Tumgik
#EATSproject
giuliamagnani · 4 years
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La rivoluzione a piccoli passi
Secondo la Banca Centrale lo scorso anno i lavoratori immigrati hanno inviato alle proprie famiglie una somma 3 volte superiore (554 miliardi di dollari) agli aiuti per la cooperazione allo sviluppo. Quelli che per i paesi benestanti sono un costo scomodo in realtà sono solo un piccolo tassello all’interno del quadro generale. 
Con le navi umanitarie ancora cariche di persone in attesa di aiuto dovremmo chiederci cosa non funziona nella struttura della nostra società. Abbiamo ignorato i segnali e ora continuiamo a nascondere la testa sotto la sabbia. Penso che ci sarebbe più lavoro per tutti e la società nel suo insieme ne uscirebbe arricchita se ci dotassimo di una rete dell’accoglienza degna di questo nome. Una struttura che, al contrario, durante il Governo Salvini è stata abbattuta con il pretesto della paura e la scusa delle porte chiuse. 
L’emergenza sanitaria e i conflitti più o meno aperti che sono in corso hanno minato quel che resta del tessuto sociale in Medio Oriente, Africa e Asia centrale. Questo boomerang tornerà indietro con una potenza imprevedibile, una forza distruttiva che ci troverà di nuovo impreparati ad afferrarlo.   
In Cina uno dei focolai più gravi è scoppiato nella regione dello Xinjiang dove abita la minoranza uigura di fede musulmana e altri popoli di origine centro-asiatica. È qui che si concentrano i campi di « rieducazione » del governo centrale, tesi a convertire queste minoranze alla vita civile imposta dallo Stato. In queste zone d’ombra - regioni “autonome” solo sulla carta - sono sempre i piccoli gruppi a farne le spese mentre il Covid amplifica il silenzio che le circonda.
A New York Project EATS (http://projecteats.org) è una realtà comunitaria dove si combattono disuguaglianza, disagio ed emarginazione sociale producendo il cibo in modo condiviso e responsabile. Nessuno di noi può rinunciare a ciò che mangia e in ultima analisi dal cibo dipende buona parte della nostra libertà e quella delle altre persone. Cosa compriamo, dove, come e quanto consumiamo, come viene prodotto: da questi elementi può derivare una società più giusta ed equa, oppure un aggregato disomogeneo e sterile. Masanobu Fukuoka nel suo libro uscito nel 1978 e tradotto in Italia nel 2008 con il titolo “La rivoluzione del filo di paglia”, sosteneva che bastano 1.000 mq a testa per essere autosufficienti e quindi liberi. Il recupero di questa dimensione perduta (o che ci è stata sottratta?) è la chiave per la rivoluzione che ci attende. Da questa prospettiva EATS sembra curare la pianta a partire dalle sue radici, generando un circolo di produzione, scambio e costruzione di reti locali che danno vita a una comunità impermeabile alle logiche esterne che vorrebbero minarla.  
In Italia si parla poco di queste pratiche, così come si parla poco di social housing e politiche abitative alternative, preferendo il chiacchiericcio sui soliti argomenti… Le petizioni per chiedere basta all’uso del glifosato, più sostegno ai produttori locali, la tutela della biodiversità viaggiano sui social con toni dimessi o come un bisbiglio tra le persone che ci tengono. O così mi sembra… Vorrei che tutti a piccoli passi iniziassimo a cambiare e prendessimo parte a questo processo. Da sempre nei cannoni andrebbero messi solo e soltanto fiori (e spighe di grano…).
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giuliamagnani · 4 years
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Lo spirito No Global si era solo assopito
Non trovo molte parole per quello che è successo a Beirut e infondo ogni parola sarebbe superflua. Lascio il racconto e le analisi ai giornalisti, le indagini alla polizia. Resto in silenzio con il cuore colmo di tristezza, vicina alle persone colpite.
Penso che il tempo dell’emergenza ci abbia mostrato che la risposta ai problemi sociali - disuguaglianza, emarginazione e povertà per prime - arriverà dal basso. 
All’inizio osservavo con stupore e un briciolo di meraviglia (quella che si ha per le cose preziose e fragili) i fenomeni di solidarietà silenziosa e spontanea che si diffondevano durante i mesi di isolamento. Oggi sono convinta che in questi fenomeni vi sia la chiave per risolvere il problema; la loro forza è grande, potente e viva. Da questi piccoli semi può nascere una società nuove dove la solidarietà è un elemento insostituibile e il valore delle piccole cose pervade ogni giornata.
Gli psicologi, i grandi Maestri, chiunque abbia un approccio più spirituale alla vita, sanno che all’inizio quando le cose iniziano ad andare meglio, accadono le prime difficoltà. È come se il cambiamento testasse la nostra forza di volontà.
Per questo decido di crederci: credere che una società migliore sia possibile. 
In tutti questi mesi in Italia, in Francia, in Libano e negli Stati Uniti (solo per fare alcuni esempi) si sono diffuse cucine “volontarie” che recuperano cibo, lo preparano e lo distribuiscono a chi ne ha più bisogno. Dalle loro pentole emana gioia pura e non semplice nutrimento. In Francia l’artista JR (Fb: JR Artist > da visitare) con un gruppo di giovani volontari ha mobilitato quantità di cibo inimmaginabili, muovendosi per i quartieri di una Parigi altrimenti deserta e immobilizzata. Il loro entusiasmo ha riempito il mio cuore di speranza.
Ho appena scoperto grazie all’ong britannica Impact Lebanon, la cucina solidale matbakhelbalad di Beirut (Instagram: @matbakhelbalad) e in passato avevo citato l’esperienza comunitaria di ProjectEATS nel cuore di New York (http://projecteats.org). Questa è solo una timida lista...
Dal volontariato che per molto tempo è stato uno strumento di moderno sfruttamento nasce la possibilità di sganciarsi dalle logiche capitaliste, che vorrebbero mettere i nostri saperi e abilità al servizio di una macchina divoratrice di anime. Gli stage, i contratti a termine, i lavori sottopagati, le false partite iva... Ora siamo consapevoli del nostro valore e sappiamo che quel sistema che ci aveva tanto rincorso e inghiottito, non ci salverà quando ne avremo bisogno.
Quanto profitto hanno fatto le grandi imprese negli ultimi dieci anni? Quale scarto tra i loro utili e gli stipendi dei dipendenti? E ora le stesse aziende si oppongono alla proroga del blocco dei licenziamenti... Io dico no.
Non abbiamo bisogno di una grande distribuzione, di magliette tutte uguali e profumi che hanno la stessa nota. Se riscoprissimo fino in fondo il valore del nostro tempo e il peso delle nostre scelte, diventeremmo consapevoli del nostro potere e saremmo capaci di farlo risuonare su scala globale. Sapremo come creare da soli quello che ci serve o recuperarlo all’interno della comunità, riscoprendo antichi mestieri e approfittando con sapienza del sistema capitalista che da tempo aspetta di essere scalfito.
La forza motrice delle proteste No Global vive sotto la cenere e le sue potenzialità oggi sono amplificate per la sofferenza che il Covid, i conflitti e le tensioni in corso hanno fatto esplodere. Tante piccole comunità potrebbero crearne una gigantesca. 
Nella lingua giapponese “crisi” porta in sé la possibilità della rinascita. Credo ci troviamo a questo punto, insieme mano nella mano.
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