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#cose che ho imparato nella vita
Sono una che da mille possibilità, che ci prova, che ci crede. Ma sono stata ferita molte volte, mi sono fidata di chi poi mi ha fatto del male, ho dato amore a chi non lo meritava. E piano piano ho imparato ad allontanarmi, in silenzio, senza troppo rumore, senza tornare più indietro. Ci vuole tanta forza per tenersi tutto dentro e indossare un sorriso, per fingere di stare bene mentre dentro di te tutto crolla e il cuore si spezza. Ho imparato a dire non fa niente, ho imparato a rialzarmi da sola. E a rimettere insieme i pezzi di me. Tutti dicono che sono forte ma non lo sanno che ogni volta mi rialzo con un pezzo in meno, con una ferita in più sul cuore. Ho imparato a essere forte solo perché a volte non ho altra scelta. Avrei solo bisogno di un abbraccio che mi faccia sentire al sicuro, un abbraccio che rimetta insieme i pezzi del mio cuore. Ho imparato a ricominciare, sempre e comunque.
Chiara Trabalza
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amoituoiocchineri · 5 months
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Una delle poche cose che ho imparato nella vita è che è sbagliato forzare qualsiasi tipo di relazione.
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belladecasa · 5 months
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Quando mi fanno la canonica domanda sul fidanzato ormai rispondo che io non sono compatibile, come faceva Battiato. Che poi io una fetta di famiglia non canonica ce l’avevo, una in cui nessuno ti avrebbe chiesto del fidanzato, dell’Università, del perché parli poco, una in cui c’erano persone che capivano cosa fosse opportuno chiedere e cosa no, e alcune che capivano pure la tua indole, la tua vocazione, il motivo e il desiderio per cui sei al mondo. Ma quando è morta mia zia è morta tutta una radice, un ramo, un frutto, un albero, un bosco intero. Mia zia non era una donna, era una famiglia, un sistema di segni e simboli, una scuola, una società, un cultura, una città, quasi era un’anima infinita come Roma. Soprattutto, era il mio daimon, non una madre biologica ma la madre del mio intelletto. Per quanto una terra possa essere fertile non può far crescere nulla se nessuno ci pianta un seme. Mia zia aveva capito quello che potevo essere e aveva messo il seme dentro la mia terra. Il seme dentro la vita. E quando se n’è andata io mi sono sentita come suolo inaridito, pensavo che mai nessuno avrebbe potuto far crescere più nulla da me, dentro di me.
8 settembre 2019
Otto anni fa, nella squallida cappella del cimitero, la tua bara era stata deposita su un carrello di ferro a quattro ruote che ti avrebbe trascinata sotto terra e lontano da me. Tutti toccavano quella bara come se fosse stato un semplice gesto lasciarti andare, così pensavo che anche io avrei dovuto darti quell’ultimo addio, ma farlo avrebbe significato toccare con mano la consapevolezza della tua morte, e io non potevo. Ho preferito lasciarti scorrere via di fronte a me come fosse stato un sogno, cosicché oggi, ancora, nella mia vigliaccheria posso chiedermi se sia stato reale, se davvero non ci sei o se è stato solo un mio incubo. Oggi, dopo sei anni, quella bara non l’ho ancora toccata.
Ora sono passati dieci anni, e ancora percepire per me significa sentire la tua mancanza, perché io sono entrata nel mondo per mano tua e ora sono al mondo senza di te, ma oggi quella bara l’ho toccata perché ho accettato che non ci sei più, che amare qualcuno significa amarlo nella sua finitezza, amare il fatto che niente e nessuno ti apparterrà mai e mai per sempre. Ho imparato a non amare mai nessuno come un oggetto. Ho accettato che qualcosa, una qualsiasi cosa, finisce, e brucia, o si consuma. O almeno le persone, l’amore e tutte le cose umane. Ancora oggi hai piantato un altro seme nella mia terra.
#s
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ninoelesirene · 7 months
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Di tutte le cose che ho imparato a scuola ce ne sono alcune che mi sono entrate subito dentro come un cuneo, e lì sono rimaste, senza essere sempre messe a frutto. Ricordo con esattezza il momento in cui le ho recepite, colpito dallo stupore con cui si accoglie ciò che ci fa stare bene, come accade nei video in cui i neonati mangiano il gelato per la prima volta.
Spesso queste lezioni sono semplici parole e, non di rado, sono parole greche. La parola che mi gira in testa da qualche giorno è “tèmenos”, il cosiddetto “perimetro sacro”. Delimitando sulla terra il tèmenos, i greci distinguevano ciò che era sacro da ciò che non lo era. All’interno del tèmenos venivano costruiti i templi ed era una spazio così intoccabile che, rifugiandovisi, non si poteva essere uccisi.
Ciò che mi colpì, però, non fu tanto la spiegazione storica, quanto quella simbolica e legata all’etimologia del termine (derivante dal verbo “temno”, tagliare), che la professoressa aggiunse con evidente entusiasmo, forse pescando l’informazione tra quelle che a suo tempo avevano colpito lei stessa.
