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#pragmatica
crazy-so-na-sega · 1 year
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quando i woke nascondono qualcosa dietro al cespuglio e, andandolo a cercare, lo trovano...eheheh....(semicit Nietzsche)
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latinotiktok · 2 years
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Namor es egresado de mi universidad y ese es el único flex que tengo en la vida. Pero explíquenme el contexto de por qué you mexicans se hizo meme no entiendo el tuiter gringo xd
Supongo que porque "you mexicans" suena un poco despectivo en inglés. Sería como decir "esos mexicanos" en vez de decir "los mexicanos/la gente mexicana"
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ninoelesirene · 11 days
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Tanti anni fa ho incontrato una rapa. Parlava come parlano le rape, era buffa e pragmatica, ché le rape sono ancorate alla terra e non si perdono mai in chiacchiere filosofiche. Mi faceva ridere ed era gentile e mi ci sono molto affezionato.
Come ogni rapa, aveva un lungo ciuffo giocoso e ti faceva immaginare un sottosuolo morbido e felice. Ma era una rapa. Era una radice, silenziosa e spiccia. Ben presto me ne accorsi. All’inizio ne soffrivo molto perché avrei voluto che non mi respingesse, che la gioia del suo ciuffo non fosse per me un inganno, ma la promessa della profondità. La perdonai, e in fondo non c’era nulla da perdonare: la rapa era semplicemente una rapa. Faceva la rapa. Non poteva non essere una rapa.
Passarono gli anni, imparai ad amare la sua forma semplice, il suo gusto dolciastro e mai dolce del tutto. Distante quanto basta, dimenticai che era una rapa. Come succede quando non guardi da vicino, riempii di fantasia lo spazio che ci separava. Era la mia rapa, una rapa immaginaria, che mi voleva bene, anche se a modo suo.
Un giorno la rapa mi respinse ancora. Senza una ragione precisa. Non stavo provando a sradicarla, non scavavo, non le giravo intorno ormai da molto tempo. Mi fu chiaro che quello spazio che io avevo riempito di fantasia, anche lei lo aveva riempito di qualcosa. Forse le mie antiche richieste, la mia pretesa che il suo ciuffo rappresentasse più di un entusiasta saluto alla vita e significasse altro, l’avevano segnata. Era fragile, e in quel passato lontano si era sentita inadeguata. Forse sulla sua pellicina c’era una cicatrice.
Mi dispiacque molto, di averla messa a disagio e della solitudine che provavo. Finalmente capii che non potevo tirare e tirare ancora finché non avesse cavato un po’ di succo, nella speranza che il suo rosso di superficie le corrispondesse e mi corrispondesse nel profondo.
Finalmente capii che volevo dolcezza piena, perché il dolciastro non mi bastava. Avevo tutta la forza per seguire radici profonde e intricate, capaci di nutrire tronchi robusti e fronde che risuonano al vento. Avevo bisogno di radici desiderose di essere trovate, come le mie.
Finalmente capii che le rape non mi piacciono.
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nusta · 5 months
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Si avvicina la fine dell'anno ed è sempre un periodo pieno di pensieri. Sono come le nuvole dell'altro giorno, che arrivano veloci su un cielo che fino a pochi minuti prima era azzurro. Poi magari se ne vanno altrettanto rapidamente, ma a volte restano lì a fare massa critica e il temporale si scatena.
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Sono giornate di alti e bassi. Ieri ho fatto una scorpacciata al ristorante giapponese con due mie care amiche, ci siamo scambiate i regali e mille chiacchiere, ma ce ne vorrebbero un milione per averne abbastanza. Oggi ho saputo che una mia collega, l'ennesima, è incinta. Stasera ho fatto i biscotti dopo tanti anni che non li facevo. Qualcuno si è bruciato sul fondo, gli altri sembrano venuti bene, vedremo quando si raffreddano: quando si sperimenta qualcosa può andare storto e vabbè.
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Ho sempre voglia di fare e poi mi limito a pensare, e forse ormai certe porte sono chiuse. Chissà. Scommetto che se vado a prendere la lista dei buoni propositi i soliti noti sono ancora in attesa. Forse devo essere più pragmatica, le buone intenzioni lasciano troppo spazio di manovra al mio istinto di procrastinatrice cronica. Vedremo.
Vorrei leggere di più, cucinare cose nuove, muovermi e rilassarmi. Le mie amiche lo sanno e si capisce dai regali che ho ricevuto.
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Chissà cosa mi porterà l'anno prossimo, chissà cosa riuscirò a prendere tra ciò che sarà alla mia portata, chissà se troverò il modo di arrivare oltre. Chissà.
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solosepensi · 6 months
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la legge del tre
Secondo questa legge ogni cosa che facciamo ci torna indietro tre volte nel bene e tre volte nel male. Se si fa del bene si riceverà tre volte il bene, se fai del male si riceverà tre volte il male. Non bisogna però fare del bene nell'attesa della ricompensa. Può quindi esser visto come una motivazione pragmatica per seguire un comportamento etico.
