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#Antonio Gonnella
insidecroydon · 22 days
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Play-off win sets up the biggest match in Athletic's history
NON-LEAGUE NEWS by ANDREW SINCLAIR Croydon Athletic tonight face the most important match in the phoenix club’s brief history, following the previously most important game which they won in Jersey on Saturday. Jermaine McGlashan’s side will travel to Knaphill for the Combined Counties Premier Division South play-off final, with a place in the eighth tier of English football the prize for the…
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lamilanomagazine · 2 years
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Bari, al via seconda edizione di “Cortocircuiti”
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Bari, al via seconda edizione di “Cortocircuiti”. Giunge alla seconda edizione Cortocircuiti, festival interamente dedicato al cortometraggio organizzato da La Scatola Blu, Armata Brancaleone APS e Gruppo LBM, con il patrocinio del Comune di Bari e dell'Università degli Studi di Bari Aldo Moro e il contributo del Dipartimento di Fisica di Bari. Tre serate - da domani,  martedì 26, a giovedì 28 luglio, presso l'ex Arena Moderno (via Napoli, 264) alle ore 21 - ricche di proiezioni divise in specifiche categorie. Il festival rientra nella programmazione della Festa del Cinema in Libertà, rassegna cinematografica estiva nata nel 2018 e guidata dall'Armata Brancaleone APS. Domani, martedì 26 luglio in programma il primo appuntamento dedicato ai cortometraggi di animazione con proiezioni di corti animati selezionati da tutto il mondo e, a seguire, l'assegnazione di premi e menzioni speciali da parte della giuria composta da Spine BookStore, libreria itinerante e interattiva dedicata all'editoria indipendente, al self-publishing e al libro illustrato, Antonio Stea, regista vincitore dell'edizione 2021 di Cortocircuiti, e Gianfranco Bonadies, illustratore e animatore. Mercoledì 27, seconda giornata rivolta alle famiglie e ai bambini con una selezione di cortometraggi per i più piccoli (a partire dai 6 anni) aperta, alle 21, dall'intervento di Ines Pierucci, assessora comunale alle Culture. I giovanissimi spettatori presenti potranno essere chiamati in causa per far parte di una giuria d'eccezione. Durante la serata, inoltre, verrà proiettato il corto fuori concorso, A Metà, dell'Istituto Comprensivo "De Amicis - Laterza" di Bari e sarà presentato il progetto collettivo "Proiezioni". Previsto, invece, nel pomeriggio, un laboratorio per bambini e bambine (dai 6 ai 12 anni) guidato da Nicla Mazzei e Laura Scalera in cui i piccoli partecipanti si trasformeranno in registi in erba al fine di girare un cortometraggio estivo nello spazio di expostModerno. La serata conclusiva, giovedì 28, è dedicata alla proiezione dei cortometraggi selezionati per le categorie "Live Action" e "Studenti Pugliesi". Verranno assegnati premi e menzioni speciali da due distinte giurie. Per la sezione "Live Action" la giuria è composta da Accademia del Cinema di Enziteto, Vincenzo Ardito, regista e fondatore di Kinè, Giuseppe Procino, fondatore dell'Étranger Film Festiva, Giuseppe Gonnella, professore ordinario di Fisica Teorica all'Università degli Studi di Bari Aldo Moro, mentre per la sezione "Studenti Pugliesi" in giuria la Scuola di Cinema Spaziotempo, Giuseppe Procino e Giuseppe Gonnella. Al termine di tutte le serate il pubblico presente potrà votare il cortometraggio che ha più apprezzato.... Read the full article
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edsitalia · 2 years
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Essere speciale
Ho ancora gli occhi chiusi ma sento i passi di papà che entra e esce dal bagno e i movimenti silenziosi di mamma.
Quando apre la porta quasi non la sento arrivare.
Mi dice che la colazione è pronta; ho ancora cinque minuti perché il latte non bruci le labbra.
Come mi piacciono questi ultimi cinque minuti nel letto!
Guardo il soffitto.
Lì nell’angolo una macchia d’umido ha la forma del viso d’un vecchio.
Sembra proprio nonno.
A volte riesco a vedere un sorriso, altre volte una smorfia amara.
Non so da cosa dipenda, forse dall’aria umida o dalla luce della lampada.
È come se il suo umore sia legato al mio o forse il contrario.
Così come quand’era vivo.
Oggi le sue guance piene e larghe vanno verso l’alto.
Il suo modo di farmi gli auguri, oggi compio otto anni.
Mamma mi chiama per la seconda volta, devo scendere.
Sul comodino i miei amici tridimensionali usciti dalla mia serie preferita.
Goku in tutte le sue evoluzioni sta a guardia del mio sonno; lo saluto e scendo canticchiando la sigla del cartone.
‒ Buongiorno tesoro, buon compleanno!
Mamma mi abbraccia e io un po' mi impiccio e tiro su il ciuffo che mi è cascato sugli occhi.
‒ Eccolo qui il mio campione, il più piccolo della classe e il più bravo ‒ si affretta a dire papà.
Noo, adesso attacca con la storia della primina, del mio essere speciale, mi sta venendo su il malumore.
‒ Quando i bambini della sua età erano ancora alla materna lui era già in prima, tanto era bravo. Ecco! Ormai lo ripete in automatico, quasi a se stesso.
‒ E anche perché tu e la tua cugina maestra c’avevate la fregola di farlo crescere prima.
Mamma lo sentiva sempre e rispondeva sempre allo stesso modo.
‒ Certo, tu lo volevi ancora attaccato alla gonnella.
Anche  oggi il teatrino lo abbiamo fatto.
Bevo il latte e assaporo le ciambelle appena fatte, sanno di limone, per me mamma le lascia senza canditi, perché non mi piacciono.
Mi preparo, quando riscendo per andare a scuola, mamma mi porge una grande scatola di latta tutta blu.
Per fortuna non mi ha dato quella rossa con i cuori bianchi!
‒ Tieni Pasquà! Le ciambelle per i tuoi compagni e le maestre. Offri pure alla bidella mi raccomando.
‒ Ma io non lo volevo dire a nessuno, che poi mi cantano la canzoncina e io mi sento scemo a stare lì in piedi, fermo come un allocco.
‒ Mamma mia quanto sei strano, figlio mio! Quando torni, porta anche Giacomino a pranzo.
Giacomino è il mio amico, facciamo la quarta insieme e fra poco pure la comunione.
‒ Basta che papà non inizi nuovamente con la storia di quanto sono speciale.
‒ Eh speriamo ‒ ride mentre lo dice.
La scatola di latta dentro la busta di carta pesa, così l’appoggio in terra.
Un profumo di caramella dolce mi arriva forte nelle narici, mi fa pensare ai Marshmellow che vende zia Bonarina.
