Tumgik
#neo zapatismo
paoloxl · 6 years
Text
#dibattistafueraya, note a margine su zapaturismo, selfie e strumentalizzazioni
30 SETTEMBRE 2018 |IN CONFLITTI GLOBALI.
Stampa
16017
Pubblichiamo il contributo di Nodo solidale e del blog L’America Latina  che prendono parola sul dibattito, tutto italiano, scaturito dalla circolazione sui social della campagna di allerta #dibattistafueraya.
#dibattistafueraya, note a margine su zapaturismo, selfie e strumentalizzazioni
Dopo la diffusione della grafica sull’esponente del movimento 5stelle che metteva in guardia le comunità indigene, la stampa italiana ha ripreso la campagna contro Di Battista provocandone un'immediata reazione. Di seguito, quindi, slcune parole chiare e decise sul senso di questa “allerta” alle comunità indigene in lotta nel centro America.
(I principali articoli usciti sulla stampa: https://www.repubblica.it/politica/2018/09/28/news/_di_battista_via_dall_america_latina_persona_non_gradita_m5s_migranti-207586876/?ref=fbpr ,  https://www.vice.com/it/article/d3jdjz/campagna-social-per-cacciare-di-battista-america-latina )
 #dibattistafueraya, note a margine su zapaturismo, selfie e strumentalizzazioni
 Al signor Di Battista e ai giornalisti italiani che ci sembrano un po’ confusi rispetto alla cosiddetta “campagna” di allerta #dibattistafueraya e alla sua presunta diffusione in America Latina.
Intanto ci presentiamo: siamo un gruppo di persone, attivisti e attiviste italiane che vivono in Messico, e tra noi alcuni fanno riferimento al collettivo Nodo Solidale, altri al blog L’America Latina. Quando abbiamo letto il reportage intitolato “I nuovi zapatisti con la Coca-Cola”, uscito sul Fatto Quotidiano il 23 settembre a firma di Alessandro Di Battista, abbiamo sentito l’esigenza di avvisare le comunità e le resistenze con cui abbiamo contatti politici, costruiti in anni di permanenza e lavoro sul campo sia come attivisti sia come ricercatori, su chi fosse costui. Si tratta infatti di un personaggio che, approfittando della generosa ospitalitàdei popoli di queste terre, entra in incognito nelle comunità in resistenza per raccogliere informazioni, scattare fotografie e, infine, scrivere articoli di dubbia veridicità, fare pubblicità a se stesso e indirettamente legittimare le politiche razziste e xenofobedell’attuale governo italiano, guidato da un partito di cui è stato fondatore e di cui è tuttora un esponente molto in vista. Abbiamo deciso di avvisare le comunità perché in America Centrale hanno altro a cui pensare e non conoscono i volti e i profili politici della politica italiana.
I giornali italiani, con titoli come “Fascista vattene” o “Una taglia sul pentastellato” hanno strumentalizzato e travisato il nostro messaggio, tanto che sui social network siamo stati accusati di diffondere fake news. Per questo motivo, prima di tutto ci sembra opportuno offrire una traduzione corretta in italiano del testo incriminato:
“Allerta! A tutte le comunità e resistenze nuestroamericane. Attenzione. Questo signore, Alessandro Di Battista, sta viaggiando per il Centroamerica facendo reportage e foto sui processi di resistenza. Si presenta come un cooperante di sinistra, ma in realtà è un leader del M5S, partito italiano che è al governo, il quale sostiene posizioni fasciste e razziste contro migranti africani, asiatici e latinoamericani.”
