aristocratici frequentando soprattutto la dimora del Principe Terenzi. Rivivono così anche questi due grandi personaggi della sua vita, interpretati nel film da Paolo Panelli (suo padre anche in altre commedie) e Vittorio Gassman, sulla scena omaggiati rispettivamente da Andrea Pirolli e Giulio Farnese; il loro è un compito arduo, ma nell’insieme il risultato è buono, seppur nelle orecchie resta l’eco delle inconfondibili voci dei due grandi predecessori. Ben riuscita la scena della grande abbuffata, in cui Alvaro e il Principe muoiono con gli spaghetti in bocca, e per questo applaudita calorosamente. Giorgio De Bortoli è invece Ninetto, Elisabetta Mandalari ricopre il ruolo di Fernanda, Monica Guazzini la Duchessa, mentre Benedetta Valanzano è la Duchessina Elisa. Accanto a suo padre recita anche il bravo Michele Enrico Montesano, tra l’altro somigliantissimo all’attore e regista, nel ruolo di Lollo D’Alfieri. Tutti i personaggi indossano costumi dell’epoca, realizzati con cura da Valeria Onnis.
Il Conte Tacchia si muove tra le interessanti scenografie di Carlo De Marino, che ha ricostruito la piazza principale dove si aprono negozi e portoni, nascosti quando il quadro lo richiede, dal viale alberato del Lungotevere proiettato su una parete velata. Il contesto è inoltre rallegrato dalla presenza dei popolani, ovvero da un corpo di ballo formidabile, in cui spiccano i salti acrobatici del bravo Manuel Mercuri. Le battute presenti nel testo sono sicuramente più colorite: se per esempio i letti, nel film, secondo Checco servivano per riposare, qui son fatti per «insifonare», non mancano inoltre riferimenti all’attualità, seppur mascherati; quando, sempre Checco, racconta di un uomo conosciuto in America col ciuffo biondo c’è un chiaro riferimento all’attuale Presidente degli Stati Uniti e alla politica, sempre presente in modo sottile nei copioni di Montesano. Un testo che invece non è stato alterato è quello della canzone Ansai che pacchia, sulle musiche originali del Maestro Armando Trovajoli a cui si aggiungono nuove canzoni scritte appositamente per la commedia dal Maestro Maurizio Abeni. Il Conte Tacchia allieterà le serate di quanti vorranno rivivere una bella commedia senza tempo fino al 25 marzo al Teatro Sistina, tempio del bel musical e dell’intramontabile romanità.
©antonio Agostini 3501
©antonio Agostini 3603
©antonio Agostini 3629
©antonio Agostini 3674
Lo spettacolo continua: Teatro Sistina via Sistina, 129 – Roma fino a domenica 25 marzo orari: da martedì a sabato ore 21.00, domenica ore 17.00, mercoledì 14 e 21 marzo ore 17.00 (durata 2 h e 30 minuti intervallo escluso)
Thalia Produzioni presenta Il Conte Tacchia di Enrico Montesano, Gianni Clementi regia Enrico Montesano con Enrico Montesano, Giulio Farnese, Giorgio De Bortoli, Andrea Pirolli, Monica Guazzini, Elisabetta Mandalari, Benedetta Valanzano, Michele Enrico Montesano, Roberto Attias, Tonino Tosto, Sergio Spurio,
Giacomo Genova, Gerry Gherardi, Ambra Cianfoni, Francesca Rustichelli solisti Valentina Bagnetti, Michela Bernardini, Saria Cipollitti, Annalisa D’Ambrosio, Viola Oroccini, Silvia Pedicino, Manuel Mercuri, Kevin Peci, Federico Pisano, Giuseppe Ranieri, Sebastiano Lo Casto, Rocco Stifani musiche Maurizio Abeni produzione esecutiva Valentina Mauro, Teresa Trisorio luci Luca Maneli suono Dario Felli coreografie Manolo Casalino costumi Valeria Onnis scene Carlo De Marino
Il Conte Tacchia Enrico Montesano porta sul palcoscenico del Sistina uno dei suo personaggi più amati dal pubblico: Il Conte Tacchia…
0 notes
tarditardi · 6 years
Photo
Tumblr media
27/01 Zero (vent’anni di divertimento!)... Party al Quirinetta di Roma
Una maratona di 12 ore insieme ai protagonisti del clubbing e del bere bene a Roma: arriva domani, sabato 27 gennaio al Quirinetta, la festa itinerante che celebra il ventennale del magazine ZERO, il punto di riferimento per chi ogni giorno vuole sapere dove andare e cosa fare in città. Dopo il successo del primo evento celebrativo tenutosi a Milano a gennaio 2017 presso Macao - Nuovo Centro per le Arti, la Cultura e la Ricerca, ZERO racconta 20 anni di divertimento nella Capitale con 30 dj scelti tra i più significativi della scena romana, sia per le loro produzioni sia per il loro impegno nell’organizzazione di serate e, contemporaneamente, con 40 bartender che si alterneranno nelle postazioni dedicate alla nuova cultura del drink che tutti ormai conoscono come “mixology”, arte in cui Roma può dire di avere raggiunto l'eccellenza di Milano. Una staffetta dove ogni ora ci sarà un nuovo remix da ballare e un nuovo cocktail da degustare, praticamente dodici serate in una! Obiettivo: celebrare la città e superare gli impressionanti numeri registrati in occasione della prima memorabile festa a Milano, con 23 dj, 30 barman e migliaia di presenze per altrettanti cocktail serviti.
Roma dunque riparte da ZERO! E si prepara a festeggiare in un grande evento tutta quella creatività diffusa di cui la rivista è testimone attento e sensibile da ben due decenni. Una festa di Roma e per Roma, con i protagonisti della città, quelli che riempiono le pagine di ogni numero del magazine. Perché ZERO è un giornale cittadino, che le città le racconta. E attraverso questa occasione intende riunire tutte le realtà capitoline di questa grande narrazione.
