Tumgik
settegiorni · 15 days
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laddove dovresti cominciare a scordare (2020)
Inizi a ripetere il nome. con voce sommessa. poi sempre più alta. la coscienza vacilla. odore di incenso il nome nell’aria. sale vago uno stilo di ombra. e verticalizza il piano del muro. ripeti il tuo nome ti chiami mutando. il tono il ritmo l’intenzione. l’insonnia di mostri. destava la notte. chissà cosa era e sai cosa era. la cosa era. la cosa materna. di rimozione freudiana. adesso che scrivi non scrivi. salti alla fine. non vuoi ricordare. perché dovresti iniziare a scordare.
Prendi il vuoto dalla finestra. il mantello di nulla che copre la vista. eppure l’aria odora di nuovo. dacché s’è vietato gran parte del giro. il virus ammazza il capitale serale. è fresco di corpo appena lavato. mai udito il suono di natura regressa. pare il paesino natale. che dalla campagna riceve. profonda preghiera di aria pulita. però non convince la lingua che scrivi. eppure ti piace il cantilenante. monotono gioco. è un gioco. nient’altro. mentre non sai di che tempo si parla. giorni d’illuminante miseria. il nulla non manca. solo il controllo del minimo mondo. all’epopea quotidiana è sottratto. da questo la rabbia e dopo l’angoscia. tu esci dentro. dentro te stesso. a passare serate con mille persone. molteplici i segni sul foglio a formare. la linea il contorno una sagoma audace. inizi un poema di carne spettrale. non cadaverico. ma spettro ondivago di moti sonori. di luci in raduno di vuoto in conclave. è dieci giorni di stretto controllo. che abbiamo perduto sulle cose normali. abiti che non abitiamo. ulteriori pellicole intorno al silenzio. che temi. il silenzio peggiore. quello degli altri. che si esprime a solerti parole. veloci a cicatrizzare. il segreto che ognuno accompagna. chiudendosi in grembo il contagio peggiore.
Il sole del 21 marzo chiama il corpo a saltare. il pensiero rimane sciolto. nel fondo di un amaro bicchiere. ricordi quando le nuvole. avevano forme più umane. quando l’estate poltriva. nel fagotto di carni sudate. quando il tempo frenetico frenava l’amore. e stavamo abbracciati per non darcela vinta. con rabbia e rancore. e adesso ne scrivi. prendendo a esempio possibili storie. orlando il vuoto ripieno dal niente da dire. laddove dovresti cominciare a scordare.
Riprendi a cadere. il battito al cuore irregolare. riprendi a scordare. per dire che piove e devi mentire per forza di cose. per forse e probabili prove. da non superare. perché adesso scrivi e profitti dell’attimo. di colma interiore. e a chi ti rivolgi se ora. ti avverti lusinghe e travolti. il senso soggetto alla musica. ché dire tutto è già dire. ovunque. senza anche parole. senza anche significati. riprendi a cadere. a scordare e riprendi oggettivo. a vedere il mondo fermare. non ha senso oppure è troppo interiore. magari io e te. da lapide a lapide. ci lasciamo attenere al bioma. all’albero. ecco.
Niente di strano quel giorno solare. mentre la voce non era che inizio. di folle finestra affacciata sul vuoto. il pensiero dissolto di nebbia al mattino. i nessi causali disciolti nel niente. nel nulla creativo del desiderio. ho sempre disse egli scrivendo ho sempre. disse avuto sentore tutto. non può essere questo. letto e capito o visto soltanto. c’è sempre il mistero del corpo. e nessuna parola. può spiegare davvero. è questo il mistero oppure gli alberi che. fra loro si sanno salvare dal vuoto. ponendosi ascolto del cielo che muta. non muto distratto di nuvole. ammassi di luce vertigini. assolte da pentole grandi. colori galattici. bocche richiuse. barlumi sintattici.
Ti avvedi e ti assenti. ti avvedi che l’alba porta disastri. ti assenti assentendoti. assentandoti in bici mattina di gelo. e commissioni da. avevi. sì pericoloso. adagiando la musica al verso. la cordialità di un timbro imperfetto. a parola uguale colore differente. questo succede che accordi. laddove dovresti cominciare a scordare. togliere il cuore la corda il sartiame. iniziare. perché dopo il prologo. appena. scordare diventa abito corda. nave ripeti cordarsi di ricordare. laddove dovresti cominciare a scordare. iniziare solo. non dilinguare né dilungare. assaporare oppure. il labiale del ricordo scordare. questo per quanto ricorre il pensiero. scalzare. viene da calzolaio. in via non ricordo. stamani prima di andare a non lavorare. desiderio di cominciare a scordare. la scarpa l’una e l’altra per differenti toni. hanno un errore indotto dalla mano e. dal processo in cammino. fa freddo. là fuori si vede ricurvo egli sull’unico attrezzo. a uno scopo votato. il ragazzo che calza ginnastica. ripara le autovetture dei piedi. e tu torni a tu. con la mente e riprendi. laddove dovresti iniziare a finire. laddove dovresti iniziare a scordare.
Su interazione riprende a scordare. il tu cui riferivi. la cosa vagante il chierico senza. né dio né domande da farsi né stanze. distante dal senso che si ha. dell’interazione con l’altro. che è prima rendere intero l’altro. pieno del suo svolgersi interno casualmente distinto. dal riciclo di azioni parole e gesti. estimi. intimi mai del tutto esterni. questo è quanto devi disimparare. per iniziare di nuovo un risveglio. e poi questa tazza che porti alle labbra. o queste labbra che staccano il gesto. alla tazza ricolma di liquido nero. cosa distingue dal foro bottiglia. se il risultato è pieno del vuoto. la netta soglia che fa del pieno. un pieno e del vuoto. un colmo a colmare. e poi dovresti iniziare a scordare.
