Tumgik
kommunalka-blog · 8 months
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EUROPA CENTRO-ORIENTAL. ESCRITORES.
POLONIA
Adam Zagajewski Zbigniew Herbert Wislawa Szymborska Józef Czapski Józef Wittlin Olga Tokarczuk Marek Byenczyc Andrzej Stasiuk Sergiusz Piasecki Ida Fink
REPÚBLICA CHECHA (o CHECOSLOVAQUIA)
Arnost Lustig Jirí Weil
HUNGRÍA
Laszló Krasznahorkai Szilárd Borbély György Spiró Magda Szabó
ROMANIA
Mircea Cărtărescu Ana Blandiana Gabriela Adamesteanu Tatiana Tibuleac
BULGARIA
Angel Wagenstein Georgi Márkov Alek Popov Kapka Kassabova
SERBIA (o JUGOSLAVIA)
Danilo Kis Goran Petrovic David Albahari Dragan Velikić Svetislav Basara Aleksandar Tišma
ESLOVENIA
Maja Haderlap (idioma) Boris Pahor (idioma) Goran Vojnović
CROACIA
Dubravka Ugrešić Daša Drndić Miroslav Krleža
BOSNIA
Ivo Andrić (serbonosnio) Meša Selimović Faruk Šehić Velibor Colić Miljenko Jergović Aleksandar Hemon Saša Stanišić Lana Bastašić (serbonosnia) Selvedin Avdić Teodor Cerić
MONTENEGRO
Mirko Kovač KOSOVO Pajtim Statovci ALBANIA
Ismail Kadaré
UCRANIA
Andréi Kurkov Yuri Andrujovich Serhiy Zhadan
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kommunalka-blog · 1 year
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HIMMLER. EBREI. BOLSCEVISMO.
Il 25 maggio 1940 Himmler scrive a Hitler sulla questione ebraica. Oggetto del suo messaggio è l'opzione di deportare gli ebrei dell'Europa dell'Est in Madagascar. Considerando il trasferimento forzoso come la soluzione ottimale, si esprime così:
"Per quanto crudele e tragico possa essere ogni caso individuale, questo metodo è ancora il più dolce e il migliore, se si rifiuta il metodo bolscevico di sterminio fisico di un popolo, dal momento che siamo intimamente convinti che esso sia non germanico e impossibile".
(in Christopher R. Browning, The Origins of The Final Solution, 2005).
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kommunalka-blog · 1 year
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LA LOGICA GENOCIDARIA DEL LENINISMO.
Lenin, 6-9 gennaio 1918.
"Solo la partecipazione benevola e coscienziosa della massa degli operai e dei contadini, dentro l'entusiasmo rivoluzionario, all'identificazione e al controllo dei ricchi, gli imbroglioni, i parassiti e i delinquenti, può avere la meglio sui rimasugli della maledetta società capitalista, questi scarti dell'umanità, questi membri irrimediabilmente marci e cancrenosi, questa infezione, questa peste, questa piaga che il capitalismo ha lasciato in eredità al socialismo. (...) nessuna pietà per questi nemici del popolo, questi nemici del socialismo, questi nemici dei lavoratori. Guerra a morte ai ricchi e ai loro scrocconi, gli intellettuali borghesi; guerra alle canaglie, ai fannulloni e ai delinquenti. (...) Ogni misura pratica presa per identificare realmente i ricchi e gli imbroglioni, per eliminarli, per sottometterli a un censimento e a una sorveglianza senza sosta, è più importante di una decina di dissertazioni sul socialismo. (...) ripulire la terra russa da tutti gli insetti nocivi, dalle pulci (i lacché), dalle cimici (i ricchi) e così via. (...) Qui li metteremo a pulire i cessi. Altrove li doteremo, all'uscita dalla galera, di un foglio giallo (il foglio degli svenduti allo zarismo) affinché l'intero popolo possa sorvegliare questa gente malvagia fino a che si redima. O, ancora, fucileremo sulla pubblica piazza un individuo su dieci colpevole di parassitismo".
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kommunalka-blog · 1 year
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IL DISCORSO DI PUTIN AL CLUB VALDAI (2022). ANALISI DI LUCA LOVISOLO.
Concetti chiave: universalismo, colonialismo, mondo unipolare, equilibrio degli interessi.
Le attività della Russia in Ucraina sono parte di una strategia di ampio respiro. Il discorso del presidente russo al Valdaj ha portato brillantemente alla luce come la guerra d’Ucraina sia solo una parte di un’aggressione che è rivolta a noi occidentali come difensori della modernità. Allo stesso tempo la guerra in Ucraina, nell’idea di mondo di Putin, si ricollega alle guerre caucasiche dei primi anni Duemila. Come la guerra di Cecenia, anche la guerra d’Ucraina è e resta, nella visione del mondo di Putin, una questione di mantenimento della sovranità territoriale russa. Putin vede la guerra in Ucraina come operazione militare di portata interna. In Ucraina, la Russia, secondo lui, combatte contro intrusi, «fascisti» (o, ultimamente, «satanisti») che nel 1991 hanno dichiarato uno Stato indipendente su una parte di territorio russo e da quel momento lo governano senza averne diritto. Se si elimina la guerra in Ucraina come causa delle sanzioni e delle decisioni conseguenti, davvero non le si capisce più.
Negando l’universalità dei diritti umani, la Russia mette in discussione un fondamento giuridico e storico. La negazione dell’universalità dei diritti umani è forse l’elemento più importante della dottrina delle relazioni internazionali nella Russia post-sovietica. E’ bene sottolineare un principio che molti politici occidentali sembrano non aver ancora recepito del tutto: la realizzazione della visione del mondo russa presuppone l’eliminazione dell’Occidente come luogo d’origine della società aperta, poiché la dottrina russa nega la validità universale dei diritti umani, che sono la base del modello di sviluppo occidentale. Per raggiungere questo scopo, la Russia ritiene giustificato qualunque mezzo: guerra militare, ingerenza nei processi democratici, ricatto energetico. La guerra in Ucraina mostra quanto in fretta, in tutto ciò, vengano superati i freni inibitori della morale.
L’Occidente pensa che tutti i Paesi del mondo debbano accettare il suo sistema e svilupparsi sulla base di esso. E’ ciò che sta accadendo proprio oggi, pensa Putin. Secondo Putin, questo pensiero unico dell’Occidente costituisce un modello di dominazione dal quale nasce una globalizzazione coloniale, intesa come strumento di mantenimento del potere.  Affinché il modello di sviluppo occidentale non si spezzi, prosegue Putin, L’Occidente limita la libertà di proporre modelli diversi, li qualifica come propaganda e come minacce contro la democrazia. Ora, dice Putin, il modello neoliberale di sviluppo occidentale è entrato in una crisi dottrinale.