A passarsi il testimone di questa lunga storia saranno, in consolle: Adiel (Ultrabeat), Andrea Esu (L-Ektrica/Spring Attitude), Andrea Lai (Agatha), Andypop (Hot Cakes Bass/Abformal Recordings), Beat Soup, Blackie (Smash), Bob Corsi (Magnetica, Go Bang, Club Tropicana), Borgioli (Curtis Wolf), Claudio Coccoluto (The Dub), Dj Red (BPitch Control), Emiliano Cataldo (Radio™), Equohm (Since), Fabio Luzietti (Screamadelica), Flavia Lazzarini (Glamda, Disco Misto), Gino Woody Bianchi (Cut Rec /Plaza), Hugo Sanchez (Tropicantesimo), Lady Coco (Pussybay/Kingdom), Lorenzo Bitw (MOX), Luzy L & Corry X (Toretta Stile/Rock'nRoll Robot/Twiggy), Marcolino (Ultrasuoni), Miz Kiara (Female Cut), Nan Kolè (Gqom Oh), Nicola Casalino (Fish’n’Chips), Orree (Since), Pier (Viral), Sere Na (MOX), Simona Faraone as Pharaoh (New Interplanetary Melodies/Roots Underground Records), Sine One, Valerio! (Puas Puas), Zerø(Rebel Rebel).
Alle postazioni bar: Alfio Caffo (Owner Atipico), Andrea Orofino (Owner Keyhole Speakeasy), Antonio De Meo (Bartender La Terrasse Cuisine & LoungeSofitel Rome Villa Borghese), Antonio Parlapiano (Owner The Jerry Thomas Project), Dafne Kesmiris (Bar Manager Goa), Daniele Gentili (Bar Manager Marco Martini - Cocktail Bar), Daniele Protasi (Owner Bootleg), Daniele Volpe (Bartender The Race Club), Davide Diaferia (Head Bartender Club Derrière), Domenico Maura (Bar Manager Grand Hotel Via Veneto/ Consigliere Capo Barman Aibes), Eleonora De Santis (Brand Ambassador Bonaventura Maschio), Emanuele Broccatelli (Owner DRINK-it), Emanuele Principi Bruni (Brand Ambassador Molinari), Fabrizio Valeriani (Bar Manager Sambamaki), Federico Diddi (Bartender The Barber Shop), Flavio Wijesinghe (Bar Manager Latteria Garbatella), Francesco De Sanctis (Freelance Bartender), Francesco Pirineo (Best Brand Ambassador 2017 Compagnia dei Caraibi), Giorgio Vicario (Bar Manager Beere Mangiare & Co), Giovanni Seddaiu (Bar Manager Rosso Eat-Drink-Stay), Luca de Lucia (Docente c/o Bartendence), Marco Ferretti (Brand Ambassador Sine Metu Squad Jameson/ Bartender Nojo), Marco Zampilli, Mariano Cleri (Bar Manager Fuoco), Mario Farulla (Bar Manager Baccano), Mario Sestili (Bartender La Fine), Matteo Zanotto (Owner Mezzo), Maurizio Musu (Freelance Bartender), Mirko Cagnazzo Della Tolla (Head Bartender La Terrasse Cuisine & Lounge Sofitel Rome Villa Borghese), Omar El Asry (Owner DRINK-it), Paolo Guasco (Brand Ambassador Altos Tequila), Pierluigi Intini (Owner & Founder Salotto42 Copenhagen), Riccardo Speranza, Stefano Ripiccini (Bar Manager Private Charade Bar Hotel De' Ricci), Valentina Bertello (Madrina di Spirito), Valerio De Stefani (Owner Sottobanco), Vieri Baiocchi (Owner Yeah! Pigneto), Vincenzo Palermo (Owner APT).
Tra il dancefloor e il bancone verrà inoltre presentata un’esposizione dedicata alle migliori copertine della rivista in vent’anni di lavoro editoriale, che permetteranno di compiere un interessante percorso nella grafica, nelle tematiche e nei brand che ne hanno caratterizzato la storia e l’evoluzione.
Il messaggio è chiaro: a dispetto delle sue ricorrenti crisi politiche, la Città Eterna è ancora densa di eccellenze sul piano artistico e culturale, dalla scena più sotterranea ai grandi appuntamenti delle istituzioni culturali, dalla club-culture alla digital art.
Basti pensare alle realtà di cui, negli anni, ZERO è stato media-partner e hanno reso Roma una delle più interessanti capitali culturali sul piano internazionale: Dissonanze, Romaeuropa Festival, MAXXI - Museo nazionale delle arti del XXI secolo, MACRO – Museo d’Arte Contemporanea Roma, Fotografia. Festival Internazionale di Roma, Short Theatre, Spring Attitude Festival, Thalassa, Unplugged In Monti, Manifesto, Rome Psych Fest, Villa Ada Roma Incontra il Mondo, Baba Festival, Taste of Roma, This Is Food, Meet In Town, C(h)orde, LSWHR, Villa Aperta c/o Villa Medici: Accademia di Francia a Roma , Electric Campfire c/o Accademia Tedesca Roma Villa Massimo, Open House Roma, Operativa Arte Contemporanea, This Is Rome, Gemma, LPM, Goa Club, Brancaleone, Rashomon Club, Circolo degli Artisti, Monk Club, Live Cinema Festival, Live Performers Meeting, Wunderkammern Gallery, Outdoor, Walls, Isola del Cinema, La Francia in Scena, Ginnika, Centro Cultural Brasil-Itália, RO_map e tanti altri ancora.. È Roma la culla italiana della migliore scena di musica elettronica. Ed è da Roma, prima ancora che da qualsiasi altra città italiana, che passano i grandi protagonisti internazionali del teatro e della danza contemporanea, senza dimenticare le mostre in luoghi ormai simbolo come il MAXXI o la musica classica e contemporanea che ha trovato la sua dimora all'interno dell'Auditorium Parco della Musica di Renzo Piano.