Cerco di seguirlo tirando in fretta su col naso.
Viene dal giardino dietro il cancello di ferro. Allora vedo tanti piccoli grappoli bianchi e viola che scendono come cascate da rami nodosi e lunghi come le mani di Voldemort.
Hanno gli stessi colori delle caramelle!
‒ Ehi Pasquà, fai tardi a scuola! ‒ Urla Martino.
Lui abita lontano e viene a scuola in bicicletta.
Riprendo la busta e cammino più veloce verso casa di Giacomo, che mi aspetta fuori dalla porta.
Ma quanto ci sono stato a guardare le caram… i fiori!
‒  Auguri Pasquale!  ‒  La mamma di Giacomo è bella e mi fa sempre tanti sorrisi e io ci metto un sacco di tempo prima di rispondere.
‒ Il gatto ti ha mangiato la lingua piccoletto? ‒ Antonio invece mi tratta sempre male; è il fratello maggiore del mio amico, ha dodici anni e per questo si crede grande.
‒ Antonio! Non badare a lui... e dire che qualche anno fa era bravo e buono in tutto… non ti guastare pure tu Pasquà.
Ringrazio per gli auguri e lascio perdere Antonio.
‒ Signora, volevo chiederle se Giacomo dopo la scuola può venire a pranzare da noi.
‒ Se per voi non è disturbo, certamente. E ora correte a scuola che fatte tardi.
Giacomo prende un manico della busta e insieme proviamo a correre.
Quando arriva l’ora della ricreazione, mi prendo la canzoncina, baci e pizzicotti sulle guance.
Lo dicevo io che era meglio non portarle le ciambelle!
Al rientro la scatola non pesava più.
‒ Ieri mio padre ha detto porca puttana e il tuo?
‒  Non c’è storia Giacomì, mamma lo ferma sempre prima,  parla come si deve che c’è il bambino, così gli dice. Punto tuo!
Da qualche mese io e il mio amico ci segniamo le parolacce che dicono ogni giorno i nostri genitori, ogni nuova parolaccia due punti, una vecchia uno, e zero chi non ne dice. Per ora sto perdendo di brutto. Colpa di mamma.
Entriamo in casa, la tavola è apparecchiata a festa, i bicchieri buoni e ci sono i tovaglioli di carta con Goku Super Sayan.
‒ Che belli, grazie!
‒ Me li sono fatta prendere dal computer da tua zia Caterina. ‒ dice tutta compiaciuta.
A me viene un po’ da ridere perché  lei non lo sa come escano le cose dal computer  e come si mettano i soldi; a dire il vero bene bene neanche io.
‒ Lavatevi le mani, che taglio la pasta al forno e le fettine impanate.
Durante il pranzo papà chiede della scuola e Giacomo gli dice che anche oggi avevo risposto benissimo alla maestra di matematica.
‒ Dai Giacomì racconta, che lui non dice mai nulla.
E mò chi lo ferma più con la fiera del “ quanto è bravo sto figliolo”. Giacomo questa me la paghi gli dico con il pensiero e guardandolo negli occhi. Mi ha capito perché abbassa lo sguardo come il cane quando ruba la salsiccia.
Quando mamma mette la torta in tavola, papà va a prendere un pacco rosso con il fiocco d’argento.
Me lo consegna.
Mentre lo scarto e vedo le scaglie verdi e gli occhi rossi, urlo dalla gioia: il Drago Shenron mi mancava!
Mentre lo abbraccio, mio padre mi dice all’orecchio ‒ Magari è ora di regali un po’ più da grande che dici?
Ma a me non importa.
Non importa neanche quando mi guardano imbarazzati mentre gioco da solo affrontando nemici che loro non vedono.
Li abbraccio entrambe perché sono contento.
Finito di mangiare saliamo su in camera mia. So che Giacomo ha un anno più di me, ma quando siamo soli si diverte lo stesso a giocare con i miei personaggi.
‒ Ah dimenticavo, Don Ambrogio mi ha detto di ricordarvi che da domani andrete in chiesa tutti i pomeriggi per la preparazione alla comunione ‒ dice mamma mentre siamo a metà delle scale.
E va bene, anche se è noioso stare a fare le preghiere, ci possiamo incontrare tutti insieme e ci scappa pure la partita di pallone.
È quasi buio, suonano alla porta.
Mamma ci chiama, Antonio è giù che aspetta suo fratello.
Scendiamo, e Antonio si avvicina per darmi gli auguri; la puzza di sigaretta che ha addosso mi fa trattenere il respiro.
Mi stringe la mano e accenna i baci sulla guancia che non tocca.
È impacciato, ma non mi aspettavo un segno d’affetto da lui.
Forse non gli sto così antipatico come dà a vedere.
Infilo il pigiama, ho sonno, saluto il mio nuovo amico sulla scrivania.
‒ Buonanotte ometto, ricordati le preghiere.
Mamma mi manda un bacio dalla porta e la sento nuovamente trafficare in cucina e parlare con papà.
Ascoltare le loro voci mi ipnotizza.
Do uno sguardo al soffitto, saluto la sagoma che sorride ancora.
Ricordo la mia preghiera la notte che morì. Mamma mi chiese di pregare per la sua anima, io invece chiesi a Dio di farmi trovare le sette sfere del drago Shenron, così che  lui lo riportasse in vita. Perché io lo volevo abbracciare ancora, solamente la sua anima non mi bastava.
Dopo scuola c’è la novità del catechismo ogni pomeriggio. Manca solo un mese alla prima comunione.
Nello zaino abbiamo sempre il pallone, così capita di arrivare in chiesa tutti sudati, rossi in faccia e con un sorriso che tira le guance fino a fare male.
A volte gioca con noi anche Antonio, con la scusa che passava di lì per  vedere il fratello.
Fa lui la squadra, spero mi scelga perché è più facile vincere con uno grande.
Questa volta non mi ha scelto ma a fine partita si avvicina e mi scompiglia i capelli con la mano.
‒ Pasquà, sei stato bravo: a volte fa bene anche perdere, dammi retta.
Ha sempre odore di sigaretta, lo vedo fumare con i ragazzi delle medie. Chissà se si diventa  davvero grandi alla sua età.
‒ A te piace essere sempre il più bravo a scuola o a casa? Dimmi la verità.
Non mi aspetto questa domanda, ci penso un po’.
‒ Non sempre, quando vedo papà come mi guarda, sì.  Perché allora si vede proprio che è contento e mi vuole bene ‒ ho bisogno di pensare e respirare un momento.
‒ Altre volte mi da fastidio, soprattutto quando ne parla con gli altri e poi… mi manca l’aria quando ho paura di sbagliare.
Mi guarda fisso fisso negli occhi e se ne va.
Noi ci puliamo come possiamo e andiamo al catechismo.
