Tumgik
amphetamine-annies · 5 years
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"Tutto quello che mi serve adesso
È ritrovarmi con me stesso perché spesso
Con me stesso ritrovarmi non mi va
Certo non si può nemmeno stare
Tutto il giorno a disegnare
Una casetta con il sole
Quando il sole se ne va"
- Brunori Sas, Costume da torero
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amphetamine-annies · 5 years
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Risbaglierò 
come ho sempre fatto 
non c'è nulla da fare anche al prossimo giro 
incasinerò tutto 
naufragherò 
in un altro sorriso 
poi bottiglie scolate per chiuderci dentro 
messaggi a nessuno
E soffrirò
del mio male minore 
che il resto del mondo sta male davvero 
e quasi mai per amore 
mi inventerò scuse, pretesti 
plausibili 
per sembrare migliore di quello che sono 
mostrerò al resto del mondo i miei lividi 
Puoi inseguire le nuvole che corrono incontro al loro destino 
precipitare leggero come la pioggia di marzo 
sperando di caderti vicino 
Poi riderò di me 
perché ho finito le lacrime 
come sempre farò del mio peggio perché 
è quello che ti aspetti da me
- Giorgio Canali, Messaggi a nessuno
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amphetamine-annies · 5 years
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Osservo i missili intercontinentali migrare
Il mondo degli altri che si distrugge da sé
E se anche posso vivere senza questo cielo e questo mare
Che fatica vivere senza di te
Passa il treno veloce e la mandria resta a guardare
È inutile aspettarsi una reazione che non c'è
E se riesco a tenere lontano i pensieri da tutte la altre cose che mi fanno male
Non riesco a tenerli lontano da te
- Giorgio Canali, Lezioni di poesia
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amphetamine-annies · 5 years
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I rimorsi mi assalgono senza preavviso
Vibra il telefono, ma non importa
Non mi ricordo di com'era il mio viso
Ai tempi in cui niente era tinto di rosa
Quando lasciavo la mancia a tutti
Senza poi aspettarmi qualcosa
Star solo era più che normale
Anzi era strano pensarlo diverso
Ma l'illusione poi disillude
Ed il mondo di questo è sempre contento
Così mi sono arreso agli altri
Mi copro sempre quando tira vento
E se campare ormai è obbligatorio
Lo è anche tradire il regolamento
La giacca che mi porto addosso (sognavo di volare)
Non è la pelle di un animale (ma a volte per volare)
Ma è di un amico perso (si parla di ballare)
Riscalda ma fa male (me lo ricordo bene)
- The Zen Circus, Low Cost
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amphetamine-annies · 5 years
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La legge della sopravvivenza
Sapete cosa rende una persona ciò che è? Il suo istinto animale, la corsa alla sopravvivenza e alla prevaricazione.
Molti parlano troppo di sentimentalismi, di ciò che uno deve diventare per stare bene con sé stesso. Ma la realtà dei fatti è solo una e cioè che noi siamo tutti animali destinati alla concorrenza.
Pensate banalmente ai ragazzini a scuola, suvvia, a tutti voi sarà successo almeno una volta, ai voti che prendono e agli sguardi indiscreti verso i fogli dei compagni. Pensate che io avevo una compagna di classe, anche cara amica a dire il vero, bella persona dal carattere “un po’ particolare”, che appena venivano consegnate le prove si alzava per andare a chiedere agli altri come fosse andata, con quella faccia “bah, non sono stupida come te, come mai ho preso meno?”. E non sia mai che la professoressa osi correggere qualcosa a voi e non al vostro vicino di banco.. IL PUTIFERIO. Unghie che volano, denti per terra, capelli da poterci fare una parrucca.
Ma non esageriamo dai, non stiamo parlando di un film di Quentin Tarantino.
Fatto sta che sin dai tempi di Darwin, e non sono mica pochi, la teoria sulla quale si basava e ancora oggi si basa l’umanità è proprio questo istinto di sopravvivenza. Chi riesce a procreare e ad accoppiarsi insieme al “diverso”, riuscendo quindi ad adattarsi alle condizioni che lo circondano e ai cambiamenti che imperterriti coinvolgono l’intero mondo, è destinato alla sopravvivenza, mentre i più deboli non hanno altro destino che la morte.
E questa è diventata pure la base del pensiero Nazi-fascista. Solo che, in questo contesto, non era la natura a decidere chi salvare, bensì l’uomo stesso, che cercò per quasi vent’anni di creare una razza ariana priva di quelle che venivano considerate “deviazioni”.