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tettine · 8 months
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Faccio spesso un sogno ricorrente che mi dà delle brutte sensazioni. Sono in questa città che li per li sembra Venezia ma non è Venezia è solo piena d'acqua ed è formata da moltissime fontane del mondo che ho visto ed io cammino nell'acqua fino al ginocchio e devo raggiungere la stazione ferroviaria, cammino a fatica, devo sempre prendere un barchino che si muove moltissimo e provo sempre sensazioni di paura, disagio e ansia. Questa notte ho sognato che eravamo insieme e che siamo andati a casa sua perché io ero molto spaventata e comunque si voleva stare insieme poi lui ha trovato una soluzione pragmatica al mio problema e sono tornata a casa sana e salva. Io odio Freud ed i dinamici, ma questo sogno un po' mi fa piangere
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colonna-durruti · 10 months
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Alessandro Gilioli
Certo che la politica è strana, a volte proprio paradossale.
Prendete il reddito di cittadinanza.
I primi a parlarne, una ventina di anni fa, erano quegli sfigati della sinistra radicale, gli unici che iniziavano a occuparsi dei nuovi poveri intermittenti e precari mentre la sinistra storica e il sindacato guardavano solo ai dipendenti e ai pensionati.
Ovviamente in quella fase la proposta veniva esclusa da tutti gli altri come infattibile, adolescenziale, sovietica, insomma non scherziamo - e comunque “non ci sono le coperture” (le coperture non ci sono mai quando si tratta di redistribuire, mentre si trovano in un attimo per le spese militari, bah).
Poi sono arrivati i 5 stelle, che l'hanno fatta propria, quell'idea – e, intendiamoci, hanno fatto benissimo: la sinistra storica continuava a guardare ai dipendenti e ai pensionati.
I 5 stelle poi hanno preso una valanga di voti in uggia alla casta e alla loro seconda legislatura sono andati al governo con la Lega, che per natura è esattamente il contrario del reddito di cittadinanza, uèla faniguttun va' a laura'.
Ma il contratto per andare al governo era chiaro: voi leghisti fate quello che vi pare con gli immigrati, noi 5 stelle ci occupiamo del sociale dove la sinistra per anni se n'è infischiata.
Così, in sostanza, è arrivato il reddito di cittadinanza in cambio del decreto Salvini.
Il Pd era contro. Non solo contro il decreto Salvini: anche contro il reddito di cittadinanza.
Poi la storia è andata avanti, si sa, in qualche modo.
Si è sfaldato il contratto gialloverde causa ubriachezza molesta di Salvini in spiaggia, è arrivato il Conte 2 che sosteneva di non avere mai conosciuto il Conte 1, ma soprattutto è arrivato il Covid. E tutta la letteratura economica basata sui dati di realtà concorda che senza il Reddito di cittadinanza sarebbe stato un disastro sociale colossale per il Paese, forse esiziale.
Quindi poi anche Draghi non lo tocca. Perché ha il M5S in maggioranza, certo, ma anche perché sa benissimo che per sopravvivere il capitalismo ha bisogno di pace sociale e possibilmente di consumatori non del tutto incapienti.
Poi alle elezioni vince la destra più a destra di ogni possibile destra, con dentro la Lega che prima aveva votato per il reddito di cittadinanza ma adesso vuole abolirlo, mentre il Pd che aveva votato contro ne diventa strenuo difensore al fianco dei 5 stelle.
Siccome poi questa raffazzonata destra non è solo stronza ma è anche un po' scema, la notizia dell'azzeramento del Rdc arriva ai percettori attraverso una gelida comunicazione sms, con invito a rivolgersi per sopravvivere i servizi sociali dei loro comuni – i cui sindaci hanno un'immediata sincope.
Ricapitolando.
Una cosa di banale buon senso, di minima solidarietà interclassista e di ovvia utilità sociale nasce super minoritaria e sbeffeggiata, poi diventa verosimile grazie all'onda anticasta che gonfia i grillini alle urne, poi diventa legge per uno scambio sulla pelle dei migranti, quindi salva il Paese dalla catastrofe durante la pandemia, infine viene abolita per puntiglio ideologico e insipienza pragmatica da una coalizione che ha dentro un partito che pure l'aveva fatta diventare legge.
Certo che la politica è strana, a volte proprio paradossale.
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schizografia · 6 months
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Vorrei invitarvi ora a spostarvi in Germania, nei primi anni Venti del XX secolo, ma non nei disordini e nei tumulti che segnano in quegli anni la vita delle grandi città tedesche, bensì nel silenzio e nel raccoglimento dell’abbazia benedettina di Maria Laach in Renania. Qui un oscuro monaco, Odo Casel, pubblica nel 1923 (lo stesso anno in cui Duchamp finisce o, piuttosto, abbandona in uno stato di “definitiva incompiutezza” il Grande vetro) Die Liturgie als Misterienfeier (La liturgia come festa misterica), una sorta di manifesto di quello che sarebbe stato più tardi definito Movimento liturgico.