Come si può notare, nel testo gli attributi di “fasciste e razziste” sono riferiti alle politiche dell’attuale governo italiano e non alla persona di Di Battista. L’obiettivo del nostro intervento, ripetiamo, è stato quello di comunicare alle comunità locali il ruolo di Di Battista nella politica italiana, affinché potessero prendere una decisione informatasul lasciarlo entrare o meno nei propri spazi. Non vi è quindi nessuna campagna di diffamazione né alcuna news da dichiarare fake, dato che si fa riferimento a cose scritte dallo stesso Di Battista sul Fatto Quotidiano. Inoltre, in nessun modo si è voluto far credere che l’avviso fosse stato ideato e diffuso dalle comunità locali, così come sostenuto da chi ci accusa. Se l’avviso non è rivendicato da una firma, non è per giocare su tale ambiguità, ma perché non siamo alla ricerca di pubblicità personale.
In incognito tra gli zapatisti
Quello che negli anni abbiamo imparato dai popoli dell’America Latina, come italiani, è proprio riconoscere il nostro privilegio coloniale. Abbiamo imparato che l’unico modo di appoggiare le lotte indigene e le resistenze di questo continente è quello di imparare ad ascoltare, di stare in silenzio, di tradurre e riportare le parole di questi popoli e non le nostre analisi e considerazioni spicciole, prodotto di uno sguardo etnocentrico e colonialista.
Il solo fatto di entrare in una comunità zapatista senza presentarsi per ciò che si è, ovvero un esponente di un partito al governo in un altro paese, è di per sé un fatto gravissimo. Lo è ancor di più se tale partito è alleato con una forza dichiaratamente di estrema destra che porta avanti politiche migratorie simili a quelle di Donald Trump negli Stati Uniti.
L’omissione sulla sua identità non può essere considerata una sottigliezza visto che dalla sua visita al caracol di Oventik nasce, appunto, uno scritto pubblicato a livello nazionale in cui non mancano elementi di un paternalismo trito, come quando dice di non spiegare agli zapatisti che lo accolgono chi veramente sia perché “sarebbe troppo complicato spiegarglielo”, sottintendendo che gli zapatisti non potrebbero capire -o forse che se l’avessero saputo non l’avrebbero fatto entrare? O elementi di pura banalità, come quando tira fuori la polemica trita e ritrita della Coca Cola, già ampiamente smontata dal fu Subcomandante Marcos. O elementi di grave e pericolosa falsità, come quando il nostro afferma che “la loro autonomia non è più minacciata dall’esercito nazionale e dai politici messicani”: niente di più falso. Niente di più nocivo per le stesse comunità, che negare la guerra di bassa intensità e la militarizzazione alla quale sono costantemente sottoposte, con il pretesto di una fittizia “guerra al narcotraffico” del governo. Tutti questi elementi sono ampiamente spiegati dal testo, uscito sul portale Camminar Domandando, dal titolo: “Sta rottura de cojoni degli zapaturisti”.
Per non parlare del fatto che, in un reportage anteriore, Di Battista, esattamente come aveva fatto il suo amico/nemico Roberto Saviano, ha avvalorato la tesi ufficiale del governo messicano per la quale i 43 studenti desaparecidos di Ayotzinapa sarebbero stati bruciati in una discarica, tesi di cui più volte si è provata la falsità e mala fede di funzionari e apparati dello Stato nel negare un crimine di lesa umanità (Link 1 GIEI-OAS – Link 2 Mastrogiovanni – Link 3 Lorusso). Questa tesi serve al governo per chiudere il caso e colpevolizzare fantomatici “cartelli” locali. Contro di essa i movimenti delle vittime, i genitori degli studenti e i movimenti sociali in generale si battono da 4 anni a questa parte. L’articolo di Di Battista è sintomo di una lettura quantomeno superficiale, e denota una grave e pericolosa disinformazione rispetto ai temi trattati.
“Un mundo donde quepan muchos mundos”
Una delle idee centrali dello zapatismo è riassunta nella frase Un mundo donde quepan muchos mundos, “Un mondo che contenga molti mondi”. È un concetto nato al calore del movimento No Global per un altro mondo e un’altra globalizzazione come orizzonti possibili, il quale vuole celebrare l’apertura radicale, dal basso e a sinistra, alla molteplicità di razze, persone, generi, culture, orientamenti sessuali e migrazioni. L’autonomia zapatista è la lotta per la difesa della vida digna e del territorio, e non per la salvaguardia di interessi nazionali. A Genova nel 2001 ci si oppose alla globalizzazione neoliberale con lo slogan “libertà di movimento, libertà senza confini“.
