Tumgik
#ricamato a mano
tsuyahandmade · 29 days
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etnamam · 2 years
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tulipanico · 1 year
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Natale è nonna che si chiude in bagno a cercare fortuna dietro qualche numero, la casa che si riempie dell'odore di zenzero e cannella, la mano che trema dopo aver glassato centinaia di biscotti o ricamato un astuccio per una amica, la sigaretta per digerire, gli amuleti giocando a tombola con le cartelle che costano venticinque centesimi l'una, la tavola disordinata col bicchiere mezzo pieno. O mezzo vuoto, dipende dai punti di vista.
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empreinte0 · 1 month
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“Ode alla pace”, la poesia di Pablo Neruda contro tutte le guerre
La follia umana sembra aver preso il sopravvento. In realtà, le guerre sono presenti in quasi ogni parte del mondo. L’Ode alla pace di Pablo Neruda vuole essere una preghiera affinché si fermi la barbarie e trionfi la pace.
Ode alla pace di Pablo Neruda
Sia pace per le aurore che verranno,
pace per il ponte, pace per il vino,
pace per le parole che mi frugano
più dentro e che dal mio sangue risalgono
legando terra e amori con l’antico
canto;
e sia pace per le città all’alba
quando si sveglia il pane,
pace al libro come sigillo d’aria,
e pace per le ceneri di questi
morti e di questi altri ancora;
e sia pace sopra l’oscuro ferro di Brooklyn, al portalettere
che entra di casa in casa come il giorno,
pace per il regista che grida al megafono rivolto ai convolvoli,
pace per la mia mano destra che brama soltanto scrivere il nome
Rosario, pace per il boliviano segreto come pietra
nel fondo di uno stagno, pace perché tu possa sposarti;
e sia pace per tutte le segherie del Bio-Bio,
per il cuore lacerato della Spagna,
sia pace per il piccolo Museo
di Wyoming, dove la più dolce cosa
è un cuscino con un cuore ricamato,
pace per il fornaio ed i suoi amori,
pace per la farina, pace per tutto il grano
che deve nascere, pace per ogni
amore che cerca schermi di foglie,
pace per tutti i vivi,
per tutte le terre e le acque.
Ed ora qui vi saluto,
torno alla mia casa, ai miei sogni,
ritorno alla Patagonia, dove
il vento fa vibrare le stalle
e spruzza ghiaccio
l’oceano. Non sono che un poeta
e vi amo tutti, e vago per il mondo
che amo: nella mia patria i minatori
conoscono le carceri e i soldati
danno ordini ai giudici.
Ma io amo anche le radici
del mio piccolo gelido paese.
Se dovessi morire mille volte,
io là vorrei morire:
se dovessi mille volte nascere,
là vorrei nascere,
vicino all’araucaria selvaggia,
al forte vento che soffia dal Sud.
Nessuno pensi a me.
Pensiamo a tutta la terra, battendo
dolcemente le nocche sulla tavola.
Io non voglio che il sangue
torni ad inzuppare il pane, i legumi, la musica:
ed io voglio che vengano con me
la ragazza, il minatore, l’avvocato, il marinaio, il fabbricante di bambole
e che escano a bere con me il vino più rosso.
Io qui non vengo a risolvere nulla.
Sono venuto solo per cantare
e per farti cantare con me.
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la-scigghiu · 1 year
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Immagino la vita come un grande armadio aperto il vestitino ricamato a mano del primo compleanno, il primo grembiulino la tunichetta della prima comunione i jeans ottenuti dopo tante lotte, e la promessa di non aver mai a che fare con gli spinelli anche se quei jeans somigliavano proprio a quelli che indossavano "gli sbandati" la camicia di tela indiana che indossavo mentre scrivevo i cartelloni per le manifestazioni al liceo il vestitino a righine blu dove gocciolò il gelato, rigorosamente al cioccolato, mentre guardavo quel ragazzo, il vestito leggero color fragola del primo bacio, la camicia bianca di lino indossata per l'esame di maturità, i pantaloncini bianchi della prima gita da soli. Immagino di passare la mano sulle stoffe dei ricordi... ...Guardo il presente mi chiedo se sembrerà meno caotico domani, più chiaro e ordinato mentre un tubino di cotone blu sbuca tra il vestitino nero scelto per un evento importante e poi l'abito di pizzo per la prima della mia opera a teatro sorrido all'abito lungo leggerissimo, comprato una notte folle con le amiche e sulla mensola un paio di jeans nuovi che indosserò quando avrò bisogno di giorni comodi per capire e capirmi guardo i desideri ancora con la targhetta le cose che ho comprato e che indosserò domani e quei capi di abbigliamento che ho immaginato e che immagino di indossare un domani che forse comprerò o forse no intanto lascio uno uno spazio nell'armadio della vita ....non si sa mai!
