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#Il Mondo delle Né
angelap3 · 1 month
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Non la leggerà nessuno...è troppo lunga
Noi siamo nel nostro corpo e anche fuori. Non c’è nessuno che raccoglie il sudore con cui abbiamo aperto la portiera di una macchina in un pomeriggio estivo, non c’è nessuno che conserva lo sguardo con cui abbiamo guardato un cane in un’alba invernale. La nostra vita non ha un dio che la segue e neppure un dio che la precede. Si svolge in disordine, nel disordine delle altre creature. Da qualche parte c’è un albero che potrebbe rimproverarci di avergli staccato una foglia in un momento di distrazione. Non ricordiamo il nome di un vecchio che davanti a una fontana riempiva una bottiglia d’acqua. Non c’è un deposito per queste scene.
Ora ho il cuore come un pulcino e la punta si solleva, si apre, come se potessi nutrirlo di qualcosa. Posso solo scrivere, caro mio cuore, non posso darti altro a quest’ora. Sono le due di notte, non posso chiamare nessuno. Qui non ho neppure la connessione, non posso connettermi con qualche nottambulo in rete. Domani mattina, se vuoi, possiamo andare in un paese. Facciamo quello che abbiamo fatto sempre. Io guardo e tu se vuoi mi fai paura, mi fai credere che ti stai spaccando, lo hai fatto tante volte. La morte passa per il cuore. O forse sei tu caro mio cuore a passare per la morte e io ti seguo mentre fingo di fare la mia vita, io sto con te, cerco di proteggerti perché sei tu che mi fai camminare, sei tu che ti gonfi nell’amarezza e ti fai timido nella gioia. Ora io potrei dormire, lasciarti solo in questa stanza. Non so cosa fai di notte quando non ci sono, quando mi giro nel letto per finire un sogno. Io e te insieme non abbiamo risolto niente, non ci siamo dati nessuna felicità, l’abbiamo sempre evitata. Io e te quando stiamo con gli altri siamo a disagio, perché parliamo tra di noi e non con loro. Ora tu sei diventato una ripida salita e vorresti che io salissi fino in cima. A volte ti fai lago con un mulinello in mezzo. E mi ricordo di quando stavi appoggiato al centro di una ragnatela. In macchina, quando prendevo un fosso, temevo che potessi cadere, come se nel corpo ci fosse il vuoto, come se avessi solo te caro mio cuore nel mio corpo. Per farti spazio me ne sono uscito pure io dal mio corpo, non so quando è accaduto. E non ho lasciato entrare niente, è un cinema senza sedie il mio corpo, una chiesa senza banchi. Sei di nuovo deluso questa sera, lo so, tu ti fai sempre deludere. La realtà non è il tuo posto, non so se il tuo disagio dipende da come marcia il mondo, penso che sia per altro, e non lo sappiamo né tu né io cosa sia.
Ora mi fai male o sono io che ti faccio male. Io so che non sei un muscolo ma una bestia. Chi vede in me una bestia è perché sta vedendo te. Io quando scrivo cerco di farti vedere, mi piace esporti ma non ci riesco. Come si fa a dire quello che sento adesso sulla tua punta, un misto di amaro e debolezza, una crepa e un coltello, tu sei una voragine con me dentro. Ma ogni cuore ha un peso, ogni cuore si strofina a un muro, ogni cuore ha un buio alle sue spalle che nessuno illuminerà mai. I cuori sono come i paesi, non ce ne sono due uguali. Comunque dovremmo farcela ad arrivare fino a domani e può darsi anche che ci sia il sole. Lo so che il sole ti piace e ti fa stare tranquillo. Non saremo felici, stanne certo, ci sarà sempre qualcuno che proverà a incentivare la nostra pena, a sminuire la gioia appena accenna a prendere corpo. Non sono paranoico, credimi, è che forse io e te non stiamo bene insieme, sappiamo solo spiarci, siamo troppo gelosi uno dell’altro. Ora non so più che dirti, che dire. Non ti so dare una soluzione, un luogo, una vita che ci possa esaudire. Posso darti la mia impazienza come tu mi dai la tua. So che fino a quando moriremo sarà sempre così, non avremo pace. E va bene, lo abbiamo detto, lo abbiamo ripetuto, chi voleva saperlo lo ha saputo...
Franco Arminio (Lettera al mio cuore)
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kon-igi · 19 days
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IL RAGAZZO E LA MONTAGNA
C'era una volta un giovane esploratore, la cui più grande passione era addentrarsi in tundre, scendere in ghiacciai e percorrere deserti alla ricerca della Gemma Preziosa.
Ogni luogo della terra aveva una propria Gemma Preziosa - scintillante, tenebrosa, rubescente o lattiginosa - e lui aveva viaggiato già mezzo mondo ed esplorato mille lande impervie per trovarle e collezionarle tutte.
Nella sua casa aveva una stanza intera piene di tali meraviglie, tutte racchiuse in teche di cristallo, ma il giovane esploratore non amava tornare nella propria casa, se non per riporvi i suoi tesori.
Intendiamoci, adorava la propria casa e la propria città, voleva bene ai suoi genitori e stava bene con i suoi tanti amici, ma il suo animo inquieto lo portava puntualmente a guardare le nuvole fuori dalla finestra, desiderando di poterle cavalcare e andarsene via col vento.
Un giorno sentì parlare dell'Ultima Montagna e di come al suo interno fosse la celata la pietra più preziosa di tutte: il Cuore di Gea.
L'Ultima Montagna si trovava nel paese di Finisterrae e il suo vecchio mappamondo non aveva ancora finito di girare che lui si era già messo in cammino.
Non fu un viaggio facile, né per le gambe né per il cuore, perché dovette salutare molte persone - Finisterrae era lontana - e parte del suo percorso lo dovette fare a piedi, passo dopo passo, senza mai più incontrare anima viva (tranne i ragni, che gli tennero compagnia nelle lunghe notti insonni ma che però non erano gran conversatori).
Quando arrivò all'Ultima Montagna rimase con la bocca spalancata per qualche minuto (i ragni controllarono preoccupati se ci fossero delle carie ma uscirono soddisfatti): un'enorme montagna scintillante di materiale translucido giallo paglierino svettava fino a quasi bucare la volta del cielo.
Ma il suo stupore si tramutò ben presto in preoccupazione quando, a un esame più attento, il giovane esploratore si rese conto che la montagna era in realtà un enorme conglomerato di Crisoberillo come non se n'erano mai visti in alcun libro di geologia.
Molto bene - pensò con stanca autoironia, guardando il suo piccone - sulla Scala delle Durezza di Mohs il crisoberillo ha un punteggio di 8,5 ma volendo considerare il bicchiere mezzo pieno mi è andata anche bene... la montagna poteva essere fatta di Rubino o di Zaffiro!
E cominciò a scavare una galleria per raggiungere il Cuore di Gea.
Man mano che avanzava a fatica all'interno della montagna, egli si rese conto di una cosa molto strana: per ogni colpo di piccone e di scaglia di crisoberillio che cadeva a terra lui sentiva di perdere qualcosa.
Ma cosa? - si chiese.
Non lo so - si rispose.
E allora pensò di riempire quei vuoti nel cuore immaginando il momento in cui avrebbe finalmente scalzato dalla roccia il Cuore di Gea... la gioia di sentirlo pulsare tra le proprie mani, gli occhi socchiusi per schermarsi dal bagliore di mille soli di puro cristallo, lo stupore delle persone al suo ritorno, la teca gigante già pronta al centro della sua collezione.