Su oltrepassare dovrebbe. tacere la lingua e. meditare per questo mediando. ostacolo e slancio. ripresa fermata bilancio. astensione al contorno del dubbio. che lascia insoluto il senza risposta. laddove dovresti scordare l’abito. di contendere al vuoto il significante. lasciarlo andare. e dovresti per questo ingoiare l’idea di un oltrepassare. di un oltrepassato. è questo il disegno migliore. per sperare a non morire di vita. un oltrepassato è il passato. dopo che iniziato a scordare. il nome il tuo corpo il luogo che ti vuol contenere.
Su questo punto dovrebbe tacere. guardare aldilà di un tramonto lunare. vestirsi di suono e andare a vedere. se oltre il silenzio c’è un colore di topo. il corpo è presente e duole lo spazio. nel questo momento. nell’atrio che alghe. nel colmo che baratri di voci volatili. in questo territorio volubile ormai. la poesia si disloca in piccole unità manageriali. economia di mercato smarcandosi. del tutto dalla persona. ci sarebbero cose da dire ma. laddove dovresti cominciare a scordare.
per questo ti svegli. per farti da parte. nel segno del desiderio. piove. passeggiano immagini a basso volume. la strada strappata la striscia di gaza. pensieri nell’immediato.
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settegiorni · 15 days
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Gli ormoni di Lacan
Il salmone precario
disinteressato al minino scoglio. il salmone precario conduce il pascolo spesso controcorrente. sicché in casa sua la luce s’accende al contrario aspirando il colore dagli oggetti e gettando ombre sinistre. mancine e ambidestre. il salmone durante i diluvi trasversali. salmodia riti reti e peti. così. giusto per non fare qualcosa. si narra. si narra addosso. che ai tempi del terzo concistoro di castori. il salmone smise di essere controcorrente e aprì un conto corrente. oltre tutto il contro corrente non esisteva e non sarebbe mai esistito per ovvi motivi illogici. infatti versare soldi sul latte macchiato non è proprio un gargarismo da nulla. e d’altra parte è simile allo scus-scus tipico piatto camaldolese. che si serve o si prepara quando non si ha nulla in casa e si trovano. mille scuse. per non andare a pranzo o a cena e. però sembra ineducato declinare l’invito. a pranzo o a cena. e allora si inventano mille scuse. da cui. appunto. il piatto scus-scus. e sarebbe vero se esistesse il piatto scus-scus. ma non esiste. per questo è preparato dai migliori chef. ma il salmone precario. ancora non si conosce l’origine del comportamento salmonico. sappiamo solo che nel primo millennio prima della nascita del salmone e dei pesci. moltiplicare i pani e i pesci era molto ambiguo. non sappiamo perché. l’unica cosa sicura è la morte. e quindi. sicuramente. anche se il salmone precario non esiste. è sicuramente morto. abbiamo. infatti. un morto-metraggio. esiguo documento filmico sulla morte del salmone precario. girato dal cugino. il salmone martoriato e dalla sorella del medesimo. la pannocchia striata delle ardenne. Le famose ardenne paraboliche che permisero. agli scalatori dell’everest di seguire i programmi televisivi dal vicino Egitto. nelle ore di punta quando erano in cima. e qui apro una breve parentesi. voglio parlare della parentesi e del suo ruolo nella statocastica dei baluginii. la parentesi. infatti. nacque alla fine di un periodo lungo e incomprensibile. dove lutti e letti si condensavano a furor di popolo. sulle finestre aldobrandine e sulle aldobrandine dormivano a frotte le cicale cilene di belgrado. le parentesi ebbero un ruolo incisivo. a differenza di altri segni che hanno ruoli molari. canini o premolari. fu l’incontro tra la parentesi e il salmone a detestare lo scandalo. ai tempi del re salmone e non il contrario. in quanto che. il contrario fu rinomato per il vino ancestrale di borgogna. ai tempi della seconda involuzione francese e della penultima convulsione industriale. a quel tempo. le parentesi concessero al salmone più di quanto il salmone stesso avrebbe concesso alle parentesi. e di qui. infine. nacque il disinteresse del salmone al minimo scoglio. allo stato attuale degli studi. leonardo da vinci non ha ancora destato il minimo interesse nei salmoni precari.
Le arance del Bangladesh
le arance verdi del bangladesh conciliano i temporali. assieme alle porte e alle finestre. gli aranceti del bangladesh trillano come telefoni arancioni. al tempo delle risacche a crepapelle. il mare si sganasciava di onde elettromagnetiche. v’erano agenti di pompe funebri. che praticavano sesso orale ai morti per impiccagione. c’erano anche i cavilli. cavalli puntigliosi il cui dado non era tratto ma era trotto. al tempo delle arance verdi tutti i nodi venivano al vento. e in tutti i modi e questa associazione. invero. erano in pochi a comprenderla. me compreso incompreso. si parla addirittura di 8000 lingue. e si sapeva già che la lingua batte un po’ dove capita. per strada e nei parchi. e clienti occasionali di facevano ladri di piacere. d’altra parte a quel tempo. il tempo delle arance verdi. le gatte frettolose mettevano ansia e se i topi non c’erano. si andava a cercarli per non far ballare i gatti. che organizzavano feste rumorose fino all’alba. da cui il fenomeno e la successiva fondazione della rabbia saudita. il tempo delle arance verdi fu un bel periodo. gli spremiagrumi non esistevano ancora. i divani ospitavano raramente strisce pedonali. gli automobilisti soccombevano più facilmente al flashback dell’autovelox.