.🦋.
🔸 Il caffè di Marek
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Stefano Sorci gestisce un pub in provincia di Latina, prendetevi cinque minuti e leggete questo suo post, divenuto giustamente virale, ne vale  davvero la pena. I ragazzi alla ribalta delle cronache sono stati anche da me, era una sera d’inizio estate.È stata una mezz’ora, sul tardi, e non è successo nulla di particolare.Eppure, tutti i presenti, quella mezz’ora se la ricordano bene. Anzi, ne ricordano bene i primi dieci minuti, quelli sufficienti a fargli passare la voglia di restare. Eravamo seduti tutti fuori, e ci siamo girati improvvisamente a guardare il Suv che sbucava dall’arco a tutta velocità per poi inchiodare a due metri dai tavolini.Sono scesi in 5 col classico atteggiamento spavaldo di chi a 25 anni gira col Suv, in gruppo, coi capelli tinti, le catene al collo, i vestiti firmati, i bicipiti tirati a lucido e le sopracciglia appena disegnate.Quando fai il mio lavoro da anni, ti accorgi che su quella storia dell’abito e del monaco qualcuno ci ha ricamato sopra allegramente.È calato subito il silenzio, sono stato costretto ad alzarmi quando ho sentito un poco promettente “chi è che comanda qua dentro?”, detto dal primo che si era affacciato sulla porta.Sono andato verso il bancone senza neanche rispondere, mentre loro mi seguivano dicendo “ah, ecco, comanda lui, è questo qua”.Poi è iniziato il giro di strette di mano, di quelli “ci tengo a dirti chi sono e devo capire chi sei tu”.Hanno iniziato a fare mille domande, prima sugli orari di apertura di tutti i locali del paese, poi sulle birre, sul modo in cui si lavano i bicchieri, sulla quantità della schiuma.. c’era un’atmosfera pesantissima, era una conversazione di quelle finte che girano intorno a qualcosa, sembrava un film di Tarantino ed io mi sentivo come Brett che spiega a Samuel L. Jackson la provenienza del suo hamburger, prima di sentirsi recitare Ezechiele a memoria.Ho visto con la coda dell’occhio tutti i tavoli fuori svuotarsi, le persone buttare un occhio dentro e andar via, e, mentre cercavo di rispondere alle domande, loro hanno iniziato a fare una gara di rutti sopra la mia voce a cui non ho reagito in nessun modo. Non contenti del mio restare impassibile, hanno proseguito la provocazione iniziando a rimproverarsi a vicenda, “non si fa così, non ci facciamo riconoscere, se ruttiamo poi sembra che manchiamo di rispetto a lui che comanda! Dobbiamo chiedere scusa!”Ho servito le birre come nulla fosse, e ricordo bene l’espressione di quello che ha messo mano al portafogli e mi ha chiesto “quant’è”, senza il punto di domanda e senza guardarmi. La stessa espressione che rivedo in ogni post di questi giorni. Hanno bevuto, hanno fatto casino, hanno brindato, hanno ruttato, e sono ripartiti sgommando col Suv, come cani che hanno appena pisciato su un territorio nuovo e se ne vanno soddisfatti.Ho chiuso a chiave e mi sono diretto a casa, ho iniziato a tranquillizzarmi soltanto lì. Ho pensato con rabbia alla mia vigliaccheria, al mio non aver proferito parola, al mio averli serviti con educazione mentre mi mancavano palesemente di rispetto in casa mia, e anche al fatto che avevano la metà dei miei anni.Ho pensato che avevo soltanto chinato il capo davanti alla prepotenza.Poi ho sperato di non vederli più, perché se fossero tornati non avrei sicuramente reagito neanche la seconda volta, e ho pensato che avevo avuto paura. Semplicemente. Tristemente.Oggi, ripensandoci alla luce dei fatti recenti, forse non me ne vergogno più, provo solo una stima enorme per Willy e per la sua sterminata mole di coraggio racchiusa in