[…] Alla base della dottrina di Casel sta infatti l’idea che la liturgia (si noti che il termine greco leitourgia significa ‘opera, prestazione pubblica’, da laos, ‘popolo’, ed ergon) sia essenzialmente un “mistero”. Mistero non significa però, in alcun modo, secondo Casel, insegnamento nascosto o dottrina segreta. In origine, come nei misteri eleusini che si celebravano nella Grecia classica, mistero significa una prassi, una sorta di azione teatrale, fatta di gesti e parole che si compiono nel tempo e nel mondo per la salvezza degli uomini. Il cristianesimo non è pertanto una “religione” o una “confessione” nel senso moderno del termine, cioè un insieme di verità e di dogmi che si tratta di riconoscere e di professare: è, invece, un “mistero”, cioè una actio liturgica, una performance, i cui attori sono Cristo e il suo corpo mistico, cioè la Chiesa. E quest’azione è, sì, una prassi speciale ma, insieme, essa definisce l’attività umana più universale e più vera, in cui è in gioco la salvezza di colui che la compie e di coloro che vi partecipano. La liturgia cessa, in questa prospettiva, di apparire come la celebrazione di un rito esteriore, che ha altrove (nella fede e nel dogma) la sua verità: al contrario, solo nel compimento hic et nunc di questa azione assolutamente performativa, che realizza ogni volta ciò che significa, il credente può trovare la sua verità e la sua salvezza.
Secondo Casel, infatti, la liturgia (ad esempio, la celebrazione del sacrificio eucaristico nella messa) non è una “rappresentazione” o una “commemorazione” dell’evento salvifico: è essa stesso l’evento. Non si tratta, cioè, di una rappresentazione in senso mimetico, ma di una (ri)presentazione in cui l’azione salvifica (la Heilstat) di Cristo è resa effettivamente presente attraverso i simboli e le immagini che la significano. Per questo, l’azione liturgica agisce, come si dice, ex opere operato, cioè per il fatto stesso di essere compiuta in quel momento e in quel luogo, indipendentemente dalle qualità morali del celebrante (anche se questi fosse un criminale - se, ad esempio, battezzasse una donna con l’intenzione di farle violenza - l’atto liturgico non perderebbe per questo la sua validità).
[…] Come, secondo Casel, la celebrazione liturgica non è un’imitazione o una rappresentazione dell’evento salvifico, ma è essa stessa l’evento, allo stesso modo ciò che definisce la prassi delle avanguardie del Novecento e delle loro derive contemporanee è il deciso abbandono del paradigma mimetico-rappresentativo in nome di una pretesa genuinamente pragmatica. L’azione dell’artista si emancipa dal suo tradizionale fine produttivo o riproduttivo e diventa una performance assoluta, una pura “liturgia” che coincide con la propria celebrazione ed è efficace ex opere operato e non per le qualità intellettuali o morali dell’artista.
In un celebre passo dell’Etica nicomachea, Aristotele aveva distinto il fare (poiesis), che mira a un fine esterno (la produzione di un’opera), dall’agire (praxis), che ha in se stesso (nell’agir bene) il suo fine. Fra questi due modelli, liturgia e performance insinuano un ibrido terzo, in cui l’azione stessa pretende di presentarsi come opera.
Giorgio Agamben
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crazy-so-na-sega · 11 months
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quando leggo "è evidente che...." e una filza di sillogismi a vanvera, è evidente che si ignora la parola "NECESSARIAMENTE".
Altrimenti non si spiega...:-)
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA 🔥
Guillaume Faye
PERCHÉ COMBATTIAMO
Manifesto della Resistenza Europea
Prefazione di Andrea Anselmo
Postfazione di Stefano Vaj
“Perché combattiamo”, senza dubbio, rappresenta uno dei più discussi contributi del pensiero identitario. Guillaume Faye, tra i più prolifici scrittori della “destra” europea, lo ha vergato per offrire una diagnosi del nostro tempo, proponendo un programma di resistenza culturale, di riconquista politica e di rigenerazione valoriale.
Potente, libero, schietto e profondo, questo saggio porta con sé una sintesi ideologica e pragmatica di altissimo livello, restituendo analisi profetiche sulla destrutturazione dei nostri spazi, sui guasti della “società aperta”, sui cortocircuiti del capitalismo globale e sui mutamenti antropologici in atto: un vero e proprio Manifesto – realizzato sotto forma di Dizionario, con 177 parole chiave – che vuole riunire tutte le forze che si oppongono al drammatico declino dell’Europa.
I nostri popoli stanno affrontando i più gravi pericoli di sempre: crollo demografico, invasione migratoria, colonizzazione culturale, perdita del sacro, imbastardimento burocratico, sottomissione all’egemonia americana, senso di colpa e oblio delle radici. Dinanzi alla fatalità del baratro e alla degenerazione imperante – dunque – occorre edificare un’alternativa radicale e rivoluzionaria: in queste pagine – considerate indispensabili da almeno due generazioni di militanti – è contenuta la dottrina di lotta che darà sostegno ai Ribelli, per una nuova e necessaria volontà di potenza europea.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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scenariopubblico · 7 months
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Un viaggio spirituale, metodico, chiaro…
È questo ciò che è stato vissuto domenica 11 novembre al Teatro Sangiorgi di Catania, con Africa - orizzonti di rinascita, un progetto coreografico di Claudia Scalia danzato da Rebecca Bendinelli, Ismaele Buonvenga, Rachele Pascale e Nunzio Saporito.
Scalia è direttore artistico insieme a Marco Laudani, di Ocram Dance Movement, compagnia associata a Scenario Pubblico/ Compagnia Zappalà Danza Centro di Rilevante Interesse Nazionale per la danza.