Un processo vitale che sembra aumentare sempre e non avere fine, ancora più significativo oggi in questo momento di transizione che la città sta vivendo, in cui, nonostante le inevitabili difficoltà, è viva più che mai la ricerca, la sperimentazione, la qualità dei progetti, la trasversalità dei linguaggi e la simbiosi sempre più forte fra rinascita culturale e la vivacità del life-style. Dai locali di tendenza alle istituzioni culturali, dalle osterie contemporanee agli speakeasy, una nuova generazione di protagonisti della urban culture, guidata da una forte tensione verso l’innovazione e uno sguardo rivolto alle migliori esperienze internazionali, sta diventando garanzia per una ritrovata fiducia nel futuro della Capitale.
Una ricorrenza e una città che dunque vanno festeggiate in grande, all’insegna di quel valore di cui ZERO ha sempre portato alto la bandiera: #divertirsiègiusto. Perché ZERO è quella rivista che ogni ora di ogni giorno di ogni mese spedisce fuori casa oltre mezzo milione di giovani in Italia. Non tutto il mezzo milione torna a casa la sera stessa. Ma dovunque stiano divertendosi, ZERO c’è.
***
Era l’ottobre del 1996 quando Andrea Amichetti diede alle stampe ZER02, il primo freepress tascabile italiano che nasceva con l’intento di mandare a divertire i suoi lettori nel miglior modo possibile. Dalla natìa Milano, 2 anni dopo, ZERO partì alla conquista della Capitale e da allora non ha mai smesso di espandersi, arrivando a conquistare il pubblico di Bologna, Torino, Firenze, Napoli, Venezia, Zurigo e Istanbul.
Gli anni sono passati senza danneggiarla o renderla obsoleta, anzi, confermando sempre di più ZERO come la miglior guida – cartacea e online – per vivere appieno la città, grazie ai suoi contenuti ricchi e variegati: concerti, spettacoli, arte, food, tendenze e personaggi che disegnano il panorama sociale e culturale cittadino. Edizioni ZERO oggi conta una community di 500.000 persone che lo rende il più importante database di informazioni italiano nel settore dell’intrattenimento e della cultura, con oltre 5.500 articoli e 20.000 news su eventi (musica, arte, clubbing, cinema, design, sagre, festival) e luoghi (ristoranti, bar, gallerie, teatri, negozi).
INFO
dalle 18:00 alle 21:00 ingresso gratuito dalle 21:00 alle 24:00 5€ dalle 24:00 in poi 10€
ZERO zero.eu facebook.com/www.zero.eu instagram.com/zero.eu zero.eu/eventi/97458-20-anni-di-zero-i-feel-roma,roma evento facebook: http://bit.ly/2CTlOZQ
0 notes
allinfoit · 7 years
Photo
Tumblr media
Premio Bindi 2017: annunciati gli 8 finalisti Il festival organizzato dall’associazione Le Muse Novae con il contributo economico di SIAE , Comune di Santa Margherita Ligure e Regione Liguria, si terrà il prossimo luglio nei giorni 7 – 8 – 9 a Santa Margherita Ligure nell’Anfiteatro Bindi sotto la direzione artistica di Zibba . Quest’anno riserverà uno speciale omaggio a Ivan Graziani nel ventesimo anniversario d alla sua scomparsa . Sono Buva, Roberta Giallo, Antonio Langone, Lorenzo Marsiglia, Mizio, Molla, Andrea Tarquini e Luca Tudisca i finalisti del Premio Bindi 2017. Il Premio è uno dei festival italiani più importanti nel panorama della canzone d’autore e mergente . Nasce nel 2005 da un’idea di Enrica Corsi con il contributo economico del Comune di Santa Margherita Ligure ed è ovviamente dedicato a Umberto Bindi. Un evento formato da tanti piccoli tasselli: un appuntamento e una vetrina musicale per i nuovi talenti che si muovono nel panorama della musica e della canzone d’autore legata al territorio italiano, i quali partecipano al concorso che è il fulcro della manifestazione e che si tiene in una delle tre giornate del festival; un happening per la promozi one di progetti di qualità; un’occasione per le nuove realtà musicali di confrontarsi su un palco prestigioso, davanti ad una giuria di esperti e di addetti ai lavori; un festival con ospiti di prestigio che si esibiscono nelle serate, a significare la con tinuità artistica tra artisti affermati e cantautori emergenti. La storia del Premio Bindi è fortemente legata a due figure di spicco della musica italiana che sono state negli anni alla direzione artistica: Bruno Lauzi e Giorgio Calabrese , i quali hanno p ortato, con la loro personale storia artistica, credibilità, forza e valore ad un premio storicamente giovane ma fortemente incentrato su una passione autentica per la canzone d’autore, ritenendola parte integrante della storia e della cultura musicale del nostro L ‘AltopArlA nte PromoRadio PromoVideo Promo Stampa – We b www.laltoparlante.it info@la ltoparlante.it 348 36509 78 paese. Il Premio Bindi è inoltre un’occasione di incontro, di scambio e di crescita artistica per i nuovi talenti, che hanno la possibilità di incontrare, durante la manifestazione, musicisti professionisti, autori, giornalisti, critici musicali, m anager, uffici stampa, promoter di eventi musicali a livello nazionale, molti dei quali