Come Putin intende il contratto sociale: Lo Stato prevale, se il rispetto dei diritti individuali lo mette in pericolo. Questo è il perno intorno al quale si capovolge la visione del mondo – anzi, la visione della persona umana, tra la Russia e l’Occidente.
Putin mette in chiaro la visione della Russia: la base della civilizzazione umana sono le società tradizionali dell’Oriente, dell’America latina, dell’Africa e dell’Eurasia. Putin fa capire chiaramente con queste parole, qual è il nostro ruolo nel nuovo ordine mondiale: siamo una minoranza tollerata. Su di noi prevale la maggioranza dei non-occidentali.
Ora, dice Putin, il mondo unipolare deve essere sostituito da un mondo multipolare. Ogni civilizzazione ha una diversa concezione dell’Uomo e della sua natura. Mentre i valori occidentali mirano all’universalità, i valori tradizionali delle altre civilizzazioni non sono postulati fissi e riproducibili, che si adattano a tutti.  Se però si ricerca che cosa significa «mondo multipolare» nella dottrina russa delle relazioni internazionali, se ne trova una definizione che rallegra assai meno, nella brillante rappresentazione data da Aleksandr Dugin durante una conferenza tenuta all’Università di Mosca nel 2012: Il mondo multipolare sarà possibile solo dopo che il mondo unipolare sarà stato liquidato in modo definitivo e irreversibile. Come sempre, Putin esprime in forma più eufemistica e politicamente presentabile gli stessi concetti che Dugin formula in modo estremo e dottrinario. E’ solo questione di tempo, e anche la versione dura e originale diventa normalità, nel dibattito pubblico.
La base del mondo multipolare non sono i diritti umani ma l’equilibrio degli interessi tra i diversi attori. Attori del nuovo ordine mondiale non sono più gli Stati nazionali, ma le civilizzazioni. Qui Putin riprende un altro concetto-chiave della dottrina di Aleksandr Dugin, secondo il quale le protagoniste del mondo multipolare saranno, appunto, le civilizzazioni – non le classi, come nel marxismo; non lo Stato, come nel realismo; non il sistema democratico, come nel liberalismo. 
L’Eurasia è una civilizzazione, dove con Eurasia si intende di fatto lo spazio post-sovietico e prima russo-imperiale. L’Europa diventa di fatto un soggetto subordinato della civilizzazione russa ed eurasiatica. Il mondo multipolare è l’unica opportunità anche per i Paesi europei, afferma Putin. L‘«Occidente autentico e tradizionale» è quello i cui valori corrispondono ai postulati dei partiti filorussi e populisti, sia di destra sia di sinistra. Il messaggio è chiaro: la Russia, in combutta con le forze filorusse europee, plasmerà il nostro continente a sua immagine e somiglianza. Il presidente russo cita consapevolmente la questione omosessuale, perché sa che questo tema, come la questione delle migrazioni, è un ambito dei diritti fondamentali molto controverso in Occidente. Con queste argomentazioni Putin raccoglie consenso e semina divisione nelle società occidentali. Se Putin citasse direttamente i diritti che aggredisce, con la sua visione del mondo – separazione dei poteri, libertà di espressione e altre libertà fondamentali – le popolazioni occidentali reagirebbero negativamente (almeno per il momento, in futuro si vedrà).
I motori del mondo multipolare, nella visione del mondo russa, sono tutti coloro che sul piano economico, politico e militare, ideologico e culturale, si oppongono agli Stati Uniti: Cina, Iran, America latina e altri, elenca Dugin. La Russia è aperta verso tutti quegli Stati che si sottraggono alla cooperazione internazionale con gli Stati uniti e l’Occidente. Al posto dell’Unione europea e delle altre istituzioni di stampo occidentale arrivano l’Unione eurasiatica e il noto e temuto progetto dell’Europa da Lisbona a Vladivostok.
Comandamento supremo del nuovo ordine mondiale è il mantenimento delle «civilizzazioni», costi quel che costi, sotto la guida del più forte. Se georgiani, ucraini e altri non si sentono parte della civilizzazione eurasiatica, devono essere tenuti sotto il suo tetto con la forza. L’equilibrio degli interessi tra le civilizzazioni significa, perciò, verso l’interno, che la potenza dominante di ciascuna civilizzazione consolida il suo potere, con qualunque mezzo. La guerra in Ucraina è espressione ed esempio di questo processo di riequilibrio. Il mantenimento dell’equilibro di potenza prevale, nei realisti, sul rispetto di regole e valori. Così è anche nel nuovo ordine mondiale di Putin. Il nuovo mondo sarà un «mondo senza sanzioni» – in altre parole, un mondo in cui ogni Stato potrà fare e disfare ciò che vuole. L’unico limite alla totale libertà di azione sarà l’equilibrio degli interessi. Regimi autoritari, violazioni dei diritti umani, oppressione delle minoranze e simili sono parte del gioco, se servono a mantenere l’equilibrio degli interessi.
Applicato alla quotidianità concreta della guerra, ciò significa: Putin porta all’esasperazione gli ucraini e l’Occidente con attacchi missilistici, terrorismo e tortura, nella convinzione che l’Ucraina e l’Occidente prima o poi cederanno, vorranno negoziare e accetteranno la visione del mondo russa per pragmatismo. I cosiddetti «pacifinti» occidentali – i partiti populisti, i leader d’opinione filorussi, la Chiesa cattolica – che si ergono contro il sostegno e le forniture di armi all’Ucraina, condividono la stessa convinzione di Putin.
AUTO-CONFUTAZIONE
La Russia partecipa da sempre all’elaborazione del diritto internazionale. Ha contribuito a scrivere e ha firmato trattati internazionali.
La Russia post-sovietica, da parte sua, ha siglato innumerevoli trattati, in molti di questi riconosce le frontiere e la sovranità dell’Ucraina.
CONCLUSIONE
L’Occidente – il mondo della società aperta, dell’economia di mercato e dei diritti umani – è davvero una minoranza, rispetto al resto del pianeta. In quanto minoranza del mondo, possiamo conservare il nostro modello di società solo se manteniamo nel tempo il nostro primato intellettuale.