Africa è stato il primo spettacolo “fuori abbonamento” della stagione in corso, portato in scena nella costola del Teatro Massimo Bellini grazie al progetto Be resident-nella città la danza, l'articolato protocollo d'intesa stretto tra Scenario Pubblico e il Teatro Massimo Bellini per promuovere la danza contemporanea nel territorio.
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Da dove ha origine Africa? Ce lo spiega il coreografo:
«Questo lavoro nasce da un viaggio che ho fatto con il desiderio di trovare un luogo ‘incontaminato’ dall’uomo: naturale, puro e vergine. Così, prima di iniziare il processo creativo, mi sono recato in Africa con la speranza di trovare quel tipo di luogo "vuoto", ma allo stesso tempo pieno di tutto ciò che ci può offrire la natura. Purtroppo questo mito si è tramutato in qualcosa di negativo in quanto nel 2019, anno di nascita del lavoro, la ricerca di quest’Eden è stata vana, perché ho visto che anche acque di mari e fiumi e luoghi così naturali e paradisiaci sono contaminati da spazzatura e plastica. Quest’anno, riprendendo il lavoro, dopo quattro anni, la situazione del nostro pianeta è degenerata. Riflettendo mi sono detto, perché non riportarlo in scena con un messaggio di speranza? Da qui l’aggiunta del sottotitolo orizzonti di rinascita. Il nome Africa l’ho scelto perché mi piaceva l’idea di personificare la mia idea e non semplicemente assegnare un titolo».
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La scena si è aperta con una lunga striscia di plastica sita a bordo palco perché, riprendendo le parole di Claudio, la ricerca di un territorio incontaminato si rivela un fallimento nel momento in cui anche i territori paradisiaci celano angoli bui e sporchi...
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Africa è nato ispirandosi al connubio di quattro elementi che danno vita alla materia pragmatica: acqua, aria, fuoco e terra. Come gli uomini, essi sono governati da amore e discordia che si incontrano e si scontrano, dominano a tempi alterni. È così che, attraverso il linguaggio del coreografo, i danzatori hanno instaurato un profondo ascolto con il pubblico e una potente connessione tra i loro corpi, con un’energia scattante. È proprio quell’energia che ha permesso di coinvolgere, inebriare, spettinare ed entrare a pieno in quella visione del pianeta, in cui viene continuamente soffocato e sopraffatto dall’azione degli uomini.
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Claudio Scalia è coreografo di Africa ma, nell'anno di nascita della creazione, è stato anche danzatore. Cosa e come è cambiato oggi il lavoro?
«Se ripenso al 2019 ritrovo un Claudio con una visione della coreografia non matura come quella di adesso…ero coinvolto dall’idea, dalla coreografia e riuscivo a esprimere ciò come danzatore. Successivamente ho fatto un passo indietro, volevo vedere da fuori per capire cosa arrivasse. Ho capito così che, in questo momento della mia vita il mio desiderio era quello di vederlo dalla parte del pubblico. Sicuramente a livello drammaturgico un contributo importante mi è stato dato da Marco Laudani e Sergio Campisi che ringrazio per avermi aperto nuovi orizzonti».
Mani e braccia evocative e comunicative risaltate dal continuo gioco di luci che ha aperto scenari diversi, la pioggia sui corpi, il riflesso di un fascio di luci gialle sui corpi dei danzatori... È in questo momento che sembra essersi creato un equilibrio tra l’uomo e la natura.
Voi artefici del vostro destino, incuranti del domani, Voi ignari della grandezza della natura. Voi uomini, già sconfitti, contro Madre Terra T.S Eliot
Ogni danzatore nascosto da una maschera, appariva sicuro della propria individualità e della forza del gruppo, ma allo stesso tempo sembrava che volesse nascondersi dai sensi di colpa….
Ma una volta caduta la maschera?
E’ proprio il senso di comunità a far dell’uomo l’artefice del destino del pianeta. Tutti abbiamo la stessa colpa di aver reso il mondo come lo vede T.S Eliot, una terra desolata e devastata.
L’offuscarsi delle luci insieme all'inizio di un monologo di Greta Thunbergha in sottofondo ha preceduto l’ingresso di un sacco di plastica riciclata (come i costumi utilizzati) insieme i quattro danzatori. Una volta in scena, hanno tolto le maschere, spostato la plastica e iniziando a rotolarvi sopra e intorno, dando la sensazione di restare intrappolati, metaforicamente e fisicamente, nelle conseguenze delle loro azioni.
Il faro sul fondo palco ha illuminato Ismaele che, avvolto dalla plastica, è diventato come la silhouette di un disegno caotico, tempestoso e incessante. Nell'intento di volersi liberare, è riuscito a sfuggire e a raggiungere, insieme agli altri danzatori lo Shanti, quella pace ineffabile, riferimento anch’essa al testo di Eliot. Alla fine di tutto l’uomo sovrastato dai sensi di colpa, capisce che è la natura a governare il mondo e pertanto capisce di doverne rispettare il ruolo indiscusso.
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È così che al termine della performance è stato riproposto lo stesso quadro iniziale: le ombre dei danzatori, in fila, messe in risalto dalla luce in fondo, simboleggiano l'aperta ricerca dell'orizzonte di rinascita in una situazione di quiete comune.
