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nightafter018 · 3 years
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nightafter018 · 3 years
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nightafter018 · 3 years
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La Biondina - La biondina - Pt.3 (on Wattpad) https://www.wattpad.com/1063456545-la-biondina-pt-3?utm_source=web&utm_medium=tumblr&utm_content=share_reading&wp_uname=Nightafter019&wp_originator=7Co%2BDgVZ7JCJKnSA%2FvMDdACFUASex5Loqf%2FUmi8AHd46Z9NDjWD2SR4sf15faUdSH8Gwy9tStLgjq%2BMYK%2FIzJ2qg%2FOcVe23TkS2STuP8GJFIOu4g0z2tO5JiZ2NWYKPu - Come sarebbe che non ti penetravi il sesso? - chiedeva perplesso il Vice Preside. - Non lo facevo perché sono ancora illibata signor Professore, e tale voglio restare fino al matrimonio. - C'era una punta di virginale orgoglio in quelle parole: non condividevo ovviamente quel suo insano proposito, però nella singolare intenzione, la ragazza mostrava di possedere dei sani principi. - Quindi mi stai dicendo che non usavi il cetriolo per penetrarti? - - Si, è così mi creda, non sono mai stata penetrata li. Lo giuro. - - Quindi a cosa ti serviva il cetriolo, quando sei stata scoperta nello sgabuzzino delle scope, con le mutandine calate e quello in mano? - Lei abbassò lo sguardo al pavimento, arrossì in maniera evidente, cercava con difficoltà le parole, era una ricerca sicuramente difficile: la tensione simanifestava nello spostare ripetutamente, da un piede all'altro, il peso del corpo.
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nightafter018 · 3 years
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nightafter018 · 3 years
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nightafter018 · 3 years
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La Biondina (on Wattpad) https://www.wattpad.com/story/267936700-la-biondina?utm_source=web&utm_medium=tumblr&utm_content=share_myworks&wp_uname=Nightafter019&wp_originator=UHxleXBF1ytcZRv2v%2BneJy6vAk5QQeZlwIwmb67quOvEONReD5Han4ZSwva%2FyHcSTBPyt8GJTNUtXM7nubDOehyWglhch3WAimT5zVNXkwd3Mf%2FGyQ1evKyVu5CY7GIJ - Come sarebbe che non ti penetravi il sesso? - chiedeva perplesso il Vice Preside. - Non lo facevo perché sono ancora illibata signor Professore, e tale voglio restare fino al matrimonio. - C'era una punta di virginale orgoglio in quelle parole: non condividevo ovviamente quel suo insano proposito, però nella singolare intenzione, la ragazza mostrava di possedere dei sani principi. - Quindi mi stai dicendo che non usavi il cetriolo per penetrarti? - - Si, è così mi creda, non sono mai stata penetrata li. Lo giuro. - - Quindi a cosa ti serviva il cetriolo, quando sei stata scoperta nello sgabuzzino delle scope, con le mutandine calate e quello in mano? - Lei abbassò lo sguardo al pavimento, arrossì in maniera evidente, cercava con difficoltà le parole, era una ricerca sicuramente difficile: la tensione simanifestava nello spostare ripetutamente, da un piede all'altro, il peso del corpo.
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nightafter018 · 3 years
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Dai un'occhiata al mio profilo su Wattpad. Sono Nightafter019 https://www.wattpad.com/Nightafter019?utm_source=web&utm_medium=tumblr&utm_content=share_profile Scrivo racconti erotici per passione
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nightafter018 · 3 years
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https://www.intertwine.it/it/read/jNNqCxU8/marco
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nightafter018 · 5 years
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Hot dream of the college girl
Il professor Rinoldi incarnava le nostre fantasie più sfrenate di adolescenti: rappresentava l'archetipo dell'uomo sexy alla soglia della maturità, univa un fisico giovanile e prestante al carisma dell'uomo fatto.
Quando ti veniva accanto, con quel suo profumo di note calde e muschiate, sentivi frullare qualcosa nel diaframma che bloccava il respiro. Restavi ammutolita e confusa come una scolaretta, pietrificata come il topolino che verrà mangiato dal serpente.
In realtà il serpente che turbava tuoi pensieri, non era un rettile velenoso e vorace, ma quello che intuivi grosso e lungo, celato nei suoi pantaloni.
Il tuo desiderio in quei momenti, era che ti divorasse interamente e con esasperante lentezza, ti assaliva un caldo sdilinquimento al basso ventre, che lasciava le mutandine umide e appiccicose.
La mattina presto, nella bella stagione, ci svegliavamo anzitempo e correvamo alla finestra, per vederlo passare al galoppo sul grande viale che veniva dal maneggio.
Montava Luky lo stallone nero, il suo cavallo preferito, campione della nostra scuderia.