Insomma, possiamo raccontarcela quanto vogliamo, ma noi siamo e resteremo sempre animali.
VIVA LA NATTURA, “PERCHÉ LA NATURA È CATTIVA E PRIMA O POI UCCIDE.”
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amphetamine-annies · 5 years
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Fuor di metafora
volevo salir su
su nel cielo su
pigliarti una stella
come diceva il Cocciantone
volevo fare in modo, come diceva il Cocciantone
che tu al risveglio non mi potessi più scordare
cazzo, il Cocciantone
parlava al sole alla luna
faceva un sacco di cose per lei
faceva delle robe pazzesche per lei
colorava i muri
costruiva silenzi
secchiate di vernice dappertutto
svegliava tutti gli amanti
faceva un sacco di robe il Cocciantone
non ho capito perchè svegliava tutti gli amanti
che tra l’altro dormivano gli amanti
ma tutto il resto è grandioso
correva
ballava
gioia, amore
secchi di vernice
fiori
primavera dappertutto
allora mi son detto
beh alcune cose ce la posso fare
altre no
salire su nel cielo e pigliarti una stella
sarebbe grandioso
cioè, io se fossi margherita
se uno mi scrive una canzone così
io sbiello
giuro sbiello
poi non so se margherita esiste
sia mai esistita
ma margherita
tu sei una delle ragazze più fortunate al mondo
spero tu te ne sia resa conto ai tempi di margherita
margherita
una stella è una palla di fuoco e gas, Cocciantone
una stella è una roba spaventosa
praticamente una stella è una bomba atomica perenne
noi la vediamo come un puntolino luminoso tremolante
ma non puoi, non puoi, ti giuro
andare su nel cielo
andare su nel cielo puoi
ma prenderle una stella no
è pericolosissimo
è pericolosissimo
stai pronta
prima sentirai un gran vento
poi vedrai una gran luce
poi ti poserò un gran bacio sulle labbra
infine
saremo nucleosintetizzati in un’ orgia di fuoco atomico
di corpi
di me
dentro
di te
- Guido Catalano
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amphetamine-annies · 5 years
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«Preferisco fuggire. Con anima e corpo. E se non posso portarmi il corpo che fugga almeno la mia anima.»
- Tokyo, La casa de papel
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amphetamine-annies · 5 years
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"Parlò molto del passato, come se volesse recuperare qualcosa. [...] Un'idea di sè, forse, che aveva messo nel suo amore per Daisy.''
- Nick Carraway, Il Grande Gatsby (2013)
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amphetamine-annies · 5 years
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INDIE: genere, tendenza o caratteristica?
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Salve a tutti.
Durante queste fredde vacanze natalizie mi è venuta la brillante e noiosa idea di porre un dubbio nelle selvagge menti di tutti coloro che considerano l’Indie un genere.
Non voglio criticare nessuno, né tanto meno imporre alle persone di seguire ciò che dico e assimilarne il significato. Esiste la libertà di pensiero ormai da tempo e non voglio “eliminarla” per un semplice errore di comprensione.
Dunque, passiamo subito alla parte critica del tutto, vi tolgo il dubbio: L’INDIE NON È UN GENERE MUSICALE.
O meglio, non lanciamo il sasso per poi nascondere la mano. Pensate semplicemente al termine che utilizzate senza riguardo per definire ormai anche le mutande che indossate, si sto parlando di "INDIE".
Indie è una contrazione della parola indipendente (sarebbe inglese, ma dato che siamo in Italia manteniamo viva ancora per poco questa meravigliosa lingua). Si tratta, quindi, di un aggettivo volto a caratterizzare una certa tipologia di musica che viene, come indica propriamente il termine, autoprodotta o seguita da etichette discografiche indipendenti, differenti rispetto alle Major come Sony, EMI, Universal Music Group etc.
Purtroppo, però, tutta la musica che al giorno d’oggi viene erroneamente definita con il termine Indie, non è altro che musica Pop, senza però nessun legame con le etichette discografiche citate sopra, da definirsi quindi Indie PER IL SUO ITER DI PRODUZIONE E DIFFUSIONE. Questo si può sentire dalle sonorità elettroniche, dai testi, dagli argomenti trattati, dal modo di vestire, dal modo di cantare. Tutto questo, ovviamente, basandosi sui vincoli e sulle ideologie prestabilite dalla società della quale facciamo parte.
Ripeto, non voglio criticare nessuno, anche perché sono una persona infima e senza nessun merito per poter giudicare ciò che le persone dicono o fanno, ma ritengo che ormai molte parole vengano utilizzate nel modo sbagliato.