uno scricciolo d’uomo.E so che non c’entrano Gomorra, Tarantino, Romanzo Criminale, non c’entrano internet, la Trap o le arti marziali, così come ai tempi miei non c’entravano Dylan Dog, il Rap, le sale giochi. C’entrano le istituzioni, c’entrano i genitori, c’entra la scuola, la storia è sempre la stessa, ma non la studiamo mai.Il resto sono stronzate, e cercare dei colpevoli ci alleggerisce sempre. Io me la ricordo quella mattina in terza elementare, quando non ho saputo elencare a memoria le province del Piemonte, me li ricordo quei pomeriggi in lacrime a scrivere quaderni di verbi e coniugazioni, me le ricordo le parole di mia madre quando ho preso quel 3 al compito di Latino, e ricordo pure la sua espressione quando a 16 anni mi ha beccato un giornaletto pornografico sotto al letto, ricordo le raccomandazioni di mio fratello più grande quando mi diceva che alla scuola pubblica sarebbe stato tutto diverso, e ricordo quando i miei gli trovarono un pacchetto di cartine nelle tasche dei jeans, ricordo mio padre di notte sul divano, nero di rabbia, che fumava e non mi salutava quando a 20 anni tornavo a casa in ritardo su un coprifuoco che trovavo assurdo.Ricordo i loro occhi dopo aver discusso la mia tesi di laurea, e poi la loro faccia quando ho stappato una bottiglia di Prosecco per festeggiare, sapendo che sarei tornato a casa tardi e in macchina.Ricordo i loro sacrifici per comprarmela, quella macchina usata che conservo ancora oggi e che in un bilancio familiare di 4 persone e uno stipendio da infermiere proprio non poteva starci.Credo di aver preso un solo schiaffo da loro, in tutta la mia vita, ma non me ne sono mai serviti altri.Mi è servito il loro esempio, ho avuto bisogno dei loro insegnamenti, delle loro rinunce per permettermi di studiare.Siamo tutti figli di una società, ma soprattutto siamo tutti figli, e la società la facciamo noi. Chiudiamo la bocca e apriamo le orecchie, magari troveremo anche il tempo di leggere un buon libro, potremmo continuare ad aver paura ma essere comunque dei piccoli eroi. Roma 6.9.2022Due anni  fa ci lasciava Willy, delle tante cose che sono state scritte e dette (spesso a sproposito) sulla sua drammatica vicenda, questa, a mio avviso, resta una delle più significative.  
Ottimo, Stefano, trenta e lode.
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hellandfiire · 1 year
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Trunk
⋆ Diario Whatsowl condiviso con Ashy
⋆ Lucido (Tia)
⋆ Maglioni particolarmente caldi, beige e verde (Tia)
⋆ Profumo pregiato all'elleboro (Tia)
⋆ Twist magico (Tommy)
⋆ Elastico ricamato a mano (Theo)
⋆ Braccialetto con una A e dei teschi messi a decorazione (Ashy)
⋆ Medaglione contenente il dente di un dorsorugoso di Norvegia (Andros)
⋆ Carillon con una loro foto magica ad Hogwarts, dicembre del 78’ (Andros)
⋆ Libro natalizio da colorare ed un secondo carillon (Natale Perkins)
⋆ Una lisedia, una spugna giallo scuro che assorbe tutte le sofferenze di una persona, lasciandola in uno stato di leggerezza piacevole, portando però alla morte della pianta. Poi basta aggiungere qualche sasso per farla rinascere. (Mabon)
⋆ Centrini rossi fatti a mano (Mabon)
⋆ Tailleur rosso proposto con una maglia blu scuro (Mabon) 
⋆ Fermaglio di legno (LughLou)
⋆ quaderno da disegno rilegato in pelle (Andros)
⋆ Prodotti per la pelle (Jaemin)
⋆ Dittamo (20/3)
⋆ Pianta Caramella (LughLou)
⋆ Un braccialetto composto da una cerniera che si può chiudere con un gancetto impreziosito da due charm pendenti: uno dalla forma di pennello, e l'altro da tavolozza (Jaemin)
⋆ Lardo, un criceto durato solo tre giorni (!)