Infatti il nostro collegio, tra le sue varie prerogative, era anche attrezzato di un maneggio che offriva, alle allieve che lo desiderassero, il corso d'equitazione.
Io non montavo perché era un'attività sportiva che non mi attraeva, in realtà i cavalli mi mettevano un po’ paura.
La loro dimensione fisica imponente, la grande forza animale e quella vitalità imprevedibile mi inquietavano.
Passeggiando un pomeriggio nel nostro parco, ero giunta allo spiazzo del maneggio, all'interno del corral stazionava una coppia di cavalli: una femmina di baio dal manto bruno e un magnifico morello maschio.
Erano con evidenza in estro: lui appariva smanioso, con quell'enorme sesso eretto, teso come un ramo d'albero e quel glande dalla forma singolare lucido di umori.
A un certo punto l'avevo visto montare la femmina: un assalto potente salendole in groppa, sprofondando quella virilità congestionata nella vulva tumida di lei.
Il coito fu breve e violento, l'eiaculazione finale fu spettacolare e copiosa, mi provocò una sensazione di ripugnanza frammista di un'attrazione insana.
Assistere a quell'accoppiamento mi aveva turbata profondamente, nonostante il fastidio non mi era però riuscito di distogliere lo sguardo.
Rinoldi, uscendo dal paddock dove aveva lasciato alla posta Luky, mi vide lì ferma a osservare la scena e notando l'espressione del mio volto, sorrise divertito del mio evidente imbarazzo.
Restai fortemente impressionata da quello spettacolo, al punto che una notte di qualche tempo dopo, avevo sognato che il professor Rinaldi mi conduceva con lui nella stalla, all'interno del box di Luky, lo stallone arabo.
La bestia era splendida, il manto bruno, lucido come velluto, mandava riflessi argentati come il guscio di qualche coleottero. Aveva l'aria irrequieta, soffiava nervoso dalle froge ed emetteva nitriti acuti, io ero spaventata e nel sogno desideravo fuggire da lì.
Ma Rinoldi mi trattenne: disse che non potevamo andar via, eravamo nella stalla con il compito di calmare il nervosismo dell'animale: solo dopo avremo potuto allontanaci. Io mi sentivo intimorita e confusa, era notte, la luce nel box era esigua, tutto il luogo era cupo e immerso nel silenzio, non capivo poi, in che maniera la nostra presenza potesse giovare all'umore del cavallo
L'aria nell'ambiente era calda e come avviene nelle stalle con animali, il sentore della paglia, impregnata dalle deiezioni dei quadrupedi, ti prendeva alla gola. Ero a disagio e quasi nauseata di quell'olezzo, dentro montava un'ansia crescente.
Rinoldi prese a carezzare il cavallo, lisciandogli piano la criniera e parlandogli con accattivante dolcezza, l'animale pareva rispondere a quelle attenzioni acquietando la sua agitazione
- Buono Luky, guarda chi ti ho portato. Ti piace questa bella giovinetta, vero piccolo mio? - Sussurrò all'orecchio dello stallone con tono pacato e suadente: guardando me mentre parlava alla bestia.
Infine, rivolto a me: - Avvicinati, non avere timore. Vedi è mansueto, ha solo bisogno di coccole per tranquillizzarsi. -
Vedendo la mia ritrosia, mi cinse alla vita col braccio tirandomi a sé, l'aroma conturbante della sua colonia mi avvolse caldo e rassicurante, con la mano sulle mie reni mi sospinse, dolcemente, a un contatto quasi fisico col cavallo.
- Coraggio – Aggiunse. – Non ti farà niente, ci sono io ad assisterti. -
Quelle parole ebbero un effetto rassicurante, fiduciosa, accostata a lui, mi avvicinai all'animale.
Non ero mai stata tanto vicina a un cavallo: aveva una statura e una mole considerevoli.
Luky nella fattispecie era un esemplare stupendo: il pelo corto e lucido come seta, la muscolatura armoniosa e guizzante, emanava un odore forte, muschiato, pungente come l'odore selvatico del sesso.
Rinoldi si pose alle mie spalle, sentivo il suo corpo a contatto della mia schiena, la cosa mi procurò un brivido d'emozione che mi fece avvampare.
- Cosa devo fare professore? - Chiesi con un filo di voce.
- Carezzagli il collo e la criniera, fallo lentamente, senza paura. - Sentivo il suo fiato caldo dietro l'orecchio, la sua presenza fisica era rassicurante e carezzevole, nel profondo desideravo le sua mani su di me: che mi toccasse, con la stessa soavità impiegata nel blandire il cavallo.
Con la massima cautela, allungai la mano sul collo della bestia, la feci scorrere per tutta la sua lunghezza, lui reclinò il capo con un soffiò soddisfatto mostrando di gradire la carezza. confortata da quel risultato incoraggiante, aggiunsi anche l'altra mano nell'attuare l'operazione.