Quello di cui in un primo momento il Giovane Esploratore non si rese conto è che ogni picconata stava sottraendo un minuto alla sua vita e le picconate erano tante e il tempo scorreva avanti in una sola direzione, dritto come la galleria che sventrava la montagna.
Le mani che impugnavano il piccone invecchiavano, come invecchiavano le domande che lui si faceva...
Perché? Da dove? Verso cosa?
Quando le domande diventano opprimenti, i colpi del piccone rallentavano, salvo poi riprendere forza al pensiero della gemma che ogni giorno si avvicinava.
E poi, dopo mille eternità l'ultima picconata, la parete che crolla ed ecco il Cuore di Gea, sospeso nel buio luminescente di un antro nel ventre della colossale montagna.
Ma il Giovane Esploratore non poteva più definirsi tale.
Non stava più esplorando nulla e di certo non era più giovane.
Con passo incerto e polverose mani tremanti si avvicinò al Cuore di Gea e fece per prenderlo.
Ma si fermò.
Verso cosa? E perché?
E poi la domanda giusta.
Da dove?
Da dove vengo? Cosa ho lasciato? Chi ho lasciato?
E voltandosi vide che la lunga galleria che portava all'esterno era disseminata di corpi, congelati nell'atto di colpire la roccia.
Erano tutti lui, metro dopo metro sempre più vecchio, bloccati nell'attimo in cui aveva deciso di cancellare un ricordo per fare spazio al pensiero della Gemma Più Preziosa.
Sono morto? - si chiese.
Sì, ogni volta - si rispose.
Il Cuore di Gea lo guardava con occhio pulsante ma la mano, dimagrita e raggrinzita, scese sul fianco.
Non era quello che voleva... quello era ciò che aveva deciso di volere per cancellare i veri desideri, quelli che lo tenevano vivo in attesa del domani.
E il vecchio ragazzo si voltò e tornò indietro, accarezzando con una mano sempre più giovane tutti i sé che aveva lasciato morire per non aver voluto ricordare come vivere.
E li perdonò tutti, uno a uno, finché la luce del sole non gli baciò le palpebre socchiuse e lui non ritrovò la voglia di esplorare, mai perduta ma solo addormentata sotto a una pesante coperta di tristi rimpianti.
E come il mappamondo tornò a girare, il vero Cuore di Gea riprese a battergli nuovamente nel petto, perché Finisterrae è quel luogo che comincia nel punto in cui appoggi il piede per iniziare il viaggio verso il domani.
Questo post è dedicato a @seiseiseitan, per me il più grande esploratore <3
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arreton · 5 days
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Ma sul serio, quale sadomasochistico desiderio ci spinge ancora a voler essere membri attivi di questa società? E con membri attivi intendo cazzi tesi che si agitano a voler essere per forza qualcosa, a far parte di qualcosa, a rientrare in una qualche categoria. Essere un membro della società è faticoso. Prima lo ammettiamo, prima ce ne rendiamo conto e prima ci liberiamo dalla necessità di dover essere un cazzo teso perché no, non siamo all'altezza: il cazzo non si tende manco per sbaglio. Abbiamo voglia poi di prendere antidepressivi e affidarci a psicoterapie a volte anche abbastanza dubbie. Non siamo all'altezza degli standard che ci siamo prefissati: siamo dei cazzetti mosci tristi e piagnucoloni. Basta, amen. Ma tornando alla fatica e soprattutto tornando alla società: francamente viene l'ansia solo a guardarla. Se sei una donna devi essere fragile ma con le palle, emancipata a forza che mi chiedo dove inizia l'emancipazione e finisce la sottomissione perché a me pare solo che cambia il padrone ma sempre a novanta stiamo messe; se sei un maschio devi essere maschio, femmina, etero, bi, con i muscoli ma che ti piacciono i gattini, spolverare e cucinare, però devi essere pure stronzo, uno stronzo dal cuore d'oro che ti fai curare perché io sono la tua crocerossina però ehi non ti ci abituare! Sbracciati e curami pure tu, diventa dottore. E in tutto questo non ho parlato delle dinamiche che si attivano nei social: fai delle foto e devi essere un content creator; pubblichi cibo e devi essere un food influencer; pubblichi foto di tette e devi farti onlyfans; ti trucchi e devi essere una di quelle che sponsorizza ecc ecc ecc. E questo solo nei rapporti tra comune gente mortale, tra cazzetti mosci insomma! Nel mondo del lavoro le cose forse vanno pure peggio: lauree, master, dottorati, attestati, diplomi di vario tipo alternando cucina, scrittura di codici, filosofia. Ok, il mondo è bello perché vario ma sembra solo un accumulo di escrementi cacati dal capitalismo il cui obiettivo è solo rendersi sempre più impossibile. Ma come tutti i belli e dannati, più è impossibile più ci piace perché ci piace soffrire, e poi ci lamentiamo perché siamo dei depressi malati ansia. Qual è la soluzione a tutto questo? E che ne so. Lascio ai filosofi contemporanei l'arduo compito di trovarci una via d'uscita. Per quel che mi riguarda ho le energie talmente contate che non ho voglia né tempo di entrare in questo circolo vizioso. Se l'uomo è stato pensato fino ad ora come un essere sociale, che ha bisogno della società bene, ha talmente esasperato questo bisogno che adesso la società è diventata solo un sinonimo di sofferenza.
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crazy-so-na-sega · 27 days
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Puoi ignorare i simboli, MA i tuoi nemici no. I comunisti no... Dopo aver preso il potere, la prima cosa che fecero i comunisti fu INVERTIRE il significato di 3 simboli tradizionali.
Evola scrive che i movimenti rivoluzionari moderni prendono "i principi, le forme e i simboli tradizionali" delle società più sane del passato e danno loro una NUOVA svolta. Scava in 3 simboli:
• Il colore rosso
• La parola rivoluzione
• Il simbolo della stella pentagrammica
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sul ROSSO: Nell'antica Roma, l'Imperatore era vestito e tinto di rosso violaceo per "rappresentare Giove, il Re degli Dei". Nel cattolicesimo, i "Principi della Chiesa", i cardinali, indossano una veste rosso scarlatto. Tradizionalmente, il rosso è stato collegato alla gerarchia, all’ordine e al potere. Nell'antichità classica, il fuoco era collegato al colore rosso. Il "paradiso sopra il cielo" era composto da puro fuoco. Il rosso rappresentava autorità e gerarchia. Ma nel XX secolo fu cooptato dai marxisti e fatto rappresentare il contrario. : Uguaglianza, masse e democrazia.
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La parola Rivoluzione: “Rivoluzione nel senso primario non significa sovversione e rivolta, ma in realtà anche il contrario: ritorno a un punto di partenza e movimento ordinario attorno a un centro” In fisica questo è vero: la rivoluzione di un pianeta significa "gravitare attorno a un centro". Le rivoluzioni mantengono i pianeti in un'orbita stabile.
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Le società tradizionali immaginavano che la rivoluzione fosse un movimento che mantiene in armonia l'universo morale. Ma Evola nota che le rivoluzioni adesso significano: allontanarsi dai centri stabili - sommosse- distruzione della regolarità.
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Evola: La Rivoluzione moderna è come lo scardinamento di una porta, l'opposto del significato tradizionale del termine: le forze sociali e politiche si allentano dalla loro orbita naturale, declinano, non conoscono più alcun centro né alcun ordine.