Il ritaglio di terra che designa un tèmenos, infatti, rappresenta simbolicamente un corrispondente ritaglio di cielo, connettendo di fatto il mondo degli uomini con quello delle divinità. Il tèmenos non era un semplice perimetro: tramite l’atto del tracciamento delle sue linee si costruiva un legame con l’intangibile.
Ma vengo al punto: sempre nello stesso periodo, all’epoca del liceo, mi capitava di utilizzare il concetto di “cosmogonia”, l’origine divina dell’Universo, per associare a ciascun corpo celeste una delle persone che per me erano importanti. Era umorismo nerd fatto per far ridere un amico, ma al quale credevo fermamente. Ed era soprattutto il segno di una tendenza all’idealizzazione che mi è servita e mi ha nuociuto, e che mi sta abbandonando solo ora, dopo molti molti anni.
In questi giorni sono stato male, come mai mi era successo in vita mia. Non ero mai entrato in ospedale come paziente, solo come familiare. È stato un cambio di prospettiva illuminante. Mi è stato detto spesso che non riesco a non anticipare, a non sacrificarmi, che non so stare fermo e ho bisogno di avere un ruolo di accudimento attivo nella relazione. Stavolta, però, ci ha pensato il corpo a immobilizzarmi. E senza i miei strumenti di conforto, disorientato su un letto, sono stato circondato da un recinto d’amore. Conoscevo già quell’amore, ciò che non sapevo è che quell’amore era un tèmenos.
Abbassando gli occhi, ho smesso finalmente di scrutare le stelle e, seguendo con lo sguardo il cielo proiettarsi, ho raggiunto una terra fatta di persone vive, fallibili, ma presenti, che si stringevano intorno a me senza risparmiarsi, contenendomi. Il loro amore non è una cosmogonia perfetta, perché le persone che ci amano davvero sono un tèmenos. Sono il segno che l’amore umano è anche divino proprio perché, non perfetto, alla perfezione aspira.
E dentro quel tèmenos non si può essere mai uccisi.
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kon-igi · 10 months
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OGGI VI DEVO PARLARE DI UNA PERSONA
Nel primo decennio del nuovo millennio nella mia bolla c’era questa specifica idea - credo peraltro condivisa largamente - che le nuove conoscenze fatte online fossero superflee, effimere e a tratti persino pericolose.
‘La gente sull’internet è weird&creepy’ disse quello che si era fatto gli amici di una vita a suon di lanci di dado a 20 facce facendo finta di essere una bardo ladro mezzelfo scuro.
Poi è arrivato Facebook e in effetti ebbi la conferma che la gente sull’internet era davvero weird&creepy, solo che la gente era il tuo compagno di liceo Riccardo che era diventato un cattolico fondamentalista o la zia paterna regina del complottismo cringe.
E Tumblr nel 2010 capitò proprio al momento giusto.
Anche lì la gente era weird&creepy - magari quando in autostrada tutti ti vengono addosso forse quelli contromano non sono loro - però lo erano in un modo specifico e selezionabile, ragion per cui, lentamente, ho potuto conoscere e circondarmi (virtualmente e alcuni dal vero) di persone che in qualche modo non mi rompevano il cazzo con i loro problemi di scarsa elaborazione neurale...
Non le inevitabili conoscenze della vita reale, non i parenti né gli ‘amici’ di facebook ma persone degne di condivisione.
Oramai per me è cosa risaputa ed esperita che ogni tipo di interazione con altri individui ti cambia e sta a noi che questi cambiamenti avvengano per comprensione e non per contrapposizione ma oggi voglio parlarvi della persona che negli ultimi anni, più di tutti, è riuscita a restituirmi il senso della serenità delle cose, rendendomi sicuramente migliore di quanto non fossi prima.
Nella vita di ognuno esistono due tipi di dolore: quello che ci fa soffrire e quello che ci fa cambiare.
In realtà il dolore è uno solo - fisico o emotivo che sia - ma è cosa decidiamo di tenere e di rifiutare di esso che fa la differenza tra il dolore che ci fa accartocciare su noi stessi e quello che ci fa aprire all’altro.
E questa persona, nella sua grande sofferenza fisica e psicologica, si è aperta completamente alla comprensione degli altri, al punto che nei miei 50 anni di vita posso tranquillamente affermare che è la persona più buona che io abbia mai conosciuto.
E davvero non è un aggettivo che uso a caso.
In questi pochi ma tanti anni mi ha insegnato che forse è più faticoso comprendere le ragioni del male ma che capire ti restituisce un senso più grande del semplice scagliarsi a testa bassa contro tutto quello che è sbagliato perché non è come noi.
Mi ha insegnato che provare tristezza invece che rabbia di fronte alle ingiustizie è il modo migliore per essere vicino alle persone che quelle ingiustizie le hanno subite, piuttosto che urlare rabbiosi in direzione del carnefice voltando loro le spalle.
Mi ha insegnato a togliere la maschera dell’odio alle persone, per scoprire che sotto di essa c’è sempre un volto impaurito, sotto più ancora uno piangente e dietro a tutte un bambino che non è stato abbracciato quando più ne aveva bisogno.
E io ho imparato la gentilezza di un sorriso dispensato quando magari non avresti alcun motivo per sorridere.