Niente a che vedere con il sovranismo nato dal vento di estrema destra che sta invadendo l’Europa. Niente a che vedere con il letale blocco dei porti. Niente di più lontano dalla critica alla globalizzazione che Di Battista traccia rozzamente nel suo “reportage”, nel quale si mescolano le terminologie e il sovranismo nazionalista del governo italiano viene confuso con la sovranità alimentare e l’autonomia per le quali le comunità zapatiste, e non solo, hanno lottato e lottano.
Con la mediatizzazione del suo viaggio in America Latina ci pare che Di Battista voglia giustificare il tendenzioso “aiutiamoli a casa loro”, con l’obiettivo di dare un volto umano a politiche di respingimento e allo sdoganamento di discorsi xenofobi. Altrettanto strumentali ci sembrano le sue considerazioni sul razzismo, come quando afferma che “è un fenomeno legato all’ignoranza e alla povertà”. Anche in questo caso, Di Battista sorvola sulle nozioni di suprematismo bianco e colonialismo che stanno alla base del razzismo.
La PDiozia di Ale
Nella diretta Facebook in cui ha risposto alla “tremenda campagna” diffamatoria rivolta alla sua persona, Di Battista, sottintende l’esistenza e la possibilità di una sola sinistra, alludendo al PD e al marcio mondo che lo circonda. Ci teniamo a mettere in chiaro una cosa. La nostra avversità nei confronti di Repubblica e De Benedetti è totale. Il loro classismo neo-pariolino e il razzismo di 5 Stelle e Lega sono due facce della stessa medaglia, si alimentano e legittimano a vicenda come strategie diverse di una stessa guerra ai poveri.
Non abbiamo nulla da spartire né con i seminatori d’odio razziale che ci nascondono quotidianamente la figura dei padroni per esibire solo il facile bersaglio dei migranti, né con la falsa “sinistra” del Partito Democratico, e di Banca Etruria. Noi non pensiamo che la globalizzazione neoliberista si contrasti scaricando il suo peso sugli ultimi, facendo affondare i barconi di migranti in mare o sparandogli nelle vie di Macerata, ma affrontandone le cause, l’accumulazione di capitale su scala globale e le conseguenti disuguaglianze, costruendo autonomie e alleanze a livello internazionale, contro tutti i confini.
Vogliamo riaffermare l’esistenza di un’opposizione sociale in Italia, come nel mondo, che si posiziona in basso a sinistra e che è composita e variegata. L’abbiamo vissuta e attraversata nei movimenti contro il Jobs Act, la Buona Scuola, i decreti Minniti-Orlando e Salvini (drammaticamente simili tra loro), nel movimento globale Non una di meno contro la violenza maschile e di genere, nelle lotte autonome dei migranti, nella risposta popolare agli attentati razzisti di Macerata e non solo. Quell’opposizione sociale che in Messico indossa il passamontagna e lotta per la autonomia nelle montagne del Chiapas. Quell’opposizione sociale che tutt’ora ci permette pronunciare la parola “politica” senza doverci vergognare.
Così, come abbiamo appoggiato queste lotte in Italia, siamo solidali con le lotte dal basso e a sinistra in America Latina tutti i giorni, e non lo facciamo per andare a caccia di selfie, voti e visibilità sul Fatto Quotidiano.
PS: mentre sulle reti sociali montava la polemica sulla “bufala” della nostra campagna, sul “povero” Di Battista in presunto pericolo di vita perché minacciato da comunità armate, ci giunge la notizia che a Roma, città amministrata dal Movimento 5 Stelle, è in corso uno sfratto. Nel quartiere di Villa Gordiani varie persone, tra cui una pensionata di 70 anni, sono state sfrattate da case popolari e quattro di loro sono agli arresti. Tutto questo ci ferisce molto, ma molto di più del tuo viaggio da Lonely Planet in Centroamerica, caro Dibba.