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kommunalka-blog · 1 year
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LA GUERRA CONTRO L’UCRAINA SPIEGATA AI RAGAZZI A NATALE Una nazione appartenuta all’ex Unione Sovietica decide - fin dall’indipendenza (1991) - di intraprendere un percorso di integrazione nel modello politico, economico e sociale dell’Europa e dell’Occidente. Questo avvicinamento graduale è suggellato da due rivoluzioni civili (2004 e 2013-14) contro l’ingerenza della potenza egemone ai suoi confini. Per questa ragione viene aggredita a più riprese (2014 e 2022) dalla potenza egemone - autoproclamatasi erede dell’ex Unione Sovietica e convertitasi nel frattempo in uno Stato compiutamente autoritario - che nega il carattere nazionale dell’aggredito e si oppone alla sua sovranità. L’assalto è tuttora in corso e dal suo esito dipenderanno la libertà del Paese invaso, il futuro della pace e della sicurezza in Europa e la difesa dell’ordine internazionale nel suo complesso.
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kommunalka-blog · 2 years
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CRONOLOGIA 1200 a.C. Mosè 
700 a.C. Iliade (750 a.C. circa) Odissea (720 a.C. circa)
600 a.C. Talete di Mileto (640/625 a.C.-548/545 a.C.)
500 a.C. Eraclito (535 a.C.-475 a.C.) Eschilo (525 a.C.-456 a.C.)
400 a.C. Pericle (495 a.C.-429 a.C.) Erodoto (484 a.C.-425 a.C.) Socrate (470/469 a.C.-399 a.C.) Platone (428/427 a.C.-348/347 a.C.)
300 a.C. Aristotele (384/383 a.C.-322 a.C.) Alessandro Magno (356 a.C.-323 a.C.) Euclide (metà IV secolo a.C.- metà III secolo a.C.)
200 a.C. Archimede (287 a.C.-212 a.C.)
100 a.C. - 0 Tito Lucrezio Caro (98/94 a.C.-55/50 a.C.)
0 - 100 Plutarco (46/48-125/127)
300 Attila (395-453)
700 Carlo Magno (742-814)
1100 Gengis Khan (1162-1227) 1200 Giogo tataro (1237-1480) Impero Ottomano (1299-1922)
1300 Tamerlano (1336-1405)
1400 Leon Battista Alberti (1404-1472) Niccolò Copernico (1473-1543) 1500 Ivan IV di Russia (il Terribile) (1530-1584) Michel de Montaigne (1533-1592) Elisabetta I d'Inghilterra (1533-1603) Galileo Galilei (1564-1642) 1600 Pietro I di Russia (1672-1725) 1700 Federico II di Prussia (1712-1786) Caterina II di Russia (1729-1796) Guerra dei sette anni (1756-1763)
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kommunalka-blog · 3 years
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PRINCIPALI BIOGRAFIE DI LENIN. Robert Service, Richard Pipes, Robert Conquest, Hélène Carrère d'Encausse, Victor Sebestyen, Stéphane Courtois, Robert Payne, Dmitri Volgokonov, Paul Le Blanc, Louis Fischer, Tariq Ali, Ronald Clark, Christopher Hill, Paul Mourousy, Nikolai Valentinov, Vladlen Loginov, Tamás Krausz, Leon Trotsky.
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kommunalka-blog · 3 years
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“LA RIVOLUZIONE FRANCESE”. GAETANO SALVEMINI. “Gli scrittori francesi, educati nella tradizione cartesiana del razionalismo deduttivo, dettero la forza di sistemi filosofici e di assolute verità ad osservazioni e teorie, che gli scrittori inglesi avevano presentato in forma frammentaria ed empirica. (...) Dove altri mettono Dio o la natura, (Rousseau) mette lo Stato, altrettanto misterioso, altrettanto sacrosanto, altrettanto superiore a ogni dubbio.  (...) Nella volontà generale di Rousseau non c’era divisione fra maggioranza e minoranza: non esisteva che la unanimità creata da uno “Stato” misterioso attraverso una comune educazione. (...) Che fare allora, data l’inesistenza di una volontà generale unanime? Risolvettero il problema attribuendo i diritti della unanimità infallibile a quella frazione della comunità, che era più vicina allo stato di natura, cioè al “popolo”. (...) (...) i socialisti del secolo XVIII non hanno nessuna idea di ciò che sarà nel secolo successivo l’organizzazione operaia. (...) (Il socialismo) ha un esclusivo contenuto agrario. (...) passa quasi del tutto inosservato. (...) prima della rivoluzione non esiste ancora una chiara distinzione fra il concetto di ricchezza e quello di feudalità. (...) La critica della proprietà servirà non a distruggere la proprietà, ma a facilitare il trapasso della proprietà feudale al terzo stato. (...) Non è, dunque, una rivoluzione sola: sono due rivoluzioni autonome: quella del terzo stato nelle città, che vuole smantellare i privilegi politici; quella del terzo stato nelle campagne, che strappa dalla terra le ultime radici del feudalismo e conquista l’uso libero della proprietà e delle persone. (...) Ognuno di quei diritti, che la Dichiarazione proclama come assoluti, significa in quel momento l’abolizione di una serie di abusi concreti, e corrisponde a un bisogno urgente del terzo stato. (...) (Jaurés) (...) questa immensa crisi (...) se proprio non crea la proprietà privata, la estende, e soprattutto da ambigua, incerta, soggetta all’arbitrio dei pubblici poteri, la rende precisa, determinata, sicura: siamo agli antipodi del socialismo. (...) Queste circostanze ci spiegano come mai la minoranza giacobina finisca col diventare la dominatrice del paese. Non solo essa si trova ad essere attiva ed organizzata in mezzo ad una maggioranza amorfa, inerte e amante del quieto vivere, ma è emanazione e parte essa stessa della maggioranza. La maggioranza del paese lascia i giacobini sbizzarrirsi a loro talento, pur che impediscano il ritorno dei privilegi e riaffermino il nuovo ordine di cose (...) (...) (Suffragio universale) Eguaglianza, dunque, civile e politica insieme. (...) la negazione della proprietà privata diviene programma di combattimento per una parte di quel medesimo esercito rivoluzionario che si è finora affaticato a distruggere la società feudale. Gaetano Salvemini, La Rivoluzione Francese (1788-1792), 1954.