Beh... grazie @surfer-osa e, soprattutto, buon compleanno <3
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angelap3 · 2 months
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Billie Holiday
Filadelfia, 7 aprile 1915 – New York, 17 luglio 1959
[ Nella vita, per prima cosa devi avere da mangiare e un po' d'amore.]
Mi hanno detto che nessuno canta la parola "fame" e la parola "amore" come le canto io. Forse è perché so cosa han voluto dire queste parole per me, e quanto mi sono costate . Forse è perché son così orgogliosa da volere per forza ricordare Baltimora e Welfare Island, l'istituto cattolico e il tribunale di Jefferson Market, lo sceriffo davanti al ritrovo nostro di Harem, e le città sulla costa da un oceano all'altro dove ho preso le mie batoste e le mie fregature, Filadelfia e Alderson, San Francisco e Hollywood; ricordare metro per metro ogni dannato pezzo di tutto questo. Tutte le Cadillac e i visoni di questo mondo, e io ne ho avuti un bel po', non possono ripagarmi e nemmeno farmi dimenticare. Tutto quel che ho imparato in tutti questi posti da tutta questa gente si può riassumere in quelle due parole: nella vita, per prima cosa devi avere da mangiare e un po' d'amore.
ph Herman Leonard: Billie Holiday, NYC, New York, 1949
La storia di Billie Holiday è roba da racconti di Charles Dickens. Una infanzia disgraziata e di stenti con la madre che si arrabatta a far di tutto, pure la puttana per mangiare. Un quarantenne che la violenta a undici anni. Una zia sadica e fuori di testa di cui è vittima. Il misero collegio dove passa gli anni dell'adolescenza. Pochi motivi per essere allegra. Le cose cambiano, apparentemente in meglio, quando la sua meravigliosa voce diventa nota, prima nei piccoli ambienti jazz poi sempre a più persone. Nasce così Lady Day. Nasce così Lady sings the blues. Ma la fama non lenisce ciò che è stato, e allora per resistere e campare ci vogliono droghe e alcool e amori tutti sbagliati. Lei ne e' consapevole, ma, dice: "Sono stufa di passare le notti sola con i miei cani in albergo, dopo un concerto". O peggio "risvegliarmi ogni mattina accanto a un uomo diverso". Quando il 17 luglio 1949 si spegne ha solo 44 anni. Dirà Miles Davis: "Era una donna molto dolce, molto calda; sembrava un'indiana con la pelle vellutata, marrone chiaro. Era una donna splendida prima che l'alcool e la droga la distruggessero. Ogni volta che mi capitava di incontrarla le chiedevo di cantare "I Loves you, Porgy", perché ogni volta che lei cantava "non lasciare che mi tocchi con le sue mani calde" potevi praticamente sentire quello che sentiva lei. Il modo in cui la cantava era magnifico e triste. Tutti quanti amavano Billie".
Ma tutti quanti l'hanno sempre lasciata sola.
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libero-de-mente · 5 months
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2023 - Sintesi
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- Ho cominciato l'anno con speranza e fiducia (come quasi sempre)
- Ho perso velocemente sia la speranza che la fiducia (come quasi sempre)
- Non ho baciato.
- Ho dato l'ennesimo taglio ai rami secchi, escludendo persone inconcludenti e approfittartici.
- Ho ascoltato, tanto.
- Ho deluso una persona.
- Ho guadagnato la stima di una persona.
- Ho riscritto il testo di una canzone.
- Ho letto.
- Ho avuto il mio bellissimo "Audio Libri" personalizzato.
- Ho accettato richieste d'amicizia.
- Sono stato bannato poco dopo perché poco "intraprendente".
- L'Ansia ha confermato il contratto di collaborazione con me, per almeno un biennio.
- Ho pensato alla morte.
- Ma ho pensato soprattutto a come sarebbe bella la vita se vissuta in pace con chi vuoi bene.
- Anche nel 2023 non ho seguito nessun influencer.
- Non ho guardato per tutto l'anno neanche un telegiornale.
- Nel 2023 ho perso Minù, una delle mie due bimbe. Così chiamavo le chihuahua.
- Sono stato aiutato. Tanto.
- Ho aiutato. Come ho potuto.
- Ho abbracciato i miei figli mentre piangevano.
- Sono stato a mia volta abbracciato mentre piangevo, dai miei figli.
- Ho ancora caparbiamente sognato.
- Il 2023 si è portato via anche Alvin, il gatto che mi aveva scelto come suo umano nella vita.
- Entrando in un negozio una commessa mi chiese "Buongiorno, desidera?", avrei voluto risponderle "Si, tantissimo".
- Ho imparato che anche le cose belle devono finire, per poterne cominciare di migliori.
- Anche quest'anno un pezzetto di fiducia nell'umanità è esplosa, come le bombe.
- Mi sono convinto che uno dei miei cinque sensi sia il senso di fame.
- Credo che la prima cosa che farò nel 2024 sarà quella di guardare l'ultima creazione di Hayao Miyazaki: Il ragazzo e l'airone.
- Ho rivalutato il sostantivo "sopportazione".
- Ho lavato amorevolmente il corpo di mia madre.
- Guidando in montagna ho letto un cartello stradale "Attenzione frana", l'ho preso sul personale.
- Sono rimasto fedele al team pandoro.