- Brava! - Disse Rinoldi – Continua così, non fermarti, lo vedi che è facile. -
Proseguì per qualche lungo momento, ero felice di aver superato quella mia paura insensata, Luky dimostrava il suo compiacimento, pur essendo il nostro primo incontro mi aveva accettata e nitriva di piacere.
- Ora senza smettere, ripeti le carezza lungo il corpo, vai sul fianco. - Sussurrò il professore e mi guidò le mani dal collo del cavallo al fianco più in basso.
- Ti sei chiesta perché ti abbia condotta qui questa notte? - L'interrogativo mi colse alla sprovvista: certo che mi ero posta quella domanda, ma confesso che la trepidazione causata dalla sua presenza e quella inconsueta situazione nella stalla, l'avevano fatta scomparire dalla mia mente.
- Si, professore, ma non so farmi un'idea. Speravo che lei mi dicesse… - Risposi, non riuscendo concludere la frase e a fare a meno di arrossire.
- Ti ho osservata davanti al maneggio, l'altra settimana, mentre assistevi alla monta dei due cavalli. - Parlando, sentì che si era accostato ancora di più a me, il suo corpo aderiva alle mie natiche: trattenni il respiro.
- Mi sei parsa molto interessata. Dico bene? -
- Io, si… Io sono rimasta impressionata, è vero. - Risposi con voce malferma, mentre l'aria della stalla mi pareva essere divenuta incandescente e il corpo mi si imperlava di traspirazione.
- Solo impressionata? Non mentire. - La voce aveva una nota divertita. - Sono certo invece, che quello che hai visto ti sia piaciuto. Che la tua fighetta si sia bagnata in maniera indecente, non negarlo. -
Nel profferire quelle insinuazioni, le sue mani salirono al mio petto, iniziando a sbottonate la blusa che indossavo: sentivo il tepore dei polpastrelli sfiorare la pelle nuda e sudata.
Proseguì senza mutare il tono di voce: - Ti sei bagnata, perché sei una piccola troietta viziosa, e quel grosso sesso del cavallo ti ha fatto nascere delle fantasie perverse. -
Ora aveva aperto la camicetta, abbassate le coppe del reggiseno e mi stava plasmando le tette a piene mani, stringendole e modellandole come plastilina.
Il cuore ebbe un tuffo, iniziò a palpitare frenetico e il mio respiro a divenire pesante. Avrei voluto urlare, ma non di sorpresa o paura: i capezzoli si erano inturgiditi da fare male. Avrei gridato di voglia.
- Ti stai eccitando vero porcellina? Ti piace essere qui. - Disse. - L'odore di stallatico ti accende i sensi, perché ami fare le cose sporche nei posti sudici. Sei una deliziosa puttanella. -
Mentre mi strizzava i capezzoli, stringendoli tra le dita, la sua lingua mi precorse il collo dall'orecchio all'incavo della clavicola, lasciando una striscia umida sulla pelle.
Un mugolio lieve mi sfuggì dalle labbra, avvertì l'erezione del suo sesso premere contro le mie natiche, mi stavo sciogliendo nelle mutandine.
Scostò le mani dai seni e scese a sganciare sui fianchi i bottoni che fermavano la mia gonna: in un attimo l'indumento giaceva a terra, attorno alle mie caviglie.
- Ora sentiamo a che punto di cottura è la tua fighetta: vediamo se sta già lacrimando al punto giusto. -
Scostò le mutandine, le fece scivolare lungo le cosce, si fermarono ai miei piedi, facendo mucchio sulla gonna.
- Apri le gambe troietta, che voglio sentire quanto sei calda lì in mezzo. - Eseguì l'ordine, divaricai per permettergli di toccarmi, sentivo pulsare la fica, mentre il liquido sieroso mi colava caldo all'interno delle cosce.
Le sue dita si fecero strada tra le grandi labbra, allargando e cercando la fessura morbida del mio sesso: introdusse quatto unite a cono, iniziando a entrare e uscire con un movimento lento e ritmato.
- Ohh…Professore, la prego non smetta. - L'implorazione mi sfuggì dalle labbra come una preghiera febbrile. Gli stavo inondando la mano, si udiva il rumore liquido della mia figa fradicia che si dilatava nell'affondo delle sue dita.
- Ti piace puttanella? - La sua voce bassa e conturbante era un tormento incandescente.
- Ohh…Sì professore, mi piace molto. Infili tutta la mano. Continui la prego. Sto impazzendo… -
Ero in pieno delirio, volevo che con quelle dita mi slabbrasse a dismisura la fica: mi sentivo porca come non avrei mai creduto. Non volevo che smettesse.
- Ora porcellina dobbiamo pensare anche a Luky. Ricordi perché siamo qui vero? -
- Si professore, certo. Ma cosa possiamo fare? Me lo indichi lei per favore. -
La sua bocca mi mangiava i capezzoli, leccava e succhiava con foga, mordicchiava, colmandoli di saliva vischiosa, mentre la mano sprofondava nella mia morbidezza sfatta.