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kommunalka-blog · 3 years
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“CHI È FASCISTA”. EMILIO GENTILE. “A promuoverne la diffusione contribuì l’Internazionale comunista, che adottò il termine “fascismo” e i suoi derivati per definire tutte le forze reazionarie della borghesia e del capitalismo. ovunque nel mondo. Fascismo divenne così sinonimo di reazione antiproletaria. Non solo: per oltre un decennio, fino al 1935, i comunisti considerarono fascisti anche i partiti socialisti e socialdemocratici. (...) L’invenzione del “fascismo generico” è un’altra caratteristica singolare delle continue ondate del ritorno del fascismo e della ricerca di chi è fascista, nelle diverse epoche e nei diversi paesi. Infatti, la genericità è un attributo esclusivo del fascismo (...) (...) Nel congresso che si svolse a Roma dal 7 all’11 novembre 1921, il nuovo fascismo di massa si organizzò in Partito nazionale fascista, con l’inedita forma del partito milizia, modellato sullo squadrismo. (...) Furono i capi della milizia fascista a imporre la svolta dittatoriale, annunciata da Mussolini alla Camera con il discorso del 3 gennaio 1925. E furono ancora i fascisti integralisti ad avere un ruolo decisivo nel gettare le fondamenta del nuovo regime a partito unico. (...) Come tale, il fascismo è stato il primo movimento nazionalista e rivoluzionario, antiliberale, antidemocratico e antimarxista, organizzato in un partito milizia, che ha conquistato il monopolio del potere politico e ha distrutto la democrazia parlamentare per costruire uno Stato nuovo e rigenerare la nazione. (...) Definisco totalitario l’esperimento di dominio politico messo in atto da un movimento rivoluzionario organizzato in un partito rigidamente disciplinato, con una concezione integralista della politica, che aspira al monopolio del potere e che, dopo averlo conquistato, per vie legali o extralegali, distrugge o trasforma il regime preesistente e costruisce uno Stato nuovo, fondato sul regime a partito unico. L’obiettivo principale del regime totalitario è la conquista della società, cioè la subordinazione, l’integrazione e l’omogeneizzazione dei governati, sulla base del principio della politicità integrale dell’esistenza, sia individuale che collettiva, interpretata secondo le categorie, i miti e i valori di una ideologia sacralizzata nella forma di una religione politica. Il regime totalitario si propone di plasmare l’individuo e le masse attraverso una rivoluzione antropologica, per rigenerare l’essere umano e creare un uomo nuovo, dedito anima e corpo alla realizzazione dei progetti rivoluzionari e imperialisti del partito totalitario, con lo scopo di creare una nuova civiltà a carattere soprannazionale. (...) E il pericolo reale, oggi, non è il fascismo, ma la scissione fra il metodo e l’ideale democratico, operata in una democrazia recitativa, conservando il metodo ma abbandonando l’ideale. Il pericolo reale non sono i fascisti, veri o presunti, ma i democratici senza ideale democratico”. Emilio Gentile, Chi è fascista, 2019.
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kommunalka-blog · 3 years
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CONTRO IL TOTALITARISMO. GEORGE ORWELL. “Es probable que la guerra española haya producido una cosecha de mentiras más abundante que cualquier otro suceso (...). Son los periódicos de izquierdas, el News Chronicle y el Daily Worker, con unos métodos de distorsión mucho más sutiles, los que han impedido que el público británico comprenda la verdadera naturaleza de la contienda. (...) Parece evidente que Alemania avanza rápido hacia el socialismo (...) (...) La historia de los últimos siete años ha dejado clarísimo que el comunismo no tiene la menor posibilidad de éxito en Europa occidental. (...) Un partido socialista que deseara de verdad alcanzar algo (...) habría reconocido que la “revolución proletaria” a la antigua usanza es inviable. (...) Cuando aparezca un movimiento socialista autóctono de Inglaterra, los marxistas, al igual que todo el que tiene intereses creados en el pasado, serán su más enconados enemigos. Inevitablemente lo denunciarán por “fascista”. (...) Se propusieron ser “antifascistas” de una manera puramente negativa, posicionándose “contra” el fascismo sin estar “a favor” de ninguna política concebible, y por debajo de tal actitud subyacía la pusilánime idea de que, cuando llegara el momento, serían los rusos los que se encargarían de entablar combate en nuestro nombre. Es asombroso que esta ilusión persista. (...) El capitalismo liberal ha muerto. La disyuntiva se encuentra entre el tipo de sociedad colectivizada que Hitler establecerá y el tipo de sociedad que pueda surgir si es derrotado. (...) Mientras exista la democracia, incluso en la muy imperfecta forma que ha adoptado en Inglaterra, el totalitarismo corre un peligro mortal. (...) De la cultura de lengua inglesa, si no perece antes, brotará una sociedad de seres humanos libres e iguales. (...) En el plazo de un año es probable que tenga lugar, en la intelectualidad de izquierdas, una reacción prohitleriana. Ya hay señales premonitorias. (...) pasarán a sostener que, a fin de cuentas, la democracia el “lo mismo que” el totalitarismo o que es “igual de mala”. (...) no es verdad que sean iguales. (...) Y al elegir entre una y otra se escoge no tanto según la fuerza de lo que ahora son, sino en función de lo que son capaces de llegar a ser. (...) Cuando llegue la hora de la verdad, nadie que se haya educado en la tradición occidental podrá aceptar la visión de la vida que propugna el fascismo. (...) Mucho de lo que Wells ha imaginado, y para lo que ha trabajado, está fisícamente ahí, en la Alemania nazi. El orden, la planificación, el apoyo del estado a la ciencia, el acero, el hormigón, los aviones, todo está ahí, pero al servicio de unas ideas propias de la Edad de la Piedra. La ciencia está combatiendo en el bando de la superstición. (...) Es evidente que el período del capitalismo liberal está tocando a su fin, y que los países, uno detrás de otro, están adoptando una economía centralizada que podemos llamar “socialismo” o “capitalismo de Estado” según se prefiera. Con ello, la libertad económica del individuo, y en gran medida su libertad para hacer lo que quiera, escoger trabajo y moverse de un lado a otro de la superficie del planeta, llegan a su fin. Bueno, hasta hace poco no se habían previsto las implicaciones de esto. No se había comprendido por completo que la desaparición de la libertad económica tendría algún efecto sobre la libertad intelectual. (...) (...) hay varias diferencias fundamentales entre el totalitarismo y todas las ortodoxias del pasado, tanto en Europa como en Oriente. La más importante es que las ortodoxias del pasado no cambiaban, o al menos no lo hacían rápidamente. (...) Pues bien, con el totalitarismo ocurre exactamente lo contrario. La peculiaridad del Estado totalitario es que, si bien