⋆ Forcina per capelli a forma di fiore contenente un pulsantino che, se pigiato, fa cambiare colore ai petali. (Yulian)
⋆ Una candelina a righe bianche e rosse (Mabon)
⋆ Una chiave un po’ rovinata (Mabon)
⋆ Un anello fatto con due fiori intrecciati che si rivelano essere l’equivalente di una pietra nel punto finale di congiunzione (Mabon)
⋆ Un cordino di cuoio con un gancio finale, sul quale sono presenti delle piccole tessere in legno bucate e incise. La scritta che risulta è "Strong enough" (Neera)
⋆ Ciondolo con una luna ed una stella incastonati (Theo)
⋆ Orecchini in argento (Tia)
⋆ Un accendino che riporta la scritta "burn it all" (Tia)
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riservadopamina · 3 months
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"Passai al quadro successivo, che ritraeva una giovane donna seduta accanto a un tavolo, il volto illuminato dalla fiamma di una candela – la fronte larga e le guance tonde bagnate dalla luce dorata, le nette pieghe della camicetta bianca quasi accecanti. L’artista aveva fatto un uso del chiaroscuro davvero straordinario, almeno al mio occhio inesperto – non avrei saputo descriverne con precisione le caratteristiche, ma la luce sembrava tridimensionale, sembrava estendersi oltre la cornice del quadro, fino a dare l’impressione che la tela stessa fosse la fonte di illuminazione. Alle spalle della giovane donna c’era un uomo; appoggiato al tavolo in una posa disinvolta e volgare, un po’ lasciva, sembrava invadere lo spazio personale della giovane, che però non l’avrebbe definito spazio personale. Anche questo era un anacronismo. Mi avvicinai al quadro. La giovane donna – più una ragazza, in realtà – stava ricamando, un lavoretto domestico che sembrava non interessare il giovane in cappello e tunica da cosacco. Il suo sguardo era rivolto a lei, era lei l’oggetto del suo interesse, non il lavoro di ricamo. La ragazza era in bianco, lui in nero, il simbolismo era piuttosto chiaro, ma l’esatta natura di quell’incontro mi risultava opaca. Sbirciai la targhetta con il titolo – quei quadri avevano in genere titoli descrittivi, mai molto poetici, privi di quella forzata nebulosità dei titoli di arte contemporanea. Sulla targhetta c’era scritto ‘Uomo che offre denaro a una giovane donna’. Tornai a guardare il dipinto. Questa volta notai che l’uomo aveva delle monete nella mano a coppa, e le porgeva con discrezione alla ragazza, mentre con l’altra mano le tirava leggermente il braccio, come per distoglierla dal lavoro e metterla davanti alla sua proposta. Notai la rara capacità con cui l’artista aveva trasmesso le sfumature di forza e resistenza – la teatralità della mano che le tirava il braccio, la postura rigida della ragazza, i suoi occhi aperti e spaventati. La tensione del dipinto, però, non stava nella perfetta coerenza con cui era stato reso il momento del contatto, ma nell’incoerenza al cuore dell’immagine. Per quanto a lungo osservassi il quadro, non riuscivo a conciliare l’assoluto pudore della giovane donna, che aveva scoperte solo faccia e mani, con l’offerta e i modi osceni dell’uomo. Le stava solo proponendo di comprare il tessuto ricamato? Se fosse stato così, perché la ragazza aveva quell’espressione di paura? Perché manteneva quella concentrazione, così fragile e carica di significato, come se fosse l’unico modo di rifiutare a sua disposizione? Guardai di nuovo la targhetta, con sorpresa vidi che il quadro era opera di una donna, Judith Leyster. Non l’avevo mai sentita nominare, pur sapendo che era insolito per una donna raggiungere un risultato simile nel Secolo d’oro. Perfino adesso era raro che una pittrice raggiungesse lo status dei colleghi maschi. Secondo la targhetta, Leyster era nata nel 1609. Il quadro era datato 1631: l’aveva realizzato a soli ventidue anni. Sembrava un miracolo che l’avesse dipinto una persona sotto i venticinque anni, non solo per la tecnica sorprendente – per quanto straordinario aver raggiunto quel grado di maestria così giovane – ma per l’ambiguità dell’immagine stessa. Tornai alla tela, e mi venne in mente che solo una donna avrebbe potuto realizzare quell’immagine. Il dipinto non parlava di tentazione, ma di molestia e intimidazione, una scena che avrebbe potuto aver luogo in quell’esatto momento in qualsiasi parte del mondo. Il quadro operava intorno a uno scisma, rappresentava due inconciliabili punti di vista: l’uomo, che la riteneva una scena di passione e seduzione, e la donna, immersa in uno stato di paura e umiliazione. Quello scisma, capii in quel momento, era la vera incoerenza che animava la tela, e il vero oggetto dello sguardo di Leyster."
