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#michela ponzani
paoloferrario · 2 days
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Rosario Bentivegna, Senza fare di necessità virtù. Memorie di un antifascista, Einaudi
scheda dell’editore: Senza fare di necessità virtù Nato in una nobile famiglia siciliana impegnata nelle lotte per il Risorgimento, Rosario Bentivegna è stato protagonista (e testimone) di alcuni momenti cruciali della storia d’Italia del Novecento. In un confronto serrato con la storica Michela Ponzani (e attraverso documenti inediti tratti dal suo archivio personale, oggi conservati presso…
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lamilanomagazine · 2 months
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In Campidoglio la terza edizione del Premio "RomaRose-Non solo 8 marzo". 19 donne premiate
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In Campidoglio la terza edizione del Premio "RomaRose-Non solo 8 marzo". 19 donne premiate. Roma, 7 marzo 2024 – Sono 19 le donne premiate nel corso della terza edizione di "RomaRose – Non solo 8 marzo" che si è svolta ieri nella Sala della Protomoteca in Campidoglio. L'iniziativa è stata promossa dalla presidente dell'Assemblea capitolina Svetlana Celli. A portare i saluti istituzionali il sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Nel corso della cerimonia, presentata dalla giornalista Rai Monica Marangoni, sono state premiate personalità che si sono particolarmente contraddistinte in diversi settori. I riconoscimenti sono stati conferiti a Margherita Cassano, presidente Corte Suprema di Cassazione; Ilaria Capua, virologa; Lavinia Biagiotti, stilista; Pina Traini, giornalista Sala Stampa Vaticano; Annamaria Tribuna, maggiore pilota Aeronautica militare; Olivia Tassara, responsabile eventi Ferrovie dello Stato; Michela Ponzani, docente storia contemporanea e conduttrice tv; Anna Tatangelo, cantante; Barbara Marinali, presidente Acea; Maria Stella Giorlandino, presidente Fondazione Artemisia; Simona Rolandi, giornalista Rai; Eleonora Di Cocco, illusionista; Veronica Nicotra, segretario generale Anci; Iside Castagnola, Corecom Lazio; Marta Filippi, doppiatrice/attrice; Paola De Marinis, imprenditrice; Caterina Bellandi, tassista che accompagna in ospedale bambini che hanno bisogno di cure; Andreea Stefanescu, 1° aviere scelto A.M, atleta ginnasta; Federica Pucciariello, cuoca. "Sono davvero felice ed emozionata. RomaRose è un premio con il quale diamo merito a tutte le donne che sono riuscite a farcela e che sono un esempio per le più giovani. Hanno dimostrato che con passione, entusiasmo, studio, competenza, capacità, abnegazione, senso del dovere, è possibile raggiungere qualsiasi traguardo. Questo appuntamento è anche un'occasione per riflettere sulle tante conquiste fatte e su tutto ciò che ancora possiamo e dobbiamo fare tutti insieme per donne libere e per il rispetto dei loro diritti in ogni parte del mondo", afferma la presidente dell'Assemblea capitolina Svetlana Celli. La presidente Celli è stata affiancata durante le premiazioni da: Giovanni Malagò, presidente Coni; Guillermo Mariotto, stilista; Eugenio Martis, generale V. Capo 5° Rep. Stato Maggiore Difesa; Alberto Stancanelli, capo Gabinetto Roma Capitale; Miguel Gotor, assessore alla cultura Roma Capitale; Paolo Olmi, direttore d'orchestra; Nicola De Bernardini, vice capo di Gabinetto di Roma Capitale; Alvaro Moretti, vicedirettore de Il Messaggero; Emanuele Blandamura, ex pugile campione europeo, dirigente Opes; Massimo Bagnato, comico; Jimmi Ghione, giornalista; Francesco Rattà, vice questore; Mario De Sclavis, comandate generale Polizia Locale Roma Capitale; Carmine Barbati, vicepresidente vicario Assemblea Capitolina; Eugenio Patanè, assessore alla mobilità Roma Capitale; Salvatore Sanzo, dirigente sportivo ed ex schermidore; Antonio Pelosi, imprenditore Albergo Etico.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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gregor-samsung · 3 years