- Ho ascoltato tantissima musica.
- Ho scritto delle mie emozioni, esperienze.
- Ho provato la sensazione di essere una sicurezza, per una persona sconosciuta soccorsa da me di notte.
- Ho abbandonato definitivamente alcuni ideali.
- Ho compreso che la giustizia non ha colore. Se ha un accenno di colore non è giustizia ma un favore.
- Rimpiango una voce che mi chiamava "grumo".
- Anche quest'anno mi vorrò bene l'anno prossimo.
- Passerò il Capodanno tenendo la mano di un figlio ammalato.
Visto che siamo su un social.
Penso a tutti quelli che anche per qualche secondo mi hanno letto, dandomi un riscontro con un semplice like o un commento. A chi c'era e a chi non c'è più. Sono stati per me comunque consigli o insegnamenti. Ringrazio tutti.
Non so se basterà un mio augurio affinché il 2024 sia per tutti voi un anno bello. Però come spesso si dice, basta il pensiero. E io ne ho per ognuno di voi.
Buona fortuna e un abbraccio forte forte, siate meravigliosi siate illuminati.
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limoniacolazione · 11 months
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Cronaca dell’ultimo anno, del perché scomparire, del perché poi tornare TW: Depressione, suicidio, burn-out
Il 10 ottobre 2022 il mio medico ha scritto per la prima volta, nero su bianco, nella mia cartella clinica le parole “burn-out” e anche “disturbo depressivo maggiore” e ancora “fobia sociale selettiva”. La mattina del 10 ottobre 2022 ho avuto un episodio psicotico mentre aspettavo di uscire di casa per andare al lavoro e con la sensazione, come ogni sacrosanto giorno, di non volerci andare, di non poter forzare un passo fuori dalla porta senza piangere a dirotto. Prima di quella mattina, ho passato ogni giorno delle vacanze nell’estate 2022 ad avere un attacco di panico perché un secondo dopo l’altro mi avvicinavo immancabilmente al rientro al lavoro. Prima ancora dell’agosto 2022, avevo già ascoltato la parola “burn-out” appiccicarmisi addosso durante una seduta di psicoterapia: era il 2021, ma non ci ho fatto caso. Quando ho chiuso l’Atelier Pupini, quando ho smesso di cucire, quando ho smesso di leggere i tarocchi, quando non ho più sentito interesse per niente e nessuno, quando ho smesso di dormire la notte, quando ho pianto tutte le lacrime, quando ho iniziato ad avere paura di uscire di casa, quando tutte queste cose si sono accumulate come macigno sui polmoni, avrei dovuto forse accorgermi e prendermi una pausa, ma non ci ho fatto caso. Quando ad inizio del 2021 ho avuto una sciatica, l’unica della mia vita, che si è protratta per mesi, che mi ha imposto di camminare con due stampelle per tutta la primavera, che è stata studiata come un mistero da molteplici esperti del campo medico che non hanno saputo trovare una spiegazione, avrei dovuto ascoltare il richiamo del corpo che mi invitava a fermarmi, ma non ci ho fatto caso. 
Quando lavori nel sistema pubblico, aggiungici pure che sei una people pleaser del cazzo, che non hai mai imparato a dire no, che i limiti non sai manco come si scrive, quando lavori per dei bambini che sono in tutte le situazioni della scala sociale, che si sono trovati ad avere magari dei genitori di merda o che sono meno fortunati di tanti altri, non ci fai caso ai segnali che ti dicono di fermarti quando c’è ancora tempo. Non ci fai caso perché il senso di responsabilità è la tua forza motrice. Perché se non te ne occupi tu, chi lo farà? Così non ho frenato. Mi sono schiantata con la pazzia, la depressione, il burn-out, la fobia sociale in un mattino di ottobre 2022; ci siamo accartocciati e siamo diventati una cosa sola.
Alla dottoressa che ha scritto, nero su bianco, nella mia cartella clinica, le parole “burn-out” e anche “disturbo depressivo maggiore” e ancora “fobia sociale selettiva” ho detto “mi faccia un certificato per oggi che ho saltato il lavoro e domani ci ritorno” (che quando uno è di coccio). Lei, la dottoressa, ha riso. Mi ha detto “hai pensieri suicidi?” e io ho detto no, fissando però un quadro del lago d’Annecy e immaginandomi nel suo fondo più profondo, coperta da metri cubi d’acqua, cosa che anche oggi, a scriverla, mi fa sentire una leggerezza, una pace che non so meglio descrivere. Ho mentito. La verità è che non avrei potuto sopportare un ricovero in ospedale psichiatrico, che mi avrebbe annientata e per questo ho mentito. Per mesi ho avuto idee suicidarie passive e adesso che è quasi un anno che sono sotto antidepressivi, direi che sempre di meno. Va meglio.
Al lavoro non ci sono più tornata. Mi hanno messo in lunga malattia. Adesso il mio lavoro è curarmi e provare a riemergere meglio di prima.
Ho imparato che si può essere depressi e innamorati, aver voglia di morire e ridere allo stesso tempo, passare notti insonni e giorni a dormire, che corpo e testa lavorano insieme, anche quando ti sembra che vogliano farti la guerra. 