La musica è musica, le ideologie sono ideologie e le parole sono parole.
Vi lascio questa breve e orrenda spiegazione per darvi un’idea diversa di ciò che vi circonda, per farvi vedere il “mondo” con occhi diversi.
Non usate a sproposito le parole, perché sono l’unica cosa che ci permette di comunicare con gli altri senza difficoltà.
Buona giornata a tutti!
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amphetamine-annies · 5 years
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“HA DA FINÌ ‘A NUTTATA”
Aspetti della cultura italiana dal fascismo ad oggi
Ho frequentato per tre anni il corso di teatro proposto dall'Istituto che ho frequentato, sentendomi sempre più parte di qualcosa che mi sono ritrovata in seguito a voler approfondire individualmente. Sono approdata, durante questa mia ricerca, anche nel mondo di Eduardo De Filippo con la sua Napoli Milionaria!. La frase finale di questa commedia, “Ha da finì ‘a nuttata”, mi ha aiutata a trovare delle possibili soluzioni ad alcuni dubbi che mi sono venuti studiando la storia italiana del ventennio fascista: come può un regime totalitarista, come quello italiano del fascismo, affermarsi, diffondersi e sopravvivere nonostante le sue forti ideologie e il ricorso alla violenza? E come può una società, ormai plagiata e senza più nessuna libertà di pensiero e di espressione, reagire per soddisfare un’esigenza di cambiamento?
La storia ci dimostra che la tecnica del potere fascista per persuadere la società è rappresentata dal controllo sugli strumenti di informazione di massa, tra i quali i più importanti risultano il teatro e il cinema, caratterizzati da differenti aspetti tecnici e comunicativi che portano a diverse scelte statali volte a raggiungere gli obiettivi prefissati dal regime.
È dunque necessario analizzare, per avere una conferma numerica alle affermazioni fatte, i diversi aiuti economici e finanziari a favore dell’attività teatrale, confrontandoli con quelli dedicati al mondo cinematografico, nettamente superiori grazie alla sua caratteristica favorevole a una maggiore possibilità di controllo (vedi l’uso del cinegiornale LUCE, che presenta Mussolini come una “star”).
Il regime riesce, quindi, a trasformare queste due attività culturali in uno strumento quasi esclusivamente politico. Con la successiva caduta di Mussolini e del fascismo dopo lo sbarco in Sicilia del 10 luglio 1943, la reazione artistica italiana è facilmente comprensibile. Essa si costituisce nel Neorealismo, una tendenza artistica degli anni ’40-’50 legata alla necessità di creare un linguaggio nuovo che possa dare una risposta agli orrori della guerra e agli errori della dittatura mussoliniana, “un insieme di voci […], una molteplice scoperta delle diverse Italie”, come dice Italo Calvino nella prefazione al romanzo Il sentiero dei nidi di ragno (1947).
Con il termine Neorealismo ancora oggi s’identifica il cinema italiano (vedi, per esempio, il film Roma Città Aperta di Rossellini, 1945). Ma questa nuova “arte impegnata” è riscontrabile anche nella letteratura (solo per fare qualche esempio, Elio Vittorini con Uomini e no del 1944, Cesare Pavese con Il compagno del 1947 e Italo Calvino con Il sentiero dei nidi di ragno sempre del 1947) e nelle arti figurative (come Renato Guttuso e i vari pittori del Fronte Nuovo delle Arti), proponendo contenuti sociali, democratici e storici, prendendo a soggetto uomini ed eventi del periodo che si sta vivendo.
Anche il teatro tenta il riscatto, acquisendo una struttura realistica. Un esempio che mi ha colpita è appunto la commedia Napoli Milionaria! (1950) di Eduardo De Filippo, artista che si rifà all’opera di Pirandello, prendendo in considerazione l’inettitudine e la maschera dell’uomo, correggendola però con l’ottimismo. Ecco che si spiega il titolo del mio approfondimento, “Ha da finì ‘a nuttata”: una speranza di luce per l’uomo in un mondo in bianco e nero, un mondo distrutto dalla guerra e dall’oppressione; una speranza anche di rinascita per l’arte teatrale.
Purtroppo, per sopravvivere, il teatro ha bisogno anche di risorse private e di aiuti economici pubblici. Non per nulla nella Costituzione italiana, art. 9, lo Stato s’impegna a promuovere la cultura. Questa posizione si può vedere dalle relazioni sull’utilizzazione del FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo). Nel 2016, lo stanziamento a favore delle attività teatrali è pari a 67.131.450,05 euro. Rispetto al 2015, l’importo è aumentato di 103.665,05 euro (+0,15%).