Inconvenienti del canto a cappella
cantare a cappella è rischioso. poiché esiste la possibilità di un organo. molti cantano a cappella nella spermanza di raggiungere i chioschi dell’orgasmo. a pen vedere. non c’è divertimento senza farfugliamento e se poi ci mettiamo l’organo a canne. ecco. il discorso non cambia. insensato era prima insensato resterà. trallallero trallallà. un po’ come l’infradito dei canti gregoriani. ma non c’entra questo. cantare a cappella coinvolge parte delle alpi svizzere. parte delle alpi apuane. parte delle alpi a pois. e parte della alpi relgine. le alpi relgine producono il muco ambrosoli che è proprio il gargarismo più adatto ai canti a cappella. d’altro canto non si può prescindere da alcuna scala. soprattutto se la scala è a chiocciola. vista la sua lentezza. le scale a chiocciola sono di madri con i pioli. e se non avete capito la metafora. vuol dire che non potrete mai capire la doppiafora. d’altronde il doppio è sempre stupefacente. anzi didascalico o se volete. diarreico. e la diarrea non si augura a nessuno. figuriamoci la triarrea e la quadriarrea. il canto a cappella è essenzialmente d’altri tempi. i tempi cambiano e restano sempre gli stessi. il 68 c’era solo nel 68 e il 69 esisteva solo l’anno dopo. e non prima. nel 69 i canti a cappella erano abbastanza proibiti perché cappella io cappella tu. alla fine nessuno cantava per via. appunto. dell’eccessiva spermanza nel futuro orale. anche il futuro è passato. perché fu turo. è un passato terremoto e il presente è un congiuntivo apoplettico. per non parlare del condizionale areato e dell’infinito impresentabile. ecco. tutto questo mallarmé di concetti deriva dalla pulsione del canto a cappella. pulsione dubbiosa. a volte animalesca. dubbiosa perché. beh. pecora. sulle prime si direbbe ah si? no. Una pulsione asinina pecoral statuaria. eppure. spesso. priapo d’iniziare a cantare a cappella. ci si marmorizza bene il fallo. il calcio d’angolo. e si inizia immantinente il giuoco del coglione. dunque ando coglio coglio. e non si capisce perché solo duomo è il canto a cappella. e mai di donna. tanto di cappella. dunque. dunque un canto a cappella non solo non è consigliabile ma. nemmeno scaricabile dalla tasse. da ciò ne consegue che il canto a cappella è solo un canto del cazzo. un canto del cigno. il famoso cigno delle ande.
Il cigno giallo
il cigno delle ande è giallo. verde. ha forma di semaforo grigio. la sua personalità è quella tipica dell’orso yoghi. orso yoghi? no. non yogo. E quando ti affacci alla finestra il cigno ti spiega che quella non è una finestra. ma una iniziostra e lì appunto inizia. incigna la storia del cigno. pure la sua geografia. si stima che il fallo del cigno. infatti. abbia la forma di una clessidra elettrica. e il corpo del cigno sia enorme come un piccolo stato dell’asia. ma il cigno tutto questo non lo sa. e le nostre sono soltanto congetture astrali. congiunture a strali. congiunzioni a strati. congiuntivi astratti. confetture di cloaca. si narra. a questo sproposito. che le confetture di cloaca fossero un palliativo della cloaca di monza. suora sporca e puzzolente che non avendo pallone per giocare e. scarpe per calciare. s’inventò il palliativo della cloaca. rimedio sferico a forma di palla di cacca. un solido di merda. cosa che non riguarda il cigno delle ande. che non ha mai fatto la cacca. di questo mistero non si sa ancora la mistura. non si conosce nulla. fatto sta che il cigno non fa la cacca. se ne ciba ma non la fa. è un altro mistero. la donna di cigno. infatti. è così oscura o chiara. comunque. per gentilezza la si chiama sempre miss tero. si dice che il cigno delle ande è giallo. ma questo è in parte vero in parte pure. in parte falso in parte parte. in parte resta in parte ha ragione il cigno delle ande quando s’inalbera. mettendo su foglie e rami. e muovendosi al vento gelido delle ande. ha proprio ragione nel dire che non c’è motivo di voler scoprire il mistero del cigno giallo delle ande. perché. come si ostina ormai da secoli a ribadire. egli non esiste. non è giallo. non è delle ande. e da cento secoli e due minuti. il cigno quando gli si chiede. ma tu. chi sei veramente? risponde col tono grazioso di un cellulare e dice. fatti i cazzi tuoi.