La strada è ancora lunga, ma non sono sola. Esco ancora poco, ma parlo agli amici (ogni tanto, anche se lo sforzo è grande) e parlo di quello che sto vivendo (pure se la fatica è titanica). L’amico G., di professione psichiatra, mi ha chiesto se sono seguita. Ho risposto che ho due psicologi (uno per l’EMDR, una clinica) e uno psichiatra e che il prossimo passo è invitarli tutti a fare una partita di strip poker per entrare ancora di più in intimità.
Lo psicologo dell’EMDR mi ha detto “concediti un errore, mostrati trasparente, non abbellire la vita, inciampa”. Così, in tutta fragilità, ho scritto questa cosa e glielo dirò alla prossima seduta. 
Guillaume mi ama, riamato. Ogni tanto, quando mi sente vagare per casa, nel mezzo della notte, si alza anche lui, prende due biscotti e facciamo insieme uno spuntino. 
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haiku--di--aliantis · 5 months
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T'arriva all'improvviso e cambi tutto. Giri la tua vita repentinamente di novanta gradi... all'insù! Sono l'ispettrice regionale di una multinazionale alimentare. Sposata, due bimbi piccoli, un marito d'oro: bello come un ballerino, dal fisico perfetto e molto intelligente. Generoso e con un ottimo lavoro. Innamorata persa e gelosa di lui. Una volta a settimana ispeziono tutti i punti vendita delle due province a me assegnate. E gestisco gli altri due colleghi in regione.
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A volte, per coprire qualche assenza, devo andare io stessa in una provincia non di mia competenza. Nel corso di una di queste supplenze ho conosciuto Laura: una semplice cassiera cinquantenne. Divorziata. Tre figli grandi. Morbida, culo generoso, bassina. Cellulite sulle cosce, nasino... asimmetrico! Quinta di seno. Capelli corti e occhi che ti bucano. Non dice una parola che sia una. Però sorridendo, lei incredibilmente sprigiona molto eros e voglia di essere amata.
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Almeno questo è quello che mi ha colpita sin dalla prima volta che l'ho vista. Certo, non è una top model. Eppure me ne sono invaghita. Ho fatto carte false, per rimescolare le provincie tra noi tre, così da includere il suo supermercato nel mio giro. Sono tornata più spesso del necessario a ispezionare quel punto vendita, con scuse varie. Da Laura ottenevo di volta in volta, chiedendoli con nonchalance, i suoi turni. Un giorno ha capito, è avvampata e ha abbassato gli occhi.
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Aveva voglia di me anche lei, era evidente. Ero fuori di senno e le ho chiesto di vederci. Mi ha chiesto con voce tremante ma piena di passione se fossi impazzita: le ho detto di si! Che la desideravo. Tra mille suoi e miei scrupoli ci siamo viste a casa sua. Una mattina. Abbiamo iniziato immediatamente a fare sesso. Ho scoperto che posso essere innamorata e gelosissima di mio marito, ma anche di essere disperatamente cotta di Laura. Non posso vivere senza leccarle il seno e la passera. Ho sete del suo liquore vaginale.
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Al solo pensarla ho un tuffo al cuore e mi bagno. Ci scambiamo messaggi, foto e clip assolutamente disdicevoli. Voglio il suo odore intimo sul mio viso. Desidero che mi succhi il seno, mentre mi sgrilletta e mi fa sua. Lei è una cosiddetta 'lima sorda', cioè nella quotidianità appare calma, silenziosa, umile e remissiva. Ma con me diventa una vera domina. Mi comanda. Esige obbedienza immediata e mi fa fare cose assurde, che ho man mano imparato a desiderare di compiere. Devo presentarmi a lei sempre già con il collare e il guinzaglio.
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Non vuole trovare neppure un pelo, sul mio corpo. E deve sentirsi libera di sgridarmi, torturare i miei capezzoli, di palettare, frustare e mordere il mio culo. E io per questo lo voglio rosso. Con evidenti tracce e segni. Devo sempre trovare il modo di non farmi scoprire da mio marito. Ma per me è facile: mi basta inginocchiarmi e fargli un pompino, che lui placa le sue voglie di esplorarmi.
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Ho imparato ad apprezzare di essere schiava intimamente e mio marito mi sfrutta appieno anche lui. Anche perché Laura m'ha insegnato a prendere un uccello di gomma tutto in gola fino alla radice, senza dar di stomaco. E lui è felicissimo: ho ingoiato più sperma in questi tre mesi di quanto non ne abbia preso in corpo in otto anni, tra fidanzamento e matrimonio. Laura: uno strano incontro, sul mio percorso. Che vera droga...
Aliantis
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Strange meeting (Bill Frisell)
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Se capita una volta, è un mostro.
Se capita mille volte è un problema più grande.
È difficile scrivere qualcosa oggi. Non so neanche se sia giusto. Però il 50% della mia bolla è muto. Ed è un silenzio insopportabile.
Non credo sia una mera questione di menefreghismo. È che ignorare è più facile. È che c'è questa cosa che è li, e di cui non parliamo mai.
C'è che nella cultura dello st*pro siamo cresciuti tutti. E quando leggiamo una notizia del genere, non riusciamo a sentirci "puliti".