Abbiamo chiesto a Ismaele, uno dei danzatori, se rispetto al codice di movimento di Claudio, ha inserito proprie sfumature personali. Andiamo a vedere cosa dice al riguardo…
«Nonostante il lavoro a livello coreografico sia molto settato e preciso ci sono anche vari momenti di improvvisazione, soprattutto in relazione allo studio dei quattro elementi. In quanto elemento-terra, ho avuto massima libertà di esprimere sia la forza della terra che ci sostiene, ma anche la friabilità, perché il suolo non è poi così tanto solido come sembra e può sgretolarsi».
Il numeroso pubblico presente in platea e in tribuna ha avuto la possibilità di immergersi in un viaggio senza tempo e di cogliere la chiarezza esponenziale della performance. Gli applausi di gradimento sono stati notevoli a dimostrazione di quanto effettivamente il pubblico sia stato coinvolto dal flusso incessante dell’acqua e da quello travolgente dell'aria, dal fuoco impetuoso e dalla forza e friabilità della terra.
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E tu che leggi, hai recepito il messaggio e contribuirai a creare nel tuo piccolo un orizzonte di rinascita?
A cura di Martina Giglione
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autolesionistra · 2 years
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considerazioni elettorali random #3
Inevitabilmente, finiamo a parlare di PD. Dici, perché ti metti a parlare di un partito che manco voti? Per lo stesso motivo per cui nel 1989 se parlavi di vacanze in romagna ti toccava pure parlare di mucillagine.
Cerchiamo di condensare al minimo il curriculum di schifezze del PD, anzi, appalto il compito ad altri:
https://twitter.com/ldibartolomei/status/1557255094051241984 (versione liscia)
https://twitter.com/guiodic/status/1554105943079657473 (versione corretta sambuca)
Il PD, soprattutto ultimamente, ha quel tratto tipico partenopeo, di quello che non capisci se ti sta prendendo per il culo o no. E, come tipicamente accade con i partenopei, se hai il dubbio la risposta è sì. E se per caso uno non è ancora certissimo si (ri)trova Casini candidato all'uninominale nel collegio di Bologna.
Fatte queste premesse, e ricordate le già citate macumbe legate alle dinamiche tecniche elettorali, ipotizzando che uno voglia esprimere una qualche preferenza a sinistra e non disegnare un cazzetto con la matita copiativa o restituire la scheda o stare a casa, le strade mi sembrano sostanzialmente due:
Quella rigorosamente pragmatica, nella serena consapevolezza che: - la politica è mediazione (anche quando media prima del dovuto) - stando ai sondaggi sono gli unici con qualche speranza di appoggiare le chiappe su uno scranno - gente come Soumahoro e Ilaria Cucchi quando parlano muovono qualcosa che sta finalmente un po' al di sopra del sistema digerente - al netto dei prati verdi dipinti da Fratoianni e Civati i margini di manovra in una coalizione col PD sono talmente risicati che, per dirne una, ai tempi dell’Ulivo la coalizione ci credeva abbastanza da darsi se non altro un programma comune
Quella intransigente/oltranzista/idealista, nell’altrettanto serena consapevolezza che: - il mix fra un movimento nato dai centri sociali e un ex magistrato ha tutta una serie di limiti (fra l’altro già emersi) - stando ai sondaggi per vedere il quorum ci vuole un telescopio di quelli buoni - quelli di PaP sono fra i pochissimi che ho sempre sentito esprimersi senza ambiguità su pacifismo, salari minimi, tassazioni progressive e altre amenità che per qualche motivo sembrano diventate parolacce anche a sinistra come anticapitalismo e antiliberismo - ci sono almeno 3-4 anime dentro ma ci hanno risparmiato un logo royal-rumble tipo quello di “noi moderati”
Al solito, non mi stupisce tanto la frattalizzazione a sinistra (delusi ma mai sorpresi, diceva quello) ma l’acredine che c’è fra i sostenitori di due opzioni che sulla carta qualcosina in comune dovrebbero averla (se non altro, la ricerca disperata di alcoolici dopo lo spoglio del 25) 
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der-papero · 2 years
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La mia ultima performance culinaria mi ha suggerito di mettere a nudo con voi anche questo mio lato della personalità, che in cucina oscilla paurosamente tra l'intraprendenza e la schizofrenia.
La mia parte fanciullesca, quando provo a prendere ispirazione dalla mia genitrice:
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La mia parte creativa, quando provo a chiedermi perché questa nuova ricetta testé pensata non dovrebbe essere gustosa:
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La mia parte pessimista, quando inizio a tirare fuori gli ingredienti dal frigo e dalla credenza:
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La mia parte affamata, che non mangio dalle 8:
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La mia parte saggia, quando l'esibizionismo inizia a prendere piede e si vedono le prime cagate:
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La mia parte ingegneristica, appena inizio a testare la cottura:
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La mia parte organizzativa, appena realizzo che ho padelle, ciotole, piatti e bicchieri dovunque, e non ho spazio per scolare la pasta:
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Il cervello, che prova a sincronizzare tutte le altre parti:
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La mia parte meridionale, quando capisco che non c'è più un cazzo da fare, si è attaccato tutto come la colla:
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La mia parte pragmatica-con-richiami-ventennio-nostalgici, che ormai si è fatto tardi e deve uscirci pure il caffè:
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nusta · 1 year
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Pensieri a nastro in sala d'attesa
In attesa della radiografia al torace, ovviamente ho mal di pancia perché il mio intestino non sa che non ha alcun senso ribellarsi.