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“ Per l’universo femminile, il passaggio alla consapevolezza di dover lottare contro il fascismo, l’avvio verso lo «scatto ulteriore», attraverso le riflessioni critiche che maturano lentamente per un accumulo di esperienze, fino all’opzione militare d’impugnare le armi, non è automatico né scontato. Eppure in quell’autunno del ’43 non c’è molta scelta: la Resistenza o la si fa o non la si fa, non si danno altre soluzioni. Ma «fare il salto» è un momento complicato attraversato da ansie, da tormenti interiori, da drammi vissuti giorno dopo giorno, tra incertezze e dubbi; è proprio questa drammatica dimensione vissuta da un’intera generazione di giovani a ricordarci che se la storia della Resistenza italiana si è legittimata soprattutto da un punto di vista politico, essa è stata in primo luogo un fenomeno militare fatto anche di errori e inesperienze, ma che certamente non era scontato. «Fino a 18 anni mi è sembrato che studiare, andare qualche volta al cinema e leggere i libri che allora circolavano fosse tutto quello che potevo fare», ha scritto Wilma Angelini: «In me non si era ancora sviluppato alcun senso critico per la vita che stavo vivendo, accettavo tutto. Fu un tormento, ma ancora non sapevo trovare una via di uscita da ciò che avevo considerato importante fino ad allora». In questa battaglia, che si conduce giorno dopo giorno, anzitutto con se stessi; nei percorsi di questa «guerra dentro» che si accende di entusiasmi giovanili ma che può anche impantanarsi tra affanni, inquietudini e paure, non c’è spazio per la dimensione epica o retorica degli eventi, per il culto dei martiri nazionali, che invece la narrazione e l’uso politico della Resistenza tenderanno a rinchiudere nel topos narrativo dell’unità celebrativa del «secondo Risorgimento» nazionale; nell’idea, cioè, di una guerra combattuta e vinta quasi esclusivamente per cacciare dal sacro suolo dell’Italia il «tedesco invasore». «S’alternavano in me momenti di gioia a momenti di abbattimento e di sgomento come nel caso del suicidio di Renzo Reggiani, il quale si buttò dal pianerottolo dell’Accademia per paura di parlare»; in questa sintetica espressione sta il senso del travaglio interiore vissuto da Cesarina Davoli nel corso della sua attività di resistenza nel Modenese. Ma poi quelle giornate sono anche scandite, per lei come per molte migliaia di ragazzi, dalla dimensione giovanile di un’esperienza fatta soprattutto di antiretorica perché frutto di una partecipazione che è rischio, azione ma anche incoscienza. Cosí, quando «il 1° maggio 1944, in occasione della Festa del lavoro», un compagno di fabbrica le offre un «garofano rosso», è proprio la dimensione di una lotta pervasa anche dall’incoscienza a irrompere sulla scena. «Lo appuntai sul manubrio della bicicletta e tutta gongolante, perché consapevole del significato arrivai all’ufficio». Sono anche queste le azioni che fanno la «decisione ardita», come la definisce in quei giorni la comunista Rita Montagnana, che induce la soggettività femminile a uscire definitivamente dalla dimensione privata del vivere per abbracciare l’utopia del cambiamento. Ma se la guerra partigiana è stata capace di legittimarsi come una scelta di natura politica, perché è proprio dalla stagione del ’43-45 che scaturiscono la democrazia costituzionale e la Repubblica, ciò lo si deve al fatto che a priori vi sono stati giovani uomini e donne capaci di farsi carico del dolore, del peso e della responsabilità d’impugnare le armi. Non a caso quel biennio è stato descritto a posteriori come una fase irripetibile ed esaltante della propria esistenza, spesso raccontato col rammarico di chi solo per un breve momento ha potuto farne parte. «Il periodo piú bello della mia vita che mi ha fatto maturare piú di ogni altra cosa […]. Ma non per quello che io ho dato alla Resistenza; per quello che la Resistenza ha dato a me». Con