Sul pentagramma:
Il pentagramma, una stella, rappresentava tradizionalmente il destino dell'uomo come microcosmo che conteneva il macrocosmo. Rappresentava l'uomo come "immagine del mondo e di Dio, dominatore di tutti gli elementi grazie alla sua dignità e alla sua destinazione soprannaturale.
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La stella rappresentava l'uomo come "spiritualmente integrato sovrano in modo soprannaturale". Ma i marxisti presero questo simbolo e ne cambiarono il significato. lo hanno reso terreno e "collettivizzato". E' stato messo sulle bandiere dell'URSS e della Cina comunista, diventando distruttivo di ogni valore più alto
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Questo degrado dei simboli è un segno dei tempi estremamente significativo ed eloquente. I simboli sono il linguaggio visivo universale. Questa trasformazione radicale del loro significato non è casuale. Sono stati intenzionalmente riorganizzati attraverso l'inversione, la sovversione e il degrado.
Jash Dholani
[Julius Evola (L'inversione dei simboli- 1928]
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fridagentileschi · 5 months
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Lei si chiamava Michelle Maria Causo, aveva 17 anni.
Il 28 giugno 2023 si trovava a casa di un “amico”, un ragazzo dello Sry Lanka.
Da quanto è emerso si suppone che lui le abbia fatto delle avances che lei ha rifiutato, non era la prima volta che lo rifiutava, anche perché era già fidanzata.
Il cingalese, non accetta quel “no”, prende un coltello a serramanico e l’accoltella 6 volte, Michelle tenta di chiamare aiuto usando il cellulare, ma non riesce.
Lui la guarderà agonizzare in una pozza di sangue per svariati minuti prima di mettere il corpo in un sacco e buttarlo all’interno di un carrello della spesa, in mezzo si rifiuti.
Il 1º dicembre è stato disposto il giudizio immediato per l’assassino, dovrà rispondere di omicidio, aggravato dalla premeditazione, occultamento e vilipendio di cadavere.
Anche di questa storia, barbaramente simile a quella di GiuliaCecchettin , se n’è parlato poco e niente, nessuna copertura mediatica h24, nessun pressing e interviste ai parenti da parte dei media, nessun funerale con mega schermi, nonunadimeno    non pervenute.
Perché in questa storia c’è qualcosa di diverso, il killer è musulmano.
Ancora pensate che le " femministe "stanno dalla parte delle donne? Le avete viste manifestare per le israeliane stuprate e torturate e portate in giro agonizzanti come trofeo? No ovvio, né per tutti i crimini che l' islam compie contro le donne...queste di femminismo non sanno nulla, sono pagate per legalizzare la violenza sulle donne e bambini, per globalizzare il mondo nel nome di Allah/baal e distruggere definitivamente ogni diritto umano...nel nome del maschio islamico.
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limoniacolazione · 7 months
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Ieri (casualmente era pure la giornata mondiale delle malattie mentali) è stato un anno tondo dalla mia prima crisi, quella che ha fatto capitolare me e il resto intorno. Me ne sono accorta solo oggi, perché nel mare magnum della depressione ogni giorno è uno di troppo e tutto si assomiglia. Poi ottobre è il mese che è e di date nella memoria ce ne sono già due: il 20, che è morto S., il 25, che è morto L. "Ogni giorno è un anniversario", diceva zia Rosa, che di gente ne aveva persa parecchia e passava i mesi a ricordare nascite e morti, fino a quando poi non se n'è andata pure lei.
Il mese prossimo una commissione medica si riunirà per decidere se sono depressa abbastanza. Non so da che cosa determineranno la mia volontà di stare al mondo o meno. Non è come un osso rotto in una radiografia o un neo dai contorni non definiti. Ci riuniremo quindi su un ponte e mi chiederanno di saltare? Mi aspetteranno in seduta plenaria col cappio pronto?
Per me non è questione di abbastanza. Non è questione di bianco o nero: la mia depressione è un eterno grigiore in cui nulla accade. L'atmosfera è talmente pesante che gli arti non si sollevano più. Un cielo plumbeo che però non piove mai (dentro di me).
Non è questione di combattere, né di mollare e neppure di resistere. Ho lasciato cadere il coltello, che comunque non ho mai tenuto dalla parte del manico. Ho alzato le mani in segno di resa, ma non è neppure questione di arrendersi. Non è questione neanche di ricordare, di segnare di rosso un numero nel calendario o di stracciare le pagine dell'agenda una dopo l'altra. Non è questione di riempire, sostituire, distrarsi. Pure se faccio tutte queste cose (fuori da me): guardo film, disfo cartoni, cucino, mangio, leggo, rido.
Lo sapranno, quelli della commissione medica, che sono un'artista del camouflage? E certo rido, leggo, mangio, cucino, disfo cartoni, guardo film, ma non esco di casa, non ascolto la radio, non getto l'occhio sulle pagine del giornale. Che sarebbe troppo, mi dico, aggiungere al mio il dolore degli altri.
Faccio lo slalom tra gli annunci dei social che mi chiedono aiuto per costruire un ospedale per i koala investiti sulla tangenziale - per i bambini che muoiono di fame - per chi fa la guerra e chi la subisce - per il long COVID - per distruggere le cimici dei letti che invadono Parigi - per salvarle, le cimici dei letti. No, non è neppure questione di agire o di chiudersi a riccio e lasciare il mondo andare a farsi fottere. Non è questione di girarsi dall'altra parte, né di guardare il pericolo negli occhi. Non è questione di dire qualcosa o dare la propria opinione (quanto di farsene una). Non è questione di problem solving.
Non è per forza questione di morire. Non è certamente questione di vivere. È questione di liberare spazio, di imbiancare la tela, di restare sgombri, di alleggerirsi per poter almeno galleggiare, oppure, al contrario, di immergersi completamente.
E quando penso ad immergermi mi viene in mente, chi lo sa perché, Ragnar Kjartansson e la performance audio-visiva "The Visitors". Forse è la vasca da bagno, oppure cantare all'infinito "Once again I fall into my feminine ways", come fosse un sortilegio per cadere, sì, e poi riuscirne intatti, liberi, leggeri.
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colonna-durruti · 7 months
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La triste verità è che molto del male viene compiuto da persone che non si decidono mai ad essere buone o cattive. Il guaio del caso Eichmann era che uomini come lui ce n’erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali.
Coloro che non sono innamorati della bellezza, della giustizia e della sapienza sono incapaci di pensiero...
L’equivalenza non fa bene alla democrazia. Dire che tutto è uguale non è conquista di civiltà, è nichilismo. Bisogna fare delle differenze.
La manifestazione del vento del pensiero è l’attitudine a discernere il bene dal male, il bello dal brutto. È mia opinione che il male non possa mai essere radicale, ma solo estremo; e che non possegga né una profondità, né una dimensione demoniaca. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo, precisamente perché si diffonde come un fungo sulla sua superficie. È una sfida al pensiero perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che s’interessa al male viene frustrato, perché non c’è nulla. Questa è la banalità. Solo il Bene ha profondità, e può essere radicale.
Hannah Arendt, La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme (Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil, 1963)
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Se capita una volta, è un mostro.
Se capita mille volte è un problema più grande.
È difficile scrivere qualcosa oggi. Non so neanche se sia giusto. Però il 50% della mia bolla è muto. Ed è un silenzio insopportabile.
Non credo sia una mera questione di menefreghismo. È che ignorare è più facile. È che c'è questa cosa che è li, e di cui non parliamo mai.
C'è che nella cultura dello st*pro siamo cresciuti tutti. E quando leggiamo una notizia del genere, non riusciamo a sentirci "puliti".