Un dubbio sorge spontaneo: se è vero che durante il fascismo il controllo del regime porta alla creazione di un’ideologia di massa, volta a creare una società uniforme priva d’iniziative, a cui è presentato un modello ideale di vita piccolo borghese (il cosiddetto “cinema dei telefoni bianchi”), possiamo dire che oggi noi siamo liberi di crearci un’identità nostra, senza seguire per forza un esempio ritenuto giusto dalla collettività e non fidandosi della pubblicità? Concludo con l’epilogo di Alessandro Baricco, da I barbari. Saggio sulla mutazione (2006): “Quel che diventeremo continua a esser figlio di ciò che vorremmo diventare.”.
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amphetamine-annies · 5 years
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Mancanza di dialogo
“Mancanza di dialogo”. È un problema che va spesso dato per scontato e di cui non si considerano molto le cause e le conseguenze.
Ciò che più ci aiuta a comunicare con qualcuno è la sensazione di sentirsi a proprio agio, per riuscire a discutere anche riguardo a tematiche non molto comuni nell’ambito familiare, per esempio. Molte altre sono le cause. Cercherò di analizzarne alcune di seguito, riportandone anche le conseguenze.
Una delle principali riguarda la mancanza di abitudine a parlare nell’infanzia. Ovvero, prendiamo come esempio un bambino di circa 7 anni. Si sa che a quell’età si è pieni di domande riguardanti la vita e tutto il resto e si è così invogliati a parlare, a discutere, a dialogare. Consideriamo ora il fatto che questo ragazzino, curioso ed invogliato, si trovi all’interno di una famiglia che non comunica, che basa la sua unità su un amore apparente e all’interno della quale, quindi, non si riesca nemmeno a domandare un semplice “Come stai?” o a parlare delle cose più banali. È chiaro che il bambino crescerà in un modo sbagliato, senza la capacità di condividere e dialogare. Si creerà così un muro davanti a questa persona che impedirà qualsiasi contatto un po’ più “complicato” con il resto del mondo, che non andrà oltre la banale chiacchierata quotidiana.
Un’altra causa può riguardare invece il pregiudizio, il non rispetto per gli altri e per le loro idee, il che potrebbe sembrare strano, ma mettiamola in questo modo: sono guidato dall’idea prima che mi faccio di qualcuno a tal punto da non riuscire a parlargli e a salutarlo, è proprio un blocco; ho talmente poco rispetto per lui e per quello che dice che non riesco a discutere con quella persona, non sono disposto ad ascoltarlo e magari ad aiutarlo se sbaglia. Sono guidato da ciò che voglio e penso, seguo il mio percorso e gli altri li lascio indietro, ma è una strada che non porta molto lontano. In effetti nasce, in questo modo, un’insicurezza profonda nell’animo dell’indifeso da fargli “morire” la voglia di esprimersi, di esporre le proprie idee, ma allo stesso tempo in me si forma una tale chiusura mentale da non riuscire ad ascoltare gli altri e a condividere.
Poi viene l’aspetto economico. In un paese povero in cui non ci si può permettere un’istruzione, i bambini non saranno in grado di formulare frasi compiute. Si formeranno quindi delle continue lacune che impediranno una corretta comunicazione. I temi da trattare saranno così pochi che le discussioni non saranno mai incentrate oltre quelli che sono gli argomenti familiari e quotidiani.
Questi sono solo pochi esempi, ci sarebbero molte altre situazioni e azioni che causano la mancanza di dialogo. Ad esempio, si potrebbe fare un confronto con il passato.
Un tempo non esistevano tutti quegli apparecchi elettronici che provocano distrazione e dipendenza. Si era abituati a parlare di persona, a guardarsi negli occhi, si era anche in grado di discutere e di formulare frasi compiute, con un senso logico. Ora invece è stata persa questa “magia”: il contatto umano, gli sguardi che si incrociano, le mani che si sfiorano e tutte quelle altre cose che al giorno d’oggi vengono sostituite con cellulari, Facebook e altri social network.