“La IV Guerra Mondiale, con il suo processo di distruzione/spopolamento e ricostruzione/riordinamento, provoca la dislocazione di milioni di persone. Il loro destino sarà di continuare ad essere erranti portandosi il proprio incubo sulle spalle, e di rappresentare, per i lavoratori impiegati nelle diverse nazioni, una minaccia alla loro stabilità lavorativa, un nemico utile a nascondere la figura del padrone, e un pretesto per dare un senso all’insensatezza razzista che il neoliberismo promuove.”
Subcomandante Marcos, Le sette tessere ribelli del rompicapo globale
“Bisogna organizzarsi. Bisogna resistere. Bisogna dire “NO” alle persecuzioni, alle espulsioni, alle prigioni, ai muri, alle frontiere. E bisogna dire “NO” ai malgoverni nazionali che sono stati e sono complici di questa politica di terrore, distruzione e morte. Da sopra non verranno le soluzioni, perché lì sono nati i problemi.”
Subcomandante Insurgente Moises, Subcomandante Insurgente Galeano, I muri sopra, le crepe in basso (e a sinistra)
https://lamericalatina.net/
1 note · View note
teoriapoliticauab · 3 years
Text
¿ Y las ideologías mestizas ? : el neozapatismo
"El marxismo en América Latina se ha enfrentado siempre a la necesidad de su aplicación a la realidad especifica latinoamericana" (V. Mikecin)
  La lectura que se da del marxismo en el Abya Yala (nombre decolonial que se le da a América latina) es distinta a la que se le da en Europa, esto se debe, entre otras razones, al hecho de que históricamente este subcontinente ha sido un campo privilegiado de la explotación imperialista. Frente a esta se han dado varios intentos de aplicar las ideas del socialismo para hacer frente a la explotación. 
  La revolución marxista por excelencia en el Abya Yala es la Revolución Cubana de 1959, sin embargo, hoy en día vemos experiencias distintas, y bastante únicas, como la del Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN). El zapatismo, hoy neozapatismo, ha cuestionado al neoliberalismo y ha reivindicado los derechos de los indígenas desde comienzos del siglo XX con Emiliano Zapata hasta el día de hoy con el EZLN encabezado por el Subcomandante Marcos. 
    El EZLN recoge tres características de Marx en su origen : la aspiración liberadora ; una racionalidad crítica de lo existente y la unidad de teoría y práctica. Pero a esto se puede añadir que se trata a la vez de un movimiento indígena que integra elementos de la cosmología maya mesoamericana. Podemos ver en la Sexta Declaración de la Selva Lacandona que el plan de acción del EZLN se encuentra en un marco "mestizo" definido por la síntesis entre estas dos maneras de ver el mundo de dos culturas lejanas. En definitiva, en él coexisten tres dimensiones que permiten definir al (neo)zapatismo como “un levantamiento indígena en busca de autonomía, una lucha de liberación nacional y una rebelión por la humanidad y contra el neoliberalismo” (Baschet 2002). 
  Para adentrarnos en esta lectura latinoamericana del marxismo, podemos citar al mayor exponente de la “experiencia marxista” en Latino América: el Che Guevara que, en su obra La Guerra de Guerrillas, analiza las bases teóricas de la guerrilla latinoamericana. El modelo cubano sería el de la guerrilla como método de lucha revolucionaria, esta modalidad de lucha es un método para lograr un fin : la conquista del poder político. 