Le prugne scissioniste
a quel tempo. oggi 7 novembre 2012. accadde la rivoluzione delle prugne secche. che decisero di occupare le piazze perché reclamavano diritti e. manrovesci in quanto che. non sopportavano più la nomea di essere frutti da evacuazione. i diritti dei lavoratori intestinali. infatti. come i diritti dei lavoratori interinali. erano stati lesi e gli stipendi da fame. invece. continuavano a essere illesi. Sempre gli stessi. la gente non mangiava più e dunque. le prugne non potevano più assolvere ai loro diritti. di lavoratrici intestinali. avvenne la rivoluzione. durò poco. finì in un battipanni. in un battito di cinghia ma non delle forze ordinate. infatti. in seno e in intestino a queste lotte di piazza. si collocarono. tra capo e collo del sistema digestivo e politico. s’insinuarono. i diritti delle prugne scissioniste. le quali. al contrario delle prime. reclamavano il diritto di essere considerati frutti da evacuazione e. volevano essere ingerite dai ricchi. questo era il punto. i ricchi. quei pochi rimasti. non mangiavano più per non evacuare. ragion per cui. il consumo di prugne scissionista calò radicalmente. scontri di piazza di una violenza inaudita. e puzzolente. la spuntarono le prugne scissioniste. ovvero le prugne orgogliose di essere considerate frutti da evacuazione. e. infatti. quella fu una rivoluzione di merda. e le prugne antagoniste. che odiavano essere considerate frutti adibiti allo smaltimento della cacca. furono costrette a autoingerirsi e quindi evacuarsi. proprio le prugne pruriginose e. stanche di essere considerate frutti di merda. si trovarono nella loro stessa cacca. in linea con il famoso principio della fisica per cui. nulla si crea e nulla si distrugge. sicché le prugne antagoniste si trovarono nel circuito chiusino di mangiarsi e cacarsi. ad libitum. condizione stagnante che favorì la parte contraria. cioè delle prugne scissioniste. ultraortodosse. che chiedevano. imponevano. di essere consumate in maggior quantità dai ricchi che. per l’appunto. si rifiutavano di mangiare per non cacare. le prugne rivoluzionarie. divennero il frutto preferito dai poveri i quali per. far girare l’economia si misero a mangiare solo. le prugne autodivoranti e come loro. mangiavano per cacare e cacavano per mangiare la loro stessa merda. non che la merda la si mangiasse sempre e unicamente allo stesso modo. intorno al consumo autarchico di merda nacque tutto un sistema di ristoranti. pub. birrerie. pizzerie che riciclavano la merda e anche in televisione spopolavano i piatti di merda. al vapore. cotti. fritti. freddi. persino la cacca dura dei cani. lo scizio e lo scilabo. trovò un suo utilizzo per fare collanine. vestiti. certo sempre vestiti di merda erano alla fine. ma l’industria del riciclo conobbe un notevole escremento. persino i ricchi. invidiosi come sempre della merda altrui. specie della merda dei poveri. iniziarono a cacare e a riciclare la loro stessa merda. meno profumata. e questo con buona pace delle prugne scissioniste. quelle ultraortodosse che finalmente si videro decimate. dagli intestini pigri dei ricchi stitici. tutto ritornò al suo posto. la rivoluzione della merda riportò la serenità e la prosperità. per quanto puzzolente. con lentezza. politica ed evacuazione permisero all’economia di riprendere il suo ciclo digestivo. da quel momento in poi ‘nazione di merda’ significava ‘superpotenza economica’ e. allo stesso modo. ottenere l’epiteto di ‘popolo di merda’ divenne l’aspirazione massima di ogni popolo assennato. l’ambizione spinse tutti a considerarsi uomini e donne di merda. la merda divenne oro e l’oro. di conseguenza. divenne merda. il problema restava l’oro. quando il lingotto da evacuare. attraversare il retto. sfiorire aldilà del buchetto anale. ma l’ingegno umano supera i confini della fantasia. e per ovviare al provante problema dei lingotti impossibili da evacuare. gli uomini e le donne di merda. si sottoposero alla semplice operazione dello sfondamento del culo. ma di questa operazione si parlerà più avanti. se avremo tempo e culo.
La morte della morte
che poi. disse. e morì. la cassa da morto insonorizzata con lo sterco di capro espiatorio. morte avvenuta all’improvviso. proprio mentre era ancora in vita. avesse potuto scegliere. avrebbe aspettato ancora un po’ prima di morire. il giorno prima stava così bene che il giorno dopo morì. i familiari non ne furono molto felici. ma faceva sempre di testa sua. la bara fu infibulata in un terrapieno vuoto sotto il balcone. il giradischi se lo portò con sé. portò con sé anche i vinili. i birrili. i campi di soia. e il corpo. nemmeno il corpo lasciò alla famiglia. che so. almeno un arto. una vena. un pelo di cazzo o il buco del culo. nulla. lasciò solo il niente. e del niente che cosa ce ne facciamo. ora che ci affacciamo al balcone della sua bara. non possiamo esporre che la foto di niente. e così avvenne. il cielo era grigio come un lampadario sporco. le mani non avevano lavate. e il san dalo e la san pantofola. e la sant anche. anche lei. venne accumulata nei cimeli di famiglia. tra i gioielli di famiglia. tra i testicoli. testimoni del cazzo che preannunciarono la venuta della morte. la cassa. intanto. era di legno di frassino con bordure di frattempo. per resistere ai temporali sottoterra. da che morì. i suoi lo mandarono via da casa. e da quel giorno. sconcluso come una cisterna in pieno deserto. tutti lo vissero felice e contento.
Senza indugi
senza indugi. il barattolo scalcagnò via il concetto stesso di contenitore. si scambiò per un altro e fece un baratto. camminò al contrario e confuse la lana caprina per una questione di lana pecorina. la mattina dopo. senza indugi. chiuse il calendario. ovvero sia l’insiemistica delle calende greco-romane e. vidimò un biglietto causando il cortocircuito delle amebe. il barattolo. si sa. è un infischiante monogamo dalle sopracciglia a spazzola e i piccioni redimono. coi loro canti tubistici. i dolori del giovane merder. egli diede inizio alla saga delle serpi. colanti contenute nel barattolo di cui sopra e. di cui a destra e a sinistra. la mattina che avvenne la saga. era sera. e tra una saga e l’altra. si accavallò un pomeriggio robo-dionisiaco. il barattolo. senza indugi. scapicollò le finestre e tradusse le porte in chiese chiuse. dopo i fedelissimi del giovane merder. trassero bigodini dal fondo del tempo. in tutto questo parapiglia in puglia. il giovane merder creò il primo barattolo di pietra secca e. lungi dall’essere solo un contenitore. il barattolo che ne derivò si trastullò. per poco col concetto di. contenitore. tanto da essere senza indugi definito baratto. questo provocò. per la storia ufficiale. la crisi arabo-marziana ai tempi della rivoluzione gaelica nei pressi di albarattolo bello.