presenti in giuria. Caratteristica fondamentale del Premio Bindi è quella di non p remiare una singola canzone ma l’artista nel suo complesso. Infatti ogni finalista, ne lla giornata dedicata al concorso, l’8 luglio, si esibirà due volte. Al pomeriggio proporrà due propri brani in versione acustica. Poi in serata, sul palco dell’anfiteatro Bindi, si esibirà con l’interpretazione di una cover di un cantautore italiano e di un proprio brano. Le scorse edizioni del Premio sono state vinte da artisti che si sono spesso poi affermati nel mondo della musica: Lomè (2005), Federico Sirianni (2006), Chiara Morucci (2007), Paola Angeli (2008), Piji (2009), Roberto Amadè (2010), Zibb a (2011), Fabrizio Casalino (2012), Equ (2013), Cristina Nico (2014), Gabriella Martinelli (2015), Mirko e il cane (2016) . Per l’edizione 2017, la giuria del Premio Bindi sarà come sempre composta da addetti ai lavori tra i più accreditati del settore. Ec co i nomi ad oggi confermati: Roberta Balzotti (Rai); Armando Corsi (musicista); Enrico de Angelis (giornalista e storico della canzone); Stefano De Martino (Premio Lunezia); Daniela Esposito (ufficio stampa); Guido Festinese (critico musicale); Elisabetta Malantrucco (RadioRai); Lucia Marchiò (La Repubblica); Francesco Paracchini (rivista L’Isola che non c’era); Paolo Pasi (Rai); Andrea Podestà (sa ggista e segretario di giuria); Massimo Poggini (giornalista/direttore Spettakolo.it); Roberto Rustici (Rusty Records); Paolo Talanca (Il Fatto Quotidiano); Margherita Zorzi (saggista). In oltre ci saranno un rappresentante per la SIAE e Roberto Razzini, Manag ing Director di Warner Chappell. PARTNER DELL’EDIZIONE 2017 Il Premio Bindi sarà sostenuto dal contributo del Comune di Santa Margherita Ligure, della Regione Liguria e della SIAE – Società Italiana degli Autori ed Editori. Mainpartner: Warner Chappell Music Italiana. Partner: Rusty Records, L’Altoparlante, UnipolSai Annichiarico Assicurazioni, Gruppo Alberg atori S. Ma rg herita Ligure e Portofino, Akamu, Storti Strumenti Musicali, Spettakolo.it. Il festival  organizzato dall’associazione Le Muse Novae con il  contributo economico di SIAE , Comune di Santa Margherita  Ligure e Regione Liguria,  si terrà il prossimo luglio nei giorni  7 - 8 - 9 a Santa Margherita Ligure nell'Anfiteatro Bindi sotto la direzione artistica di Zibba .
0 notes
tempi-dispari · 7 years
Photo
Tumblr media
New Post has been published on http://www.tempi-dispari.it/2017/03/14/aperte-le-iscrizioni-alla-tredicesima-edizione-del-premio-bindi/
Aperte le iscrizioni alla tredicesima edizione del Premio Bindi
Sono aperte le iscrizioni alla tredicesima edizione del Premio Bindi di Santa Margherita Ligure (GE), uno dei più prestigiosi concorsi e festival italiani dedicati alla canzone d’autore, intitolato a Umberto Bindi, indimenticato cantautore genovese.
Da quest’anno la direzione artistica è affidata a Zibba, uno dei più stimati cantautori e autori italiani, già vincitore del Bindi nel 2011. “Sono davvero onorato – dichiara – di essere stato scelto come nuovo direttore artistico. Sono molto legato a questo Premio, e felice di ereditare il ruolo da uno dei miei miti, Giorgio Calabrese, al quale proprio in collaborazione con il Bindi dedicammo un disco nel 2013. Cercherò di fare il mio meglio per portare novità e allo stesso tempo rispettare la grande tradizione del Premio. Farò di tutto affinché la mia presenza possa davvero servire a qualcosa.”
Il concorso è riservato a singoli o band che compongano le proprie canzoni. Non ci sono preclusioni per il tipo di proposte artistiche, da quelle stilisticamente più tradizionali a quelle più innovative. Fra tutti gli iscritti, una commissione selezionerà dieci artisti che si esibiranno nella finale dell’8 luglio 2017 a Santa Margherita Ligure, di fronte ad una prestigiosa giuria composta da musicisti, giornalisti e addetti ai lavori.
Caratteristica del Premio Bindi è quella di non premiare una singola canzone ma l’artista nel suo complesso, dal momento che tutti i finalisti avranno modo di eseguire ben quattro canzoni, tre proprie e una cover.
Il 1° classificato riceverà una targa di riconoscimento e una borsa di studio. Ma molti altri sono i premi in palio.
L’iscrizione è gratuita. La domanda deve essere spedita entro e non oltre il 1° maggio 2017 esclusivamente tramite il sito www.premiobindi.com nell’apposita sezione. Sul sito è disponibile anche il bando completo del concorso con il dettaglio dei vari premi.
Il concorso è indetto dal Comune di Santa Margherita Ligure con il patrocinio della Regione Liguria. Le scorse edizioni del Premio sono state vinte da artisti che si sono spesso poi affermati nel mondo della musica: Lomè (2005), Federico Sirianni (2006), Chiara Morucci (2007), Paola Angeli (2008), Piji (2009), Roberto Amadè (2010), Zibba (2011), Fabrizio Casalino (2012), Equ (2013), Cristina Nico (2014), Gabriella Martinelli (2015), Mirko e il cane (2016).
