Tumgik
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Non c’è posto per chi cerca di semplificare la sua vita. Non c’è posto per chi non cerca di far quattrini, o non cerca di far sì che i quattrini producano quattrini. Non c’è posto per chi porta lo stesso vestito un anno dopo l’altro, per chi non si fa la barba, e non crede nella necessità di mandare i figli a scuola a farsi diseducare, per chi non si scrive alla Chiesa, al Sindacato e al Partito, per chi non serve la «Delitto, Peste e Distruzione, S.p.A.». Non c’è posto per chi non legge «Time», «Life», e una qualche «Selezione». Non c’è posto per chi non vota, non è assicurato, non compra a rate, non ammucchia debiti su debiti, non ha un libretto d’assegni e non fa affari con i grandi magazzini Safeway o con la Great Atlantic and Pacific Tea Company. Non c’è posto per i best-seller del giorno e non contribuisce a mantenere i ruffiani venduti che li scaricano sul mercato. Non c’è posto per chi è tanto sciocco da credere d’avere il diritto di scrivere, dipingere, scolpire o comporre musica secondo i dettami del proprio cuore e della propria coscienza. O che non vuole essere altro che un artista, un artista da capo a piedi.
Big Sur e le arance di Hieronymus Bosch, Henry Miller. 
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Invece di battere la testa contro il muro (perché ci viene così spesso l’emicrania?), sedete tranquillamente con le mani giunte ad aspettare che il muro si sbricioli. Se siete disposti ad attendere un’eternità, può darsi che accada in un batter d’occhio. Perché i muri spesso cedono più in fretta dello spirito orgoglioso che ci governa. Non dovete sedervi a pregare che ciò accada! Basta sedersi a guardare mentre accade. Statevene così seduti, indifferenti a tutto ciò che è stato detto e insegnato sui muri. Invece di soffermarvi sull’emicrania che, come noterete, vi è passata, soffermatevi sul vuoto tra le cose, e finalmente sul vuoto delle cose. Quando questo vuoto non sarà riempito altro che di vuoto aprirete gli occhi sul fatto che quello che ritenevate un muro non è affatto un muro, ma forse un ponte, o una scala di fuoco. Il muro sarà ancora là, naturalmente, e se aveste soltanto una vista normale sarebbe molto somigliante a qualsiasi altro muro, ma ormai avete perso quel tipo di vista e con essa la difficoltà che ha un muratore a comprendere che cosa intende uno scienziato quando spiega quali sono in realtà gli elementi d’un muro. Voi siete in vantaggio sullo scienziato perché non sentite il bisogno di spiegare nulla. Ciò che è, è. Big Sur e le arance di Hieronymus Bosch, Henry Miller. 
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Nel sublime vedevano il ridicolo. Vedevano l’ego dove c’era solo annullamento di sé. Toccando questi problemi solevo spronarla a tenere un maggior distacco. Mi era facile capire che cadeva e ricadeva nella solita trappola, che si lasciava, del tutto inconsapevolmente, usare e sfruttare. Che una semplice domanda, che lei riteneva sincera, poteva indurla a spiegazioni che erano spossanti. Talvolta nel suo coercitivo comportamento, nella sua ansia di mettere le cose a posto, di non lasciare nulla in sospeso, io la tacciavo (silenziosamente) di interferenza. Il minimo accenno in questo senso l’avrebbe colmata d’angoscia. Non si rendeva assolutamente conto, o così sembrava, di incombere perennemente sugli altri nella sua smania di essere d’aiuto. Sempre all’erta, era come una sentinella in lotta contro la stanchezza. La sua natura decretava che non poteva essere altrimenti. I suoi sforzi, lo so, devono scontrarsi con l’indifferenza di coloro che possono tranquillamente chiudere gli occhi davanti alle tribolazioni e alle disgrazie altrui. Ma per quanti sono consapevoli, consapevoli al massimo grado, il problema non è se chiudere gli occhi o tenerli aperti, è di trattenersi dall’intervenire. «Accorrono gli stolti dove gli angeli non osano procedere», secondo il detto. Ovviamente, gli angeli vedono più lontano e più a fondo dei comuni mortali; se gli angeli esitano non è certo per paura. (...) Con