Certo, non avremmo mai fatto niente del genere. Però anche noi certi paradigmi abbiamo imparato a contestarli tardi, lentamente, da soli. E prima? Prima ne eravamo parte. E un po' ti rimangono addosso, nonostante tutto. Attaccate alla radice più profonda dei pensieri.
C'è che non abbiamo il vocabolario per parlare di queste cose, perché non lo abbiamo mai fatto. Eppure sarebbe così importante cominciare a farlo.
Da uomo a uomo.
Mi torna in mente un ricordo di quand'ero adolescente. Litigavo con la mia ragazza dell'epoca, in mezzo alla strada. Avevamo la voce alta, le lacrime agli occhi, eravamo visibilmente scossi.
Un signore, vedendoci, si mise in mezzo a noi. Provai a spiegargli che ci stavamo confrontando soltanto a parole, ma mi interruppe. Disse: "Qualsiasi cosa sia successa, non ne vale la pena. È un attimo che si rovinano due vite: la sua e la tua."
Quel ricordo mi provoca ancora sensazioni contrastanti.
Da un lato, chiunque sia cresciuto socializzato come uomo, sa quanto sia odioso essere visti come aggressori fino a prova contraria.
È una cosa che ti insegnano fin dalla scuola, appena la tua voce diventa più forte e più grave di quella delle ragazze. E i richiami aumentano e i voti di condotta scendono. E se la persona che ti schernisce è una ragazza, verrai richiamato comunque tu più spesso, perché le tue reazioni sono più scomposte, il tuo corpo è una presenza più ingombrante nel mondo.
Ed è una cosa che ti ricordi quando cresci. Quando camminando per strada, cambi marciapiede o acceleri il passo per superare la ragazza che sta camminando da sola, per non darle l'impressione di starla seguendo.
Dall'altro lato, provai un senso di gratitudine.
Quell'uomo aveva fatto ciò che io vorrei aver sempre avuto il coraggio di fare negli anni seguenti. Intervenire, prima che una situazione di pericolo potenziale potesse farsi pericolosa davvero.
Non conosceva né me, né lei, né il contesto. Aveva visto due ragazzini urlarsi contro e uno dei due aveva un corpo che cresceva di due centimetri al mese e presumibilmente quasi nessuna idea su come gestire quella forza, quegli ormoni, quelle emozioni.
Quante volte ho avuto modo di parlare di questa storia? Quasi nessuna.
Con le mie migliori amiche mi confido, ma ci sono certe esperienze, certe sensazioni che loro non hanno mai provato sulla pelle. Come io non ho provato le loro. Uomini e donne vivono gran parte della propria vita in mondi completamente diversi. E spesso è impossibile raccontarseli del tutto.
Neanche tra di noi. Coi miei amici maschi sappiamo di avere un bagaglio di esperienze comuni. Ma ne abbiamo iniziato a parlare poco, timidamente, recentemente.
Quando cresci maschio, ti insegnano che le emozioni ti rendono debole. Che l'unico modo accettabile di tirarle fuori è la violenza.
Lo insegnano a tutti. E ti insegnano anche che se hai paura, se ti senti rifiutato, non devi chiedere aiuto, non devi dirlo ad alta voce, non devi lamentarti. Chi si aiuta, chi si confida, lo fa in segreto.
Se dovessi descrivere in una parola l'esperienza collettiva di essere un uomo, credo che quella parola sarebbe solitudine.
Io non so cosa significhi essere donna. Non conosco la paura che si vive ogni giorno e quell'ansia terribile e collettiva che hanno vissuto in questi giorni. Per capirla, leggo quello che scrivono loro.
Però so cosa significa essere un uomo. E sono cresciuto anch'io in quella società che rende tanti uomini come me carnefici.
Abbiamo un dovere enorme. Nei confronti delle nostre sorelle. E anche nei confronti dei nostri fratelli, dei nostri figli, dei nostri nipoti.
Di interrompere la catena della violenza, la catena dell'orrore. Di chiedere scusa, per quello che abbiamo fatto e per quello che ci hanno fatto fare. Di dare un esempio diverso.
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babvdxll · 2 months
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e comunque se c’è una cosa che ho imparato in questi giorni e su cui persone che sono ritornate nella mia vita mi hanno aiutato a riflettere, è che non importa quanto tempo passi, ma le persone non cambieranno mai.
che non importa il bene passato insieme, i momenti felici e i ricordi.. se ti hanno fatto male non ti chiederanno nemmeno scusa per averlo fatto.