controla el pensamiento, no lo fija. Establece dogmas incuestionables y los modifica de un día para otro. (...) los repentinos cambios emocionales que el totalitarismo exige a sus seguidores son psicológicamente imposibles. (...) No se me ocurre un ejemplo mejor de la superficialidad moral y emotiva de nuestro tiempo que el hecho de que ahora todos seamos más o menos pro-Stalin. El asesino repugnante está de momento de nuestro lado, de manera que las purgas, etc., se olvidan de repente. (...) (...) lo peculiar de nuestra época, sin embargo, es el completo abandono de la idea de que es posible escribir la historia con veracidad. (...) El objetivo tácito de este modo de pensar es un mundo de pesadilla en el que el líder máximo, o bien la camarilla dirigente, controle no sólo el futuro, sino incluso el pasado. Si sobre tal o cual acontecimiento el líder dictamina que “jamás tuvo lugar”... pues bien: no tuvo lugar jamás. (...) El pacifismo, por ejemplo, se funda ampliamente en esta creencia: no opongáis resistencia al mal y este de algún modo se destruirà a si mismo. (...) En cuanto a los rusos, sus motivos para participar en la guerra de España son absolutamente inescrutables. (...) De hecho, cuanto hicieron se explica más fácilmente si uno asume que actuaban guiados por diversos motivos contradictorios. Creo que en el futuro llegaremos al convencimiento de que la política exterior de Stalin, en vez de ser tan diabólicamente lúcida como se presume, ha sido meramente oportunista y estúpida. (...) Casi cualquier intelectual inglés se escandalizaría ante la afirmación de que la raza blanca es superior a las otras, mientras que afirmar lo contrario sería irrecusable, incluso sin estar de acuerdo con ello. (...) (...) hay una minoría de pacifistas intelectuales cuya auténtica - aunque nunca admitida - motivación parece ser el odio a la democracia occidental y la admiración por el totalitarismo. (...) Pero, hoy en día, el principal peligro para la libertad de pensamiento y expresión no es la injerencia directa del Ministerio de Información o de otra instancia oficial. Si los responsables de las editoriales se afanan porque determinados temas queden inéditos, no es porque tengan miedo de que los persiga la justicia, sino porque temen a la opinión pública, (...) Lo siniestro de la censura literaria en Inglaterra es que en buena medida es voluntaria. Decir esto, eso o lo otro en realidad no está prohibido, pero es “impropio” exactamente como en plena época victoriana era “impropio” hablar de pantalones en presencia de damas. (...) En este momento, lo que la ortodoxia predominante exige es una admiración acrítica hacia la Rusia soviética. (...) El servilismo con que la mayor parte de la intelligentsia inglesa se ha tragado y ha repetido la propaganda rusa de 1941 en adelante sería realmente asombroso si no fuera porque en varias ocasiones anteriores ha obrado de modo parecido. (...) Lo que resulta inquietante es que, si se trata de la URSS y su política, uno no pueda esperar una crítica inteligente - o, a menudo, ni siquiera simple franqueza - de escritores y periodistas liberales sobre quienes nadie ejerce una presión directa para que falseen sus opiniones. (...) La intelligentsia inglesa, o buena parte de ella, había desarrollado una lealtad nacionalista hacia la URSS, y en su fuero interno sentía que cualquier asomo de duda sobre la sabiduría de Stalin era una especie de blasfemia. (...) Uno de los fenómenos característicos de nuestro tiempo el liberal renegado. Más allá del habitual aserto marxista de que la “libertad burguesa” es cosa ilusoria, hay ahora una tendencia generalizada a plantear que la democracia solo puede defenderse con métodos totalitarios. (...) En otras palabras: defender la democracia conlleva destruir cualquier forma de pensamiento independiente. (...) Esta gente no se da cuenta de que, si uno fomenta métodos totalitarios, puede llegar el día en que sean usados contra él y no en su favor. (...) Es importante advertir de que la actual rusomanía no es sino un síntoma del debilitamiento generalizado de la tradición liberal de Occidente. (...) Según las conocidas reglas de la antigua libertad. (...) Aquella cacería de hombres tuvo lugar en España al mismo tiempo que las grandes purgas en la URSS y fue una suerte de complemento de estas últimas. (...) Desde el punto de vista totalitario, la historia es algo que se crea y no algo que se estudia. (...) El totalitarismo exige, de hecho, la alteración continua del pasado y, a largo plazo, probablemente la falta de fe en la existencia misma de la verdad objetiva. (...) En cualquier sociedad totalitaria que perdure más de un par de generaciones, es probable que la literatura en prosa, como la que ha existido los últimos cuatrocientos años, termine por desaparecer. La literatura ha florecido a veces bajo regímenes despóticos, pero, como se ha señalado a menudo, los despotismos del pasado no eran totalitarios. (...) La novedad del totalitarismo es que sus doctrinas no solo son incuestionables, sino también inestables. (...) Una sociedad se vuelve totalitaria cuando su estructura se vuelve flagrantemente artificial, es decir, cuando su clase gobernante ha perdido su función pero consigue aferrarse al poder mediante la fuerza o el engaño. (...) Pero para dejarse corromper por el totalitarismo no hace falta vivir en un país totalitario. El simple predominio de determinadas ideas puede extenderse como un veneno que impida abordar con propósitos literarios un tema tras otro. (...) (...) no existen razones de peso para pensar que la deriva general del régimen pudiese haber sido muy distinta. Mucho antes de 1923, las semillas de la sociedad totalitaria eran ya muy evidentes. Lenin, de hecho, fue uno de esos políticos que se granjean una reputación inmerecida al morir prematuramente. (...) En los países donde no son capaces de establecer su dominio, los comunistas actúan como una quinta columna (...). Asimismo, está el asunto de los “compañeros de viaje”, los “criptocomunistas” y los simpatizantes en diversos grados que promueven los objetivos de los comunistas sin tener ningún vínculo oficial con ellos. (...) Probablemente algunos hayan actuado así por pura estupidez. A fin de cuentas, antes ya han pasado cosas así. (...) Un intelectual literario moderno vive y escribe en un constante temor (no, por cierto, de la opinión pública en el sentido amplio de la palabra, sino de la opinión pública de su propio grupo). (...) Obviamente, durante los últimos quince años, la ortodoxia dominante, especialmente entre los jóvenes, ha sido la “izquierda”. Las palabras clave son “progresista” “democrático” y “revolucionario”, mientras que los sambenitos que hay que evitar a toda costa que te cuelguen son “burgués”, “reaccionario” y “fascista”. Casi todo el mundo hoy en día, incluidos la mayoría de los católicos y conservadores, es “progresista”, o al menos desea ser considerado así”. George Orwell, Escritos contra el totalitarismo, 1937-1949.