Chi risponde alle domande di don Ambrogio riceve caramelle e cioccolati.
Ne porto a casa sempre un bel sacchetto.
‒ Ma quanto è bravo Pasquale, magari farò fare a te il  capo chierichetto dopo la comunione.
Don Ambrogio mi guarda tutto soddisfatto.
Era un onore quella carica, perché c’era una gerarchia anche tra i ragazzi che stavano sull’altare. Ti sentivi più importante degli altri, quasi onnipotente.
Io e Giacomo stiamo per andare via, quando il parroco mi chiama.
‒ Ormai manca poco alla seconda settimana di maggio, potresti fermarti una mezz’ora più degli altri. Da domani, così avvisi i tuoi genitori.
‒ Don Ambrogio se serve aiuto rimango anche io con Pasquale ‒ disse con entusiasmo Giacomo.
‒ No non occorre, tu hai da studiare, se no poi chi li sente i tuoi! Pasquale è molto bravo a scuola, recupera presto.
La sua decisione ci aveva delusi entrambi.
Per strada, da lontano, vediamo un gruppetto di nostre compagne, che non vengono al catechismo con noi perché sono dell’altra parrocchia.
Giacomo si agita.
Filomena ci vede e ci saluta con la mano.
‒ Ciao, ma non eravate da Don Ambrogio? ‒ dice guardando il pallone che aveva sottobraccio Giacomo.
‒ Sì, però prima siamo andati a giocare al campo, sai, robe da maschi.
‒ Sei proprio scemo, anche io gioco a palla con quelli del mio vicinato, e lancio pure le pietre a quelli dell’altro rione.
L’aveva detto con una voce acida acida che non le avevo mai sentito. Non è che ce la vedevo a fare la guerra delle bande, però non credo che dica bugie.
‒ E allora sbagli, non sono cose da femmina.
Lei lo guarda con due occhi di fuoco, sembra Goku quando gli uccidono qualcuno e si arrabbia talmente tanto da cambiare livello e diventa tutto biondo e dorato.
Poi si gira e se ne va.
‒ Ma perché le hai detto quelle cose? Anche le femmine giocano con noi a volte.
‒ Perché sono proprio deficiente. Pasquà sei il mio migliore amico e non ti sei accorto che mi piace? Va be’ che sei più piccolo ma sei pure cieco! Mio fratello mi ha detto che con le ragazze non devi far vedere che ti sei innamorato, se no diventi il loro giocattolo.
‒ Mah, non la capisco bene questa cosa.
Ormai siamo di fronte a casa di Giacomo e signora Lina mi fa un grande saluto dalla finestra. Mi sento di nuovo le guance calde. Penso che forse lei mi piace, è un fatto che tengo solo per me e mi fa contento vederla. Magari è una cosa che durerà per sempre.
‒ Mamma, sai che don Ambrogio lo ha scelto per fare il capo chierichetto?
‒ Ancora non si sa, adesso mi deve far fare delle prove ‒ rispondo al mio amico.
‒ Lo sanno tutti che tu sei bravo, sicuramente sceglierà te. Ma sai che anni fa aveva scelto pure Antonio? Prima che mi facesse diventare pazza con i suoi guai.
Torno a casa e racconto quello che mi ha detto il nostro prete.
‒ Chissà come sarà contenta la nonna ‒Uuh! ‒ e zia Bice! Che emozione vederti sull’altare nella messa serale dopo la prima comunione.
Non ci avevo pensato, mi toccheranno due messe nello stesso giorno. Dopo però ci sarà la festa con tutti i parenti, ci saranno i regali e purtroppo di nuovo baci e pizzicotti.
Alla partita Antonio era strano. Mi ha detto che lo posso usare come un fratello maggiore, per parlare.
Dopo il catechismo mi fermo in canonica.
Don Ambrogio mi fa salire nel piano di sopra, dove abita da solo.
Mi parla della cerimonia del lavaggio dei piedi del giovedì santo. Mi dice che ora io avrò l’onore di lavare un servo di Dio, un suo rappresentante in terra.
‒ Gli esseri speciali hanno questo privilegio e, allo stesso tempo, scontano la vanagloria per essersi dimostrati migliori degli altri con il silenzio. Tu farai voto di silenzio, solo io e te.
Mentre dice queste cose che non capisco, mi mostra la porta del bagno.
La vasca è piena d’acqua.
L’abito nero cade.
Lo fisso fra le gambe anche se non dovrei. Mi viene in mente una discussione tra i miei.
‒ I preti in mezzo alle gambe hanno un coso moscio che serve per fare pipì ‒ ha detto sottovoce mamma.
‒ Chiamale per nome le cose, secondo te hanno il cazzo moscio! Secondo me invece sono uomini come tutti gli altri ‒ papà ha detto ridacchiando.
Me lo ricordo perché il giorno avevo vinto io il gioco delle parolacce.
‒ Lavami la schiena, avvicinati.
Adesso ce lo aveva come quando  la mattina ti svegli e te lo trovi grosso senza capire bene perché.
Lo lavo bene, dappertutto.
Finalmente torno a casa, di corsa.
Per strada non ho voglia di salutare nessuno.
Antonio mi supera in bicicletta.
‒ Tutto bene Pasquà?
No che non sto bene, ma non lo dirò; ho promesso perché in fondo è colpa mia sono stato troppo presuntuoso, sono stato scelto perché sono bravo.
Mi viene da piangere e scappo.
Mangio in fretta e vado a dormire.
Neanche tutti i miei personaggi possono aiutarmi.
Li guardo e non vedo più il loro potere.
Guardo in su e la mia disperazione aumenta; la macchia non la vedo, non riesco a vederla.
Forse è meglio: mi vergogno troppo per pensare a nonno.
Per fortuna il sonno mi sta portando via... manca poco alla cerimonia poi sarò libero, penso.
Il giorno della comunione tutti sono tirati a lustro.
Anche io, sotto la vestina bianca e oro, sono vestito a festa.
Fuori dalla chiesa c’è tanto rumore, la gente ride e parla.
‒ Ciao Pasquale, quanto sei bello!
Signora Lina cerca di darmi una carezza ma io mi allontano.
‒ È così nervoso questo periodo, forse l’emozione ‒ si scusa mia mamma.
Fra poco finirà tutto.
La chiesa è piena zeppa di persone, finalmente siamo tutti in fila, tengo gli occhi bassi quando prendo l’ostia.
La messa e finita, ma prima di andare via don Ambrogio ricorda la messa di ringraziamento alle sette di sera; ci saranno i nuovi chierichetti e anche il capo chierichetto.
Mi sta indicando, la gente applaude.
Solo Antonio mi guarda male, come se fossi colpevole, forse lo sono, ma di cosa?
Riesco a rilassarmi mentre pranzo con tutti i miei parenti. La festa durerà sino tardi, sin dopo l’ultima messa di stasera.