Ho passato 9 mesi a pensarlo, anche quando probabilmente non avrei più dovuto farlo, ma lui puntualmente tornava nei miei pensieri, quando ero da sola, in mezzo alla gente, lo ritrovavo nelle canzoni.. e per tutto questo tempo ho tenuto a cuore quel 10 anni di amicizia che alla fine ci hanno unito, mi dicevo inutile essere così dura e pensare certe cose per un singolo sbaglio.
ma alla fine avevo ragione, se una persona ti ha a cuore, lo farà sempre, prima di farti soffrire ci penserà non una ma 172838 volte, perché nonostante tutto se ti vuole bene ti vorrà proteggere, e se non lo fa allora davvero non ha senso continuare. Che sia un amore o in amicizia. Purtroppo se ci sono motivi per cui si sono prese strade diverse, ci puoi anche riprovare ma non sarà mai lo stesso e quelli stessi motivi prima o poi ritorneranno e anche più forti di prima.
ho imparato che non devo forzare le cose, che se devono succedere avverranno con naturalezza, che le connessioni tra due persone scattano con il nulla, e se ho il presentimento su qualcosa per mia sfortuna ho sempre ragione.
ho avuto ancora una volta la certezza sul fatto che se un rapporto non è trasparente, se devo sempre mettermi in dubbio, se ci sono più domande che risposte allora non fa per me, perché io da una persona voglio sincerità e trasparenza in qualsiasi tipo di rapporto, non voglio stare lì a sentirmi sbagliata o ad elemosinare attenzioni e restare sempre lì ferma nell’attesa che queste arrivino, perché spoiler non arrivano mai e tu finisci solo per perdere tempo con la persona sbagliata.
quindi non so ringrazio gli astri che mi hanno permesso di darmi finalmente risposte su un sacco di questioni e posso finalmente mettermi il cuore in pace e andare finalmente oltre.
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Mi dispiace non essere stata importante abbastanza. Ma ho imparato che non si può trattenere qualcuno che non ti vuole più. Chi vuole rimanere al tuo fianco, semplicemente rimane. A volte bisogna imparare a lasciare andare, anche se fa male, anche se il cuore si spezza. Ho imparato a contare solo su me stessa. Quanta forza ci vuole ogni giorno per non arrendersi e per essere forte. Quante volte ho trattenuto le lacrime nascondendole dietro a un sorriso. Ho imparato a raccogliere i cocci e a rimetterli insieme. Ho imparato a ricominciare. E ho imparato che a volte bisogna avere il coraggio di andarsene, se serve. Ho imparato a volermi bene e a proteggere il mio cuore
Chiara Trabalza 
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astra-zioni · 11 days
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Con gli anni si confermano le mie naturali certezze con le quali ho fatto a cazzotti pensando di essere sbagliata, intransigente, malata, non affidabile e quindi non lucida nelle mie reazioni.
Ma la verità è che mi accorgo che la mia incomunicabilità col prossimo si interrompe sempre nell’esatto momento in cui il prossimo non ha un vissuto particolarmente difficile.
Possiamo rigirarcela come vogliamo, e mi dispiace fare questo discorso perché non voglio far passare le “sfighe” esistenziali come un qualcosa che ti rende necessariamente superiore. Infatti qui non si tratta di sentirsi superiori, si tratta di non capirsi, si tratta del fatto che anche coloro che ti amano, se non hanno vissuto certe cose sulla loro pelle, non capiranno mai. C’è proprio un’incomunicabilità alla base. Per contro, tutte le persone (nessuna esclusa), con le quali ho interagito negli anni che hanno vissuto senza mezzi termini l’inferno in terra non c’è mai stato un momento in cui non mi sia sentita compresa o anche solo legittimata a reagire in un certo modo. Io penso che da qualche anno la narrazione che si fa sull’essere funzionali nella vita, sul trovare il lato positivo, sull’andate avanti in un modo o nell’altro, sul non fermarsi mai, siano dovute al fatto che la gente (non la società), ma le singole persone, ad oggi, non sono più disposte a soffrire per cinque minuti. Non reggono l’horror vacui, e quindi si nutrono di tutto quello che possono per evitare il problema, evitare i pensieri.
Purtroppo a me non è stata data questa attitudine, io non riesco a guardarmi in faccia se so che c’è qualcosa che non va in me o in coloro che mi circondano, non riesco a guardarmi Netflix se sono addolorata per un’amica, una relazione conclusa, non riesco ad avere quel piglio di chi ti dice “Esci e vai a fare una passeggiata!” Non ce l’ho, perché ho imparato, da qualche tempo, che il dolore, di qualsiasi natura, è parte integrante della vita di ciascuno, e quindi dobbiamo farci i conti e sentirlo, altrimenti vivremmo magari una vita felice e accomodante, ma non autentica, finta. In sostanza: avremmo davvero buttato la nostra esistenza attraverso lo sforzo di non pensare mai, non soffrire mai, non sentire mai; e che alla fine, per questo, riesce più facile sentirsi capiti da chi quel dolore lo prova ogni giorno. E forse è proprio così che si risale.
Io delle persone che mi dicono di pensare positivo, persone che stimo, che ho amato, persone a cui voglio un bene dell’anima, a questo punto della mia vita: non so che farmene. È legittimo che voi andiate via se la cosa comincia a essere pesante per voi, è legittimo però che io rimanga fedele a me stessa. E quando mi guardo allo specchio io mi riconosco. Voi, dubito.
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cutulisci · 10 months
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Le dichiarazioni d’amore più belle della letteratura:
1. «Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo.»
Dino Buzzati - La boutique del mistero
2. «Non sono sicuro di averti dentro di me, né di essere dentro di te, e neppure di possederti. E in ogni caso, non è al possesso che aspiro. Credo invece che siamo entrambi dentro un altro essere, che abbiamo creato e che si chiama Noi.»