Per maggiori informazioni:
Associazione Culturale Le Muse Novae – Tel 0185-311603 – www.premiobindi.com –
0 notes
Photo
Tumblr media
Nuovo post su https://is.gd/1PElyl
A settant’anni dalle lotte dell’Arneo, una riflessione sulla riforma agraria nel Salento (1950-1960) (terza parte)
di Salvatore Coppola
Nel corso dei lavori della Conferenza interregionale delle Federbraccianti di Puglia e Lucania (Matera, 13 e 14 maggio 1950), si discusse ampiamente delle occupazioni delle terre che si erano avute nella provincia di Lecce. «Nei mesi di novembre e dicembre 1949 e gennaio 1950» – si legge nel testo del documento finale – «in concomitanza con tutta la grande azione dei contadini calabresi e siciliani, per l’occupazione e la trasformazione del latifondo in queste regioni, si sviluppava l’azione veramente di massa dei contadini poveri e dei braccianti nel leccese per l’occupazione delle terre incolte dell’Arneo e delle altre zone paludose o abbandonate del litorale adriatico del Salento. A questa azione hanno partecipato fino a 10 o 15.000 piccoli contadini ed avventizi agricoli, i quali molte volte sono partiti da comuni, come Copertino o Carmiano, distanti 15 o 20 Km. dalle terre da occupare». Si mise in evidenza, tuttavia, che le occupazioni avevano avuto un carattere fondamentalmente simbolico. I risultati complessivi, considerato che della grande estensione occupata solo poche centinaia di ettari risultavano assegnate in enfiteusi ai contadini, dovevano considerarsi nel complesso deludenti specie se messi a confronto con quelli conseguiti nella provincia di Matera dove si erano mobilitati, oltre ai braccianti, anche i coltivatori diretti, e l’occupazione di 10.000 ettari, che era stata effettiva e non simbolica, aveva portato alla concessione di 2.500 ettari di terre. Se il bilancio complessivo delle lotte venne considerato positivo, vennero individuati anche lacune e difetti («le nostre organizzazioni non sono riuscite ancora a costituire un efficace fronte contadino da opporre al fronte agrario […] molti nostri organizzati ed anche alcuni dirigenti si sono chiusi in un settarismo di categoria»). È per questo che fu proposto alle Federbraccianti pugliesi e lucane di farsi esse stesse promotrici della lotta in difesa degli interessi, non solo dei braccianti, ma anche dei coltivatori diretti (perché fossero esonerati dal pagamento dei contributi unificati e venissero esclusi dall’obbligo dell’imponibile di manodopera), dei piccoli proprietari (perché ottenessero lo sgravio di tasse e imposte ingiuste), dei compartecipanti (per un contratto che migliorasse la loro quota di riparto) e per i mezzadri (per rivendicare la giusta ripartizione dei prodotti). Tuttavia, nelle conclusioni del convegno, mancava qualsiasi riferimento preciso e programmatico ai temi della riforma agraria[1].
Nella primavera del 1950 continuarono nel Salento le occupazioni delle terre a sostegno della battaglia politica e parlamentare tesa al conseguimento di una legge di riforma agraria generale. Dopo i tragici avvenimenti di Modena (dove, nel corso di una manifestazione operaia, vennero uccisi dalla polizia sei lavoratori), e dopo la costituzione del nuovo governo presieduto da Alcide De Gasperi (del quale non facevano più parte i liberali, tra i più tenaci oppositori del progetto di riforma agraria), vennero adottati, nonostante la resistenza dei rappresentanti degli agrari meridionali, i primi provvedimenti di riforma. La legge 230 (cosiddetta legge Sila) fu approvata il 12 maggio. La 841 (legge per l’espropriazione, la bonifica, la trasformazione e la concessione delle terre, detta legge stralcio perché doveva costituire lo stralcio di un più vasto e organico progetto di riforma agraria) fu approvata il 21 ottobre 1950. Le due leggi, per la prima volta nella storia d’Italia, intaccavano la proprietà privata, sia pure con un diverso criterio di esproprio. Mentre la legge del maggio 1950 prevedeva interventi di scorporo sulla parte di proprietà eccedente i 300 ettari, la legge stralcio, con criteri più limitativi rispetto all’ammontare complessivo dell’estensione posseduta dal singolo proprietario, individuava i terreni suscettibili di esproprio con riferimento al reddito dominicale. Una volta censite ed espropriate, le terre sarebbero state assegnate ad appositi Enti di riforma che le avrebbero successivamente concesse ai contadini con contratto di enfiteusi. I dirigenti nazionali della CGIL e della Federbraccianti, pur esprimendo un giudizio complessivamente non positivo sulle leggi agrarie, considerate provvisorie e di portata limitata, si impegnarono a lottare per la gestione democratica delle stesse e per la loro estensione ad altre aree del Paese non incluse nella previsione della stralcio. Denunciarono, inoltre, la volontà del governo e della maggioranza parlamentare di mirare a dividere i contadini in quanto solo una piccola minoranza di loro avrebbe ottenuto, a pagamento, la terra, mentre ne sarebbe stata esclusa la stragrande maggioranza degli aventi diritto e, nel mentre sollecitavano l’adozione di una riforma agraria che, fissando un limite alla proprietà fondiaria, assegnasse in enfiteusi ai contadini con poca o senza terra i milioni di ettari eccedenti, mobilitarono i braccianti allo scopo di ottenere l’assegnazione delle terre incolte o mal coltivate anche sulla base delle vecchie leggi Gullo e Segni ancora in vigore[2].
La legge stralcio prevedeva interventi di esproprio nelle aree del Fucino, della Maremma, del Delta del Po, in Emilia, nel Veneto, in Molise, in Campania, in Sardegna e, per quanto riguarda la Puglia, nelle province di Bari e Foggia, ma non in quella di Lecce. È per questo che, a partire dai primi giorni di dicembre del 1950, la CGIL salentina promosse una campagna di propaganda e di mobilitazione finalizzata all’occupazione dell’Arneo con l’obiettivo di costringere il governo ad includere quella ed altre aree del Salento nelle previsioni di esproprio della legge.