ogni oncia di saggezza che possedeva ella si ammaestrava da capo ogni giorno a bandire anche il più innocente tipo d’intercessione. Conscia che l’autoesortazione non è che un promemoria di segrete mancanze, si esortava anche a fare tutto ciò a cui la spingevano le sue sollecitazioni interiori. Lottando per restare aperta, per evitare di prendere delle decisioni, per eleminare le opinioni, per non usare la volontà, per affrontare ogni situazione appena sorgeva, quando sorgeva e non prima, lottando per non lottare, combattendo per non combattere, decidendo di non decidere, si stava veramente trasformando in un campo di battaglia. Esternamente mostrava pochi segni di questo conflitto multilaterale; era sempre serena, fiduciosa, ottimista, e terapeutica, anche senza volerlo. All’interno, però, era logorata. Aveva una parte da sostenere nella vita, ma la natura di questa parte si stava facendo sempre più elusiva. Big Sur e le arance di Hieronymus Bosch, Henry Miller. 
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La cosa più difficile alla quale adattarsi, evidentemente, è la pace e la soddisfazione. Finché c’è qualcosa da lottare, la gente sembra capace di sopportare privazioni d’ogni genere. Togliete l’elemento della lotta, e sono come pesci fuor d’acqua. Quelli che non hanno più nulla di cui preoccuparsi, spesso, per disperazione, si addossano i pesi del mondo. Questo non per idealismo ma perché devono avere qualcosa da fare, o almeno qualcosa di cui parlare. Se queste anime vuote provassero un vero interesse per la condizione dei loro simili si consumerebbero tra le fiamme della devozione. Basta varcare la soglia di casa per scoprire un regno abbastanza grande da esaurire le energie d’un gigante, o meglio, d’un santo. Naturalmente, più attenzione si presta alle deplorevoli condizioni esterne meno si è capaci di godersi quel tanto di pace e di libertà che si possiede. Fosse anche il cielo, il luogo dove ci troviamo, possiamo renderlo dubbio e sospetto. Alcuni diranno che voglio passare la vita sognando. Come se la stessa vita non fosse un sogno, un sogno realissimo dal quale non c’è risveglio! Si passa da uno stato di sogno all’altro: dal sogno del sonno al sogno della veglia, dal sogno della vita al sogno della morte. Chiunque abbia fatto un bel sogno non si lamenta mai d’aver sciupato il suo tempo. Al contrario, è felicissimo d’aver partecipato di una realtà che serve a intensificare e valorizzare la realtà quotidiana. Big Sur e le arance di Hieronymus Bosch, Henry Miller. 
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Senza fallo verrà il giorno in cui considererete il mondo come se non avesse mai ricevuto l'urto d'una sola idea capace di elevare.
Big Sur e le arance di Hieronymus Bosch, Henry Miller.
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La terra abbandonata, sovraccarica di lettere dell’alfabeto, soffocata dalle nozioni, e su di essa non c’è più un solo orecchio vivente, che sappia stare in ascolto nel freddo.
Appunti 1942-1993, Elias Canetti.
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Ci sono libri che si posseggono da vent’anni senza leggerli, che si tengono sempre vicini, che uno si porta con sé di città in città, di paese in paese, imballati con cura, anche se abbiamo pochissimo posto, e forse li sfogliamo al momento di toglierli dal baule; tuttavia ci guardiamo bene dal leggerne per intero anche una sola frase. Poi, dopo vent’anni, viene un momento in cui d’improvviso, quasi per una fortissima coercizione, non si può fare a meno di leggere uno di questi libri d’un fiato, da capo a fondo: è come una rivelazione. Ora sappiamo perché lo abbiamo trattato con tante cerimonie. Doveva stare a lungo vicino a noi; doveva viaggiare; doveva occupare posto; doveva essere un peso; e adesso ha raggiunto lo scopo del suo viaggio, adesso si svela, adesso illumina i vent’anni trascorsi in cui è vissuto, muto, con noi. Non potrebbe dire tanto se per tutto quel tempo non fosse rimasto muto, e solo un idiota si azzarderebbe a credere che dentro ci siano state sempre le medesime cose.