Katie Kitamura, 'Tra le nostre parole'
Bollati Boringhieri
[Judith Leyster, Uomo che offre denaro a una giovane donna, 1631, Pinacoteca Mauritshuis, L'Aia]
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ladybellatrix89 · 3 months
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Custom tartan set, made in Italy
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L'utima commissione che oggi partirà col corriere per andare dalla sua mamma @hijabifrills
Un completo tartan sui toni grigio-nero-rosa composto da top e gonna, con tanto pizzo sangallo e nastrini di raso in tinta col rosa della stoffa 💗 Il top ha gli spallini regolabili, interamente foderato, cerniera apribile sul fianco e pannello elasticizzato sulla schiena. Il fondo e la scollatura sono arricchiti da una striscia arricciata, tagliata in sbieco e finita a vivo con taglia cuci per non appesantire con cuciture di troppo.
La gonna é a 6 teli svasati con orlo "scallop", con un piccolo pannello elasticizzato sul centro dietro della vita. Attaccato direttamente al fondo della fodera c'è un merletto ricamato a fiocchi che spunta giusto poco sotto gli scallop 👀 Le tasche sono tagliate in sbieco e arricchite anche loro da sangallo e fiocchetti cuciti a mano.Il tessuto è "mano lana" per via della sua morbidezza, data dalla composizione di poliestere, viscosa ed elastane.
Tessuti @panini_tessuti Merletti @tomaselli_merceria
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colorfulprincewombat · 4 months
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Sono la presenza che ti abita,
lo sguardo che ti spoglia,
sono il desiderio che evade la tua Anima,
come eterna benedizione, sono il silenzio ricamato come il verso solitario,
per non sentirti sola, ..
Sono la mano che ti cerca...
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silviascorcella · 5 months
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Rahul Mishra a/i 19-20: la città fiorisce sulla couture 3D
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Già posando un primo sguardo alla collezione Couture nata dalla creatività poetica e artigianalmente risoluta di Rahul Mishra, si scorge la mischia di elementi su cui poggia la riflessione tradotta in stoffe preziose e decorazioni perfette: grattacieli che fioriscono rigogliosi come le corolle plasmate con bellezza tridimensionale.
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Or dunque, l’affinità d’ispirazione nasce spontanea, corre dall’epoca odierna al secolo scorso, dalla moda alla letteratura, dalla cultura indiana a quella italiana, e approda tra le avventure di un personaggio che una riflessione simile l’aveva già vissuta tra le pagine del libro a lui dedicato dal suo autore, Italo Calvino.