Certo, non avremmo mai fatto niente del genere. Però anche noi certi paradigmi abbiamo imparato a contestarli tardi, lentamente, da soli. E prima? Prima ne eravamo parte. E un po' ti rimangono addosso, nonostante tutto. Attaccate alla radice più profonda dei pensieri.
C'è che non abbiamo il vocabolario per parlare di queste cose, perché non lo abbiamo mai fatto. Eppure sarebbe così importante cominciare a farlo.
Da uomo a uomo.
Mi torna in mente un ricordo di quand'ero adolescente. Litigavo con la mia ragazza dell'epoca, in mezzo alla strada. Avevamo la voce alta, le lacrime agli occhi, eravamo visibilmente scossi.
Un signore, vedendoci, si mise in mezzo a noi. Provai a spiegargli che ci stavamo confrontando soltanto a parole, ma mi interruppe. Disse: "Qualsiasi cosa sia successa, non ne vale la pena. È un attimo che si rovinano due vite: la sua e la tua."
Quel ricordo mi provoca ancora sensazioni contrastanti.
Da un lato, chiunque sia cresciuto socializzato come uomo, sa quanto sia odioso essere visti come aggressori fino a prova contraria.
È una cosa che ti insegnano fin dalla scuola, appena la tua voce diventa più forte e più grave di quella delle ragazze. E i richiami aumentano e i voti di condotta scendono. E se la persona che ti schernisce è una ragazza, verrai richiamato comunque tu più spesso, perché le tue reazioni sono più scomposte, il tuo corpo è una presenza più ingombrante nel mondo.
Ed è una cosa che ti ricordi quando cresci. Quando camminando per strada, cambi marciapiede o acceleri il passo per superare la ragazza che sta camminando da sola, per non darle l'impressione di starla seguendo.
Dall'altro lato, provai un senso di gratitudine.
Quell'uomo aveva fatto ciò che io vorrei aver sempre avuto il coraggio di fare negli anni seguenti. Intervenire, prima che una situazione di pericolo potenziale potesse farsi pericolosa davvero.
Non conosceva né me, né lei, né il contesto. Aveva visto due ragazzini urlarsi contro e uno dei due aveva un corpo che cresceva di due centimetri al mese e presumibilmente quasi nessuna idea su come gestire quella forza, quegli ormoni, quelle emozioni.
Quante volte ho avuto modo di parlare di questa storia? Quasi nessuna.
Con le mie migliori amiche mi confido, ma ci sono certe esperienze, certe sensazioni che loro non hanno mai provato sulla pelle. Come io non ho provato le loro. Uomini e donne vivono gran parte della propria vita in mondi completamente diversi. E spesso è impossibile raccontarseli del tutto.
Neanche tra di noi. Coi miei amici maschi sappiamo di avere un bagaglio di esperienze comuni. Ma ne abbiamo iniziato a parlare poco, timidamente, recentemente.
Quando cresci maschio, ti insegnano che le emozioni ti rendono debole. Che l'unico modo accettabile di tirarle fuori è la violenza.
Lo insegnano a tutti. E ti insegnano anche che se hai paura, se ti senti rifiutato, non devi chiedere aiuto, non devi dirlo ad alta voce, non devi lamentarti. Chi si aiuta, chi si confida, lo fa in segreto.
Se dovessi descrivere in una parola l'esperienza collettiva di essere un uomo, credo che quella parola sarebbe solitudine.
Io non so cosa significhi essere donna. Non conosco la paura che si vive ogni giorno e quell'ansia terribile e collettiva che hanno vissuto in questi giorni. Per capirla, leggo quello che scrivono loro.
Però so cosa significa essere un uomo. E sono cresciuto anch'io in quella società che rende tanti uomini come me carnefici.
Abbiamo un dovere enorme. Nei confronti delle nostre sorelle. E anche nei confronti dei nostri fratelli, dei nostri figli, dei nostri nipoti.
Di interrompere la catena della violenza, la catena dell'orrore. Di chiedere scusa, per quello che abbiamo fatto e per quello che ci hanno fatto fare. Di dare un esempio diverso.
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mezzopieno-news · 6 months
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IL VILLAGGIO DOVE EBREI E ARABI VIVONO INSIEME IN PACE
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Si trova a metà strada fra Gerusalemme e Tel Aviv il villaggio di Neve Shalom Wahat al Salam il cui nome, scritto sia in lingua ebraica che araba, significa Oasi di Pace. Fondato nel 1972 dal padre domenicano Bruno Hussar su un terreno concesso dal vicino monastero trappista di Latrun, nel 1977 ha visto il trasferimento della prima famiglia sulla collina che all’epoca non aveva né acqua corrente né elettricità. Oggi il villaggio ospita 70 famiglie, metà di fede ebraica e metà musulmane, che dedicano la loro vita alla costruzione di giustizia, pace e riconciliazione per la regione. Si tratta dell’unica comunità del Paese in cui ebrei e arabi, tutti di cittadinanza israeliana, vivono insieme per scelta e insieme fanno studiare i loro figli nell’asilo e scuola elementare bilingue che ospitano circa 270 bambini. Tra le altre iniziative della comunità vi è la Scuola per la Pace, che dalla sua fondazione nel 1979 ha offerto laboratori e corsi universitari per favorire il dialogo interculturale e interreligioso a circa 65.000 tra israeliani e palestinesi.
Nell’ultimo comunicato del villaggio emesso a seguito dello scoppio delle ostilità tra Israele e Hamas si legge: “Continuiamo a incontrarci e a discutere della situazione. Per noi il dialogo e il confronto sono fondamentali. Dobbiamo ritrovare la strada per tornare ai valori umani, al rispetto e all’apertura al dolore, alle paure e alle reazioni degli altri”.
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Fonte: Wahat al-Salam Neve Shalom; Oasi di pace
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orotrasparente · 4 months
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l’istat ha riscontrato un calo netto delle nascite e quindi un trend negativo della popolazione (in calo)
e posso dire grazie al cazzo? ma chi ce l’ha più il coraggio di fare spontaneamente un figlio in un paese in cui non sei tutelato né da chi governa né dalle forze dell’ordine, metti al mondo una creatura con la consapevolezza che in questo paese non c’è lavoro per tutti e per mantenere dignitosamente una famiglia, senza considerare che lì fuori ci sono migliaia di psicopatici che possono ammazzarti (o peggio) e tanto non subiranno le conseguenze che dovrebbero subire, il governo non fa altro che imporre nuove imposte senza incentivare il lavoro ma anzi facendo intascare più soldi a loro stessi e attuando manovre improbabili e facendo scaricabarile su chi c’era prima, mai visto un governo che non fa altro che continuare a fare opposizione nonostante siano in carica da oltre un anno
quindi, mi spiegate esattamente chi ha voglia di fare un figlio?
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ross-nekochan · 7 months
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Ho finito L'Amica Geniale.
Mi ha dato tanto e mi ha fatto soffrire altrettanto.
Mi sono messa a cercare qui sopra citazioni che potessero rendere giustizia a quello che mi ha fatto provare ma non ne ho trovate.
Elena Ferrante ha il "genio" di scrivere cose in maniera molto banale ma diretta, tagliente, ti incolla al testo come se fosse una serie tv ed è questo che sicuramente le ha regalato il successo meritato. Non a caso, sono proprio di questo tipo le citazioni che si trovano facilmente qui su Tumblr.
Ma per chi è campano o del sud, è diverso.