Fa anche caldo, perché nella sala d'attesa non ci sono finestre e siamo in 7. In questi giorni dopo aver prenotato mi sono pentita diverse volte e poi ci ho ripensato appena mi tornava la tosse e anche se fossero soldi buttati e radiazioni inutili almeno ci mettiamo il cuore in pace. Una parte del ripensamento era anche dovuta alla decisione di fare la prenotazione nel solito poliambulatorio privato anziché nelle strutture pubbliche. Ce ne sarebbe stata una non tanto scomoda, oltre all'ospedale di sabato mattina, ma vista la cifra modesta ho pagato la comodità e il fatto che qui anche altri miei familiari hanno avuto occasione di fare radiografie di recente e sono stati contenti del trattamento. Non che un'accoglienza gentile sia necessariamente garanzia di una buona prestazione, purtroppo, ma in questo caso anche le macchine sembravano all'altezza della necessità. E di nuovo, non che all'occhio inesperto di noi profani della medicina questo sia effettivamente valutabile, ma tant'è, mi sono fatta convincere. Dovrei nel prossimo futuro pianificare anche altre visite, che avrei dovuto fare da mesi se non da anni e sempre rimandato per pigrizia e inerzia, e anche in questi casi mi chiedo quanto valga la pena risparmiare rispetto alla continuità che può darti uno specialista che ti segue anno dopo anno, come sono stata abituata per diverso tempo della mia vita. Però i professionisti invecchiano, vanno in pensione, o anche semplicemente si trasferiscono lontano e prendere un appuntamento con mesi di anticipo è qualcosa che evidentemente va oltre le mie attuali capacità. Quante paranoie mi faccio. Vorrei essere diversa in queste circostanze, vorrei essere più pragmatica e fare, invece di pensare e ripensare e rimandare alla prossima settimana che poi non arriva mai.
Chissà se prima o poi troverò una diversa forma di abitudine per questi aspetti della mia vita. Sarebbe preferibile prima di esserne costretta dalle circostanze, che prima o poi,  se la vita farà il suo corso, arriveranno.
Scrivo perché non c'è campo e non posso leggere. In questo ogni tanto riesco a tenere il passo con le mie aspirazioni e in questi giorni sto leggendo Wild di Cheryl Strayed, sulla scia dell'abitudine riconsolidata con Il Colibrì di Sandro Veronesi. Il Colibrì non mi è piaciuto molto, sono riuscita ad andare avanti solo perché abbiamo deciso di leggerlo insieme a due mie amiche, come primo libro di un mini book club di noi tre. Una l'ha ascoltato come audiobook e le è piaciuto, ma finché non finisce pure la terza abbiamo promesso di non scambiarci altri commenti. Effettivamente come audiobook potrebbe essere più divertente, specie quei capitoli fatti di elenchi o quelli fatti a flusso di coscienza. Avevo abbozzato anche un post su tumblr per schiarirmi le idee alla fine della lettura, ma l'ho lasciato in sospeso sperando di aggiungere altro e poi, rimandando e rimandando, è rimasto lì. Quando dico che sono una procrastinatrice cronica non è una esagerazione, temo.
Wild mi piace molto, anche se a volte, avendo già visto il film, ho una sensazione di déjà vu. Ma se non amassi i déjà vu non sarei mai riuscita a riguardare millemila volte le serie TV o i film, o i libri appunto, che ho amato negli anni e spesso ricominciato daccapo. Sarà l'influenza della TV fatta di ennesime repliche che mi ha improntato l'infanzia, il piacere di ritrovare e sorridere prima ancora della battuta, di commuovermi prima ancora della scena clou.
Difficile anzi che io abbia visto o letto qualcosa una sola volta, se l'ho amata.
Ho deciso di leggere Wild proprio perché ho amato il film e volevo esplorare quella storia nella sua forma originale. Di tanti film che ho visto dopo aver letto il libro questo è uno dei pochi che mi fa fare la strada inversa. Potrebbe anche essere uno dei pochissimi all'altezza del libro, che di solito supera di diverse dimensioni la sua trasposizione cinematografica o televisiva.
Mentre ero malata qualche settimana fa ho visto una delle ultime versioni di Piccole Donne e non è stata affatto all'altezza, nonostante alcune scelte apprezzabili. Ogni tanto mi chiedo se la versione alternativa migliore non sia stata l'anime degli anni 80 che guardavo da bambina. Forse più semplicemente è una storia troppo piena e lunga da condensare in un paio d'ore di film.
Ok, mi hanno chiamato. Speriamo bene.
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klimt7 · 2 years
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LA MAPPA DEL CORPO
( prima parte )
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Si allontanò dal letto e fece due passi verso il comodino per prendere anelli e braccialetti.
Le dissi di chiudere la porta dietro di sè, arrendendomi all'intorpidimento che gradualmente si impadroniva del mio corpo semiaddormentato.