- Brava, la mia troietta piena di voglia. Adesso, porta la mano sotto la pancia di Luky e carezzalo lì sotto. -
- Oddio, no. Questo no. Non può chiedermelo professore. Toccarlo laggiù mi fa troppa impressione. -
- Su, non fare la sciocchina ora. Solo una carezza per rilassare Luky. Vedrai che ti piacerà, fallo dai. -
Alle dita introdotte nella fica, ora aveva aggiunto la pressione del pollice sul buchetto dell'ano, umettando la rosetta bruna con le secrezioni cremose del mio sesso. Il pollice, ben lubrificato, scivolò dentro lo sfintere come un biscotto nel budino. Iniziò a scoparmi la figa e il culo insieme, con le dita della mano.
Emisi un guaito lascivo: che porco meraviglioso era il proffessor Rinaldi. Quanto avevo sognato di divenire una cagnetta obbediente e piena di voglia nelle sue mani, come stava accadendo. Desideravo solo che mi facesse cose sconce, usandomi come una viziosa puttana, che mi farcisse la bocca di sperma caldo.
Portai, esitante, la mano sotto lo scroto della bestia: possedeva testicoli grossi come piccoli meloni, iniziai a carezzarli come si fa con la testa di un bimbo.
- Bene, continua così, che a Luky piace molto. - Nel parlare le sue dita stringevano la nocciola del mio clitoride. Giocava, con perversa abilità, tormentando quella piccola protuberanza di carne, così eretta e sensibile. I polpastrelli scivolavano, in quella presa sdrucciolevole di umori, provocandomi scosse di piacere tanto intense da farmi cedere le gambe.
Gustando la carezza della mano, la carne di Luky parve animarsi in un graduale risveglio: la pelle spessa del sesso prese a distendere le rughe minute che lo rivestivano, la verga sollecitata si gonfiava e cresceva di dimensione tra le mie dita.
Assistevo quasi sgomenta a quel miracolo: il glande, di un vivido rosa carnicino, si affacciava provocante dal turgore di quella appendice scura, già potevo vedere il luccichio perlato di umori sorgere dall'uretra come piccole lacrime. Attimo dopo attimo veniva alla luce l'escrescenza carnosa candida di quel sesso smisurato, impossibile cingerne interamente il diametro col cerchio delle dita.
- Fai scorrere la mano lungo l'asta: prendilo con entrambe le mani se una non ti basta. - Mi incitò il professore, vedendomi in difficoltà nel maneggiare quel sesso inalberato.
Tentai di eseguire quell'esortazione, ma non era facile: il cazzo della bestia si inarcava, pareva una grossa serpe innervata e potente, che volesse sgusciare per sfuggire alla presa.
Con fatica cercavo di compiere quella carezza su tutta l'estensione del pene, che ora aveva raggiunto la considerevole misura di oltre sessanta centimetri di lunghezza. La difficoltà stava nel fatto che le mani non riuscivano a scorrere con la dovuta scioltezza, poiché la pelle, pur essendo idratata, non risultava scivolosa a sufficienza.
Vedendo la laboriosità della mia azione, Rinoldi, sicuramente avezzo all'addestrare, in quel genere di turpitudini, qualche promettente allieva ben prima di me, disse: - Se vuoi che scivolino con facilità sul cazzo, devi lubrificarti le mani. - Notando la mia espressione dubbiosa, proseguì: - Raccogli un poco del liquido dalla punta del glande, con quella cremina spalmata nei palmi ti sarà più semplice. Prova! -
Seguì l'indicazione: portai le mani alla sommità del fallo e concentrai la carezza, plasmando la carne spugnosa della cappella. La risposta fu immediata: piccoli fiotti di liquido pre-spermatico mi irrorarono le mani, con quella materia filante e viscida ripresi a masturbare lo stallone.
Rinoldi alle mie spalle, si inginocchiò e facendomi leggermente piegare in avanti, ottenne che le mie natiche e lo spacco rorido della fighetta si proiettassero all'infuori, totalmente esposte alla luce del suo viso.
Quindi usando le mani divaricò lo spazio tra i glutei e ci pose la bocca, labbra bollenti e voraci, si impossessarono del mo sesso.
Iniziò a leccarmi soavemente, scivolando con insinuanti colpi di lingua lungo la fenditura bollente della figa: lo faceva con lentezza esasperante, intervallata a frollate sapienti e veloci della lingua, l'affondava nelle mucose palpitanti, poi la ritraeva lasciandomi in balia della ventosa delle labbra che risucchiavano, con ingordigia, la carne e i liquidi che in abbondanza rilasciavo.