Di nuovo, il successo internazionale non ha reso giustizia alla crudezza dei fatti raccontati. Così come con Gomorra, quasi sicuramente agli occhi degli anglofoni la verità delle parole si mescola con la fantasia e non hanno percezione di quanto la crudezza raccontata sia vera, palpabile, reale, quotidiana nel perimetro in cui i fatti sono raccontati.
Mi ricordai di Antonio, di Pasquale, di Enzo, arrangiamento quattro soldi fin da ragazzini per sopravvivere. Gli ingegnieri, gli architetti, gli avvocati, le banche erano altra cosa, ma i loro soldi venivano, pur tra mille filtri, dallo stesso malaffare, dallo stesso scempio, qualche briciola s'era mutata persino in mancia per mio padre e aveva contribuito a farmi studiare. Qual era dunque la soglia oltre la quale i soldi cattivi diventano buoni e viceversa? [Storia di chi fugge e di chi resta - cap. 106]
Tra i milioni di lettori, chi si è mai soffermato su questa frase? Quanta consistenza perde una frase del genere agli occhi non ha idea di cosa accade nella terra dove il malaffare è routine? A parte la potenza dell'ultima, tutto il resto scivola nella narrazione eppure racconta di come, in quella terra, siamo tutti indissolubilmente in mezzo allo stesso malaffare pur non avendo mai avuto problemi con la giustizia e pur conducendo una vita normale. Letteralmente. Così come è scritto.
Come una volta disse saggiamente Maura Gancitano dei Tlon, il malaffare è insito persino nel settore dei supermercati, "e allora che fai non vai a fare la spesa?", aveva giustamente aggiunto.
Lo so che è l'intero mondo a girare così. Ma il trauma di essere nata in un luogo del genere è di credere che esistamo posti con una netta separazione tra i soldi puliti e quelli sporchi e allontanarti dalla tua zona ti fa sentire più tranquilla.
L'eco di questi romanzi ha risuonato in me forte e chiaro in moltissimi punti; quelli del periodo rosso vissuto in Italia, pur raccontando di una verità storica, non mi ha risuonato allo stesso modo. Per cui non riesco ad immaginare quanto possano risuonare quegli stessi punti in un napoletano, né posso immaginare quanto si siano persi milioni di lettori esteri che non hanno lo stesso vissuto alle spalle.
È stato un trauma. Ma è un trauma che va vissuto.
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occhietti · 3 months
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TESTIMONI
Salvi per caso
LILIANA SEGRE, La memoria rende liberi
Da anni, ogni volta che mi sento chiedere: "Come è potuto accadere tutto questo?", rispondo con una sola parola, sempre la stessa. Indifferenza. Tutto comincia da quella parola. Gli orrori di ieri, di oggi e di domani fioriscono all'ombra di quella parola. Per questo ho voluto che fosse scritta nell'atrio del Memoriale della Shoah di Milano, quel binario 21 della Stazione Centrale da cui partirono tanti treni diretti ai campi di sterminio, incluso il mio.
PRIMO LEVI, Se questo è un uomo
Ognuno si congedò dalla vita nel modo che più gli si addiceva. Alcuni pregarono, altri bevvero oltre misura, altri si inebriarono di nefanda ultima passione. Ma le madri vegliarono a preparare con dolce cura il cibo per il viaggio, e lavarono i bambini, e fecero i bagagli, all'alba i fili spinati erano pieni di biancheria infantile stesa al vento ad asciugare.
HANNAH ARENDT, La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme
Adolf Eichmann andò alla forca con gran dignità. Aveva chiesto una bottiglia di vino rosso e ne aveva bevuto metà. […] Era completamente padrone di sé, anzi qualcosa di più: era completamente se stesso. Nulla lo dimostra meglio della grottesca insulsaggine delle sue ultime parole. […] Era come se in quegli ultimi minuti egli ricapitolasse la lezione che quel suo lungo viaggio nella malvagità umana ci aveva insegnato – la lezione della spaventosa, indicibile e inimmaginabile banalità del male.
Il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n'erano tanti e che questi tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali. Dal punto di vista delle nostre istituzioni giuridiche e dei nostri canoni etici, questa normalità è più spaventosa di tutte le atrocità messe insieme, poiché implica – come già fu detto e ripetuto a Norimberga dagli imputati e dai loro patroni – che questo nuovo tipo di criminale, realmente hostis generis humani, commette i suoi crimini in circostanze che quasi gli impediscono di accorgersi o di sentire che agisce male.
ELIE WIESEL, La notte
Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che consumarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l'eternità il desiderio di vivere. Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i mei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai.
Ormai non mi interessavo ad altro che alla mia scodella quotidiana di zuppa, al mio pezzo di pane raffermo. Il pane, la zuppa: tutta la mia vita. Ero un corpo. Forse ancora meno: uno stomaco affamato. Soltanto lo stomaco sentiva il tempo passare.
ETTY HILLESUM, Diario 1941-1943
Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite.
BRUNO BETTELHEIM, Sopravvivere
La nostra esperienza nei campi di concentramento non ci ha insegnato che la vita non ha senso, che il mondo dei vivi è un grande bordello, che bisognerebbe vivere secondo le primordiali esigenze del corpo, ignorando le creazioni della cultura. La nostra esperienza ci ha insegnato che per disgraziato che sia il mondo in cui viviamo, la differenza che esiste tra di esso e il mondo dei campi di concentramento è grande come quella tra la notte e il giorno, tra l'inferno e il paradiso, tra la morte e la vita.
PRIMO LEVI, I sommersi e i salvati
Definirlo "nevrosi" [quello stato di perenne disagio del prigioniero] è riduttivo e ridicolo. Forse sarebbe più giusto riconoscervi un'angoscia atavica, quella di cui si sente l'eco nel secondo versetto della Genesi: l'angoscia inscritta in ognuno del "tòhu vavòhu", dell'universo deserto e vuoto, schiacciato sotto lo spirito di Dio, ma da cui lo spirito dell'uomo è assente: non ancora nato o già spento".
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crazy-so-na-sega · 7 months
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«Nessuna religione tanto quanto quella giudaica fu mai così impastata di anima e di spirito. Questa religione, che costituisce parte integrante della razza giudaica, ha creato un popolo di finanzieri e rivoluzionari perché è
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Esclusiva - quindi inassimilabile.
Terrena - quindi materialista.
Messianica - quindi rivoluzionaria.
Il fondamento del giudaismo, ciò che costituisce il suo pensiero principale, ciò che gli conferisce una straordinaria originalità, è la sua esclusività. Tutta la storia del popolo ebraico e della sua religione, che è inseparabile da esso, ruota intorno a questo fenomeno centrale. Un Dio geloso: Iahvé, il suo popolo eletto: Israele. I riti, i comandamenti, la legge che li lega l'uno all'altro, questa è l'essenza di ogni verità e di ogni giustizia; fuori di questo c'è solo il mondo e il male; il mondo del male. Questa miopia, ma appassionata e singolarmente potente, ha fatto l'integrità di un popolo per tremila anni. Questo indefettibile esclusivismo ha creato una razza, una nazione, una religione, una mentalità che sono senza analogia nella storia universale. Attraverso la forza delle sue tradizioni, di mezzo alle tempeste che hanno fatto turbinare gli uomini nei secoli, il giudaismo è rimasto incrollabile, inesorabilmente simile a sé stesso; come lo scopriamo alle sue origini, tale lo ritroviamo oggi. L'umanità cambia, gli Imperi sorgono e crollano, gli ideali nascono, risplendono e poi si spengono, ma l'ebreo rimane, il Giudaismo rimane, avvolto nel suo accanito esclusivismo, sperando tutto nel domani, instancabilmente... sovrumano, inumano.