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kommunalka-blog · 3 years
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L’ESPULSIONE DELLA PAROLA. LIDIJA ČUKOVSKAJA. “En 1962, aún había una rendija en la puerta por la cual Sofia Petrovna había conseguido colarse por poco; en 1963, se había tolerado una página casi idéntica acerca de una supresión de la redacción de Marshak en la segunda edición de mi libro, En el laboratorio del editor; pero en 1970 ya era inaceptable que algo así se publicara en una compilación de recuerdos sobre él. (...) Pero que los propios poetas y escritores se convirtieran en funcionarios al cabo de los años y empezaran a amonestarse entre sí “con o sin registro” en el “expediente personal” ni siquiera un visionario como Blok alcanzó a preverlo. (...) Al cabo de una hora, vuelvo a tener línea. Solzhenitsin ya había sido detenido en la casa de su esposa (calle Gorki, 12); una operación militar: ocho policías armados y, detrás de ellos, la infantería, la marina y la flota aérea de la Unión Soviética, todos ellos contra un solo hombre que portaba una única arma: la palabra... (...) Las razones por las que en nuestra patria se ha perseguido y privado de trabajo a decenas, cientos y miles de personas - moneros, literatos, físicos, maestros, ingenieros, geólogos, obreros - son siempre, en todos los casos, la misma: la palabra. (...) La literatura no es competencia del derecho penal. Las ideas se contraponen con ideas, no con campos de trabajo y prisiones. (...) Hay leyes escritas y no escritas. En nuestro país sólo es válida la ley no escrita, más fuerte que todo el cuerpo de leyes juntas, que el poder no rechaza nunca. (...) todo individuo debe ser castigado con severidad ante el mínimo intento de pensar por sí mismo. De pensar en voz alta”. Lidia Chukóvskaia, Crónica de un silencio, 1974-1978.
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kommunalka-blog · 3 years
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LA CASUALITÀ DEL MALE “In the Soviet Union, people were killed or imprisoned for reasons that did not comport with observable reality. (...) That bewilderment, that inability to explain - except by pure chance - who lived and who died, meant that all those who took part in the Soviet project were in some way implicated”. Joshua Yaffa, Between two fires, 2020
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kommunalka-blog · 3 years
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IDEOLOGIA E MITOLOGIA NELLO STATO SOVIETICO “Nella mitologia dello Stato totalitario il mito equivale al vero, e la verità rappresenta ciò che il regime totalitario vuole possedere. Nei regimi totalitari la mitologia non solo sostituisce la realtà ma ne rappresenta un sostituto fisico. Il totalitarismo trasforma la propria ideologia in una specie di mitologia: lo fa perché tende alla verità assoluta, in cui tutte le opinioni o prospettive differenti sono o false o nemiche.  (...) E questa è stata appunto la funzione che il mito di un Occidente ostile, della decadenza occidentale, oppure dello straniero ipocrita e pericoloso, ha svolto nel contesto della mitologia sovietica. Le mitologie totalitarie sviluppano un peculiare meccanismo di manipolazione del popolo fondato sull’intimidazione e sulla paura e su un sistema di controllo e punizione che porta i cittadini a sottomettersi agli ordini e a credere sinceramente alla giustizia del potere. La letteratura ha avuto un ruolo cruciale nella costruzione e nel consolidamento di tale sistema, basti pensare che il realismo socialista (che non rappresentava soltanto una poetica, bensì una dottrina) sosteneva e diffondeva il concetto di “sacrificio”, la disponibilità di immolarsi soprattutto tra i giovani sovietici, senza la quale era impossibile raggiungere l’obiettivo supremo - un futuro migliore. (...) Sette di questi (miti verità), a mio parere, hanno particolarmente condizionato il canone della letteratura sovietica e, conseguentemente, sono divenuti il bersaglio più comune e produttivo della letteratura postsovietica nel processo di demitologizzazione e dissacrazione del passato. Tali miti sono: 1. Mito del futuro migliore 2. Mito della vita felice 3. Mito del lavoro 4. Mito dell’uomo sovietico 5. Mito del condottiero (guida) 6. Mito della capacità di assoggettare il tempo e lo spazio 7. Mito della conquista dello Spazio (Cosmo)”. Ivana Peruško, L’uomo sovietico sbarcò davvero sulla luna?, da Violazioni, 2015
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kommunalka-blog · 3 years
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I TORTI DELLA TEORIA LIBERALE. PIERO GOBETTI. “Gli scrittori del liberalismo non hanno saputo fare i loro conti con il movimento operaio che stava diventando l’erede naturale della funzione libertaria esercitata prima dalla borghesia; e non hanno elaborato un concetto dei più interessanti fenomeni della vita politica: la lotta di classe e la formazione storica dei partiti. (...) Il concetto di una élite che s’impone sfruttando una rete d’interessi e condizioni psicologiche generali, contro vecchi dirigenti che hanno esaurita la loro funzione, è schiettamente liberale come quella che scopre nel conflitto sociale la prevalenza degli elementi autonomi e delle energie reali rinunciando all’inerzia di quelle ideologie che si accontentano di avere fiducia in una serie di entità metafisiche come la giustizia, il diritto naturale, la fratellanza dei popoli. Il processo di genesi dell’élite è nettamente democratico: il popolo, anzi le varie classi offrono nelle aristocrazie che le rappresentano la misura della loro forza e della loro originalità. Lo Stato che ne deriva non è tirannico e vi hanno contribuito i liberi sforzi dei cittadini divenuti per l’occasione combattenti. Il regime parlamentare, nonché contrastare a questa legge storica della successione dei ceti e delle minoranze dominanti, non è che lo strumento più squisito per lo sfruttamento di tutte le energie partecipanti e per la scelta pronta dei più adatti. Invece la scienza dominante, anche dei sedicenti liberali, si appagò di uno sterile sogno di unità sociale e non volle riconoscere altri valori fuori della gretta religione della patria e dell’interesse generale”. Piero Gobetti, La Rivoluzione Liberale, 1924
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kommunalka-blog · 3 years