Non mi lasciava tregua, instancabile compiva poi lo stesso gioco più in alto, penetrando a fondo, con la punta mobile della lingua, nell'orifizio anale. Volevo urlare, ma dalla mia gola usciva solo un rantolo lamentoso, stelline incandescenti si affollavano nel campo visivo, il piacere mi ottenebrava la vista. Aggrappata al sesso del cavallo, cercavo un equilibrio instabile, allargando quanto potevo le cosce per favorire quel supplizio di piacere sconvolgente.
Mi sentivo molle come pasta frolla, mi bagnavo come una cagna in calore, l'urgenza del piacere si mescolava ora a quella orinare, implorai un attimo di tregua per prendere respiro.
- Professore, la prego. Ho la vescica gonfia, mi scappa la pipì. - Dissi tutto d'un fiato.
- Non ora troietta, la farai più tardi quando avremo finito. - Decretò senza appello Rinoldi.
- Sia buono, abbia pietà. Mi conceda qualche attimo per liberami. Sento che potrei farmela addosso da un momento all'altro.-
A quella invocazione smise ciò che stava facendo, si allontanò lasciandomi in piedi accanto al cavallo, fradicia e tremante come avessi la febbre.
Poco distante, in un angolo del box, giaceva a terra una balla di fieno, come quello presente nelle mangiatoie, alta una sessantina di centimetri.
La prese, per poi disporla ai miei piedi affiancata alla bestia.
- Stenditi qui sopra e divarica le cosce. - Ordinò, col sorriso ambiguo e sicuro di chi ha in mente un progetto ben definito.
Mi stesi supina sul quel materasso di fieno secco, le pagliuzze solleticavano e pungevano la pelle nuda della schiena, allargai le cosce flettendo le ginocchia, mi venne in mente la posizione di una rana posta sul tavolo, nella lezione di osservazione scientifica.
- Ora mia piccola puttanella, prendi in mano il glande di Luky e struscialo su quella bella fica brodosa. Voglio che ti masturbi col sesso del cavallo. -
- Oh! No! Professore, non me lo chieda, mi riempirà la topina di quel liquido appiccicoso che gli gocciola dal sesso, sarebbe disgustoso. -
- Taci, piccola pervertita! Sappiamo bene entrambi che queste cose sudicie ti piace a dismisura farle. Sei marcia fino al midollo, ma vuoi mentire a te stessa, negando di desiderarle. -
Era alto e imponente, attraente, con una mascolinità da dio greco, era nato per dominare una donna e lo sapeva.
Mentre diceva queste cose, iniziò a sbottonare la patta dei pantaloni da equitazione che portava: finalmente mi avrebbe mostrato quel membro duro che gli vedevo tendere la stoffa cremsi della braga. Una nuova esplosione di calore si allargò nel mio basso ventre, miele fuso inzuppò il fieno sotto le mie reni.
Rinoldi mostò un sesso turgido, paonazzo di vene gonfie, animalesco nella dimensione, teso come una guglia di roccia.
Stregata da quella visione, iniziai a piena mano a strusciare la cappella del cavallo sulla mia fica spalancata.
- Brava troietta, fagli sentire quanto lo desideri, Luky smania dalla voglia di sfondati la fighetta, guarda come te la sta lavando di secrezioni. -
- Mmmmh… Si! Professore, ho voglia dei vostri cazzi. Voglio che mi riempiate i buchi. Lo faccia la prego. -
Lui si accostò al mio viso tenendo in mano il sesso, guidandomi la testa lo avvicinò alla mia bocca.
- Ora fammi sentire come sei brava con la lingua puttanella. -
Mi invitò a leccargli quel cazzo spaventoso: lo tenevo con la mano libera e tentavo di masturbarlo, facendole scorrere su e giù la pelle lungo l'asta.
Rinoldi, mi carezzava la testa aiutandomi a tenerla sollevata mentre ero intenta baciare e leccare il suo sesso equino: lo facevo con grande impegno di mano e lingua, sentivo la fica pulsare con spasmi di una voglia dolorosa.
Volevo essere brava, mostrare ciò che sapevo fare: il frutto tecnico delle tante prove fatte in camera con la mia amica Marika e Big Tom, il nostro dildo nero. Desideravo che il professore fosse contento della sua allieva.
Dal cazzo gli colavano delle goccioline bavose, come quelle che stava lasciando sulle mie grandi labbra il sesso di Luky: mi sentivo una troia condotta alla monta.
Ogni tanto sputavo su quel sesso, gli facevo colare fiotti di saliva lucida: le bave lasciavano filamenti tra le mie labbra e la carne calda, poi aprivo le mascelle a dismisura per accoglierlo fino alla gola.
Lui muoveva il bacino nell'atto di scoparmi la bocca: respiravo a fatica col naso, per non annegare nella saliva o soffocare di quel sesso abnorme.
Non sarei stata meno porca di quelle troiette che mi avevano preceduto, in passato, in quel maneggio e glielo avrei dimostrato!