Prigionieri delle immutabili tradizioni che sono l'essenza del loro esclusivismo, i Giudei sono, in mezzo all'umanità che si compone di un'immensa maggioranza di non-Giudei, degli eterni disadattati.
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l giudaismo dunque non può che desiderare la sovversione: è dovere del Giudeo e soprattutto del suo istinto, formato da tradizioni tre volte millenarie, di contribuire alla distruzione dell'ordine. L'esclusivismo giudaico comanda e giustifica lo spirito di rivolta. Il Giudeo fu sempre animato da quel vecchio materialismo giudaico che sognò perennemente un paradiso realizzato sulla terra e respinse sempre la lontana e problematica speranza di un Eden dopo la morte. Si sa che il giudaismo antico ignora l'Aldilà. L'uomo può sperimentare il bene o il male solo in questo mondo; se Dio vuole punire o ricompensare, può farlo soltanto durante la vita dell'uomo. È dunque qui sulla terra che i giusti devono prosperare e gli empi devono soffrire. La filosofia del Giudeo fu semplice...avendo solo un numero limitato di anni da dedicarvi, volle goderne, e non erano i piaceri morali che chiedeva, ma quelli materiali, atti ad abbellire e addolcire la sua esistenza. Poiché il Paradiso non esisteva, egli poteva aspettarsi da Dio, in cambio della sua fedeltà, della sua pietà, solo favori tangibili; non vaghe promesse, buone per i cercatori dell'aldilà, ma realizzazioni formali, risolte con un incremento della fortuna, un aumento del benessere... Non avendo alcuna speranza di compenso futuro, il Giudeo non poteva rassegnarsi alle disgrazie della vita; può consolarsi dei suoi mali pensando alle beatitudini celesti solo molto in avanti con l'età. Alle calamità che lo colpivano, non rispondeva né con il fatalismo, né con la rassegnazione; rispondeva con la rivolta. Così la concezione che i Giudei si fecero della vita e della morte fornisce il primo elemento al loro spirito rivoluzionario. Parlando di questa idea che il bene, ovvero ciò che è giusto, dovesse essere realizzato non nell'oltretomba,
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poiché nell'oltretomba c'è il sonno fino al giorno della resurrezione del corpo, ma durante la vita, essi cercarono la giustizia e, non trovandola giammai, perpetuamente insoddisfatti, si consumarono per ottenerla. Senza la legge, senza Israele per praticarla, il mondo non sussisterebbe, Dio lo farebbe rientrare nel nulla; e il mondo non conoscerà la felicità se non quando sarà sottomesso all'impero universale di questa legge, ossia all'impero dei Giudei. Questa felicità si realizzerà attraverso la libertà, l'uguaglianza e la giustizia. Tuttavia, se tra le nazioni quella di Israele è stata la prima a pensare a queste idee, altri popoli, in vari momenti della storia, le hanno sostenute, ma nel farlo non sono stati popoli di ribelli come il popolo giudaico. Perché? Perché se questi popoli erano convinti dell'eccellenza della giustizia, dell'uguaglianza e della libertà, non ritenevano la loro piena realizzazione come possibile, perlomeno non in questo mondo, e quindi non lavoravano unicamente per il loro avvento. Al contrario, gli ebrei credevano che la giustizia, la libertà e l'uguaglianza non soltanto potessero essere sovrane del mondo, ma si credevano in particolare incaricati di lavorare per questa loro attuazione. Tutti i desideri, tutte le
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speranze che queste tre idee suscitavano finirono per cristallizzarsi intorno ad un'idea centrale: quella dei tempi Messianici, della venuta del Messia, che doveva essere inviato da Iavhé per consolidare il potere delle rovine terrene. Ora gli avvenimenti contemporanei dimostrano ancora, qualunque cosa si voglia controbattere sull'argomento, la stretta parentela che unisce il Giu45ismo e lo spirito di rivolta. Sotto formule differenti è sempre il vecchio sogno messianico dei profeti e dei salmisti che infesta i cervelli. Ecco in cosa consiste la religione giudaica, ecco come si differenzia da qualsiasi altra fede. È una rottura con tutto il genere umano; essa non fa proseliti perché non può trasfondere il sangue d'Israele che solo vanta la promessa; tra tutte le religioni che si professano, ce n'è una [il giudaismo] che aborrisce la religione di Cristo, poiché questa gli ha strappato la promessa interpretandola diversamente. L'idea fondamentale, quella secondo cui si doveva a uno straniero meno considerazione che a un compatriota, a un correligionario, è rimasta la stessa dai tempi della Torah fino ai giorni nostri. Questa è l'impressione che devono riportare tutti coloro che eseguono uno studio imparziale del diritto internazionale privato nei libri sacri ebraici: Torah, Talmud, Codici e commentari.
- G.Léon Marie Pierre de Montaigne de Poncins.
(La misteriosa internazionale giudaica)
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mikaelarebel · 26 days
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Molti mi definiscono “diversa”, io semplicemente, penso di essere “rara”; ho dei difetti, ne ho parecchi, ma ho anche dei pregi, forse pochi.
Sono una persona di cuore, lo sono troppo. Non do mai tanto quanto gli altri danno a me, se posso e se voglio do tutta la mia vita. E no, non me ne pento mai, se c’è una cosa che voglio lasciare dentro una persona è il mio bel ricordo. Amo lottare per chi penso possa valerne la pena, e non mi tiro indietro al primo problema, anzi, abberei muri e cancelli.
Lascio agli altri la libertà di farmi del male, non sono stupida e nemmeno una fifona, purtroppo vedo del buono anche nelle brutte persone provando a tirar fuori il loro meglio, vorrei davvero che le persone fossero come realmente le vedo io. Sono un’ingenua, basterebbe solo aprire un po’ di più gli occhi. Le brave persone, quelle che ti amano soprattutto, non ti farebbero mai lo sgambetto.
Sono testarda, quando mi impunto non c’è verso che io cambi idea, ho bisogno di sbattere contro un palo e di cadere 1000 volte, per far sì che ascolti i consigli degli altri. Non ho paura del giudizio altrui, anzi non mi tocca minimamente, ma voglio sbagliare e camminare con le mie gambe, voglio poter capire da sola quali sono le cose che ostacolano il mio cammino e non mi lasciano passare.
Sono impulsiva, maledettamente impulsiva. Se c’è qualcosa che odio sono le bugie e le doppie facce. Ho bisogno di dire tutto ciò che penso, non riesco a trattenermene una. A volte questo mio lato viene “condannato”, non a tutti piace la verità sbattuta in faccia, eppure penso si vivrebbe meglio. Viviamo in un mondo fatto di menzogne.
Odio il grigio, o è bianco o è nero, le mezze misure non mi piacciono. Quando chiudo una porta, butto via la chiave, non torno indietro, tendo a farmene una ragione sin da subito.
Sono la persona più paziente al mondo in assoluto, sopporto fino a quando non scoppio, ma quando mi incazzo non mi trattengo.
Sono una romanticona, mi piace l’amore, io amo l’amore. Odio le sdolcinatezze, non mi si addicono per niente (sono quasi una scaricatrice di porto). Preferisco il cinema alla discoteca, un film con una pizza piuttosto che una cena a lume di candele al ristorante. CHE IMBARAZZO!! Sono passionale, mi piace fare l’amore con la persona per la quale mi batte il cuore. Sono una sognatrice, mi piace immaginare cose che per la maggior parte delle volte non accadono, però mi fanno star bene, meglio di niente, no?