La guerrilla es vista como prueba de la capacidad del pueblo de liberarse de la opresión. Para el Che, la lucha guerrillera nace como “contra-estado” cuando “la paz es rota por las fuerzas opresoras” El descontento popular, cuando se encuentra frente a la imposibilidad de la lucha cívica, daría lugar a la creación de condiciones necesarias para la lucha revolucionaria. La lucha guerrillera, es entonces lucha de masas. La guerrilla sería el método utilizado para alcanzar emancipación política y social y constituiría un instrumento fundamentalmente popular : "la guerrilla, como núcleo armado, es la vanguardia combatiente del pueblo, su gran fuerza radica en la masa de la población". 
Vemos entonces presente la idea guevarista de la guerrilla donde “la esencia misma de la lucha de guerrillas es precisamente la disposición a morir no por defender un ideal, sino por convertirlo en realidad”. La figura del sujeto revolucionario entra entonces en juego. 
En el EZLN, el sujeto revolucionario son los indígenas rebeldes, y tiene como base las comunidades indígenas y campesinas. Esta última es una de las características más notables del ejército zapatista ya que responde a una lucha indígena y retoma la idea de Guevara según la cual "el núcleo combatiente del ejército guerrillero debe ser campesino.”
Sin embargo, los modelos de guerrillero guevarista y zapatista no coinciden, y por ende, podemos creer que el guerrillero zapatista no corresponde al guerrillero marxista. Mientras que el guerrillero guevarista busca tomar el poder político para establecer un sistema socialista tras abolir el sistema injusto en lugar. El guerrillero zapatista, también reformador social, sin embargo, busca una reforma sin ruptura. Esto lo vemos con el abandono de las armas tras la revolución de 1994. La guerrilla entonces no sería concebida por los neozapatistas como un método revolucionario para conquistar el poder sino un método para reformar el poder político. Rompiendo así con la concepción marxista tan presente en el origen del EZLN. 
  La doble traducción
Esta distanciación del marxismo, entre otras, fue consecuencia del “contagio” producido entre las cosmologías urbano-occidentales y las de origen maya mesoamericano. 
El primer acercamiento entre el primer núcleo de combatientes fundadores del EZLN y los pueblos campesinos indígenas del Chiapas fue un proceso largo. Los jóvenes educados y venidos de la ciudad portaban una ideología : el marxismo revolucionario, que querían expandir. El contacto era, de inicios, de una sola vía con un núcleo guerrillero quería jugar el rol de “sujeto de conocimiento” frente a los “objetos a conocer”.
Sin embargo, esta relación unidireccional no duraría mucho, dejando paso a una relación de “traducción entre mundos”. Para Walter Mignolo (2001), se da un proceso de doble traducción de los pensamientos de las afluentes “urbanas occidentales” y las que se construyen con la cosmovisión indígena maya. Uno de los actores de este proceso es el subcomandante Marcos, uno de los primeros guerrilleros del núcleo urbano, que declara : 
“Algo había pasado en todos los años previos, décadas previas, siglos anteriores. Nos estábamos enfrentando a un movimiento de vida que había logrado sobrevivir a los intentos de conquista de España, Francia, Inglaterra, Estados Unidos, y de todas las potencias europeas, incluyendo la Alemania nazi. Lo que había hecho resistir a esta gente había sido un apego a la vida que tenía que ver mucho con la carga cultural. La lengua y la forma de relacionarse con la naturaleza presentaban una alternativa no sólo de vida, sino de lucha. No les estábamos enseñando a nadie a resistir. Nos estábamos convirtiendo en alumnos de esa escuela de resistencia de alguien que llevaba cinco siglos haciéndolo.”
Al inicio, el movimiento adhería a una concepción leninista del poder y guevarista en la estrategia, sin embargo, esto cambia al acabarse los enfrentamientos armados con el ejército federal. Poco a poco, el neozapatismo entra en contacto con más diversas organizaciones y movimientos populares y sociales que enriquecen el “entramado ideológico” del EZLN. Este fenómeno se da sin que este abandonase la tradición marxista revolucionaria y sus herramientas que usan “con cierta libertad y mezclándolas, a veces en forma creativa, con otras referencias” (Baschet 2000). 