queste parole, non prive di malinconia e rimpianto, Antonella Laghi, staffetta dell’VIII brigata Garibaldi di Bologna, ha ricordato la sua esperienza di partigiana. Le donne sentono che è «giunto il loro particolare momento cioè il momento della liberazione da quelli che erano stati per secoli i vincoli, i legami che le tenevano in condizione d’inferiorità» [La donna per la rinascita e la solidarietà popolare (dal I al II Congresso dell’UDI)]. È questa una rivoluzione dal sapore totale, palingenetica, che spiega come l’accesso alla militanza antifascista non sia connesso in maniera automatica, immediata, fors’anche un po’ retorica, con la dimensione di un impegno politico-ideologico che ha come presupposto un mutamento generale e definitivo del vecchio mondo fascista e della vecchia società italiana degli anni di regime. Liberare il paese dalla «barbarie teutonica» è solo il punto di partenza per la realizzazione di una società piú equa, e per l’avvio di un processo di democratizzazione dove l’impegno di tutte costituisce realmente la base su cui saldare l’orizzonte borghese tradizionale dei diritti civili – consegnato dall’esperienza politica dell’Europa ottocentesca – a una dimensione di giustizia sociale. «La lotta partigiana – ha scritto Maria Tassani – era dura ma anche piena di soddisfazioni. Per undici mesi abbiamo dato il nostro meglio per aiutare i fratelli e i compagni perché ciò non si faceva solo per salvarli ma anche per una causa giusta che sia quella di rinnovare l’Italia, per dare fine alla guerra e per creare un domani migliore per tutti». “
Michela Ponzani, Guerra alle donne. Partigiane, vittime di stupro, «amanti del nemico» (1940-45), Einaudi (collana ET Storia); prima edizione: 2012. [Libro elettronico]
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DONNE DI ROMA di MICHELA PONZANI – MASSIMILIANO GRINER E’ una breve storia sull’emancipazione femminile dall’antica Roma ai giorni nostri. Viene raccontato il ruolo della donna nella società e la sua lenta evoluzione.
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I manicomi in Italia
15/01/2016 - 13:10 RAI3: IL TEMPO E LA STORIA <<Cosa accomuna la moglie di Mussolini e un alcolista? Gli antifascisti e un pentito di mafia? L’essere stati rinchiusi in manicomio. Perché negli ospedali psichiatrici italiani, spesso non sono finiti solo i malati di mente, ma anche persone considerate pericolose per l’ordine costituito. Storie che la professoressa Michela Ponzani ripercorre con Massimo Bernardini a “Il Tempo e la Storia”, il programma di Rai Cultura in onda venerdì 15 gennaio alle 13.10 su Rai3 e alle 20.50 su Rai Storia. In primo piano, i manicomi in Italia, a partire dal 1904 quando il governo Giolitti promulga la prima legge italiana sull’assistenza psichiatrica, stabilendo che debbano essere chiuse in manicomio le persone che siano pericolose - per sé o per altri – e coloro che diano pubblico scandalo. Tra abusi ed errori medici, uso politico dei manicomi e trattamenti disumani, dopo più di settant’anni arriva  la riforma dell’intera istituzione psichiatrica con la legge 180 del 1978. E’ la riforma nota come legge Basaglia, dal medico che l’ha tenacemente voluta e che trasformerà l’Italia nel paese con la legislazione più avanzata al mondo, in campo psichiatrico.>> da http://www.ufficiostampa.rai.it/dl/UfficioStampa/Articoli/IL-TEMPO-E-LA-STORIA--3a5e5351-2341-4319-9227-802f045ff850.html puntata 15 gennaio 2016 - I manicomi in Italia http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/page/Page-627f9fd2-e4ea-4090-a644-543a3fea4dc4.html #rai3   #iltempoelastoria   #sansalvi #leggebasaglia  
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paoloferrario · 1 year
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Michela Ponzani, Processi alla Resistenza. L'eredità della guerra partigiana nella Repubblica 1945-2022, Einaudi, 2023