Mi chiudo a riccio quando non conosco qualcuno, sono sfiduciosa verso il genere umano, ma quando prendo confidenza divento logorroica e inizio a parlare di tutto il mio albero genealogico e della mia vita dalla mia prima parola.
Sono insicura, non sempre mi convincono le decisioni che prendo e spesso, tendo a cambiare idea facilmente anche mentre la sto cambiando, mi sento una pazza!!
Sono folle, mi piacciono le pazzie, d’amore...
Sono una persona gelosa, non morbosa ma controllata, so cosa è giusto e cosa è sbagliato, nei limiti.
Sono complicata, è vero, ma non chiedo né pretendo nulla da nessuno, sono questa PRENDERE O LASCIARE
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curiositasmundi · 11 days
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Congratulazioni e un sentito ringraziamento per essere qui – nonostante le minacce, nonostante la polizia fuori da questa sede, nonostante la panoplia della stampa tedesca, nonostante lo Stato tedesco, nonostante il sistema politico tedesco che vi demonizza per essere qui.
«Perché un congresso palestinese, signor Varoufakis?», mi ha chiesto di recente un giornalista tedesco. Perché, come ha detto una volta Hanan Ashrawi, «non possiamo contare sul fatto che i silenziosi raccontino le loro sofferenze». Oggi, la ragione di Ashrawi si è rafforzata in modo deprimente, perché non possiamo contare sul fatto che i silenziosi, che sono anche massacrati e affamati, ci raccontino dei massacri e della fame.
Ma c’è anche un’altra ragione: perché un popolo fiero e dignitoso, il popolo tedesco, viene condotto su una strada pericolosa verso una società senza cuore, facendosi associare a un altro genocidio compiuto in suo nome, con la sua complicità.
Non sono né ebreo né palestinese. Ma sono incredibilmente orgoglioso di essere qui tra ebrei e palestinesi – di fondere la mia voce per la pace e i diritti umani universali con le voci ebraiche per la pace e i diritti umani universali, con le voci palestinesi per la pace e i diritti umani universali. Essere qui insieme oggi è la prova che la coesistenza non solo è possibile, ma che è già tra noi.
«Perché non un congresso ebraico, signor Varoufakis?», mi ha chiesto lo stesso giornalista tedesco, immaginando di fare il furbo. Ho accolto con favore la sua domanda. Perché se un solo ebreo viene minacciato, ovunque, per il solo fatto di essere ebreo, porterò la Stella di David sul bavero della giacca e offrirò la mia solidarietà, a qualunque costo, in ogni modo. Quindi lasciatemi esser chiaro: se gli ebrei fossero sotto attacco, in qualsiasi parte del mondo, sarei il primo a chiedere un congresso ebraico in cui esprimere la nostra solidarietà.
Allo stesso modo, quando i palestinesi vengono massacrati perché sono palestinesi – secondo il dogma che per essere morti e palestinesi devono essere di Hamas – indosserò la mia kefiah e offrirò la mia solidarietà a qualunque costo, in qualunque modo. I diritti umani universali o sono universali o non significano nulla.
Tenendo presente questo, ho risposto alla domanda del giornalista tedesco con alcune domande da parte mia: 
Esistono due milioni di ebrei israeliani, che sono stati cacciati dalle loro case e messi in una prigione a cielo aperto ottant’anni fa, sono ancora tenuti in quella prigione a cielo aperto, senza accesso al mondo esterno, con cibo e acqua minimi, senza possibilità di una vita normale o di viaggiare da nessuna parte, e che in questi ottant’anni vengono periodicamente bombardati? No.
Gli ebrei israeliani vengono affamati intenzionalmente da un esercito di occupazione, con i loro bambini che si contorcono sul pavimento e urlano per la fame? No.
Ci sono migliaia di bambini ebrei feriti, senza genitori superstiti, che strisciano tra le macerie di quelle che erano le loro case? No.
Gli ebrei israeliani vengono bombardati dagli aerei e dalle bombe più sofisticate del mondo? No.
Gli ebrei israeliani stanno subendo il completo ecocidio di quel poco di terra che possono ancora chiamare propria, senza che sia rimasto un solo albero sotto cui cercare ombra o di cui possano gustare i frutti? No.
Oggi i bambini ebrei israeliani vengono uccisi dai cecchini per ordine di uno Stato membro delle Nazioni Unite? No.
Oggi gli ebrei israeliani vengono cacciati dalle loro case da bande armate? No.
Oggi Israele sta combattendo per la sua esistenza? No.
Se la risposta a una di queste domande fosse sì, oggi parteciperei a un congresso di solidarietà ebraica.
Oggi ci sarebbe piaciuto avere un dibattito decente, democratico e reciprocamente rispettoso su come portare la pace e i diritti umani universali a tutti – ebrei e palestinesi, beduini e cristiani – dal fiume Giordano al Mar Mediterraneo con persone che la pensano diversamente da noi. Purtroppo, l’intero sistema politico tedesco ha deciso di non permetterlo. In una dichiarazione congiunta che comprende non solo la Cdu-Csu (Unione cristiano-democratica-Unione cristiano-sociale in Baviera) e l’Fdp (Partito liberale democratico), ma anche l’Spd (Partito socialdemocratico), i Verdi e, cosa notevole, due leader di Die Linke (La Sinistra), lo spettro politico tedesco ha unito le forze per garantire che un dibattito così civile, in cui possiamo essere in disaccordo, non abbia mai luogo in Germania.
Dico loro: volete metterci a tacere, vietarci, demonizzarci, accusarci. Pertanto non ci lasciate altra scelta che rispondere alle vostre ridicole accuse con le nostre accuse razionali. Siete voi a scegliere questo, non noi. Voi ci accusate di odio antisemita. Noi vi accusiamo di essere i migliori amici degli antisemiti, equiparando il diritto di Israele a commettere crimini di guerra con il diritto degli ebrei israeliani a difendersi. Ci accusate di sostenere il terrorismo. Noi vi accusiamo di equiparare la legittima resistenza a uno Stato di apartheid con le atrocità contro i civili, che ho sempre condannato e sempre condannerò, chiunque le commetta – palestinesi, coloni ebrei, la mia stessa famiglia, chiunque. Vi accusiamo di non riconoscere il dovere del popolo di Gaza di abbattere il muro della prigione a cielo aperto in cui è stato rinchiuso per ottant’anni, e di equiparare questo atto di abbattimento del muro della vergogna, che non è più difendibile di quanto lo fosse il muro di Berlino, ad atti di terrore.
Voi ci accusate di banalizzare il terrore del 7 ottobre di Hamas. Noi vi accusiamo di banalizzare gli ottant’anni di pulizia etnica dei palestinesi da parte di Israele e l’erezione di un ferreo sistema di apartheid in tutta Israele-Palestina. Vi accusiamo di banalizzare il sostegno a lungo termine di Benjamin Netanyahu ad Hamas come mezzo per distruggere la soluzione dei due Stati che dite di favorire. Vi accusiamo di banalizzare il terrore senza precedenti scatenato dall’esercito israeliano sulla popolazione di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est.
Accusate gli organizzatori del congresso di oggi di essere, cito, «non interessati a parlare delle possibilità di coesistenza pacifica in Medio Oriente sullo sfondo della guerra a Gaza». Dite sul serio? Siete fuori di senno?