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“GLI OCCHI DI STALIN”. GIAN PIERO PIRETTO. “Secondo i principi artistici sovietici, vero oggetto d’arte non era l’originale, bensì la sua riproduzione. La tela o il foglio su cui si tracciava il prototipo altro non era che il punto di partenza per la moltiplicazione dell’immagine. (...) In un tale spazio semiotico avrebbero continuato a esistere “cattivi” simbolici, che esordirono con i “processi dimostrativi” (spettacolo, appunto) del 1928 e che avrebbero continuato a riempire le cronache e a essere eliminati e relegati, fisicamente e metaforicamente, nel piccolo ma atroce mondo del male cui gli “altri” si sentivano estranei e da cui erano disgustati, anche quando le vittime fossero parenti, amici o colleghi di lavoro. Lo scollamento fra vita privata e vita pubblica fu totale. Questo si deve intendere quando si legge di come l’esperimento sovietico abbia progressivamente cancellato la vita personale, la capacità di pensare autonomamente, l’opinione pubblica dall’esistenza dei cittadini. Tale fu l’esito del sapiente, sofisticato quanto efferato lavorio della propaganda. (...) Nella Russia postsovietica, la storia fatica a essere studiata e riscritta. L’attenzione seria e critica per quei fenomeni si esaurisce sostanzialmente in due atteggiamenti: l’oblio imbarazzato e sprezzante o la nostalgia emotiva che affranca la storia”. Gian Piero Piretto, Gli occhi di Stalin, 2010 
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kommunalka-blog · 3 years
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RUSSIA E IDENTITÀ NAZIONALE. VITTORIO STRADA. “(...) la componente russa (dell’Unione Sovietica), prevalente sul piano linguistico perché il russo non poteva non essere la lingua unificante dell’amministrazione dell’insieme multinazionale e multilinguistico sovietico, fornì il maggiore ingrediente di quell’amalgama ideopolitico che il regime bolscevico seppe elaborare, variandolo nel corso del suo sviluppo e imponendolo a tutta la sua sfera di dominio non solo interna, ma anche nella sua area di egemonia nel movimento comunista e dei suoi fiancheggiatori. A soffrire di questa situazione fu in particolare la cultura russa usata strumentalmente, ma depurata da ogni elemento ideologicamente indesiderabile per il regime, quello religioso, ad esempio, e contaminata dalla miscela marxista-leninista. (...) Per questo, dopo il crollo dell’URSS, mentre la altre sue parti nazionali, diventate autonome, hanno potuto trovare una loro identità (...) la Russia, liberata dall’impero, attraversa, invece, una forte crisi di identità nazionale e a fatica ripensa oggi il suo passato storico, segnato non soltanto dalla cesura delle riforme di Pietro il Grande, ma soprattutto dalla più grave frattura provocata dalla rivoluzione del 1917 e dal successivo regime totalitario. (...) Per l’autocrazia la Russia era oggetto di una colonizzazione primaria che permetteva la colonizzazione secondaria delle altre parti dell’impero e, a partire da Pietro il Grande, era oggetto di una modernizzazione che, con alterne vicende e varia intensità, durò tre secoli sino alla vigilia della fine dell’autocrazia, quando la Russia andava acquistando una sempre più netta e moderna coscienza nazionale di sé avviandosi a passare da nazione culturale a nazione politica. (...) Per la storia russa il punto di debolezza fu che la modernizzazione venne attuata solo parzialmente (nel campo produttivo e culturale) e con straordinario ritardo (nel campo politico-istituzionale), con una carenza di Tempo, mentre lo Spazio cresceva a dismisura, appesantendo enormemente l’organismo imperiale, che alla fine, in un momento di crisi generale, cedette di colpo. La traumatica galvanizzazione dell’impero operata dai bolscevichi con la loro pseudomodernizzazione comunista, assieme alla sua trasformazione radicale, prolungò di tre quarti di secolo la fine dell’impero nella sua nuova ipostasi marxista-leninista (...) (...) Va rilevata l’antitesi tra i due momenti di rottura della continuità nella storia russa, nel senso che il processo di modernizzazione iniziato dalle riforme petrine e continuato dai suoi eredi portò la Russia a diventare una potenza europea nel pieno senso del termine, sempre più vicina ai criteri politici occidentali, mentre il rivolgimento del 1917 spezzò questo processo, rovesciandolo anzi in una direzione opposta. (...) (...) la linea del messianismo illuministico-giacobino e poi marxista-rivoluzionario. Questa linea, non priva di una coloritura pseudoreligiosa, aveva sopraffatto la linea del riformismo liberale e del socialismo democratico, anch’essa non meno russa e non meno europea, ma travolta nel caos delle catastrofi in cui la Russia precipitò nel 1917, e poi cancellata del tutto da un potere totalitario in confronto al quale persino l’autocrazia zarista cominciò ad apparire meno odiosa poiché, almeno nel suo ultimo periodo, questa rispettava regole della civiltà cristiana europea e si dimostrava capace, sia pure con un fatale ritardo, di trasformazioni evolutive”. Vittorio Strada, Europe, 2014  
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kommunalka-blog · 4 years
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“LE ORIGINI DEL TOTALITARISMO”. HANNAH ARENDT. “Ciò si verificò anche nel corso del processo di assimilazione. Quanto più le condizioni ebraiche si avvicinarono all’eguaglianza, tanto più sorprendenti apparvero le differenze. Questa constatazione produsse nell’ambiente circostante sia antipatia che attrazione verso gli ebrei; le due reazioni combinate determinarono la storia sociale dell’ebraismo occidentale. Ma l’una e l’altra furono politicamente sterili. La prima non generò un movimento politico contro gli ebrei, la seconda non servì a proteggerli dai loro nemici. Esse finirono tuttavia per avvelenare l’atmosfera sociale, pervertendo i rapporti fra gli ebrei e i gentili e dando vita a quello che è stato definito tipo, o tipico atteggiamento, ebraico. (...) Quando i boeri furono sconfitti, non persero in definitiva più di quanto avevano già volontariamente abbandonato, cioè la loro parte di ricchezza; ma guadagnarono il consenso di tutti gli altri elementi europei e, quel che più conta, del governo britannico all’arbitrio di una società razzista. (...) La differenza tra il fascismo e i movimenti totalitari è bene illustrata dall’atteggiamento verso l’esercito, cioè verso l’istituzione nazionale per eccellenza. Al contrario dei nazisti e dei bolscevichi, che distrussero lo spirito delle forze armate subordinandole a formazioni totalitarie di élite o a commissari politici, i fascisti poterono usare uno strumento intensamente nazionalistico come l’esercito, con cui cercavano di identificarsi come con lo stato. Essi volevano uno stato fascista e un esercito fascista, ma pur sempre uno stato e un esercito; questi diventarono funzioni subordinate del movimento soltanto nella Germania nazista e nella Russia sovietica. Il dittatore fascista (ma non Hitler né Stalin) fu il vero usurpatore nel senso della dottrina politica classica, e il suo regime del partito unico rimase in certo qual modo intimamente legato al multipartitismo. (...) (...) che la differenza fra vero e falso, cessando di essere oggettiva, diventasse semplicemente una questione di potenza e astuzia, di pressione e ripetizione all’infinito. Non era affascinante la maestria di Stalin e Hitler nell’arte di mentire, ma la loro capacità di organizzare le masse in modo da tradurre le loro menzogne in realtà. (...) Prima che i capi delle masse conquistino il potere adattando la realtà alle loro menzogne, la loro propaganda è contraddistinta da un estremo disprezzo per i fatti