Mi doveva fottere col suo cazzo da bestia, lo volevo tutto dentro me, doveva riempirmi di sborra calda, litri di sborra, come quella che eiaculano i cavalli quando vengono, e io avrei bevuto e leccato tutto.
- Sei brava a succhiare il cazzo. Chissà dietro quell'aria da verginella quanti ne hai già conosciuti. Sono davvero contento di te. - Disse soddisfatto.
Aveva la voce rauca e densa di eccitazione, il tono trasudava una lascivia sconfinata.
- Ora dobbiamo pensare a Luky, puttanella. Prendi il suo sesso in mano e portalo alla bocca. -
Lo disse, sfilando il suo, grondante di bave dalle mie labbra.
Fui presa dal panico per l'enormità di quella richiesta: compiere un atto sessuale con un animale era qualcosa che travalicava la mia fantasia, oltre che il mio senso morale.
Mi era, in realtà, accaduta un'esperienza a riguardo nei primi tempi dell'adolescenza, quando la smania di sperimentare si univa all'urlo potente dei mie impulsi carnali, e mi portava a cercare esperienze di trasgressione anche al limite, per soddisfare le urgenze fisiologiche che mi assalivano.
Era però rimasta un fatto episodico, una piccola follia archiviata nella memoria, che non avevo più ripetuto in seguito.
Il fatto risaliva a un pomeriggio di quegli anni, nel quale mi sentivo decisamente accesa: ricordo che, trovandomi sola in casa con Devil, il mio Labrador Retriever, sdraiata sulla chaise longue della mia camera, leggevo un libro erotico con l'intento di carezzarmi la topina per darle un poco di pace.
Avevo tolto le mutandine e a cosce larghe, completamente rilassata, mi toccavo lentamente, giocando con la carne morbida e sensibile del sesso: introducendo coppie di dita nella topina e nel buchetto elastico del culo, in preda a un languore torbido.
Procedendo nelle parti più bollenti del racconto che leggevo, la mia fantasia viaggiava a vele spiegate, e mi bagnavo in un crescendo morbido di sensazioni che scioglievano i miei succhi.
Ogni tanto portavo le dita alla bocca per gustare il mio sapore intimo, per poi riportale fra le cosce intrise di saliva, aumentando la lubrificazione della carezza.
L'odore del mio sesso in calore riempiva il chiuso della stanza, mi sentivo ubriaca di voglia, aperta e disponibile a ogni cosa che mi facesse godere di quel mio trastullo solitario.
Ero molto giovane, ma già nella mia mente si affollavano fantasie inconfessabili, tra le più peccaminose e sfrenate.
Devil che stava accucciato ai miei piedi, pareva dormire, forse avvertì quel turbamento dei sensi che mi agitava.
Gli animali di casa, sono sovente sensibili agli umori e ai nervosismi dei loro padroni, o più semplicemente, lui fu attratto dal sentore forte, rilasciato dagli effluvi della mia topina.
Si levò in piedi e accostò il muso al triangolo del mio ventre, interrompendo il lavorio delle mie dita e mostrando un singolare ed eccitato interesse.
Sulle prime la cosa mi divertì, quindi lo scostai con la mano per tornare alla mia fervida attività, ma nulla può distrarre un cane dalla determinazione di annusare un odore che lo attiri.
Infatti il tartufo nero in cima al muso di Devil, si ricacciò di forza fra la mano e il mio sesso, spingendo con forza la testa e inalando con ripetuta continuità l'odore caldo della mia carne
- Smettila Devil! Sporcaccione! Torna a cuccia, lasciami in pace, cagnaccio. - Dissi, innervosita dall'intrusione che mi distoglieva da quel momento intimo.
Gli feci anche due grattini sul capo per smorzare la sua frenesia, ma non ci fu verso: non solo non smise, ma iniziò con foga e leccarmi la mano fino al gomito, la lingua veloce e rasposa cercava gli umori di cui era intrisa, con la frenesia di un intingolo squisito.
Allora la spostai dietro la schiena, distogliendola alla sua vista, sperando che smettesse.
Lui infatti si disinteressò alla mano ma cacciò il muso a fondo, nel mezzo allo spacco tumido della mia fighetta.
Rimasi sconcertata, indecisa se alzarmi e scostarmi da lì per farlo cessare. Non nego d'essere stata al contempo leggermente allarmata per l'impeto di quell'assalto inaspettato: benché lo avessi praticamente allevato da cucciolo, era la prima volta che lo vedevo agitarsi a quel modo e la cosa mi metteva a disagio.
Nel tentativo di divincolarmi divaricai maggiormente le cosce anziché serrarle, e lui ne approfittò per prendere possesso totalmente della mia topina.
La lingua iniziò a scavarla come fosse alla ricerca di una sorgente in cui dissetarsi, mi bagnò di bava cercando con insistenza nel profondo, scendendo dalla vulva alla rosetta dell'ano, tornando poi al punto di partenza, senza concedere tregua.