Mi rimetto la vestina, incontro Giacomo per strada, riesco a sorridere.
Sono sopra l’altare, di fianco al prete che dice messa. Non mi sento per niente onnipotente.
Finisce, ci consegna dei regali, delle piccole croci in legno.
‒ Ricordate che ognuno di voi ha sia meriti che colpe da espiare, rimanete fedeli agli insegnamenti che vi ho umilmente impartito.
Non capisco le sue parole, forse voleva dire di rimanere fedeli ai giuramenti, al mio silenzio.
‒ Pasquale vieni un attimo in canonica ti devo parlare.
Degli aghi freddi mi pungono la schiena.
Rimango fermo ancora un po’, lui è sparito dietro la porta di legno, che porta di sopra.
Gli altri sono tutti usciti, sento delle urla provenire dalle scale, due voci diverse, le parole non si capiscono, ripetute da un’eco distorta.
Un rumore forte, qualcosa o qualcuno è caduto dalle scale.
Magari è lui, forse sono stato ascoltato.
Apro la porta,  Antonio sfiora i miei piedi con la testa piena di sangue non parla.
Guardo in alto e vedo don Ambrogio.
Ha la paura in faccia; dice che è caduto da solo, un incidente.
Mette il dito sulla bocca ‒ il silenzio, ricordate il silenzio ‒
Lo ripete ancora e ancora, ma io non lo sento più.
Guardo Antonio e mi sembra di capire, o forse no.
Mi sento male.
Urlo.
Ricordo l’ambulanza che lo portava via.
I carabinieri mi hanno chiesto che cosa era successo.
Non lo so, dico.
Passa molto tempo, giorni, settimane, Antonio non torna.
Una sera Signora Lina passa a casa. Ha segni neri sotto gli occhi, si vede che non dorme.
‒ Sta meglio, ancora non si muove. Vuole parlare con te Pasquale, vuoi venire con me domani in ospedale?
‒ Sì ‒ e non ho detto altro.
Non vado a scuola, neanche Giacomo. Aspetto che lui e sua madre passino a prendermi.
In macchina io e lui stiamo dietro, si avvicina al mio orecchio.
‒ Tu sai cos’è successo vero,  Antonio dice che è caduto da solo ma non ci credo. E poi perché vuole parlare con te?
‒ Giacomì non chiedermi niente per favore‒ aspetto un momento perché ho paura.
‒ Siamo ancora amici?
Lentamente mi prende la mano e la stringe forte, poi la lascia in fretta e guarda fuori dal finestrino.
In ospedale mi fanno entrare da solo nella sua camera.
Ha i capelli rasati e una fasciatura in testa, il gesso nella gamba destra.
‒ Ciao Antonio, come stai? ‒ È la domanda più stupida, ma quella che mi importa davvero chiedergli.
‒ Ciao Pasquà, dalla botta in testa dicono che mi sto riprendendo bene, ho rischiato di restare mezzo scimunito. La gamba è bloccata fino all’anca, piano piano guarirà anche quella.
‒ Perché ? ‒ È la seconda domanda che avevo in testa dal primo momento.
‒ Giurami che lo tieni per te ‒ mi guarda negli occhi e poi fissa il soffitto bianco.
‒  Io le urla le ho sentite ma non ho detto niente a nessuno.
‒ Sapevo cosa ti avrebbe fatto, dopo la comunione diventi degno di essere toccato, così diceva. Sicuramente in questi anni lo ha fatto anche con altri.
Non chiedo nulla di più su di lui, non sono stupido.
‒ Lo hai fatto per me?
‒ Mi è mancato il coraggio per gli altri.
‒ Perché non lo diciamo ai carabinieri?
‒ No, me lo hai giurato. Gli amici miei prendono in giro chi si fa toccare da un uomo, a volte le battute le ho fatte anch’io con loro. Mi vergogno troppo. Lui ci ha scelto perché eravamo speciali, anche a te l’ha detto no?
‒ Sì ‒ un colpo alla pancia nel sentire quella parola. Mi sento in colpa anche se so che non è giusto.
‒ Antonio, così però lo farà ancora.
‒ Non con te.
In silenzio fa scendere le lacrime, si gira per non farmele vedere.
Io mi avvicino alla porta ma prima di uscire gli dico “grazie”.
Signora Lina e Giacomo mi fanno salire in macchina. Sento che mi vogliono fare domande, per fortuna non lo fanno.
Adesso voglio stare in silenzio. Vorrei essere il bambino di un mese fa, stare dentro le coperte ad ascoltare i miei genitori che parlano, godermi ancora un pochino quel momento di protezione.
Saluto e vado a casa.
I miei genitori aprono insieme la porta.
‒ Pasquale, allora: perché voleva parlare con te, che è successo?
‒ Vi devo dire una cosa… ‒ piango e parlo. Parlo e mi libero.
Giorni dopo i giornali descrivono una persona malata, deviata, scrivono. Gli esperti parlano di delirio sessuale e mistico. Dicono anche che era stato allontanato da un altro paese per voci che sembravano infondate.  Ma forse così infondate non erano. Pure questo scrivono.
La gente del paese ora dice che forse lo avevano trovato strano da subito; ma io non avevo mai sentito nessuno dirlo prima.
Alcuni dicono che era meglio non fare tanto rumore, per proteggere le vittime.
Altri che era meglio fare un bel falò e buttarcelo dentro.
Altri due bambini del paese sono usciti da quel silenzio malato.
Quindi ora le sue vittime erano diventate tre, nei quattro anni che era stato qui.
La quarta la conosco solo io.
Questa mattina la faccia sopra il letto sorride.
‒ Buongiorno nonno ‒ gli dico.
Giacomo mi aspetta come al solito fuori da casa sua. Io mi sono fermato a guardare i gatti sul tetto di una casa. Sono in ritardo.
Filomena passa con altre compagne.
‒ Ma glielo dici al tuo amico se giochiamo a palla tutti insieme stasera, o lui con le femmine non ci gioca?
‒ Sì che ci gioca, ci vediamo a scuola, così decidiamo l’ora.
Giacomo è arrossito da lontano.
Papà non mi dice più che sono speciale, ma mi ha detto che è orgoglioso di me perché ho parlato.
Antonio mi ha detto che sono più coraggioso di lui, persino più di Goku.
Esagerato!
Più di Goku è impossibile.