in quanto tali, basata com’è sulla convinzione che questi dipendano interamente dal potere dell’uomo che può fabbricarli. (...) Il risultato del sistema è che la credulità dei simpatizzanti rende credibili le menzogne agli occhi del mondo esterno, mentre il cinismo graduato nell’ambito del movimento elimina il pericolo che il capo sia spinto dal peso della propaganda a mettere in pratica le sue dichiarazioni passando da una rispettabilità simulata a una autentica. Uno dei principali svantaggi del mondo esterno nei rapporti coi regimi totalitari è stato costituito dal fatto che, ignorando tale sistema, esso confidava che la stessa enormità delle menzogne ne avrebbe causato la rovina o che, prendendo in parola il capo, sarebbe stato possibile costringerlo a rispettare gli impegni, a dispetto delle intenzioni originarie. (...) Invece sia in Russia che nella Germania nazista il terrore era aumentato in proporzione inversa all’esistenza di un’opposizione politica interna, come se questa fosse stata non il pretesto per l’impiego della violenza (come ritenevano gli accusatori liberali dei regimi) ma l’ultimo impedimento al suo infuriare. (...) Il “nemico oggettivo” differisce dal “sospetto” delle polizie segrete dispotiche in quanto la sua identità è determinata dall’orientamento politico del governo, e non dal suo desiderio di rovesciarlo. (...) I processi spettacolari, che richiedono confessioni soggettive di colpa da parte di nemici “oggettivamente” identificati, servono a scopi del genere; essi possono essere inscenati nel migliore dei modi con gli individui che hanno ricevuto un’educazione totalitaria, che li mette in grado di comprendere “soggettivamente” la loro dannosità “oggettiva” e di confessare “per amore della causa”. Il concetto di “nemico oggettivo”, la cui identità varia secondo le circostanze (di modo che, appena liquidata una categoria, si può dichiarar guerra a un’altra), corrisponde esattamente alla situazione di fatto ripetutamente sottolineata dai dittatori totalitari: il loro regime non è un governo in senso tradizionale, bensì un movimento, la cui avanzata incontra sempre nuovi ostacoli che devono essere eliminati. Supposto che si possa parlare di un pensiero giuridico totalitario, si può dire che il “nemico oggettivo” ne è l’idea centrale. (...) La presunzione centrale del totalitarismo secondo cui tutto è possibile conduce così, attraverso la sistematica eliminazione di ogni controllo fattuale, all’assurda e terribile conseguenza che qualsiasi delitto costruito dai governanti per via di ragionamento deve essere punito, a prescindere dal fatto che sia stato o no realmente commesso. (...) I campi di concentramento come istituzione non sono stati creati in vista di una possibile prestazione produttiva, dato che la loro unica funzione economica permanente è stata quella di finanziare l’apparato di sorveglianza; quindi, per quanto concerne l’economia, essi esistono principalmente per se stessi. Qualsiasi lavoro compiuto potrebbe esser stato fatto meglio e con minor spesa in condizioni diverse. Specialmente nel regime staliniano, i cui campi di concentramento erano per lo più descritti come campi di lavoro coatto perché la burocrazia aveva voluto nobilitarli con tale nome, era chiaro che non si trattava di questo; il lavoro coatto era la condizione normale di tutti i lavoratori russi, che non avevano libertà di spostamento e ad ogni istante potevano essere arbitrariamente mobilitati per l’invio in qualsiasi luogo. L’incredibilità degli orrori è strettamente legata alla loro inutilità economica. (...) Questa atmosfera irreale, prodotta da una palese insensatezza, è la vera cortina fumogena che nasconde tutte le forme di campi di concentramento. (...) Se si prendono sul serio le ambizioni totalitarie e non ci si lascia ingannare dall’affermazione del buon senso che si tratta di utopie irrealizzabili, ci si accorge che la società di morenti instaurata nei campi è l’unica forma di società in cui sia possibile impadronirsi interamente dell’uomo. (...) Il tragico errore di tutte le profezie di allora, formulate in un mondo ancora sicuro, consisteva nel supporre che ci fosse qualcosa come una natura umana stabilita una volta per sempre, e nell’identificarla con la storia dichiarando che l’idea di dominio totale, oltre che inumana, era irrealistica. (...) (Il regime totalitario) (...) non mira infatti a un governo dispotico sugli uomini, bensì appunto a un sistema che li renda superflui. (...) Totalitaria non è la pretesa della Russia rivoluzionaria che nelle condizioni esistenti la dittatura del proletariato sia la miglior forma di governo, bensì la catena di deduzioni, tratta soltanto dal dittatore totalitario, in base alla quale risulta logicamente che senza tale sistema non si può costruire una metropolitana, che chiunque sa dell’esistenza della metropolitana di Parigi è sospetto perché potrebbe dubitare della prima deduzione e che quindi, se fosse possibile, bisognerebbe distruggere questa metropolitana, che invero non sarebbe mai dovuta esistere. (...) L’ideologia totalitaria non mira alla trasformazione delle condizioni esterne dell’esistenza umana né al riassetto rivoluzionario dell’ordinamento sociale, bensì alla trasformazione della natura umana che, così com’è, si oppone al processo totalitario. (...) Nel regime totalitario il posto del diritto positivo viene preso dal terrore totale, inteso a tradurre in realtà la legge di movimento della storia o della natura. (...) È il movimento stesso che individua i nemici dell’umanità contro cui scatenare il terrore; non si permette che alcuna azione libera, di opposizione o di simpatia, interferisca con l’eliminazione del “nemico oggettivo” della storia o della natura, della classe o della razza. Colpevolezza e innocenza diventano concetti senza senso (...) (...) In conformità al processo storico oggettivo il partito deve ora punire determinati crimini, che devono inevitabilmente avvenire in questo momento. Per questi crimini il partito ha bisogno di responsabili; può darsi che esso, pur conoscendo i crimini, non conosca assolutamenti i colpevoli. Più importante dell’identità di questi è, comunque, la punizione dei crimini, perché senza di essa la storia, anziché avanzare, sarà forse ostacolata nel suo corso. Quindi, o hai commesso i crimini o sei stato chiamato dal partito a fare la parte del criminale: in ogni caso sei diventato oggettivamente un nemico del partito. Se non confessi, cessi di aiutare la storia tramite il partito, e sei un nemico vero. La forza del ragionamento sta in questa prospettiva, se rifiuti, contraddici te stesso e, con tale contraddizione, privi di ogni senso la tua vita. (...) Il regime totalitario (...) lungi dall’accontentarsi dell’isolamento, distrugge anche la vita privata. Si basa sull’estraniazione, sul senso di non appartenenza al mondo, che è fra le più radicali e disperate esperienze umane”.
Hannah Arendt, Le origini del totalitarismo, 1951 (e successive edizioni) 
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