Appunti 1942-1993, Elias Canetti.
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Odio l’eterna disponibilità alla verità, la verità per abitudine, la verità per dovere. La verità dev’essere un temporale: quando ha purificato l’aria, se ne vada. La verità deve cadere come un fulmine, altrimenti non ha alcuna efficacia. Chi la conosce deve averne paura. La verità non può divenire mai il cane dell’uomo, guai a chi la chiama con un fischio. Non la si tenga al guinzaglio, non la si porti in bocca. Non la si foraggi, non la si misuri; la si lasci crescere nella sua terribile pace. Dio stesso si è preso troppe confidenze con la verità e per questo è rimasto soffocato.
Appunti 1942-1993, Elias Canetti.
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Gli uomini non hanno mai saputo così poco di sé quanto in questa «èra della psicologia». Non possono star fermi. Corrono via dalle loro stesse metamorfosi. Non rimangono ad assistervi, se le anticipano, preferiscono essere tutto, tranne quello che potrebbero. Viaggiano in automobile attraverso i paesaggi della loro anima, e siccome si fermano solo ai distributori di benzina, credono che là non ci sia altro. I loro ingegneri non costruiscono altro: ciò che mangiano puzza di benzina. Sognano in pozzanghere nere.
Appunti 1942-1993, Elias Canetti.
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(...) sono la solitudine che suona lo xilofono per pagarsi l’affitto.
Ricordati di ricordare, Henry Miller.
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Impossibile! – urleranno. Be’, questa è l’opinione di un uomo solo. Non ho coltelli da arrotare, partiti da sostenere, «ismi» da seguire. Se mi agito tanto è solo in nome di quella libertà, di quella sicurezza, di quella pace e armonia che tutti questi gruppi in conflitto invocano e promettono. Non le voglio da morto. Le voglio ora. Tutto quello che faccio, lo faccio con questo scopo. 
Ricordati di ricordare, Henry Miller.
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L’America è piena di posti. Posti vuoti. E tutti questi posti vuoti sono affollati. Gremiti d’anime vuote. Tutte nei guai, tutte in cerca di distrazione. Ognuno cerca un bel posticino comodo dove poter stare col suo simile e non con i problemi che lo perseguitano. E questo posto non lo trova mai, ma fa finta che esista, se non qui altrove. E tutti si dicono, come tanti monomaniaci: «È bello qui. Un bel posto. Qui ci sto bene, Voglio dimenticare che sono solo e infelice». E con ciò si è davvero soli, davvero infelici. E allora t’accorgi che qualcuno ti sta parlando. È nel bel mezzo di un monologo da birra. Questo tizio non è soltanto solo e infelice, è suonato. Alla fine sei così disperato che decidi d’andare a casa. Per far questo bisogna essere proprio disperati, perché la propria casa è l’ultimo posto al mondo dove andare quando si è alla disperazione. Naturalmente è dotata di tutte le comodità più moderne: radio, frigorifero, lavatrice, aspirapolvere, Enciclopedia britannica, fumetti, telefono, termosifone, forno elettrico, doccia, ecc. Tutti i comfort, per così dire. Ma non c’è mai stato un popolo più scomodo degli americani a casa loro. Seduti in poltrona non dovete far altro che girare la manopola ed ecco giungervi sulle onde dell’etere il suono di quella voce melliflua, scelta appositamente, che dice: «Il mondo guarda all’America!» Se solo potesse guardare più a fondo nel cuore dell’America, vedere come stanno le cose in seno alla famiglia! Forse allora il mondo girerebbe la faccia da un’altra parte. Forse sarebbe mille volte meglio per il mondo se smettesse di sperare e credere nell’America. Questa è solo un’idea.