Robert James Waller - I ponti di Madison County
3. «Tu sei veramente una fiamma che scalda ma bisogna proteggere dal vento. A volte non so se un mio gesto tende a scaldarmi o a proteggerti. Allora m’immagino di fare le due cose insieme, e questa è tutta la mia e la tua tenerezza come una cosa sola.»
Cesare Pavese a Bianca Garufi
4. «E senza di te io sono lontana 
non so dire da cosa ma lontana, scomoda un poco perduta, come malata, un po’ sporco il mondo lontano da te, più nemico, che punge, che graffia, sta fuori misura.»
Mariangela Gualtieri - Il mondo che graffia, se non sei accanto a me
5. «Scese, evitando di guardarla a lungo, come si fa col sole, ma vedeva lei, come si vede il sole, anche senza guardare.»
Lev Tolstoj - Anna Karenina
6. «Ho lottato invano. Non c’è rimedio. Non sono in grado di reprimere i miei sentimenti. Lasciate che vi dica con quanto ardore io vi ammiri e vi ami.»
Jane Austen - Orgoglio e pregiudizio
7. «Se tu ti ricordi di me, allora non importa se tutto il mondo mi dimentica.»
Haruki Murakami - Kafka sulla spiaggia
8. «Saremo felici o saremo tristi, che importa? Saremo l’uno accanto all’altra. E questo deve essere, questo è l’essenziale.»
Gabriele D’Annunzio
9. «Ti amo, cara Connie, di questa parola so tutto il peso – l’orrore e la meraviglia – eppure te la dico, quasi con tranquillità. L’ho usata così poco nella mia vita, e così male, che è come nuova per me.»
Cesare Pavese a Constance Dowling
10. «Per qualche motivo che ignoro mi piaci moltissimo. Molto, niente di irragionevole, direi quel poco che basta a far si che di notte, da solo, mi svegli e non riuscendo a riaddormentarmi, inizi a sognarti.»
Franz Kafka - Lettere a Milena
11. «Sei entrata per caso in una vita di cui non andavo fiero, e da quel giorno qualcosa ha cominciato a cambiare. Prima di te, fuori di te, non aderivo a nulla. Quella forza per cui ogni tanto mi prendevi in giro è sempre stata solo una forza solitaria, una forza di rifiuto. Con te ho accettato più cose. Ho imparato a vivere, in un certo senso. Per questo forse il mio amore è sempre stato pervaso da una gratitudine immensa.»
Albert Camus a Maria Casarès
12. «Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.»
Eugenio Montale
- https://x.com/poesiaitalia/status/1692772938200539376?s=46&t=34dYe_n2Br4FRHOah3j69Q -
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Ho fatto il cameriere per undici anni.
Fra le tantissime cose che ho imparato c'è questa, che il mondo si divide in due categorie: quelli che passano il piatto al cameriere, e quelli che non passano il piatto al cameriere.
Quelli che ti passano il piatto sono quelli che ti vedono, si accorgono che sei lì che ti stai facendo un culo tanto, e allora quando hanno finito e tu ti palesi davanti a loro per portare via il piatto sporco, lo sollevano, te lo porgono, di modo che tu non debba ogni volta sporgerti, col rischio magari di far cadere una posata dai piatti che hai già in mano. Di solito ti dicono anche "Grazie", come non fossero loro in realtà ad averti fatto un favore. L'impulso ogni tanto, me lo ricordo, era di abbracciarli.
Un gesto da niente, non costa nessuna fatica. Ma un gesto che dice tutto.
Ho sempre amato quelli che ti passano il piatto, perché sono quasi sempre persone molto umili, riconoscono la tua dignità, non trattano come un servo il cameriere: lo sanno quanta parte ha la fortuna nel fatto che loro sono seduti lì a mangiare e lui là in piedi a farsi il mazzo.
Tutto questo per dire che nella mia vita mi è successo di trovarmi a tavola con tante persone: scrittori, uomini politici, a volte anche personaggi della tv, e la maggior parte di loro, per quanto potenti e importanti, magari anche simpatici a volte, erano persone che non passavano il piatto al cameriere. Alcuni anzi spesso lo trattavano proprio male.
E ieri, però, ieri ero a pranzo con Clara Sànchez. Non so se la conoscete, ma è una scrittrice che vende milioni di copie in tutto il mondo. Una che ha qualche motivo per sentirsi arrivata. Per sentirsi importante.
Ecco, tutto questo per dire che Clara Sànchez passa il piatto al cameriere.
Non è che sei arrivato quando hai folle oceaniche che ti osannano o conti in banca faraonici.
Sei arrivato quando ovunque tu sia arrivato, sei ancora uno che passa il piatto al cameriere.
Enrico Galiano
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ricorditempestosi · 9 months
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alla fine ho imparato ad apprezzare le piccole cose. ho imparato ad apprezzare i piccoli atti di gentilezza che la gente farebbe per me. ho imparato ad apprezzare gli sforzi di chiunque mi renda felice. quelle sono piccole cose che non sono proprio piccole per me. mi dà speranza quando mi sento solo. ho imparato a vedere il valore di una persona nella mia vita. e ho imparato anche ad apprezzarmi per le cose che fanno per me per farmi capire che ne sono degno
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