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televaltiberina · 5 years
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Sabato 26 ottobre tappa umbertidese per la quinta edizione del “Viaggialibro-Festival del libro di viaggio” “Dall’altra parte” è il tema sul quale si confronteranno gli ospiti della V edizione del “Viaggialibro – Festival del libro di viaggio”, evento diffuso promosso dall’Associazione culturale Officina delle Scritture e dei Linguaggi di Perugia e da ali&no editrice, che tra ottobre e novembre toccherà quattro Comuni dell'Umbria proponendo incontri gratuiti con sei scrittori nazionali in dialogo con giornalisti e operatori culturali del nostro territorio.Il “Viaggialibro – Festival del libro di viaggio” è un evento che, fin dalla sua prima edizione, ha tra i suoi obiettivi prioritari quello di lasciare una traccia concreta del passaggio dei suoi ospiti attraverso il dono di testi (racconti, articoli, autoritratti etc.) ispirati al territorio, composti durante il festival e poi raccolti in un libro.Nell'edizione 2019 la manifestazione diviene un festival diffuso, ovvero non legato a un’unica città ma a un’identità territoriale da valorizzare, in particolare con il coinvolgimento attivo delle scuole attraverso incontri (matinèe) a loro destinati.La manifestazione toccherà Umbertide sabato 26 ottobre con un doppio appuntamento con gli scrittori Giovanni Dozzini, autore di “E Babucar guidava la fila” (vincitore del Premio dell’Unione Europea per la Letteratura) e Antonio Gonnella, autore di “Passaggio a Sud.
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paoloxl · 7 years
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Per la Corte di Strasburgo le violenze e le torture della polizia alla Diaz e alla Pascoli erano evitabili. Riconosciuti 1,4 milioni di danni. E la legge sulla tortura passa all’Aula senza emendamenti Come nel 2015 e con motivazioni ancora più dettagliate, la Corte europea dei diritti umani torna a condannare l’Italia per la «macelleria messicana», come la definì l’allora vicequestore del primo Reparto mobile di Roma Michelangelo Fournier, compiuta dalle forze dell’ordine durante il G8 di Genova del 2001 all’interno della scuola Diaz e (questa volta anche) della scuola Pascoli, dove era stato allestito il centro stampa e l’ufficio legale. «Tortura», la definiscono ormai esplicitamente i giudici di Strasburgo che hanno dato ragione a 29 dei 42 ricorrenti (Bartesaghi Gallo e altri) e, per violazione dell’articolo 3 della Convenzione, condannano lo Stato italiano a risarcire le vittime con somme che vanno dai 45 mila ai 55 mila euro ciascuno, per un totale di circa 1,4 milioni di euro. Un’operazione, l’irruzione nelle due scuole, «pianificata» dalla polizia e nella quale perciò l’«uso di incontrollata violenza» poteva essere evitato, motiva la Cedu, ma così non è stato. Inoltre dalla sentenza Cestaro del 2015 ancora l’Italia presenta «carenze nel sistema giuridico riguardo la punizione della tortura». Motivo per il quale coloro che sono stati ritenuti responsabili di quella folle notte di violenze non sono stati puniti adeguatamente, accusati di reati minori, presto caduti in prescrizione. Le parole di Strasburgo arrivano in commissione Giustizia della Camera, dove si sta analizzando in quarta lettura il brutto testo di legge che introduce il reato di tortura nel nostro ordinamento penale, e fanno l’effetto della maestra che torna in classe all’improvviso. Respinti tutti gli emendamenti, il ddl arriverà in Aula il 26 giugno, senza più altri rinvii. La convinzione che di questi tempi non si possa pretendere di meglio nel Belpaese, porta ad accelerare i tempi verso l’approvazione di un testo che il Consiglio d’Europa, per ultimo, e decine di associazioni che hanno lanciato un appello contro la «legge truffa», considerano inadatto e lontano dalle convenzioni Onu e dalle raccomandazioni della Cedu. Prendiamo ad esempio il reato specifico per pubblico ufficiale, nemmeno lontanamente preso in considerazione per via delle proteste di alcuni sindacati di polizia (a danno della maggioranza delle forze dell’ordine). Nella sentenza resa nota ieri, Strasburgo fa notare che nella notte tra il 20 e il 21 luglio 2001, quando all’interno delle due scuole furono commesse «violenze multiple e ripetute, di un livello di gravità assoluta», «la polizia non stava affrontando una situazione di emergenza, una minaccia immediata che richiedeva una risposta proporzionata ai potenziali rischi». La Corte «ritiene che i funzionari hanno avuto la possibilità di pianificare l’intervento della polizia, analizzare tutte le informazioni disponibili e tener conto della situazione di tensione e dello stress a cui gli agenti erano stati sottoposti per 48 ore». Ma, «nonostante la presenza a Genova di funzionari esperti appartenenti all’alta gerarchia della polizia, non è stata emanata alcuna direttiva specifica sull’uso della forza e non sono state date consegne adatte agli agenti su questo aspetto decisivo». In sostanza, le Corte europea fa notare stavolta che la tortura e i trattamenti inumani e degradanti inflitti, «con gravi danni fisici e psicofisici», su persone inermi non erano imprevedibili. Non sono state frutto in una situazione sfuggita di mano. E nel frattempo nulla è cambiato. Per Amnesty international Italia, la condanna della Cedu è «una buona notizia» perché «aiuta la memoria collettiva» e «sottolinea la necessità di rafforzare la cultura dei diritti umani tra le forze di polizia». Ma il ddl in dirittura d’arrivo alla Camera anche per il senatore di Mdp, Felice Casson, tra i firmatari del testo prima che venisse «stravolto in Senato», sarà «da un punto di vista pratico difficilmente applicabile per la nostra magistratura» e «avremo episodi chiari di tortura che non verranno mai puniti». E al Consiglio d’Europa che due giorni fa chiedeva una fattispecie esente da ogni possibile misura di clemenza, l’Unione delle camere penali risponde di non preoccuparsi, «perché a rendere ineffettiva la norma sulla tortura non c’è bisogno né di amnistie, né di indulti, né di prescrizioni: basta che il Parlamento approvi la legge sulla tortura in via definitiva così com’è». Eleonora Martini da il manifesto ****************** Quando la democrazia fu affidata a criminali di Stato A Genova la democrazia fu sospesa e messa nelle mani di criminali