Il meteorismo dei gatti
sillabanti e sterili i gatti. spesso. attraversano le strade maestre infischianti delle classi che sono acqua. in modo simile e contrario. i tappertugi sillabici consolano coi loro portolani i cieli assiderati della notte di san lorenzo. proprio nel cemento di questa notte. sfolgorano i cieli le pertugie meteoriche che danno. alito ai meteorismi celesti. antichi navigatori utilizzavo il portolano. ovvero sia un essere marino che si premurava di portare l’ano. con il passare degli ani. questa usanza divenne parvenza e infine rientranza. a tutt’oggi non esistono più navi da guerra. romane nascoste con sotterfugio dentro. la barriera corallina di una qualsivoglia isola cottura. ma torniamo ai gatti. e ai loro attraversamenti stradali. sempre più rari. avari e ilari. quindi è meglio non torniare ai gatti. bensì proseguire con il sidereo annuncio dei meteorismi di san lorenzo. accade in questa notte che. lunghe scie di zolfo e merda solchino il cielo e ognuno. se non è stitico. desidera esserlo e non lo è. si gloria e s’inalbera per la sua consustanziale cretineria cacchesca. i gatti che miagolano alla luna. sono un problema della luna stessa. laddove i prepuzi dell’aurora testicolano contro gli orizzonti del cielo. i gatti che abbaiano. invece. sono un problema del meteorismo celeste. in particolare per i gatti che nascono sotto il segno dei pesci. se li mangiano e non per fame. ma per vantarsi con gli amici. sono questi i gatti ratti. i cui ani generano meteorismi giganti in trasformazioni costanti nel cielo. infatti. proprio san lorenzo. si dice fosse un gatto estetico dalla stitica. protuberanza alciona che proprio la notte di san lorenzo meteora. di stelle il cielo. in realtà non di altro si tratto che. appunto. di flatulenze feline.
Tracontanti soldi
quando finì la crisi io ero morto. decisi di resuscitare perché. dopo la crisi è possibile farlo. senza farsi a dismisura di usura. le banche danno soldi a gogò. a gagà. ai gigolò e ai baccalà. cioè i pesci che hanno conseguito il baccalaureato in gnoseoidrologia dell’ascolto. una specializzazione in nulla. per questo il temporale fu talmente gentile che si poté. a ragione. parlare di buon tuon in quanto che. la cerniera lampo scalpitava nel cielo. seguita da un silenzioso tremore intergalattico. ero morto in un orto in un. battibaleno di battiscopa rullante. povero e belando come una pecora slava. slava come lava. battendo i denti contro i consigli del ministro di soda caustica. gluostrato di neuroletti a vapore. incetriolato di vampiti cuneiformi.
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settegiorni · 21 days
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Memorie impresse (2021)
Tu prova a sentire i tuoi occhi E lunghi i suoi allegati sulle spalle e eccentriche le viscere Lunghe sui ripiani elettrici. Tu prova a cercare immobili di tuo interesse E esercizi di ieri sera hanno ingentilito i profili della mail. Tu prova e se non ti riesce ringrazia la stampante e fai replicare il tuo inconscio da una fotocopiatrice senza sintomi.
Tu il vento sei fermo ai sensi di legge. Tu il vento che si trova in prossimità del mondo. Tu inquini con la macchina inconsapevole di carta. Tu il vento è che mi hai soffiato. Tu il vento il trento il quaranto. Tu il vento mi pento ti sento avvento avventura. Tu il vento che mi ha detto che andata non è ritorno ma evento e contorno.
Tu prova a non inoltrarlo il tuo tempo libero. Tu prova a intraprendere un percorso di studi egocentrico. Tu prova a non dare il tuo numero all’altro in fila. Tu prova a non dare e ti sarà dato del tu. Tu prova a vedere il film in camera. Ti voglio bene e nel frattempo ti odio. Dai fiori vedi dettagli di stagioni stampate. Il quarto hamburger non si scorda mai sui rami infiorescenze di ogni altra persona tranne te. Tu ama la musica del genere umano. Le ferie dal mare e la sera prima di un’applicazione. Tu prova a esser felice anche quando sei felice. Nelle astronavi ricovera il perdono e ama anche chi ti ama. Per il resto. Sottraiti.
Loro non si amano moltissimo. Tu te ne accorgi dalle finestre sporche. E dal suono lapidario delle gocce che si scavano i solchi del disco volante. Prendi il tempo. Ti pare che la mia voce sia quella di Barbara Alberti. Tu hai finito di leggere il manoscritto nel cassetto. Adesso pubblica il cassetto. Nell’armadio nascondi l’urlo di Van Gogh. Loro nel fuoco. Siamo il test psicologico dei nani che si sono rifatti l’altezza. Tu ritocchi la scrittura e pubblichi solo l’effetto. Mai il desiderio. Pensi e basta. Non fai letteratura. Però hai un bel camion.
Tu stai cercando di capire come funziona il tempo. Ti mostriamo una nuova versione del software che consente di effettuare il tempo. Tu sei nella sezione vicinanze del mondo. Ti chiedi e ti rispondi cena ballare vallate di fiori in ascesa. Tu che hai scritto così poco perché hai ragione tu. Ti dimentichi di una persona che non hai mai conosciuta. Tu trovi che il tempo è questo.
Il giorno dopo vedrai salire sul podio un altro. Ti aspetti. Ti annunci di lavoro. Ti vesti di lavoro. Ti nutri di lavoro. Il giorno dopo andrai a cenare il reddito di cittadinanza. Ti senti cittadino dell’immondo. Ti consigli di fare piano. Ma la prudenza è troppa e vacilla l’arroganza. Il cielo del giorno dopo architettava pioggia. Tu non temi il tempo. Ti annodi al collo. Tu cravatta e cavigliera. Tu onda tu scogliera. Il giorno dopo vedrai il riflesso di te ovunque. Tu non hai scritto ancora un altro post.
Tutto il mondo è pieno di benzina. Tu esci il cane per pisciare e deterritorializzare le aiuole. Le foto dell’arcobaleno durano il tempo di un’applicazione. Tutto il mondo per le finalità indicate nel messaggio stesso. Tu entri nella categoria di appartenenza. La cliente mi chiede di essere meno empatico. E l’energia elettrica a discapito dei sorrisi dati. Tu ti volti da entrambe le parti simultaneamente e non finisci di ridere.