“Camminavano per la città illuminata dai lampioni, e non vedevano che case: di boschi, neanche l’ombra. Incontravano qualche raro passante, ma non osavano chiedergli dov’era il bosco. Così giunsero dove finivano le case della città e la strada diventava un’autostrada. Ai lati dell’autostrada i bambini videro il bosco: una folta vegetazione di strani alberi copriva la vista della pianura. Avevano i tronchi fini fini, diritti o obliqui; e chiome piatte e estese, tra le più strane forme e dai più strani colori, quando una auto passando le illuminava coi fanali. Rami a forma di dentifricio, di faccia, di formaggio, di mano, di rasoio, di bottiglia, di mucca, di pneumatico, costellate da un fogliame di lettere dell’alfabeto. ‘Evviva! - disse Michelino -questo è il bosco! E i fratelli guardavano incantati la luna spuntare tra quelle strane ombre: - Com’è bello…”
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Trattasi di Marcovaldo, e delle sua buffa realtà che mescolava, goffa eppur sentimentale, la natura alla città: perché questo allaccio quasi ardito? Perché la collezione a/i 2019-20, che a sua volta rappresenta il debutto di Rahul Mishra nel mondo superbo della Couture, intreccia nelle sue trame preziose una riflessione simile a quella che prendeva vita nella quotidianità del nostro sempiterno Marcovaldo, declinata qui nella consapevolezza contemporanea di chi nella città metropolitana ha incastonato una parte importante della sua vita, pur senza dimenticare le radici che restano salde nella naturalezza spontanea di quel che è fuori dai confini urbani.
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Gli abiti in collezione raccontano lo stupore di Rahul Mishra nell’osservare la crescita costante della città: come fosse un organismo vivente, la città estende le sue radici di cemento, si nutre della vita brulicante che la frequenta e dei sogni degli abitanti, respira, germina e fiorisce con grattacieli sempre più alti e numerosi, affolla il suolo di costruzioni, si arrampica come un’edera sulle superfici geografiche, ridefinisce la stessa definizione di vita, misura la sostanza delle imprese umane. Allo stesso modo, attraverso un vero gesto d’artista che omaggia la quintessenza preziosa della couture, i grattacieli affollano gli abiti, germinano su lunghi steli che fluiscono dalla griglia appoggiata al corpo e si allungano sulla superficie intorno come cascate vive: man mano quelle costruzioni si mescolano e si confondono alle infiorescenze, alle corolle che spuntano da steli simili, si affollano tridimensionali sul busto, sulla gonna, sulla giacca, mutano e si trasformano in ricami sottili e incantevoli.
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Una riflessione couture che è un capolavoro di maestria e leggerezza: ogni elemento è ricamato dalle mani sapienti degli artigiani indiani che, grazie al cuore sostenibile del brand, rinnovano la tradizione secolare che a loro appartiene direttamente nei loro villaggi. Un incontro di passato e presente, di dimensione naturale e cittadina anche nella manifattura: il racconto sull’organza lieve attraverso le decorazioni in tulle ha impiegato circa 3400 ore di instancabile manualità per ogni singolo pezzo, che è unico, prezioso, esclusivo. In una parola: magico! 
Silvia Scorcella
{ pubblicato su Webelieveinstyle }
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tsuyahandmade · 29 days
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scontomio · 5 months
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the-blonde57 · 6 months
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Viola
lavorazione con macchina per maglieria
Ricamato a mano
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restauroperego · 10 months
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isoleminori · 11 months
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Ponza, autore ignoto , anni '30
"Processione di San Silverio negli anni '30. Al molo, per l'occasione, sono ormeggiati, oltre al postale, due piroscafi di armatori Ponzesi: il "Richard dei f.lli Mattera e il "Vincenzo Onorato" di Vincenzo Onorato"."
Dal libro "Ponza. Il Tempo della Storia e Quello del Silenzio" di Ernesto Prudente.
La festa di San Silverio si celebra ogni 20 giugno. La statua del Santo è portata in processione anche per mare. In questa foto, si nota che il Santo è ancora portato su un trono, non su una barca come oggi.
Un dettaglio della scena, descritto dalla penna della confinata Cesira Fiori: "Sotto il baldacchino di broccato cremisi, ritta su una sedia gestatoria, sulla grande "macchina" portata a spalla da otto pescatori la ingenua statua, dipinta in rosso scarlatto; turchino cielo, con un grande manto di broccato ricamato a palme d'oro, la testa sormontata dal triregno.
Su una mano a conchiglia, un globo d'oro e il braccio destro teso a benedire. La cosa strabiliante di questa simbolica, severa personificazione del confino, era una cascata di dollari." Dal suo libro "Una donna nelle carceri fasciste".
Fonte blog "Frammenti di Ponza".
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