La lotta, che si sviluppò a partire dal 28 dicembre 1950, fu impostata e condotta in modo politicamente efficace e in forme diverse dalle tradizionali jacqueriés tipiche del movimento sindacale pugliese e salentino. Essa era coordinata e diretta dai dirigenti del PCI, del PSI e della CGIL e nulla fu lasciato al caso o alla spontaneità delle masse («da vari giorni», comunicava il 28 dicembre il commissario di Pubblica Sicurezza di Nardò dr. Michele Magrone al ministro degli Interni, «questo ufficio era informato che la locale Camera del lavoro stava organizzando, dietro ordine degli esponenti provinciali del Partito Comunista Italiano, una nuova occupazione di terre nella vicina plaga dell’Arneo»). I marconigramma e le relazioni inviate dal prefetto Grimaldi al ministro degli Interni Mario Scelba sembravano tanti bollettini di guerra: «Federterra et dirigenti comunisti», si legge in una comunicazione urgente e riservata del prefetto, «hanno sospinto numerosi gruppi contadini a portarsi in alcune località zona Arneo per procedere occupazione terre. Sono affluiti in zona procedendo simbolica occupazione terreni incolti aut insufficientemente coltivati circa milleduecento braccianti agricoli vari Comuni. Numero occupanti successivamente est aumentato at circa duemila. Sul posto est stata notata presenza onorevoli Giuseppe Calasso comunista et Mario Marino Guadalupi socialista. Forze polizia et Arma scopo ottenere sgombro zona occupata facevano uso mezzi lacrimogeni, senza ottenere grossi risultati perché occupanti dileguavansi soprastante boscaglia […] tutte locali forze Polizia sono impegnate fronteggiare situazione». Nella strategia dei dirigenti politici e sindacali che promossero la nuova occupazione delle terre, questa non doveva costituire più, come per il passato, uno strumento di pressione sui proprietari terrieri per conseguire alcuni obiettivi limitati come l’imponibile di manodopera o il rinnovo dei contratti né doveva servire solo a ottenere miglioramenti salariali e altri benefici di natura economica o previdenziale. L’obiettivo era molto più ambizioso, molto più avanzato. La lotta mirava, infatti, a mettere in discussione i secolari rapporti di proprietà nelle campagne, a distruggere il latifondo e ogni forma di rendita parassitaria, a porre fine ai rapporti di tipo feudale ancora largamente presenti nelle campagne salentine e a gettare le basi per realizzare, in forme nuove e tutte da sperimentare, il programma della terra ai contadini. Poiché in quel momento lo strumento più efficace per conseguire tale risultato sembrava la legge stralcio, i lavoratori agricoli furono mobilitati per ottenere l’inclusione della provincia di Lecce nelle aree di esproprio previste dalla stessa, ritenuta come il primo passo verso la riforma agraria generale. Se i fini erano ben individuati, anche le forme di lotta furono attentamente programmate, ad ogni Lega dei paesi gravitanti sull’Arneo fu assegnata una determinata zona da occupare, ai capilega comunali e agli altri dirigenti sindacali fu affidato il compito di guidare i contadini e furono date istruzioni per evitare (con tattiche di tipo militare di avanzata e di ritiro strategico all’interno della boscaglia) scontri diretti con la polizia. Il centro operativo si trovava Lecce in via Idomeneo (dove, a poche decine di metri di distanza, avevano la propria sede tanto la Federazione provinciale del PCI quanto la CGIL), il movimento era guidato dal segretario del PCI Giovanni Leucci, dal vicesegretario Giovanni Giannoccolo, dai deputati Giuseppe Calasso (PCI) e Mario Marino Guadalupi (PSI), dal segretario della CGIL provinciale Giorgio Casalino e dal segretario della Confederterra Antonio Ventura. A livello locale la guida della lotta era assicurata dai segretari delle sezioni del PCI, del PSI e delle Leghe bracciantili dei paesi più direttamente coinvolti nell’occupazione (Salvatore Mellone di Nardò, Felice Cacciatore di Veglie, Crocifisso Colonna di Monteroni, Ferrer Conchiglia di Trepuzzi, Cosimo Di Campi e Cosimino Ingrosso di Guagnano, Luigi Magli di Carmiano, Mario Montinaro di Salice, Pietro Pellizzari di Copertino, Giuseppe Scalcione di Leverano, Pompilio Zacheo di Campi Salentina). I dirigenti delle sezioni del partito e delle Leghe bracciantili degli altri paesi della provincia erano impegnati a organizzare azioni di solidarietà morale e materiale con gli occupanti[3].
La masseria in una foto degli anni ’70 del Novecento
  Note
[1] Archivio nazionale Flai-Cgil, Programma dei lavori della Conferenza Interregionale delle Federbraccianti di Puglia e Lucania.
[2] Sulla posizione della Federbraccianti, G. Gramegna: Braccianti e popolo in Puglia, cit., pp. 133-135.
[3][3] Asle, Prefettura, Gabinetto, b. 345, fascicoli 4208 e 4211.