Tu a fine cerimonia difendi il mondo dall’egoismo. Tu non sei poco e non sei alberi. Tu difendi un valore enorme. Sei un futuro migliore. Tu sei l’onore della generazione. Sei un allarme prematuro. Tu trasformi l’aria in un problema planetario. Sei un’ondata di calore. Sei un milione di persone in un secondo. Tu sei un parere favorevole. Sei sempre in agguato. Tu.
Tu hai fatto bene a non essere riuscito. Ti assomiglia molto la natura che hai visto. Tu sei aperto e sta per diluviare. Ti interessi alle auto e Barbara D’Urso. Tu assomigli al solito telespettatore. Ti copri di pioggia e consumi la vita nell’abitacolo di plastica. Tu sei del fiore la patente secchezza.
Ti sposti da un paio d’anni fa per dire che non ci sei. Tu non hai trovato il giusto compromesso tra l’altro e il mercato. Ti somiglia la finestra di dialogo al momento della spedizione. Tu hai fatto un giro in moto e non si sa mai. Ti voglio dire che non ci sono problemi di spazio. Tu sei sempre il solito assassino di ogni altra persona tranne te.
Tu avvieni in un cono di luce e non piove. Ti somiglia lo spazio nascosto e il catodo pantagruelico. La colazione poi con Kinder cereali. Dopo cena seduti in poltrone soffocanti. Tu miagoli e scrivi. Scricchioli e scrivi. Muori e scrivi. Ti somiglia l’immagine. Adesso sento la mia voce. Prima solo voci. È vero passato di pomodoro. Tu non hai trovato ancora futuro. Ti ricordi di me e della precedente puntata.
Il tuo indirizzo non è cambiato. Il tuo odio che non conosce storia. Il tuo accorciare mattinate al ginocchio in sartorie malinconiche. Tu non hai più voce tra noi. Tu ora sei più suono e immagine interna. Tu avevi scritto il mistero del giorno dalla finestra di un dialogo cupo. Ti mostriamo le nostre pochezze di posta elettronica. Ti mostriamo le poche felicità di carattere tecnico. Ti mostriamo una lista degli utenti che non sanno più sognare.
Tu prova a vedere il film in camera. Ti voglio bene e nel frattempo ti odio. Dai fiori vedi dettagli di stagioni stampate. Il quarto hamburger non si scorda mai sui rami infiorescenze di ogni altra persona tranne te. Tu ama la musica del genere umano. Le ferie dal mare e la sera prima di un’applicazione. Tu prova a esser felice anche quando sei felice. Nelle astronavi ricovera il perdono e ama anche chi ti ama. Per il resto. Sottraiti.
Tu prova a vedere il tempo. Di andare a vedere la partita. Tu hai un attimo di tempo. per fare il punto di arrivo. Tu hai una foto di ieri.
Non c’è bisogno di te. Tu non hai un attimo. Non c’è niente di che. Tu non hai un account.
Tu invece mi hai detto tu. Tu sei qui. Tu non hai trovato un posto. Tu sei sempre in attesa. Tu non puoi effettuare la prenotazione.
Ti ringrazio per le tue parole Ti ringrazio per le cose che non ci sono e ci separano Ti ringrazio come se fosse possibile Ti ringrazio come un tutto senza una meta
Ti faccio un esempio perché non sono un esempio Ti inserisco nel frattempo dei giorni Ti vedo più tardi e non solo di recente Ti addossi la vita come un bambino che non si può organizzare Ti ringrazio per le foto di ieri
Tu sei il benvenuto nella mia testa Tu sei il produttore di ogni genere di film Tu sei il tuo annuncio gratuito offerto dalla legge Tu sei il tuo stesso problema
Tu invece non ci sei mai Tu sei sempre il migliore Tu invece non mi pare Tu sei un esperto di me Tu invece sei il tuo stesso sogno Tu invece sei un continuo aggiornamento
Tu confondi il mondo con il lavoro Tu confondi il lavoro con la macchina Tu confondi la macchina con le persone Tu confondi le persone con il giudice Tu confondi il giudice con il gusto Tu confondi il gusto con il vero Tu confondi il vero con il bello Tu confondi il bello con il libro Tu confondi il libro con le pagine Tu confondi le pagine con la qualità Tu confondi la qualità con il romanzo
Dunque tu confondi il romanzo con il mondo.
Tu invece non mi hai lasciato Tu sei qui Tu invece non sei residente del mondo Tu sei qui Tu invece sei la campana delle 18.30 Tu sei qui Tu invece sei la persona meno morta Tu sei qui Tu invece mi stai cercando nel giorno Tu sei qui
Tu invece dimmi dove sono se Tu sei qui
Tu tosti i chicchi del caffè Tu navighi superveloce Tu balli a colazione Tu mangi caramelle Tu compri un detersivo Tu cogli i fiori
Poi cambi canale
Ti vediamo domani alle ore di sonno. La diffusione del mondo è per capire. Ti perdi e diventi un pasticciere. La prossima stagione è per sentire. Ti mostriamo una lista di amici. La batteria garantisce un’autonomia di una persona. Ti incolli al televisore e rimuovi le storture dell’amore.
Tu assisti avvilito alla fine della settimana. Però quando dormivi non potevi impazzire. Tu non avevi né penna né giornali. Però questo è quando si tratta di un mese. Tu sai che non c’entra niente. Però in fin dei conti il fine mente. Tu sai che il cuore obbedisce a mezzi che il dottore non sente.
Prendi il mio numero di telefono. Arredi i valori nutrizionali della tua vita. Mi chiami. Tu. E trasporti la voce a lavare. Mi chiami. Tu. E inviti le persone a bordo piscina. Tu sei qui, ma non ho ancora capito come funziona. Tu sei qui, puoi anche cercare tra le due squadre. Tu sei qui, a ripetere che non sei ancora vivo. Prendi il mio numero giallo. Allora. E non farne copia a nessuno: la vita non beve spremute. Ma tu. Non lavarti i capelli con uno shampoo qualunque. Non è più primavera.