di Stato. Fu fatta carta straccia della rule of law e dell’habeas corpus. Decine e decine di corpi furono seviziati, massacrati, torturati. Dopo sedici anni arriva finalmente per quarantadue di quei corpi un risarcimento politico, giudiziario, morale, economico. La Corte europea dei diritti umani, nella sentenza resa pubblica ieri, l’ha potuta chiamare tortura. Noi, nelle nostre Corti, non possiamo ancora chiamarla così, perché la tortura in Italia non è codificata come crimine. Il 26 giugno è la giornata che le Nazioni Unite dedicano alle vittime della tortura. È anche il giorno in cui la Camera dei Deputati inizierà a votare la brutta, pasticciata e intenzionalmente confusa proposta di legge che il Senato ha approvato giusto poche settimane fa, dando cattiva prova di sé. Sono intanto trascorsi sedici anni dalle torture della Diaz e ben ventinove da quando l’Italia ha ratificato la Convenzione Onu contro la tortura che ci obbligava a introdurre nel nostro codice il crimine di tortura. Il tempo passa ma non cambia il modo in cui le istituzioni hanno cercato di non parlare di un delitto che è tanto grave in quanto commesso su persone in stato di soggezione e dalle mani dei servitori della democrazia. Ancora una volta da Strasburgo arriva un monito a non lasciare impuniti i torturatori sul suolo italico. L’Italia infatti è una sorta di paradiso legale per i torturatori di ogni nazionalità che qui possono sentirsi sicuri e rifugiarsi da accuse e processi nei loro confronti. La sentenza risarcisce le vittime di quello che possiamo chiamare ora a tutti gli effetti un crimine di Stato, sia perché la tortura è nella storia del diritto un reato proprio di agenti dello Stato, sia perché nel caso di Genova i carnefici non sono stati due, tre o quattro ma un plotone intero con tutti i suoi governanti. Basta riguardare la sentenza della Corte di Cassazione del 2012 per leggere i nomi dei dirigenti ad altissimo livello della Polizia che furono condannati a vario titolo, ma nessuno per tortura, perché in Italia non si può condannare per tortura. La sentenza di Strasburgo restituisce giustizia a chi non vuole che la memoria e la verità siano violentate. Il numero delle vittime e la gravità delle condanne pongono un problema politico, non solo giuridico ed economico come forse in molti al potere vorrebbero far credere, ossessionati dalla paura dei fantasmi di Genova. Fu Antonio di Pietro, allora capo dell’Idv e ministro delle Infrastrutture, ad affossare la legge che istituiva una Commissione di inchiesta sui fatti di Genova. Una Commissione che ancora oggi sarebbe sacrosanto mettere rapidamente in piedi per fare i nomi e cognomi dei responsabili politici, militari e di Polizia di un piano sistematico criminale. Come altro definire un piano pensato per commettere crimini contro l’umanità? Nel frattempo impunità e immunità hanno favorito le carriere dei presunti torturatori e dei loro mandanti. Chiediamo ai governanti dello Stato italiano di oggi di rivalersi contro i responsabili politici e di Polizia di quel 2001, di fare loro causa civile, di istituire per via amministrativa un fondo per le vittime della tortura, di consentire l’identificazione degli appartenenti alle forze dell’ordine. Si può fare subito. Se dovesse anche questa volta prevalere la melina, l’autodifesa dei vertici, il quieto vivere vorrà dire che la democrazia è ancora sospesa. Tanti ragazzi che oggi frequentano le Università non sanno cosa è successo a Genova in quel luglio del 2001. Va loro raccontato che lo Stato democratico italiano torturò altri ragazzi come loro. Lo fece perché aveva paura delle loro bandiere della pace. Patrizio Gonnella da il manifesto
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artemuycaro · 7 years
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Some warm ups from LOOKBOOK a week or so ago!
Antonio Agyei Owusu  Jake Gonnella  Franklin Benitez 
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aletheiaonline · 7 years
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Manconi, Amnesty International, Antigone e Cild: no al ritorno dell'Ambasciatore italiano in Egitto
Manconi, Amnesty International, Antigone e Cild: no al ritorno dell’Ambasciatore italiano in Egitto
Il 14 febbraio Luigi Manconi, presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato, il presidente e il direttore Amnesty International Italia, Antonio Marchesi e Gianni Rufini, e Patrizio Gonnella, presidente di Antigone e Coalizione italiana libertà e diritti civili, hanno ricevuto una lettera da parte di Nino Sergi, presidente onorario di Intersos.
Nella lettera Sergi…
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paoloxl · 7 years
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Aulla, il sindaco del Pd è l’avvocato di alcuni dei carabinieri indagati per i pestaggi in caserma e il Pd, già a marzo, aveva organizzato una manifestazione di solidarietà con l’Arma Sembrano increduli i residenti di Aulla (Massa Carrara) per gli sviluppi dell’inchiesta sui pestaggi nelle caserme dei carabinieri venuti alla luce durante un’inchiesta della procura di Carrara. Increduli e imbarazzati perché il difensore di alcuni dei 9 carabinieri è un potente avvocato della zona ed è appena diventato sindaco di questa città al confine tra Toscana e Liguria, 12mila abitanti, finora nota solo per le bizzarrie di un suo vecchio sindaco socialista, Lucio Barani, che ha spaccato a metà una piazza per intitolarla a Craxi mentre il rimanente continua a chiamarsi Piazza Gramsci. Socialista, quindi, nel controverso significato ì assunto in Italia dopo gli anni della Milano da bere, agli albori del saccheggio liberista di risorse e diritti. Allora quel sindaco vietò l’ingresso in città a chiunque avesse a che fare con mani puliteproclamando Aulla «comune dedipetrizzato». Ora quel sindaco è senatore eletto con il Popolo della libertà e ha appena festeggiato l’elezione a sindaco di Roberto Valettini, del Pd che, giusto un mese prima di lanciarsi nella corsa alle amministrative, ha assunto la difesa dei militari coinvolti nell’inchiesta secondo un’impressionante lista di 104 reati ipotizzatidai pm. Era il mese di marzo e il Pd si fece carico di raccogliere i boatos della rete, la retorica agghiacciante di chi sta con le forze dell’ordine senza se e senza ma, promuovendo una manifestazione cittadina a