Tumgik
#avrei preferito mangiare cioccolata
valjean-or-javert · 7 years
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Come benzina al fuoco
Andiamo via, Arica, fuggiamo da questa tomba a cielo aperto che Katovic’ è diventata. Smettiamola di nasconderci fra i ricordi, fra i cumuli delle fosse comuni. Smettiamola di rincorrere i proiettili e di solleticare la fortuna. È un amore sbagliato il nostro, Arica. Un cecchino non ha da innamorarsi del bersaglio, bimba mia, nemmeno se il bersaglio ha i tuoi occhi e i tuoi capelli e le tue belle gambe. Nemmeno se il bersaglio sei tu.                  Sto appostato giorno e notte, un avvoltoio con un solo artiglio letale, d’acciaio, ad osservare la vita che cade e si rialza prepotente. Sto appostato quasi solo per te, oramai, per seguirti dall’ottica mentre vai a raccogliere l’acqua. Ho imparato a conoscerti dallo specchietto di un mirino e da sagoma di cartone sei diventata umana, amante immaginaria. Ieri ti han chiamata e ho scoperto il tuo nome. Arica. Non riesco a far a meno di ripeterlo la notte, sottovoce, o nel buio fitto della mia mente. Solo tu riesci a rischiararlo, Arica. Vorrei strapparti alla miseria, agli sguardi dei soldati, alle carezze del tuo popolo. Perché tu, amore mio, non stai dalla mia parte. Immagino quanto potresti odiarmi, se solo m’incontrasti. Anche per un istante. E mi vorresti morto, Arica, per il colore della mia divisa, per le atrocità dei miei compagni, per le lande innevate del tuo paese che non smettono di bruciare. Mi detesterai quant’è vero che io ti amo, quant’è vero che il primo pensiero che ho avuto, quando ti ho vista, è stato: “puttana katovita”. Pagherei la diserzione con la morte, com’è giusto che sia, solo per afferrarti la mano e portarti via con me, lontano dai carri, dai mortai, dalle notti fredde. Tradirei la Patria solo per poter scoprire il colore dei tuoi occhi e baciare le tue guance pallide. Tradirei e non ne sarei pentito, Arica, in nome del tuo sacrosanto odio.            Come ogni mattina, alle sei e mezza, sgusci fuori dal rudere di via Krupskaja. Hai un bel fazzoletto bianco sulla testa bruna, il viso triste e il secchio dell’acqua tra le mani. Alla fontana sta un compagno dei nostri, e tu, piccola Arica, ti stringi nelle spalle impaurita. Lui ti lascia spazio per pompare l’acqua, ti regge il secchio e tu stai a testa bassa. Fremo di gelosia. Quel secchio lercio, di legno marcio, lo riempirei di baci solo perché le tue dita l’han toccato. Se potessi, piangerei come un bambino.              Aumento l’ingrandimento dell’ottica. Il soldato non è altro che il caporalmaggiore Conste, ragazzo simpatico ma permaloso, assegnato alla nostra squadra. E non è un bene, perché è di lui che sto parlando mentre, con gelosa violenza, tengo un fucile puntato contro il suo torace. Conste ti fa un gesto tu scuoti la testa. Ti strappa il secchio d’acqua dalle mani, lo posa per terra e apre lo zaino. Dentro c’è qualcosa che t’interessa, probabilmente cibo, sapone, cioccolata. Allora, Arica mia, con lo sguardo incastonato al suolo gli fai cenno di sì con il capo. Scomparite entrambi nel palazzo bombardato. Mi sento morire.        
*
Sto ancora disteso come un avvoltoio, negandomi ancora il diritto di versare qualche lacrima. Due giorni sono trascorsi dalla prima volta che li ho visti contrattare vicino alla fontana, due giorni di muta rassegnazione e di rabbia malcelata. Due giorni in cui, al mattino, il caporalmaggiore Conste ruba la purezza della mia donna in cambio di quattro bocconi di pane. Non dormo, non mangio, non ragiono. I miei compagni mi credono un eroe incrollabile, un cecchino che non lascia mai la postazione nemmeno per pisciare, mangiare o dormire. Conste viene a portarmi l’acqua e qualcosa da mettere sotto i denti, e a stento riesco a masticare un grazie. Le sue premure cameratesche sono come benzina al fuoco, mi accendono, mi rendono folle. Ma Conste non sa, Conste non capisce che Arica non è una puttana katovita e basta, non comprende che conto i giorni, le ore, i minuti dall’istante esatto in cui mi sono innamorato di lei. Non può saperlo. Arica, l’unico vero ideale per cui avrei preferito combattere, l’unica ragione che tiene la canna della pistola lontano dalla mia bocca. Arica. 
Ed è Arica che Conste bacia con violenza sulla bocca, che tira a sé come un ladro, che stringe e che marchia e che sporca davanti a me, giù alla fontana. Cosa mi è rimasto di umano, in questa guerra, oltre a lei? Niente. Nessun compagno, nessun credo, nessun altro potrebbe restituirmi quello che lei mi ha dato e che Conste si è preso con la forza.     Aguzzo la vista, trattengo il respiro, il caporalmaggiore è una figurina di cartone al centro del mirino. Sono troppo vicini, devo essere veloce. Così veloce da non sbagliare. Forse troppo veloce. Talmente veloce che Arica ora è a terra, a colorare la neve di sangue. Non sento più il mio cuore battere, sotto la pelle scorre fuoco. Mi son rimasti solo gli occhi per piangere e la voce per gridare. Nient’altro. Per me, e solo per me, la guerra è persa. Arica è persa. Arica, l’unica ragione che teneva la canna della pistola lontano dalla mia bocca.    
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