Adesso svestiti. Dobbiamo uscire. Le canzoni le hai già profanate e. I banchi di consegna bagagli son vuoti di rigor settembrino. È luglio e dicembre porta consiglio. La prossima settimana per le vacanze. Trasmette la vita induttiva. Bei tempi questi quando ancora. Non hai trovato una finestra dialogo tra noi. E una Carla Bruni di turno. Non temere. Non so. Non ci sono problemi. Di connessione stasera. Il giorno dopo vedrai. Nei fiori son stati trovati post contenenti l’amianto. E noi si muore. Ma non di vita. No. Uccidendo zanzare. Tu stai cercando di capire come funziona il tempo. Ti mostriamo una nuova versione del software che consente di effettuare il tempo. Tu sei nella sezione vicinanze del mondo. Ti chiedi e ti rispondi cena ballare vallate di fiori in ascesa. Tu che hai scritto così poco perché hai ragione tu. Ti dimentichi di una persona che non hai mai conosciuta. Tu trovi che il tempo è questo.
Il giorno dopo vedrai salire sul podio un altro. Ti aspetti. Ti annunci di lavoro. Ti vesti di lavoro. Ti nutri di lavoro. Il giorno dopo andrai a cenare il reddito di cittadinanza. Ti senti cittadino dell’immondo. Ti consigli di fare piano. Ma la prudenza è troppa e vacilla l’arroganza. Il cielo del giorno dopo architettava pioggia. Tu non temi il tempo. Ti annodi al collo. Tu cravatta e cavigliera. Tu onda tu scogliera. Il giorno dopo vedrai il riflesso di te ovunque. Tu non hai scritto ancora un altro post.
Tutto il mondo è pieno di benzina. Tu esci il cane per pisciare e deterritorializzare le aiuole. Le foto dell’arcobaleno durano il tempo di un’applicazione. Tutto il mondo per le finalità indicate nel messaggio stesso. Tu entri nella categoria di appartenenza. La cliente mi chiede di essere meno empatico. E l’energia elettrica a discapito dei sorrisi dati. Tu ti volti da entrambe le parti simultaneamente e non finisci di ridere.
Tu a fine cerimonia difendi il mondo dall’egoismo. Tu non sei poco e non sei alberi. Tu difendi un valore enorme. Sei un futuro migliore. Tu sei l’onore della generazione. Sei un allarme prematuro. Tu trasformi l’aria in un problema planetario. Sei un’ondata di calore. Sei un milione di persone in un secondo. Tu sei un parere favorevole. Sei sempre in agguato. Tu. Tu hai fatto bene a non essere riuscito. Ti assomiglia molto la natura che hai visto. Tu sei aperto e sta per diluviare. Ti interessi alle auto e Barbara D’Urso. Tu assomigli al solito telespettatore. Ti copri di pioggia e consumi la vita nell’abitacolo di plastica. Tu sei del fiore la patente secchezza.
Ti sposti da un paio d’anni fa per dire che non ci sei. Tu non hai trovato il giusto compromesso tra l’altro e il mercato. Ti somiglia la finestra di dialogo al momento della spedizione. Tu hai fatto un giro in moto e non si sa mai. Ti voglio dire che non ci sono problemi di spazio. Tu sei sempre il solito assassino di ogni altra persona tranne te.
Tu avvieni in un cono di luce e non piove. Ti somiglia lo spazio nascosto e il catodo pantagruelico. La colazione poi con Kinder cereali. Dopo cena seduti in poltrone soffocanti. Tu miagoli e scrivi. Scricchioli e scrivi. Muori e scrivi. Ti somiglia l’immagine. Adesso sento la mia voce. Prima solo voci. È vero passato di pomodoro. Tu non hai trovato ancora futuro. Ti ricordi di me e della precedente puntata.
Il tuo indirizzo non è cambiato. Il tuo odio che non conosce storia. Il tuo accorciare mattinate al ginocchio in sartorie malinconiche. Tu non hai più voce tra noi. Tu ora sei più suono e immagine interna. Tu avevi scritto il mistero del giorno dalla finestra di un dialogo cupo. Ti mostriamo le nostre pochezze di posta elettronica. Ti mostriamo le poche felicità di carattere tecnico. Ti mostriamo una lista degli utenti che non sanno più sognare.
Ti annulli digitale programma radiofonico. Televisione rai canale culturale. E alterchi la tua alla sua memoria. E chi parla la televisione. Ci parla ogni linguaggio che tiene a bada la nostra compagnia. Oppure il pianto del bambino che sennò si stermina il fior fiore di farina. Doccia equivalente lirica alla radio. Sdraio sragionarsi dei nessi sintattici che poi è il moto per cui mi assento lì. Per essere qui. Le pieghe che assume il volto nell’improvviso frastuono della sorpresa. Ma sono io che decido di lasciare l’io. Nulla esiste intorno a quest’ospizio. Ti aspetti e non ti arrivi. Ti sorprendi e lo sai già. Fingi che non sai di nuovo. Che sei di questa dimensione. Perché sei sparito lì per essere altrove qui. Come una foglia spaziotemporale. Ombrello. Assonanze. Stanze. Le solide e solite parole. O colori. O suoni. O immagini. Non c’è altro c’è fuori dal c’è. E non ti piace darti del tu se sei io. E allora è meglio Anna dai capelli rossi. Oppure la puzza sotto al naso di chi non ha naso. Tu. Io. Vedi. Vedi? Sei ripetitivo. Sei ripetisivo. Vedi le stesse cose da anni. E scrivi quello che non leggi. Oddio adesso anche tu che scrivi di te che non vuoi parlare di io. Tu cambi discorso. E improvviso come un pleonasmo il mondo mutacico varia il suo silenzio. Spin spin around. Entanglement. Se io sbadiglio tu sbadigli ma un altro se ne fotte e l’altro ancora se ne fotte pure lui ma il quinto prende a cuore la cosa e il sesto pure ma il settimo ride e l’ottavo fa uguale. Il nono è il decimo. Hanno più di un senso sbagliato. Derivi e avanzi una drammatica visione delle mosse. Tu non hai mai cambiato discorso dacché sei nato e hai smesso di farti parlare. Radiofonia. Televisione. E poi questa mosca che mi inghiotte come polpa di loto. Il muro davanti è vigile e dirige la concentrazione oltre un punto da cui c’è ritorno. Sempre. Si ritorna sempre. Si sta fermi. Si sta come d’autunno gli alberi le faglie spaziotemporali. Radiofonia. Televisione.