  Así, podemos decir que el pensamiento neozapatista es una simbiosis entre distintas teorías políticas occidentales y cosmología mesoamericana. Entre sus orígenes podemos al marxismo, teñido de influencias gramscianas, castristas y hasta liberales que luego integran parábolas cristianas al acercarse a la teología de la liberación además de una doble traducción cultural. 
En definitiva, esta experiencia nos revela que “somos (el Abya Yala) producto de 500 años de luchas”. *
Amira S
  *1ra Declaración de la Selva Lacandona. EZLN. Chiapas, México, 1993.
Fuentes 
Fava, J. (2010, 10 junio). Raíces mítico-históricas de la ideología neozapatista*. La Revolución Seminal. http://larevolucionseminal.blogspot.com/2016/06/raices-historicas-ideologia-neozapatista.html
Mignolo,  Walter.  2002.  La  Revolución  teórica  del  zapatismo.  Consecuencias,  históricas,  éticas y políticas. San Cristóbal de las Casas: cideci, Unitierra.
Báez, René. Neozapatismo. (2019, 4 enero). América Latina en movimiento. https://www.alainet.org/es/articulo/197360
Rojas, G. G. (2013). Doble traducción y contagio de cosmologías: marxismo y cultura indígena maya en el EZLN. Península, 8(1), 25-46. https://doi.org/10.1016/s1870-5766(13)71790-2
1 note · View note
betoxalapa · 5 years
Text
CICLO NARRATIVO DE CHIAPAS (I) "Juan Pérez Jolote / José Miguel Naranjo
CICLO NARRATIVO DE CHIAPAS (I) “Juan Pérez Jolote / José Miguel Naranjo
En el presente año se están cumpliendo veinticinco años del levantamiento del Ejercito Zapatista de Liberación Nacional, este hecho hizo que la comunidad nacional e internacional se interesara en conocer los postulados del neo zapatismo, sus demandas de justicia y derechos exigidos en favor de los pueblos indígenas. En la actualidad el movimiento sigue vigente y particularmente el Estado…
View On WordPress
0 notes
facingthesun97 · 7 years
Link
“ Marcos says the Zapatistas do not seek to seize power like traditional guerillas, but instead, pursue “a revolution to make a revolution possible”—opening a space for dialogue within civil society on how to reconceive the world. “
  “ “Neoliberalism”—commonly called “free trade” in the US—was recognized as a threat to democracy, labor rights, and public control over land and resources by communities far removed from the stark survival struggle in Chiapas. “
“ “Globalization, neoliberalism as a global system, should be understood as a new war of conquest for territories,” Marcos wrote in a 1997 communiqué. “
“ The emergence and survival of the Zapatista movement raise the question of whether globalization will merely destroy indigenous culture, or if it can be made reciprocal, bringing Maya traditions of resistance to bear in expanding democracy on planet Earth. This question is more challenging than ever as neo-Zapatismo enters its second decade. “
0 notes
jamariyanews · 7 years
Text
The Arts and the Sciences in the History of (neo) Zapatismo
Words of Subcomandante Insurgente Galeano Presented December 28, 2016 Translated January 23, 2017 EZLN Last night I spoke to you about the interplanetary upheaval that had given rise to the question “Why is this flower this color? Why does it have this shape? Why does it have this scent?” Ok, maybe I was exaggerating with...
Read More
http://ift.tt/2jPtNuW
0 notes
paoloxl · 7 years
Text
Una donna di sangue e lingua indigena si candiderà, indipendente, alle elezioni presidenziali 2018
E' ufficiale. Il Congresso Nazionale Indigeno ha detto si “all’assurda proposta” della candidatura indipendente di una donna indigena alle elezioni presidenziali messicane del 2018.
Dopo due giorni di riunioni serrate al Cideci, oggi, 1 gennaio 2017, la conclusione della seconda tappa del quinto congresso ha dato il risultato. I delegati dei 43 popoli indigeni (sui 65 riconosciuti nel paese) hanno festeggiato il 1 dell’anno sui pullman che accompagnava loro nei punti di ospitalità, perchè la riunione conclusiva del 31 dicembre ha avuto tempi lunghi ed è finita molto tardi. Qualcosa di più importante di una festa era in discussione.