Mi sentivo scisso in due persone: una era ancora stupita per ciò che questa ragazza aveva fatto con il massaggio e desiderava solo annullarsi in quel paradiso sensuale, mentre l'altra, razionale e pragmatica sapeva solo che era un massaggio speciale, nè più nè meno.
Rivissi la sensazione di come toccava il mio corpo e sussurrai dentro di me che non si trattava di un massaggio innocente.
E neanche di semplici sensazioni che si trasmettevano attraverso le mani. Assolutamente no. Anzi al contrario, lei aveva decifrato il mio corpo e lo conosceva come io non lo avevo mai conosciuto prima.
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"Il mio corpo era un villaggio damasceno" come recita una poesia e una città mondiale, come lo conosco ora.
Il mio corpo sotto le sue mani pulsava di una vita, fino ad ora ignorata ed era una città piena di sensazioni, non morta come questa in cui viviamo.
Dormivo supino quando la sentii salire sul letto e poi montarmi come se stesse cavalcando un cavallo.
Si sedette sua schiena, mi strinse le cosce attorno alla vita e cominciò piano ad accarezzarmi ritualmente le spalle, il collo e poi la schiena. Aveva mani esperte e allenate, quasi veggenti che somigliavano a quelle degli antichi indovini.
Mi toccava il corpo con i polpastrelli fino ai muscoli stanchi e irrigiditi e poi con mani esperte, li palpava, li tirava, li modellava, li strattonava e se percepiva una contrazione lavorava per interi minuti col suo gomito per scioglierla e non si stancava. Non mollava la presa fino a quando non vi ripulsava la vita.
Grazie alle sue mani, scoprii muscoli nascosti che non sapevo di avere, piccoli muscoli tra la spalla e la schiena e tra la vita e il sedere.
Lei mi afferrò il braccio destro e lo portò dietro alla schiena, mi aprì il palmo della mano e me lo spinse su una delle natiche, poi con la sua tenera mano, stretta alla mia - palmo a palmo - si mise a esplorare i muscoli delle mie braccia rivolte verso l'alto.
Un'intesa affettuosa attraversava le nostre dieci dita ripiegate, con onde di tenerezza e passione che fluttuavano tra le nostre mani intrecciate delicatamente, mentre con l'altra mano mi massaggiava piano i muscoli della spalla.
Con quel movimento mi trasmetteva un segnale che non avevo mai conosciuto prima, mi apriva una nuova porta dei sensi e illuminava sentieri mai esplorati.
Il mio corpo ora era pieno di vita, vibrante, carico di luce dopo una vita nell'oscurità.
La mano di quell'esile ragazza era il visitatore misterioso della città, l'angelo che nessuno vedeva, ma che con la sua presenza inondava gli spiriti di serenità e tranquillità.
Con una dolce pressione, ferma e misurata, mi massaggiava e mi premeva sulla schiena rivelando una delicata forza.
Non si trattava solo di un massaggio cieco e neutro, quello che mi faceva alle natiche ma in quelle mani c'era un fascino segreto nascosto, che mi si diffondeva per tutto il corpo.
Mi venne la curiosità di guardarla in volto, tanto più che se ne stava in completo silenzio.
Cercai di captare il suo respiro ma non sentii nulla, non ansimava e forse nemmeno respirava.
Pensai a quello che potevo domandarle.
Mi venne in mente di chiederle quando aveva cominciato a fare i massaggi. Mi voltai verso di lei. Avevo appena iniziato la frase quando mi guardò con occhi simili a quelli di una fata di antiche leggende che in un lampo annullavano con la loro esistenza magica, la realtà, e sorridevano prima di scomparire, malgrado l'ambiguità.
Hai letto il mio destino attraverso la mappa del mio corpo? Mi preparai di nuovo, ma persi la memoria nel giardino dei sensi.
Scoprii anche che non avrei potuto rispondere a domande sul mistero delle mani di quella ragazza, se non avessimo ripetuto quell'esperienza.
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Nel mio torpore vidi la zingara che avevo conosciuto un giorno lontano, in un paese che ormai avevo completamente dimenticato, ma di lei ricordo che era slanciata con belle ed esili mani dalle vene evidenti, con lunghi capelli e gambe snelle, che si scoprirono un poco quando si sedette a terra per leggermi la mano.
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Nel sogno, mi si avvicinò, mentre stavo aspettando un taxi per raggiungere un posto che non ricordo e mi disse: " Vuoi che ti legga la mano?" Mi girai verso di lei con un sorriso sarcastico.
I miei occhi incontrarono i suoi d'acciaio, con dentro una lucentezza brillante.
Mi sentii come ipnotizzato da una forza soprannaturale: due potenti occhi neri che stregavano chiunque li guardasse.
Le diedi la mano e lei l'afferrò senza badare ai passanti pieni di curiosità, la osservò attentamente e a lungo, poi disse che le linee della mano erano incomplete.
La guardai a bocca aperta per esprimerle tutta la mia incomprensione.
Fece segno ad un taxi di fermarsi, mi indicò la macchina, io entrai senza esitazione e subito mi si sedette accanto.
Disse all'autista qualcosa in una lingua che non riconobbi, e l'uomo con una lunga barba bianca annuì un paio di volte e ci condusse verso l'ignoto.