Allora, forse con la mente appannata dalla tensione erotica in cui la lettura del libro e l'inizio della masturbazione, bruscamente interrotta, mi avevano precipitato, sentì un calore languido dilagare nel ventre: il clitoride si inturgidì come una ciliegia matura e il mio siero vischioso prese a colare come miele denso.
Devil eccitato dal proliferare di quelle secrezioni me le spalmava, con lingua golosa, come una crema liquida e soave sulla fica spalancata.
- Oh! Cucciolone, che lingua meravigliosa hai. Lecca bello, lecca questa troietta della tua padrona. Così, bravo, non smettere. -
Stavo impazzendo, il mio cane mi stava leccando la fica e io glielo lasciavo fare, invece di inorridire mi piaceva in maniera vergognosa.
Iniziai a strizzarmi le tette spingendo in fuori il bacino, non volevo che perdesse una sola goccia del mio nettare caldo: inarcai la schiena per offrirmi meglio, oscena e aperta a quel bacio animalesco.
Immaginavo il suo piacere nell'avere la bocca impastata del mio sapore: un gusto che conoscevo bene, ed ero grata alla natura per avermi fatta, laggiù, così buona e sapida.
Ingenuamente pensavo che se risultavo tanto desiderabile alla lingua di un cane, sarei stata irresistibile, in futuro, alle brame di una bocca di uomo.
Mi accorsi che Devil non apprezzava unicamente il mio sapore: infatti vidi che dalla guaina del suo ventre, faceva capolino la testa rossa del sesso in erezione. Gli era venuto duro e ora si mostrava nella sua voluminosa, piena , estensione. L'idea che si eccitasse sessualmente nel leccarmi mi accecò di libidine: essere desiderata dal cane ebbe su di me un effetto afrodisiaco sconvolgente.
Chiusi gli occhi e immaginai quel sesso, vermiglio e superbo che mi penetrava da dietro, assaltandomi come avrebbe fatto con una cagna in estro, sfondandomi la fica con le sue penetrazioni inesorabili e martellanti: ero sul punto di urlare, di venire meno per una vertigine di voluttuosa lascivia.
Mi pinzai i capezzoli tra le dita, torcendoli con forza, per farmi male, per punirmi della mia lussuria dissoluta, volevo soffrire per espiare, ma Devil accelerò i colpi di lingua seviziandomi il clitoride, e venni, scossa da un orgasmo devastante.
Mi accasciai sfinita sulla poltrona, ansante e col cuore in tumulto, strinsi le cosce per prolungare il riflusso dell'orgasmo, abbracciai Devil stringendolo forte a me.
Lui mi leccò con gratitudine il viso.
-Oh! No! Professore, non mi chieda una cosa tanto depravata. Mi vergognerei troppo. La scongiuro, non me lo faccia fare. -
Parlando continuavo a sfregare il glande di quel pene bestiale sulle labbra della fica: il liquido che colava dall'uretra aveva allagato i riccioli bruni del pube, ero impastata di quell'umore bavoso e opalino fino al solco tra le natiche, dove scivolava per inzuppare la paglia su cui giacevo.
Pensare di portare alla bocca quella cappella enorme e bitorzoluta, mi provocava un senso di repulsione misto a una malsana tentazione che tentavo di scacciare dalla mente.
L'odore dell'animale infoiato era persistente, soffocante come l'aria della stalla, che si era fatta più densa e calda.
Una caligine umida, in sospensione nell'ambiente, mi ricopriva la pelle come un velo di materia adesiva e odorosa di sesso.
La mia riluttanza a quella richiesta non piacque a Rinoldi, fino a ora avevo acconsentito a soddisfare ogni sua richiesta e questo diniego lo stava infastidendo.
Una giovane puttanella, totalmente disponibile e collaborativa nel realizzare quei giochi perversi, era sicuramente il genere di allieva che prediligeva avere alle sue cure, non era abituato a ricevere resistenze o rifiuti.
Vidi che si rabbuiava in viso, lo sguardo diveniva duro e il tono, fino a qual momento accattivante, assunse una freddezza risentita.
- Non fare la schizzinosa ragazzina. Ricordati che non siamo qui per il tuo piacere. Ma abbiamo un compito da svolgere. -
Così dicendo mi colpì un seno con una sberla secca e dolorosa.
Emisi un gemito, cercai di articolare una protesta, ma lui non me ne lasciò il tempo: una seconda sberla mi fece sobbalzare l'altro seno. Forse fu la sorpresa, o il fatto che quei colpi non fossero realmente dolorosi, ma solo umilianti, che un brivido mi provocò una sferzata calda al basso ventre e i capezzoli si inturgidirono fino a dolermi.