23 anni dopo la sollevazione zapatista una proposta audace e spiazzante è nata dalla fulgide menti delle donne e uomini con il passamontagna. Senza sparare un colpo, stavolta, giocano la contraddizione più grossa sul piatto ovvero partecipare alle elezioni. Certo non come Zapatisti ed EZLN ma come Congresso Nazionale Indigeno, decidendo di investire su un soggetto politico che ha avuto bisogno di 20 anni per uscire dall’anonimato della resistenza silenziosa, poichè non considerata dai media, è passare all’attacco della rivendicazione più grossa possibile: entrare nella tornata elettorale rompendo certezze e minando gli equilibri del rimbalzo del potere tra i vari partiti, che come ricordato dal SupGaleano in questi giorni, cambiano nomi e colore ma restano la stessa cosa. Una proposta che nasce nel solco del (neo)zapatismo e nel protagonismo sempre maggiore delle comunità in resistenza più che dell’EZLN, per quanto la stampa e l’isteria politica possano far dire.
Un modo diverso di fare è alla base della candidatura: la delegata del CNI che riassume gli accordi presi ricorda come il 75% delle comunità ha accettato la proposta (su 525 che si sono consultate 430 han detto si e 80 stanno finendo la discussione), che l’idea nasce per rompere i tentativi di divisione e frazionamento delle popolazioni indigene che i partiti e il capitalismo operano in maniera sistematica, e che la donna che sarà candidata non godrà di una delega in bianco, ma potrà essere sostituita se le condizioni lo chiederanno, e che non si partecipa alla elezioni per il potere ma per difendere i cieli e la terra del Messico.
Come si è arrivati alla proposta e all’accettazione già l’ho scritto qualche tempo fa, e meglio di me ha fatto Luis Hernandez Navarro sulle pagine della Jornada.
Facendo un paragone, forse un pò forzato, è come se in Italia, alle prossime elezioni, si candidasse una donna migrante senza permesso di soggiorno come primo ministro. Solo in quella dimensione si può capire perchè il SupGaleano ad ottobre definì la proposta “assurda”.
Da oggi la sfida è aperta, stare indipendenti dentro le elezioni rifiutando il potere politico e le istituzioni. La partita si gioca in uno spazio chiamato autonomia, che nato dentro la rivolta zapatista è diventata opzione d’interesse per molte e molti nel Messico. E’ anche chiaro che il maggior investimento dell’EZLN nei confronti del CNI è legato alla poca sostanza politica creatasi nel rapporto con la società civile e i tradizionali gruppi politici messicani. Investire sul CNI è stato un passo iniziato nel 1996, ma ha avuto certamente un accelerazione negli ultimi anni. Il tempo della resistenza batte forte nelle comunità originarie, e pian piano anche il lessico e le posizione politiche si sono avvicinate alle proposte zapatiste. Proporre e non imporre, convincere e non sconfiggere sono il 5° e 6° principio del “camminare domandando” dell’EZLN, ed è quello che è successo nei 20 anni di CNI.
Il SupMoi dice che le condizioni nel paese oggi sono peggiori di quelle di 23 anni fa, e che “i nostri fratelli del CNI hanno deciso di gridare il loro YA BASTA! e che non lasceranno che il paese venga distrutto”. Aggiungendo che “noi per la nostra insurrezione ci siamo preparati per 10 anni, il CNI ci ha messo 20 anni per mostrarci oggi il buon cammino”, “siamo pronti a seguirli?”.
La risposta dell’EZLN è si, siamo pronti. Saremo la loro spalla. Ma come già annunciato le donne e gli uomini zapatisti, tenendo fede al percorso di autonomia, non voteranno. Daranno tutto il supporto necessario.