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settegiorni · 22 days
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5. Crisalide bianca (2002)
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settegiorni · 26 days
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4. Monoluoghi e discipline (14.10.2001)
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settegiorni · 26 days
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3. L'apocalisse (9.8.2000)
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settegiorni · 26 days
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2. Chi sono (01.02.2001)
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settegiorni · 3 years
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In questa foto rifletto.
In questa foto metto a fuoco la situazione.
In questa foto ho le mani in pasta.
In questa foto sono incappato in una foto.
In questa foto mi sto impallando.
In questa foto sono assediato.
In questa foto ho il ventre piatto.
In questa foto è come saliamo le scale di solito nel mio palazzo.
In questa foto faccio la persona posata.
In questa foto aspiro alla scrittura.
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settegiorni · 3 years
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Gesti di descrittura, che si ripetono.
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settegiorni · 3 years
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Un gesto che non vuol dar nulla (2021)
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settegiorni · 3 years
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settegiorni · 3 years
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in questo frattempo di fine pranzo inizio pomeridiano di lettere e scritture e afa afasici pensieri mentre la signora in giallo parla da sola e ride da sola sul sei i cartoni animati l’aria non è proprio ferma oggi. sbatte le ali come per scrollarsi di dosso, niente di metaforico, è proprio lo sbattiali nell’aria. la vibrazione sonora. non c’è silenzio. non c’è più quiete. ascolto il mio corpo. ora esco nella fornace del sole a impreziosire e accogliere il diniego dell’ombra che vorrebbe evitarmi. questo sì, è metaforico. sta a indicare, l’ombra, la parte più interessante di noi. in questo frattempo sai quanti miliardi di azioni sono accadute nel cosmo? morti nascite esplosioni termonucleari scollamenti di galassie e tutto si riverbera qui. in questo frattempo. siamo o non siamo un’unica grande minuscola particella? momento per momento, immaginarsi l’accadere nel cosmo, in questo frattempo.
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settegiorni · 3 years
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in questa poesia la chiamo poesia perché in questo momento sono libero da pensieri e non ho un cazzo da fare e in questa poesia l’io lirico e il soggetto desiderante fanno a cazzotti. in questa poesia non cerco nulla e mi sembra comico il ventilatore che ritorna sempre sulle sue posizioni. ma noi siamo ventilatori? no. siamo esseri e averi umani. in questa poesia, insomma, è quasi mezzogiorno e fa caldo. come ogni estate che tutti dicono eccezionale. di eccezionale c’è questa poesia, che se potesse scrivere lei di noi, mamma mia. quante risate si farebbe. consigli per un pranzo veloce? io un’insalata con dita, con le mie dita, e un tomino. che non è un tomo piccolino. così come, ça va sans dire, l’ormone non è l’orma di una scarpa gigante. in questa poesia non ha senso prendersi sul serio.
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settegiorni · 3 years
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in questa poesia c’è un documentario naturalistico in cui una lontra accoglie il cucciolo sulla sua pancia. come se gli animali sapessero ‘accogliere’ ‘pancia’ ‘cucciolo’ ‘poesia’. c’è la luce delle 20 e 43 e una finestra aperta tra due spazi che rispetto al cosmo sono comunque entrambi un dentro. in questa poesia l’orecchio accoglie il ricamo vocale delle rondini. sono rondini? e questa è una poesia? mi affatico spesso affacciandomi coi gomiti poggiati sul limite di un balcone che unisce separando il senso all’invisibile. in questa poesia ho desiderato trascorrere cinque minuti senza pensare a nulla. quanto meno senza pensarmi. come quando si gioca. come quando si muore. oggi è domenica in questa poesia.
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settegiorni · 3 years
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in questa poesia che potrebbe essere pure un lucchetto o un lucidalabbra o, per dire, un cazzo di gomma nel culo del cielo in una notte verde di cellulari e mosche, faccio per dire, o quello che volete voi, ché nessuno ‘vuole’ davvero, in questa poesia c’è una forma distratta cui non interessa comunicare se non per partito preso dei fanatici del logocentrismo occipitale.
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settegiorni · 3 years
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in questa cosa che io chiamo poesia anche se la poesia non esiste più così come non esiste più l’uomo primitivo anche se nelle scuole che pure le scuole non esistono più si studia l’uomo primitivo e si studia anche la poesia che non esiste più e poi è morto Dio vuoi non muoia pure la poesia con tutto questo carico neomelodico di emozionare tradizione vendere perché gli afflitti ne possano trarre vantaggio sentimentale? in questa poesia sono stato interrotto da una telefonata mentre al televisore un’immagine mostra le persone che parlano del virus. un po’ come ugo foscolo mi piace questa ora della sera perché è più evidente la transizione del tempo. porte che sbattono urla che fuoriescono da organismi umani e il sogno è un glitch del pensiero da sveglio. poi è morta o si trascina stancante e stancamente la poesia fatta di pose e le colline sono in fiore.
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settegiorni · 3 years
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Litorale
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