Quando c’è dialogo si riescono a condividere pensieri, pareri, passioni, desideri. La comunicazione è un modo per condividere anche il dolore. Se io sono abituato a parlare sono disposto a condividere con gli altri la mia tristezza, ciò che mi fa stare male. Perché parlare è un po’ come liberarsi, togliersi un peso: io decido di parlare di qualcosa che mi provoca tristezza con te, te ne do un po’, è come se ne avessi meno. È tutto collegato. Perché anche la rabbia è condivisibile. Se io non parlo divento violento e la violenza no, quella non è risolvibile solamente con il dialogo. Poi però non bisogna stupirsi troppo se la società di oggi commette innumerevoli crimini. Provo rabbia, non parlo, divento violento, trasmetto la mia rabbia agli altri e via così. Si crea un ciclo continuo, senza fine, perché non si comprende quanto possa essere utile ed importante parlare. D’altronde “condividere aiuta a vivere meglio”.
La soluzione migliore è l’amore. Questo è ciò che serve. Un pizzico d’amore in più e tanta sensibilità. Bisogna imparare a relazionarsi, a discutere, a dire le proprie opinioni.  Se tutti si volessero bene e non ci fossero più quei pregiudizi, quelle indifferenze e anche quelle differenze, sarebbe tutto più semplice. È questo ciò che aiuta: imparare ad amare prima di tutto se stessi, ma senza dimenticare gli altri. Se amo sono disposto a parlare. Se non c’è amore resto nel buio della mia solitudine.
Tutto questo per far comprendere un po’ a tutti alcuni problemi che, come dicevo all’inizio, spesso vanno dati per scontato. Ovviamente facendo capire questo aspetto della vita quotidiana non voglio cercare di cambiare la situazione. Mi spiego meglio: ciò che può cancellare il problema non sono queste parole, ma le idee che ognuno di noi avrà per migliorare tutto.
Capire ciò di cui sto parlando non basta, bisogna reagire. Perché “capire non è guarire”.
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amphetamine-annies · 5 years
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Shutter Island: tra finzione e realtà
Mi sono imbattuta volentieri, nonostante fosse l’ennesima volta, nel film Shutter Island.
Devo ammettere che è uno di quei film che ti lascia sempre senza parole, ogni volta che lo guardi riesci a cogliere dettagli in più per comprendere al meglio la vicenda narrata. Non si tratta di qualcosa di semplice, anzi, è un film molto impegnativo e che richiede tanta attenzione da parte degli spettatori, ma che vale la pena di guardare almeno una volta nella vita.
Se si vuol partire da un’analisi prettamente tecnica, il regista è riuscito a selezionare un cast eccellente, da un Leonardo Di Caprio pieno di sorprese ad una più banale comparsa anch’essa scelta in modo accurato ed eccezionale.
Non mi dilungherò troppo raccontando la trama, a quello ci pensa scontatamente Wikipedia, mi soffermerò più volentieri a parlare di ciò che va oltre.
Se cercate un film accattivante, non scontato, pieno di colpi di scena, in poche parole un thriller psicologico, provate a guardare questo. Lo consiglio vivamente agli amanti del genere e non, perché nonostante questa sua caratteristica particolare, incolla al divano anche i più diffidenti che preferirebbero guardare un film più semplice e meno articolato.
Non è cruento, se non nei limiti necessari per renderlo più movimentato, ha più che altro una forte presenza di scene quasi riconducibili al genere horror, ma solamente per la loro comparsa immediata e le musiche scelte come colonna sonora.
Non spaventatevi, guardate più che altro i dettagli, ascoltate con attenzione ogni singola parola, frase, dichiarazione, mettete tutto in un cassettino e tenetelo da parte, il film vi farà capire quando servirà tirare fuori il necessario.
Io, personalmente, lo reputo un Film da non perdere. Nonostante la datazione e il periodo in cui è ambientato, nonostante l’argomento trattato, che potrebbe limitare le persone a ricondurre il tutto esclusivamente a ciò di cui parla, penso sia a dir poco attuale riguardo alle tematiche che prende in considerazione. Si spazia dalla più scontata e immediata malattia mentale, per poi passare alle problematiche sociali, alla difficoltà di riuscire a distinguere la finzione dalla realtà, un po’ come ne parlava Pirandello con la questione delle lanterne. Provate a guardare il tutto cercando di capire cosa vuole realmente raccontare il regista, o almeno così la penso io.
Non voglio fare accenni ulteriori, perché è veramente una sorpresa scoprire tutte queste cose da soli, è anche un buon allenamento per la mente.
Vi lascio soltanto la frase finale, così a primo impatto forse non si capirà, ma penso sia il succo dell’intero film, una sorta di percorso di guarigione personale del protagonista.
“Cosa sarebbe peggio? Vivere da mostro o morire da uomo per bene?”. - EDWARD DANIELS
Buona visione!
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