  Per la prima parte:
A settant’anni dalle lotte dell’Arneo, una riflessione sulla riforma agraria nel Salento (1950-1960) (prima parte)
Per la seconda parte:
A settant’anni dalle lotte dell’Arneo, una riflessione sulla riforma agraria nel Salento (1950-1960) (seconda parte)
0 notes
giancarlonicoli · 5 years
Link
5 SET 2019 12:13
“PANORAMA” INTERVISTA DAGO – “NON SOLO PER CONTE, SARÀ UN BUON ANNO ANCHE PER NOI. ORA CHE SALVINI NON C’È PIÙ, NEL GIRO DI TRE GIORNI, DAL RISCHIO DI ESSERE COME LA GRECIA, SIAMO DIVENTATI LA SVIZZERA PER MERKEL, MACRON, TRUMP E VATICANO. E NON SI PARLA PIÙ DEI 40 MILIARDI NECESSARI PER L’AUMENTO DELL’IVA E LA LEGGE DI BILANCIO. SI PUÒ ARRIVARE AL 3% DI RAPPORTO PIL/DEFICIT E MAGARI ANCHE OLTRE – SALVINI NON HA CAPITO CHE CONTANO GLI EQUILIBRI INTERNAZIONALI, ALTRO CHE UBRIACARSI DI MOJITO AL PAPEETE DI MILANO MARITTIMA…”
-
Maurizio Caverzan per Panorama
La crisi italiana, l’elevazione di Giuseppe Conte a statista, la riabilitazione del nostro Paese. Sono novità derivate tutte dal contesto internazionale. «Me lo fece capire una volta Francesco Cossiga», racconta Roberto D’Agostino, fondatore proprietario e direttore di Dagospia, il sito di anticipazioni, inchieste e scenari che Politico.eu, la testata online di analisi politica più compulsata a Washington e Bruxelles, ritiene «una lettura obbligata per le élite».
«Cossiga mi disse che contano gli equilibri internazionali. E che dobbiamo ricordarci di essere un Paese sconfitto della Seconda guerra mondiale. All’estero non si dimentica tanto in fretta. Invece la nostra stampa non sa guardare fuori dai confini. Alberto Arbasino suggeriva ironicamente di fare una gita oltre Chiasso. Magari potremmo riuscire a capire perché, nel giro di tre giorni, dal rischio di essere come la Grecia, improvvisamente siamo diventati la nuova Svizzera».
Con le dita cerchiate da anelli, i tatuaggi che ricoprono gran parte del corpo, la barba mefistofelica sebbene si dichiari credente, il sulfureo blogger autore dell’imprescindibile Dago in the Skyora viene invitato a parlare nelle università, non solo italiane. Panoramagli ha chiesto di essere lo storyteller della crisi appena conclusa.
Quanto durerà il Conte bis?
«Quanto decideranno i poteri internazionali che lo hanno voluto. In Italia pochi hanno notato un fatto rilevante. Il 23 agosto scorso, davanti ai colleghi delle banche centrali, Jerome Powell, presidente della Federal Reserve, portando le prove del rallentamento dell’economia globale, dopo aver citato la recessione in Germania, le difficoltà della Cina, le tensioni a Hong Kong e il rischio di una hard Brexit, ha parlato della dissoluzione del governo italiano. Perché, mi sono chiesto, con quello che accade in Iran e la guerra dei dazi, il più potente banchiere del mondo parla della crisi del governo italiano?».
E come si è risposto?
«Mi sono risposto che il caso italiano ha un’influenza notevole nello scacchiere globale con i suoi precari equilibri. La nostra stampa però, sempre ripiegata sui due Mattei, Di Maio e Zingaretti, non se n’è accorta. Ma il mondo non è su Rete4 e su La7».
Tutti hanno voluto Conte, Angela Merkel, Emmanuel Macron, Donald Trump: se l’aspettava?
«Anche Bill Gates».
Persino lui. E poi gli euroburocrati, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, le borse, la sinistra post-blairiana, i gesuiti, la Cei, la Cgil, senza parlare di Renzi e Beppe Grillo…
«Già, abbiamo trovato una sorta di Garibaldi che si chiama Giuseppe Conte».
Un salvatore, uno statista.
«Risulta un gigante perché si contrappone a uno che faceva il dj al Papeete di Milano Marittima. Negli ultimi tempi Salvini le ha sbagliate tutte».
Spicca per contrasto. Ma le sue doti personali quali sono?
«Conte non nasce per caso. La prima spia mi si è accesa quando da avvocato del popolo, formula inventata da Rocco Casalino, ha voluto tenersi le deleghe sui servizi segreti. Come mai? Perché voleva mantenere il collegamento con il Deep State e le burocrazie? La seconda spia si è illuminata quando ho visto che frequentava il cardinale Achille Silvestrini, pace all’anima sua, il segretario di Stato Pietro Parolin, ed è stato ricevuto in pompa magna da Bergoglio che invece non ha mai voluto vedere Salvini nonostante le richieste. E qui c’è un’altra scelta sbagliata del Capitone, come lo chiamo io: schierarsi con la curia romana in guerra con il Papa».
Anche il rapporto con Mattarella si dice sia contato parecchio.
«Fino a un certo punto Mattarella non sapeva nulla di Conte. Al Quirinale ha molta influenza Ugo Zampetti, colui che ha svezzato Di Maio quando, ignaro di tutto, è diventato vicepresidente della Camera. Tra i due è sbocciato un gran rapporto. Già dopo il voto del 2018 Zampetti spingeva per il governo giallorosso. Era tutto fatto. Poi Maria Elena Boschi, sulla quale c’era il veto del M5s per le inchieste su Banca Etruria, s’impuntò: voleva esserci anche lei. E Renzi, ospite di Fabio Fazio, disse che mai si sarebbe alleato con i grillini».
Tornando a Mattarella e Conte?
«È la filiera dei figli a spiegare al Capo dello Stato chi è questo sconosciuto avvocato e a garantire per lui. Suo figlio, Bernardo Giorgio Mattarella, docente di diritto amministrativo alla Luiss, e il figlio di Napolitano, Giulio, professore della stessa materia a Roma Tre, con il suo socio, il potente avvocato Andrea Zoppini. Oltre che dal Vaticano e dai figli professori, Conte è spinto dal mondo forense con il suo coté massonico. Il suo maestro Guido Alpa, nello studio del quale ha iniziato la carriera, sta ovunque. All’università di Firenze, dove insegna, Conte conosce anche la Boschi».