scheda dell’editore: https://www.einaudi.it/catalogo-libri/storia/storia-contemporanea/processo-alla-resistenza-michela-ponzani-9788806217242/ Dal 1948 e fino ai primi anni Sessanta, nelle aule di giustizia della nuova Italia democratica va in scena un «Processo alla Resistenza», destinato ad avere un forte impatto mediatico. Assassini, terroristi, «colpevoli sfuggiti all’arresto». Cosí la…
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gregor-samsung · 3 years
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“ [M]entre l’applicazione dell’amni­stia Togliatti apre le porte delle galere facendone uscire i fascisti processati, ha inizio una potente offensiva giudiziaria contro i partigiani. Prima soprattutto in ambito civile (tra il 1946 e il 1947) e poi in ambito penale (tra la fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta), migliaia di partigiani finiscono sotto processo per azioni compiute durante la lotta di Liberazione, che vengono giudicate secondo il diritto comune, cioè non come atti di guerra, dunque senza prendere in considerazione le condizioni di eccezionalità determinate dal conflitto. Si arriva a valutare, ad esempio, «la fucilazione di una spia come omicidio premeditato, la requisizione di beni e viveri come rapina, l’arresto di collaborazionisti come sequestro di persona», ha scritto Michela Ponzani. Se Dondi, per il periodo 1948-1954, calcola per l’Emilia-Romagna 234 partigiani processati (di cui 167 assolti), Ponzani propende per numeri più alti, visto che indica per la sola provincia di Modena, tra il 1950 e il 1955, 6.124 partigiani coinvolti in 1.989 procedimenti (con 3.654 assolti e 2.470 condannati). Più ancora delle cifre, però, per provare a calarsi nel clima di quegli anni è utile un esempio: il 1948, l’anno nel quale entra nel vivo questo vasto “processo alla Resistenza”, è lo stesso in cui – l’11 ottobre – compare come imputato davanti alla prima Sezione speciale della Corte di assise di Roma il maresciallo Graziani, il capo delle forze armate della Rsi. Due anni dopo è libero. Le sue memorie, in vendita nelle librerie proprio dal 1948, con il titolo eloquente Ho difeso la patria, diventano un vero e proprio best seller. Già due anni prima, nell’ottobre del 1946, Piero Calamandrei – da poco eletto all’Assemblea costituente come rappresentante del Partito d’azione – nota con amarezza un cambiamento quasi fisicamente palpabile, l’affermarsi nel sentire comune di un atteggiamento che chiama «desistenza»: Ciò che ci turba – scrive – non è il veder circolare di nuovo per le piazze queste facce note: il pericolo non è lì; non saranno i vecchi fascisti che rifaranno il fascismo. Che tornino in libertà i torturatori e i collaborazionisti e i razziatori, può essere una incresciosa necessità di pacificazione che non cancella il disgusto: talvolta il perdono è una forma superiore di disprezzo. Il suo allarme, piuttosto, deriva dalla constatazione che l’onda lunga della Liberazione si è ormai infranta e che nella sua risacca riemergono comportamenti creduti sconfitti per sempre: Oggi le persone benpensanti, questa classe intelligente così sprovvista di intelligenza, cambiano discorso infastidite quando sentono parlar di antifascismo: e se qualcuno ricorda che i tedeschi non erano agnelli, fanno una smorfia di tedio, come a sentir vecchi motivi di propaganda a cui nessuno più crede. I partigiani? una forma di banditismo. I comitati di liberazione? un trucco dell’esarchia* [...]. “
* Desistenza, «Il Ponte», 1946, 10, ora in Mario Isnenghi, Dalla Resistenza alla desistenza. L’Italia del «Ponte» (1945-1947), Laterza, Roma-Bari 2007, p. 240. La parola «esarchia» allude alle sei forze politiche antifasciste facenti parte (a livello nazionale) dei Cln: democristiani, liberali, demolaburisti (ovvero i membri della Democrazia del lavoro), comunisti, socialisti, azionisti.
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Chiara Colombini, Anche i partigiani però..., Laterza (collana I Robinson / Letture), 2021. [ Libro elettronico ]
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