Ricordati di ricordare, Henry Miller.
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Sfogliate indietro i vostri diari. Non c’era sempre, verso la primavera, un tempo in cui l’anno irrompente vi colpiva come un rimprovero? Era in voi disposizione alla letizia e tuttavia, quando uscivate nel grande spazio vuoto, nasceva fuori, nell’aria, qualcosa d’inquietante e voi diventavate mal sicure nell’incedere, come su una nave. Il giardino cominciava; ma voi (era così) ci trascinavate dentro l’inverno e l’anno precedente; per voi era, al più, una continuazione. Mentre aspettavate che l’anima partecipasse, sentivate d’un tratto il peso delle vostre membra, e qualcosa come la possibilità di ammalarvi entrava nel vostro aperto presentimento. L’attribuivate all’abito troppo leggero, vi stringevate lo scialle sul dorso, correvate sino in fondo al viale: e lì vi fermavate, con il batticuore, nell’ampia rotonda, decise a essere d’accordo con tutto. Ma l’uccello cantava ed era solo e vi rinnegava. Avreste dovuto essere morte? Forse. Forse non è cosa nuova che noi si sopravviva a questo: all’anno e all’amore. Fiori e frutti sono maturi quando cadono: gli animali si sentono e si trovano l’un l’altro e sono soddisfatti. Ma noi, che non ci siamo proposti Dio, non possiamo essere pronti. Mettiamo innanzi la nostra natura, abbiamo ancora bisogno di tempo. Cos’è per noi un anno? Che cosa, tutti gli anni? Prima ancora di avere cominciato Dio, già lo preghiamo: facci sopravvivere a questa notte. E alle malattie. E poi all’amore.
I quaderni di Malte Laurids Brigge, Rainer Maria Rilke.
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(...) quell’eroismo era superbia, senza obbedienza.
I quaderni di Malte Laurids Brigge, Rainer Maria Rilke.
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Soliti a scambiare, nella vita d’ogni giorno, lo straordinario con il proibito, l’attesa del meraviglioso che ora si promettono conferisce ai loro visi come un’espressione di grossolanità e dissolutezza.
I quaderni di Malte Laurids Brigge, Rainer Maria Rilke.
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(...) ma non capivano che tu, di giorno in giorno più disperata, alzavi sempre davanti a te una poesia, perché ti nascondesse. Tenevi i capelli, le mani, qualsiasi cosa consistente, sui punti trapelanti. Appannavi quelli che erano trasparenti; ti facevi piccola: ti nascondevi come si nascondono i bimbi e poi avevi quel grido breve, gioioso, e soltanto un angelo avrebbe potuto cercarti. Ma quando alzavi cautamente gli occhi, non c’era più dubbio che ti avevano veduto tutto il tempo, in quel brutto spazio vuoto e occhiuto: te, te, te, e null’altro.
I quaderni di Malte Laurids Brigge, Rainer Maria Rilke.
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Oggi i drammi cadono in briciole attraverso il setaccio bucato delle scene, si ammucchiano e vengono spazzati via, quando ce n’è abbastanza. È la stessa realtà mezza cotta che si trova nelle case e per le strade, solo che se ne accumula più di quanta ne entri in una sera. (Siamo dunque sinceri: non abbiamo un teatro, come non abbiamo un Dio: per averli occorre una comunanza. Ognuno ha idee, timori particolari, e agli altri fa vedere quel tanto che gli giova e gli si addice. Diluiamo di continuo la nostra intelligenza per farla bastare, invece di gridare verso il muro di una miseria comune, dietro il quale l’Incomprensibile ha il tempo di raccogliersi e di flettersi).
I quaderni di Malte Laurids Brigge, Rainer Maria Rilke.
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