Ancora lei?
«Lavora nello studio dell’avvocato Tombari e fa da tramite per un incontro a tre: Alpa, Conte e Renzi. Ma il futuro premier non s’innamora dell’avvocaticchio. Allora, fallito il tentativo di entrare nel giglio magico, Conte incontra Alfonso Bonafede, anche lui con studio a Firenze, che lo porta da Di Maio. Il resto è storia dell’ultimo anno. Un avvocato anonimo, perciò manipolabile, diventa il possibile successore di Mattarella al Quirinale, come l’altro giorno ha ipotizzato un articolo della Stampa».
Sembra la trama di un film: tutto grazie solo ad alcune buone relazioni?
«E, come dice suo padre, a una straordinaria ambizione che trasforma “Giuseppi” in un abile tessitore di rapporti internazionali, il vero trampolino. A cosa sono serviti i viaggi in Europa e al G7? Agendo da regista del voto in favore di Ursula von der Leyen, l’avatar della Merkel, Conte ha superato l’esame di affidabilità. È diventato organico all’establishment. Ricordiamoci cos’era il movimento di Grillo un anno fa sull’euro e sull’Europa. Il voto pro-Ursula è stato il motivo dello scontro finale fra il M5s e la Lega».
Che invece ha sempre sottovalutato i rapporti con Bruxelles?
«Basta dire che non si era accorta che gli altri partiti sovranisti erano nel raggruppamento del Ppe della Merkel. Salvini invece è andato ad allearsi con Marine Le Pen, la spina nel fianco di Macron. A quel punto le perplessità si sono moltiplicate: questo Masaniello con il rosario minaccia di scassare l’euro. Missione compiuta: appena Salvini cade, lo spread rincula e la borsa decolla».
E adesso inizia la «ricompensa»?
«Certo. Non si parla più dei 40 miliardi necessari per l’aumento dell’Iva e la legge di bilancio. L’Italia che sembrava come la Grecia, diventa la nuova Svizzera. Ora che l’uomo nero non c’è più si può arrivare al 3% di rapporto Pil/deficit e magari anche oltre, come ha detto Von der Leyen, nel caso si facciano investimenti verdi».
Morale della favola?
«Non si può avere la siringa piena e la moglie drogata. L’Europa è come un club, un minimo di regole devi rispettarle. Altrimenti puoi solo uscire, come ha fatto la Gran Bretagna. Non puoi stare un po’ con la Russia, un po’ con l’America, un po’ con la Cina e fare la Via della seta. Le superpotenze non perdonano. Quando Putin ha incontrato a Roma Conte, Di Maio e Salvini chiedendo impegno contro le sanzioni gli è stato risposto di alleggerire la posizione sulla Crimea. Due giorni dopo è uscita la storia dell’hotel Metropol di Mosca e dei finanziamenti russi alla Lega».
Non sarà una lettura troppo complottarda?
«Ma no, i complotti escono dopo, soprattutto se cominci a fare i giochini tra Putin e Trump. Com’è possibile che il presidente americano sponsorizzi il governo più a sinistra della storia italiana? Sovranista grande mangia sovranista piccolo. La storia del Metropol è stata ferma cinque mesi prima di spuntare da un sito americano. Possibile che i servizi segreti, quelli su cui aveva le deleghe Conte non avvisino Salvini? Vuol dire che li aveva contro, era uno zombie che camminava. Siamo sempre lì, il Deep State è decisivo. Citofonare a Berlusconi: anche lui era anomalo, nemico dell’establishment e gliel’hanno fatta pagare. Lo hanno chiamato e gli hanno detto: con lo spread a 500 le tue aziende vanno al macero. E lui è andato a casa».
Così sono stati addomesticati anche i propositi e le promesse di Nicola Zingaretti di puntare al voto?
«La promessa c’era stata, ma le pressioni sono state più forti. Sarà arrivata la telefonata dell’ambasciatore americano o la spinta di qualche alto prelato».
Il Pd torna in campo, ma perde la faccia andando al governo ancora senza passare dalle elezioni.
«E chissà quando ci si ripasserà. Adesso devono tagliare 345 parlamentari, poi fare il referendum e la nuova legge elettorale. Si voterà nel 2022, con un nuovo Capo dello Stato».
Che sarà Romano Prodi?
«Non credo, troppo filocinese».
Il M5s che doveva aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno è rimasto inscatolato?
«Il M5s è diventato il tonno, il movimento è diventato partito. Quella era la propaganda di Grillo. Ricordiamoci che Gianroberto Casaleggio andava alle convention di Cernobbio».
Conte è una figura doubleface? Quando ha detto che il 2019 sarebbe stato un anno bellissimo ha omesso di dire che si riferiva a sé stesso?
«Già, non ha finito la dichiarazione. Ma, tutto sommato, forse sarà un buon anno anche per noi. Meno tensioni, meno incubo migranti, meno social sobillatori».
Di sicuro più tasse. Grillo che propone ministri tecnici di alto profilo dà ragione a Salvini che vede nel Conte bis la riedizione del governo Monti deciso a Bruxelles?
«Dopo i Vaffa è arrivato il nuovo Coniglio mannaro di forlaniana memoria. È entrato in scena il giorno delle dimissioni al Senato. Casaleggio voleva conquistare il potere attraverso Grillo. Ma quando prendi il 33% devi metterti in una prospettiva governativa. Conte dà questa prospettiva. L’errore di Salvini è stato puntare sull’uomo solo al comando (“Voglio pieni poteri”). È sempre andata così: Berlusconi, Renzi, adesso lui. La politica è fatta di relazioni. A Roma ci si “attovaglia” per fare le strategie. Magari la si pensa in modo diverso, ma a tavola si fanno le parti. E ce n’è un po’ per tutti».
0 notes