Mi voltai verso di lei e rimasi sbalordito: era una ragazza intorno ai venticinque anni.
Ora quando ricordo quel sogno, mi rendo conto che la giovane massaggiatrice non assomigliava molto alla chiromante zingara, ma mi comportai come fosse la stessa persona.
Sempre in quel sogno, le sue cosce splendevano di un bianco intenso, sotto la gonna di jeans rialzata, corta e stretta.
Credo indossasse la gonna sotto una leggera abaya nera. All'improvviso la sua pelle divenne color del grano come se quel candore fosse apparente, e mentre pensavo che il fenomeno fosse tale per via dell'oscurità la pelle si colorò di un bel colore rosato e prima che mi rendessi conto di quel cambiamento improvviso, la sua pelle assunse di nuovo un colore abbronzato che la facevano somigliare ad una affascinante giovane zingara.
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La fissai a lungo, aprì leggermente le palpebre. Una volta cessata la potenza del suo sguardo diretto, potei contemplare la bellezza di quei grandi occhi, mentre i capelli neri, morbidi e pesanti come quelli delle "Jinn" delle favole, le scendevano lungo la schiena, avvolgendole la vita.
Guardai fuori dal vetro appannato, su cui scorrevano gocce di pioggia lucenti. Sembrava uno schermo su cui vedevo le scene di un film girate in tempi e luoghi diversi.
Passammo attraverso città moderne, grattacieli e torri, da cui ci allontanammo rapidamente verso un'ampia strada che correva parallela a una vasta valle verde. Ma non riuscii a distinguere alcun dettaglio a causa della fitta nebbia che ci circindava da ogni parte.
La guardai furtivamente e mi accorsi stupito che la sua testa era calva: non capivo dove fossero i suoi capelli e quando li avesse persi.
La cosa sorprendente era come la testa calva apparisse minuta. I nostri occhi s'incontrarono e notai che mi stava fissando con una crescente e strana tenerezza. Avrei voluto abbracciarla e sentire la sensazione di toccarle la testa, ma non lo feci.
Distolsi lo sguardo da lei e fui assorbito dall'onda dei sogni che per un momento fu in grado di cambiare di nuovo il colore della sua pelle che tornò roseo mentre i capelli mi parevano arrivarle ai piedi.
Ora sembrava una vecchia profetessa dei tempi antichi, che salvava le anime di coloro che ancora non avevano commesso peccati.
Fui completamente rapito ed emisi involontariamente un rantolo, simile a quello di una persona che sta per annegare ma che poi riesce ad uscire dall'acqua.
Mi lanciò uno sguardo che conoscevo bene. Era davvero lo sguardo di una Jinn che sapevo di non dover mai guardare negli occhi.
Mi avevano avvertito, ma dentro di me mi ripetevo che, anche fossi stato attento, non sarei sfuggito al destino.
Non ricordo come passammo dalla macchina a quel luogo spazioso. Un prato verde come quelli che delle fiabe si trovano davanti alle foreste. Stava correndo e io la rincorrevo tuttavia cona sensazione di star scappando da lei.
La mia immaginazione galoppava e capii che non sarei riuscito a raggiungerla.
È così che la mia mente riusciva a ragionare, mentre correvo più veloce del vento e lei, continuando a tenere la stessa velocità, si trasformava in una bambina.
Poi la vidi sollevarsi pochi centimetri da terra e volare, mentre il mio terrore aumentava di pari passo con la mia fantasia che superava ogni realtà; forse era un caso di deja vu, sicuramente avrebbe ritoccato terra e poi si sarebbe rialzata all'improvviso, rivolgendomi un sorriso infantile prima della sua repentina e drammatica trasformazione in un lupo che mi aspettava al varco con un ghigno vorace ed astuto.
E così vidi la scena, prima che accadesse, dentro la mia mente: io non riuscivo a smettere di inseguire la ragazza anche se ero sicuro che si sarebbe fermata all'improvviso, rivolgendosi verso di me nel momento in cui si stava trasformando in lupo.
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Di quale incantesimo ero vittima?
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Potevo sentire le sue parole acute che mi parlavano del mio destino, del mio passato e del mio futuro.
Nel sogno sentivo tutta la purezza del mio animo come se fosse pieno di un'energia di luce incandescente e vedessi davanti a me dettagliatamente tutto il mio futuro di felicità e di miseria. Nel dormiveglia mi resi conto che stavo sognando, ma una forza occulta mi stava spingendo a rimanere in uno stato di incoscienza.
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( Continua )
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Avevamo appena preso il gelato ed eravamo in riva al lago dopo una cena meravigliosa quando, parlando, hai esclamato "Sono geloso!".
Ti ho chiesto la motivazione e mi hai detto che ero un "confettino".
Lí per lí sono scoppiata a ridere e non ci ho dato peso. Solo dopo ho realizzato che non mi era mai stata detta una cosa così bella.
Le persone si son sempre fermate al mio cinismo, alla mia apparente euforia e al mio essere molto pragmatica...tu no. Tu hai visto la dolcezza, la parte da bimba e anche quella da principessa.
Ecco perché ti ho guardato negli occhi e ti ho promesso di passare a prenderti prima di tornare nella mia nuova casa.
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