sostegno dell’Arma in perfetto stile Coisp, il sindacatino di polizia famoso per le sue controverse dichiarazioni contro le vittime di malapolizia, contro i loro familiari e contro i giornalisti che osino fare cronaca e contro i migranti di fede islamica. Il territorio fu tappezzato di manifesti mentre nei social circolavano post a sfondo razzista su una presunta emergenza sicurezza che questa città non ha mai vissuto. Nelle cronache recenti, piuttosto, si registrano episodi di vandalismo e bullismo commessi da rampolli giovanissimi di famiglie perbene e se di degrado si deve parlare va piuttosto riferito alle criminali e dissennate politiche urbanistiche che hanno consentito che si cementificasse l’impossibile finché il fiume Magra non ha detto stop con la spaventosa alluvione del 2011 che uccise due persone e cacciò di casa decine di famiglie delle case popolari costruite dove non doveva succedere. Da allora c’è un viavai di emissari di Striscia la notizia perché le scuole sono ancora ospitate nei container. L’emergenza sicurezza, come spesso succede, anche ad Aulla si declina nel suo contrario: si è insicuri perché scorazzano militari e agenti che si sentono al di sopra della legge e commettono abusi come se l’illegalità fosse la normalità. E’ quello che scrivono i magistrati pur sottolineando che sarebbero solo mele marce, che la fiducia nell’Arma è intatta eccetera eccetera. Quell’11 marzo, il Pd portò decine di persone, complice anche il passaggio dal mercato settimanale, nella piazza del Comune e potrebbe farlo ancora dopo gli arresti di ieri. Allora furono distribuiti volantini di vicinanza all’Arma dando anche la possibilità ai passanti di lasciare un messaggio di solidarietà per i carabinieri, scrivendo un biglietto da inserire in una teca. «La Procura sta mal interpretando la realtà della strada – si leggeva su un volantino – penalizzando l’esecuzione della nostra sicurezza». «Conosciamo bene quei ragazzi in divisa – avevano spiegato alcuni nella piazza – e conosciamo anche coloro che li hanno accusati, sono quelli da cui ci proteggevano». Durante la manifestazione era stata fatta suonare anche una sirena simile a quella delle auto dei carabinieri in servizio, seguita da un lungo applauso e dal grido «Viva i nostri carabinieri». E in rete giravano frasi fatte come “Loro fanno tanto per noi, e noi per loro?“. Nessun dubbio, ad Aulla come a Roma, da parte del Pd, sui frutti avvelenati di un’emergenza sicurezza costruita ad arte proprio da chi ha governa i processi mostruosi dell’austerità e del neoliberismo. La guerra dei penultimi contro gli ultimi è lo strumento più pratico per distrarre i poveri dalle responsabilità di chi li deruba di futuro. Il Pd non è solo il partito che difende i carabinieri di Aulla e Albiano Magra, ma è il partito dei decreti Minniti-Orlando, i suoi padri nobili – Napolitano e Veltroni – hanno inventato i “lager” per migranti e il primo pacchetto sicurezza. Non esisteva ancora ai tempi di Genova 2001ma i suoi soci fondatori, Ds e Margherita, non hanno mai voluto una vera inchiesta parlamentare sulle violenze di quel luglio preparate dalla sanguinosa anteprima della mattanza di Napoli, il 17 marzo del 2001, dall’allora ministro degli Interni Enzo Bianco, oggi sindaco Pd a Catania. Dopo l’11 marzo, ad Aulla, anche Forza Italia volle fare un security day in una rincorsa che, anche a livello nazionale, vede impegnati i rispettivi partiti in gara a chi è più razzista, autoritario, sicuritario, anticostituzionale. Intanto la cronaca si arricchisce di dettagli: c’erano le microspie anche sulle auto di servizio dei carabinieri della Lunigiana finiti sotto inchiesta, una ventina. Uno di loro è in carcere, tre sono agli arresti domiciliari e quattro hanno il divieto di dimora nella provincia di Massa Carrara. Tra questi ultimi un maresciallo, sospeso dal servizio perchè aveva anche funzioni di comando. «Si, abbiamo utilizzato anche le intercettazioni ambientali e telefoniche e sono emerse tante situazioni di illegalità», conferma il procuratore Aldo Giubilaro titolare dell’indagine assieme al sostituto Alessia Iacopini. I reati contestati a vario titolo sono lesioni, falso in atto pubblico, sequestro di persona, violenza sessuale. Il gip De Mattia che ha firmato l’ordinanza di misure cautelari ha accolto le richieste della procura contestando ben 104 capi di imputazioni. C’è la storia del ragazzo marocchino violentato durante una perquisizione antidroga, il caso di un clochard caricato a forza sull’auto di servizio e manganellato, lo stupro di una giovane prostituta. Poi altri pestaggi in caserma dove, sempre secondo le accuse, venivano falsificati i verbali. Sei carabinieri erano in servizio alla stazione di Aulla, due ad Albiano Magra, tutti in provincia di Massa Carrara. L’inchiesta dimostra, secondo il presidente di Amnesty Italia Antonio Marchesi, che «il problema degli abusi delle forze di polizia in Italia esiste e va affrontato con strumenti adeguati, che nel nostro ordinamento ancora mancano. Emergono particolari sconcertanti, soprattutto riguardo alla riferita sistematicità dei presunti comportamenti criminali. Rimuovere, far calare il silenzio non è mai la soluzione. È nell’interesse delle forze di polizia, del loro buon nome, della loro autorevolezza e della loro efficacia, accertare fatti e responsabilità e poi sanzionare con pene adeguate alla gravità dei fatti accertati chi fra i propri appartenenti compie violazioni dei diritti umani». «Speriamo che l’inchiesta per i fatti della caserma di Aulla veda la piena partecipazione dell’Arma dei Carabinieri. Confidiamo che ciò avvenga», dice Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone. «Si tratta – dice – di fatti gravi che richiedono la collaborazione di tutte le istituzioni affinché si arrivi a verità e giustizia. Dunque ci affidiamo ai pm e alle loro indagini senza avere presunzioni di colpevolezza». «Comunque – aggiunge Gonnella – sarebbe importante che se mai si arrivasse a processo, lo Stato si costituisse parte civile. Chi ha compiti di ordine pubblico ha un dovere in più di muoversi nella legalità. Deve esserne esempio». Secondo Gonnella, «le violenze sistematiche evocano la parola tortura. Parola impronunciabile nelle aule di giustizia italiane perché la tortura non è reato nel nostro paese nonostante obblighi internazionali vecchi di trent’anni».