Vi accusiamo di sostenere uno Stato tedesco che è, dopo gli Stati uniti, il maggior fornitore di armi che il governo Netanyahu usa per massacrare i palestinesi come parte di un grande piano per rendere impossibile la soluzione dei due Stati e la coesistenza pacifica tra ebrei e palestinesi. Vi accusiamo di non aver mai risposto alla precisa domanda cui ogni tedesco deve rispondere: quanto sangue palestinese deve scorrere prima che il vostro giustificato senso di colpa per l’Olocausto venga lavato via?
Quindi di nuovo vogliamo esser chiari: siamo qui a Berlino con il nostro congresso palestinese perché, a differenza del sistema politico e dei media tedeschi, condanniamo il genocidio e i crimini di guerra indipendentemente da chi li commette. Perché ci opponiamo all’apartheid nella terra di Israele-Palestina, a prescindere da chi abbia il coltello dalla parte del manico, proprio come ci siamo opposti all’apartheid nel Sudamerica o in Sudafrica. Perché siamo a favore dei diritti umani universali, della libertà e dell’uguaglianza tra ebrei, palestinesi, beduini e cristiani nell’antica terra di Palestina.
E per essere ancora più chiari sulle domande, legittime e maligne, a cui dobbiamo sempre essere pronti a rispondere:
Condanno le atrocità di Hamas?
Condanno ogni singola atrocità, chiunque sia l’autore o la vittima. Quello che non condanno è la resistenza armata a un sistema di apartheid concepito come parte di un lento ma inesorabile programma di pulizia etnica. In altre parole, condanno ogni attacco ai civili e, allo stesso tempo, festeggio chiunque rischi la vita per abbattere il muro.
Israele non è forse impegnato in una guerra per la sua stessa esistenza?
No, non lo è. Israele è uno Stato dotato di armi nucleari, con l’esercito forse più tecnologicamente avanzato del mondo e la panoplia della macchina militare statunitense alle sue spalle. Non c’è simmetria con Hamas, un gruppo che può causare gravi danni agli israeliani ma non ha alcuna capacità di sconfiggere l’esercito israeliano, né di impedire a Israele di continuare a mettere in atto il lento genocidio dei palestinesi sotto il sistema di apartheid che è stato eretto con il sostegno di lunga data degli Stati uniti e dell’Unione europea.
Gli israeliani non hanno forse ragione di temere che Hamas voglia sterminarli?
Certo che sì! Gli ebrei hanno subìto un Olocausto che è stato preceduto da pogrom e da un profondo antisemitismo che ha permeato l’Europa e le Americhe per secoli. È naturale che gli israeliani vivano nel timore di un nuovo pogrom se l’esercito israeliano cede. Tuttavia, imponendo l’apartheid ai propri vicini e trattandoli come subumani, lo Stato israeliano alimenta il fuoco dell’antisemitismo e rafforza quei palestinesi e israeliani che vogliono solo annientarsi a vicenda. Alla fine, le sue azioni contribuiscono alla terribile insicurezza che consuma gli ebrei in Israele e nella diaspora. L’apartheid contro i palestinesi è la peggiore autodifesa degli israeliani.
E l’antisemitismo?
È sempre un pericolo chiaro e presente. E deve essere sradicato, soprattutto tra i ranghi della sinistra globale e dei palestinesi che lottano per le libertà civili dei palestinesi in tutto il mondo.
Perché i palestinesi non perseguono i loro obiettivi con mezzi pacifici?
Lo hanno fatto. L’Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) ha riconosciuto Israele e ha rinunciato alla lotta armata. E cosa ha ottenuto in cambio? Umiliazione assoluta e pulizia etnica sistematica. Questo è ciò che ha alimentato Hamas e lo ha issato agli occhi di molti palestinesi quale unica alternativa a un lento genocidio sotto l’apartheid di Israele.
Cosa si dovrebbe fare ora? Cosa potrebbe portare la pace in Israele-Palestina?
Un cessate il fuoco immediato. Il rilascio di tutti gli ostaggi – quelli di Hamas e le migliaia trattenuti da Israele. Un processo di pace, sotto l’egida delle Nazioni Unite, sostenuto da un impegno della comunità internazionale a porre fine all’apartheid e a salvaguardare uguali libertà civili per tutti.
Per quanto riguarda ciò che deve sostituire l’apartheid, spetta a israeliani e palestinesi decidere tra la soluzione dei due Stati e quella di un unico Stato federale laico.
Amici, siamo qui perché la vendetta è una forma pigra di dolore. Siamo qui per promuovere non la vendetta, ma la pace e la coesistenza in Israele-Palestina. Siamo qui per dire ai democratici tedeschi, compresi i nostri ex compagni di Die Linke, che si sono coperti di vergogna abbastanza a lungo, che due torti non fanno una ragione e che permettere a Israele di farla franca con i crimini di guerra non migliorerà l’eredità dei crimini della Germania contro il popolo ebraico.
Al di là del congresso di oggi, in Germania abbiamo il dovere di cambiare il discorso pubblico. Abbiamo il dovere di convincere la grande maggioranza dei tedeschi onesti che i diritti umani universali sono ciò che conta. Che «mai più» significa «mai più per nessuno». Ebrei, palestinesi, ucraini, russi, yemeniti, sudanesi, ruandesi – per tutti, ovunque.
In questo contesto, sono lieto di annunciare che il partito politico tedesco Mera25 di DiEM25 sarà sulla scheda elettorale per le elezioni del Parlamento europeo del prossimo giugno, cercando il voto degli umanisti tedeschi che desiderano un membro del Parlamento europeo che rappresenti la Germania e che denunci la complicità dell’Ue nel genocidio, una complicità che è il più grande regalo dell’Europa agli antisemiti in Europa e oltre.
Vi saluto tutti e vi suggerisco di non dimenticare mai che nessuno di noi è libero se uno di noi resta in catene.
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canesenzafissadimora · 2 months
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Se mi chiedessero di scrivere una lettera a una bambina che sta per nascere, lo farei così [...] Vorrei che gli adulti che incontrerai fossero capaci di autorevolezza, fermi e coerenti: qualità dei più saggi. La coerenza, mi piacerebbe per te. E la consapevolezza che nel mondo in cui verrai esistono oltre alle regole le relazioni e che le une non sono meno necessarie delle altre, ma facce di una stessa luna presente. Mi piacerebbe che qualcuno ti insegnasse a inseguire le emozioni come gli aquiloni fanno con le brezze più impreviste e spudorate; tutte, anche quelle che sanno di dolore. Mi piacerebbe che ti dicessero che la vita comprende la morte. Perché il dolore non è solo vuota perdita ma affettività, acquisizione oltre che sottrazione. La morte è un testimone che i migliori di noi lasciano ad altri nella convinzione che se ne possano giovare: così nasce il ricordo, la memoria più bella che è storia della nostra stessa identità. Mi piacerebbe che qualcuno ti insegnasse a stare da sola, ti salverebbe la vita. Non dovrai rincorrere la mediocrità per riempire i vuoti, né pietire uno sguardo o un'ora d'amore. Impara a creare la vita dentro la tua vita e a riempirla di fantasia. Adora la tua inquietudine finché avrai forza e sorrisi, cerca di usarla per contaminare gli altri, soprattutto i più pavidi e vulnerabili [...] Mi piacerebbe che la persona che più ti amerà possa amare il tuo congedo come un marinaio che vede la sua vecchia barca allontanarsi e galleggiare sapiente lungo la linea dell'orizzonte. E tu allora porterai quell'amore sempre con te, nascosto nella tua tasca più intima.
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Paolo Crepet
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