A fine maggio 2017, un nuovo Congresso Nazionale Indigeno è chiamato ha costruire dal basso, e a sinistra, il percorso elettorale, il consiglio di governo indigeno e individuare la donna di sangue e lingua indigena, non zapatista, che si candiderà.  Uno, tra i tanti, scogli che EZLN e CNI dovranno superare è quello di raccogliere le 850mila firme, distribuite tra diversi stati messicani, per portare la candidatura alla realtà.
Cosa accadrà adesso? La retorica delle sinistre istituzionali incolperà la candidata per la loro sconfitta elettorale, le destre grideranno. Un attore non considerato e con il quale non si può trattare cambia lo scenario del tragicomico mondo della politica istituzionale messicano.
Ad Oventik oggi c’erano davvero migliaia di persone. Una diarrea mi confina per ore nella notte nel purgatorio dell’ipotesi di non poter andare all’atto che segna “la sfida zapatista più grande degli ultimi 23 anni”, come la definisce Gloria Muñoz Ramirez. Medicine a acqua con il limone mi danno la forza di prendere un combi e arrivare al Caracol numero 2 alle 11 e mezza circa. La coda è lunga. Da una parte il CNI, con i suoi colori, dall’altra il pubblico, stranieri e messicani. Entrano prima gli indigeni del Messico, accolti da due fila di miliziani zapatisti che fanno gli onori di casa. I miliziani poi si mettono ai lati dell’auditorium di Oventik dove si svolgerà l’atto. Poi entrano le donne straniere e messicane. Attenzione che in alcuni casi disturba le compagne più sensibili alle questioni di genere, ma che è facilmente comprensibile come atto simbolico nella rottura degli stereotipi della società occidentale. Per ultimi noi uomini. Arrivo all’auditorium che è già stracolmo in ogni ordine di posto, tipo il derby Milan-Inter di Champions League (dove il Milan vince e va avanti), fa caldo, tanto che è come nel lontano 2008 li a Oventik e riesco a soffrire il caldo. Il comandante David apre, il Subcomandante Moises chiude, in mezzo parlano delegati del CNI, i genitori dei 43 studenti di Ayotzinapa, e viene letto il documento conclusivo del congresso. Torno di corsa, prima che le migliaia di persone provino a scendere a San Cristobal. Il tempo di un tweet. E poi scopro che tutti gli ospiti del Caracol sono stati invitati a pranzo. Il mio stomaco non l’avrebbe comunque permesso.
Una nota dolente è dedica al pubblico non indigeno. Troppo spesso davanti alle convocazioni zapatiste non si riesce a capire quale sia il ruolo “nostro”, ma questa volta sembrava tutto molto chiaro. Invece il protagonismo non indigeno si fa vivo nell’attesa dell’inizio dell’atto con cori gridati e rigridati che hanno un solo effetto; far si che l’atto iniziasse solo davanti ad un attimo di silenzio. Mentre la delegata del CNI chiede agli ascoltatori indigeni non delegati se sono daccordo con le decisioni prese, a gridare SI sono i non indigeni. I cori un paio di volte stoppano i genitori dei 43 di Ayotzinapa che stavano cercando di iniziare il proprio intervento. La fotografia dell’incapacità di stare al proprio posto spiega meglio da tante parole il perchè l’EZLN ad un punto della sua storia abbia deciso di investire sulle popolazioni originarie ancora prima che sul popolo meticcio del Messico.
Ora lo stomaco torna a brontolare, un bagno vicino, le medicine alla mano, finalmente, ma la verità è non ci poteva essere altra possibilità se non quella di sforzarsi per essere acconto ai popoli indigeni e ascoltarli dare il tempo di una proposta tanto assurda e contraddittoria da trasformare anche le elezioni in spazio di lotta e ribellione.
http://www.globalproject.info/it/mondi/una-donna-di-sangue-e-lingua-indigena-si-candidera-indipendente-alle-elezioni-presidenziali-2018/20564
0 notes