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paoloxl · 7 years
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Tortura, si allunga l’iter al Senato ma i due emendamenti presentati  non sciolgono i dubbi se sia una norma contro la tortura o una regolamentazione dei casi in cui è legale Due emendamenti, dei relatori Nico D’Ascola(Alternativa Popolare – Centristi per l’Europa) e Enrico Buemi (Psi), al ddl tortura all’esame del Senato. Ed è ancora rinvio. Il primo prevede che il reato di tortura sia attuato con una pluralità di condotte ovvero trattamenti disumani o degradanti. Il secondo, esclude la configurabilità del reato in caso di uso legittimo della forza da parte delle forze dell’ordine a seguito di un ordine impartito. Sul piano procedurale, in aula sarà necessario quindi fornire tempo ulteriore per i subemendamenti ed è probabile che si vada ad un rinvio. Due codicilli insidiosi, definiti “di mediazione” che confermano i timori che la legge contro la tortura si tramuti in una sorta di regolamentazione delle condotte di tortura in auge tra i pubblici ufficiali. Per esempio: con un testo così sarebbe stato possibile perseguire per il reato di tortura i poliziotti, i carabinieri, le guardie penitenziarie e i medici protagonisti delle violenze inumane a Bolzaneto nel 20o1? Probabilmente no così come sarebbe stato difficilissimo ottenere un’incriminazione ad hoc per le violenze subite da Stefano Cucchi. Un esito prevedibile visto che la fine della latitanza dei governi italiani rispetto alla ratifica della convenzione delle Nazioni unite del 1988, ha coinciso con una scrittura del testo drogata dalle pretese delle lobby delle “forze dell’ordine” allergiche a qualsiasi limitazione alla licenza di abusi. E con il parlamento meno garantista della storia repubblicana di per sé non certo senza macchia. Quasi tutte le audizioni sono state dedicate ai sindacatoni e sindacatini di polizia, gli stessi che rifiutano misure semi palliative come quella di un codice alfanumerico che consenta a un magistrato di identificare un operatore che, travisato, commetta un reato in ordine pubblico. Gli stessi che dedicano manifestazioni e tributi ai loro colleghi condannati in via definitiva per delitti come l’omicidio Aldrovandi. Tra i ritornelli più ascoltati e meno credibili quello che una legge contro la tortura spunterebbe le unghie a chi lotta contro il jihadismo. Il delitto di tortura non è definito come reato proprio, attribuibile al pubblico ufficiale e a chi eserciti un pubblico servizio. Dunque non è considerato, come dovrebbe essere, l’esito di un abuso di potere a opera di chi, titolare del monopolio legittimo della forza e della potestà legale di custodire altri, attui comportamenti illegali destinati a produrre dolore fisico o mentale a chi gli è affidato. Una simile impostazione, come ha spiegato più volte Luigi Manconi, non nasce dalla preconcetta ostilità o dal pregiudiziale sospetto verso le forze di polizia, ma ha l’esclusivo scopo di distinguere il reato di tortura da altre azioni violente, messe in atto tra privati, già previste e sanzionate dai nostri codici. Il testo discusso in Parlamento tratta la tortura come reato comune, prevedendo per chi la pratichi, a partire dalla condizione di pubblico ufficiale, semplicemente un’ipotesi aggravata. Meglio di niente o meglio niente? Gli addetti ai lavori si lambiccano il cervello di fronte a questo dilemma. L’unico antidoto sarebbe un ampio movimento di massa contro la tortura e la malapolizia. «Prendiamo atto che l’esame della proposta di introduzione del reato di tortura è stato rinviato. Speriamo che questo dia modo di migliorare il testo in discussione, rendendolo il più vicino possibile a quello dell’art,1 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura». Lo dichiarano Antonio Marchesi e Patrizio Gonnella, rispettivamente presidenti di Amnesty International Italia e Antigone. «Speriamo altresì che questo rinvio sia davvero breve e non faccia venire meno il senso di urgenza che il tema richiede, visto che il nostro paese aspetta da quasi trent’anni l’introduzione di norme che consentano di punire in modo adeguato quella che la comunità internazionale intera considera una delle più gravi violazioni dei diritti umani» concludono. L’Aula di Palazzo Madama ha deciso di rinviare l’esame del disegno di legge sulla tortura. Scadenza fissata per eventuali subemendamenti le 19 di giovedì 11 maggio, così si è deciso di far slittare il provvedimento alla prossima settimana. Ma se le modifiche di Buemi e Nico D’Ascola dovessero venire accolte magari la prossima settimana quando il ddl potrebbe tornare all’attenzione dell’Assemblea, il provvedimento dovrebbe riandare per l’ennesima volta alla Camera prolungando ancora di settimane l’iter del progetto di legge approdato in Parlamento a inizio della legislatura per iniziativa di Luigi Manconi (Pd). «Se i fatti di cui al primo comma – continua il testo dell’articolo 1 del disegno di legge sulla tortura come verrebbe riscritto dai due emendamenti dei relatori – sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, con abuso di poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio la pena è della reclusione da 5 a 12 anni». Il comma precedente, recita ancora il nuovo testo dell’articolo 1 del provvedimento, «non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti». E ancora: «Se dai fatti di cui al primo comma deriva una lesione personale le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate; se ne deriva una lesione personale grave sono aumentate di un terzo e se ne deriva una lesione personale gravissima sono aumentate della metà. Se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte quale conseguenza non voluta la pena è della reclusione di anni 30. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è l’ergastolo». Checchino Antonini da Popoff
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paoloxl · 7 years
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L’annullamento delle assoluzioni dei cinque medici dell’Ospedale Pertini dove Stefano Cucchi morì il 22 ottobre 2009 è arrivato appena il giorno prima della prescrizione del reato di omicidio colposo contestata ai sanitari. «Sono passati 7 anni, 5 mesi e 28 giorni dalla morte di Stefano Cucchi. Domani scatta la prescrizione ma oggi c’è ancora tempo per fare giustizia», aveva detto il Pg della Cassazione, Antonio Mura, nella sua requisitoria davanti alla I Sezione Penale della  Corte Suprema, E il collegio di giudici presieduto da Antonella Mazzei in serata, dopo circa tre ore di camera di consiglio, ha accolto la richiesta. La sentenza dell’appello bis è stata annullata. Il processo a carico dei medici – Aldo Fierro, Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi Preite De Marchis e Silvia Di Carlo – è da rifare, anche se il reato va oggi in prescrizione. Il Pg Mura  ha motivato la sua richiesta sostenendo che la Corte d’Assise d’Appello di Roma, nell’appello bis che ha prosciolto i medici, ha «sovrapposto indebitamente il suo giudizio, non scientifico, a quello del collegio di periti costituito da luminari» secondo cui «Cucchi poteva essere salvato, o il suo decesso ritardato, se le terapie adeguate fossero iniziate il 19 ottobre, se solo fossero stati letti congiuntamente tutti i dati delle analisi arrivate nel pomeriggio». Per Mura, la sentenza del 18 luglio 2016 emessa dopo il rinvio della Cassazione, presenta «molteplici aspetti critici» che potevano essere sciolti da «una nuova perizia, che però non è stata disposta». Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, invita gli imputati a difendere la loro innocenza davanti ad altri giudici: «Se i cinque medici rinviati a giudizio  si sentono non responsabili rinuncino alla prescrizione e vadano a nuovo processo». Per Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, è sicuramente un giorno importante: «È un grande segnale di speranza per tutte le persone che attendono giustizia ed è la dimostrazione che vale la pena non smettere mai di credere nella giustizia», è stato il suo commento. Poi, più tardi, Ilaria posta su Facebook: «Ringrazio il Procuratore Generale Eugenio Rubolino per non essersi arreso alla seconda assoluzione e il Procuratore Generale della Cassazione Antonio Mura per essersi battuto per avere giustizia. La prescrizione la dobbiamo soltanto ai periti della Corte Cattaneo e Grandi che hanno fatto talmente tanta confusione sulla morte di Stefano da produrre questo disastro». Entusiasta anche l’avvocato Fabio Anselmo,  inseparabile legale della famiglia del 32enne romano: «È la prima vittoria morale della lunga battaglia per la verità sulla morte di Stefano – ha detto –  ora diventa tutto coerente con quello che sta facendo il procuratore Pignatone». da il manifesto
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