- Allora troietta, sappi che, se non sarai obbediente e sollecita nel fare quanto ti è richiesto, sarò costretto a punirti: non ti permetterò di godere, e non ti sarà consentito di fare la pipì come avevi richiesto.
Oh… Professore, non sia così cattivo, è una cosa troppo sudicia quella che mi chiede. La prego, non può punirmi così. Guardi in che condizioni versa la ma topina: è completamente fradicia di voglia. - con tono singhiozzante continuai: - Ho tanto bisogno di sfogarmi, sto soffrendo molto, mi creda. Lo stimolo della pipì è davvero forte, mi è difficile trattenerlo. -
Mente lo imploravo, infatti, un piccolo fiotto di urina era sfuggito dal minuscolo orifizio della mia figa, e un rivolo timido era colato fra gli altri umori a bagnare il fieno sotto le mie natiche.
- Piccola sporcacciona disubbidiente. La stai facendo nonostante la mia proibizione. Ora sarò costretto davvero a punire la tua insolenza. -
Era decisamente arrabbiato, il viso si era acceso di collera e gli occhi erano del colore di un cielo che preannunci tempesta.
Non riuscivo a reggere quello sguardo irato, mi sentivo profondamente in colpa, intimorita e senza più la volontà di fare un movimento serrai gli occhi, come un cucciolo che subisca una sgridata.
- Apri bene le cosce e metti le mani dietro la testa. - Sentì ordinare alla sua voce.
Eseguendo l'ordine riaprì gli occhi: Rinoldi era i piedi davanti a me, mi sovrastava con la sua alta figura, il sesso sempre eretto sorgeva imponente dai pantaloni.
Aveva un aria volitiva e determinata, nella sua mano ora era comparso il suo frustino da dressage. Iniziò a farlo schioccare più volte, fendendo l'aria con colpi a vuoto, come se calibrasse la forza delle scudisciate che intendeva infliggermi.
Compresi che era inevitabile: mi avrebbe fustigata, gocce di sudore mi imperlarono il corpo mentre fremevo nell'attesa.
Con le reni leggermente sollevate, bacino proteso all'insù e le tette che, per la postura delle mani dietro al capo, ora sporgevano indifese nell'orgoglio di una sferica pienezza. Chiusi nuovamente gli occhi, irrigidendomi nell'attesa di quella punizione.
- Non mi faccia male professore. Lo so che sono una piccola viziosa ed è giusto che lei mi castighi. Ma sia clemente nel colpire, la prego. -
- Taci troietta, so ben io come si educa una piccola cagna vogliosa come te. -
Iniziò a colpirmi i seni con colpi dal suono secco e rapido: abilmente centrava i capezzoli già infiammati dal protratto turgore, a ogni schiocco mi sfuggiva un gemito e lampi rossi mi investivano la mente nel buio denso degli occhi serrati.
Facevano male quei colpi, un male caldo, infatti i capezzoli si indurivano e dolevano procurando un piacere snervante: avrei voluto che me li mordesse e poi succhiasse con foga dopo ogni colpo.
La punizione ma non faceva decrescere la mia voglia: ero certa che se lo avesse fatto, da quei morsi sarebbe venuto fuori un succo bianco come il latte, lo stesso che gocciolava dal sesso del cavallo e mi inondava la fica.
Stavo con le gambe spalancate, fradicia, tutta aperta e pulsante, così lui prese scudisciarmi la fica, mi colpiva le grandi labbra e il clitoride, producendo un rumore umido e sconcio.
A ogni colpo ansimavo a bocca spalancata, ma non era per il dolore: quei colpi erano come quando il cazzo ti batte in fondo alla vagina e a ogni colpo sei sempre più vicina all'orgasmo.
Era così infatti, mi sentivo prossima a esplodere, stavo per venire: aumentava anche lo stimolo a fare pipì e quei colpi me lo facevano crescere con un'urgenza incontenibile.
Rinoldi cambiò modalità: prese a strusciare lentamente la cima del frustino sul clitoride congestionato, mi carezzava delicato, inzuppando il cuoio nella mia bagnetta calda, per poi colpirmi all'improvviso, era una tortura dolce e devastante, andò avanti così per un po’.
- Lo vuoi il mio cazzo puttanella? - Chiese insinuante.
- Ho… Sì. La prego, me lo dia. Mi sfondi col suo grosso cazzo. Ho tanta voglia professore, mi penetri. Scopi la sua troietta, la riempia tutta. -
Si inginocchiò davanti a me tenendo il sesso in mano. Attesi ansiosa di sentire quella grossa verga rigida, trapuntata di vene gonfie e azzurre, slabbrami la fica.
Ma lui puntò la cappella sul buchetto del culo e con un affondo di reni mi colmò il budello.
Lo sentì scivolare dentro con facilità, quasi risucchiato, i liquidi abbondanti che avevo tra le natiche favorirono al meglio la penetrazione, affondò tutto fino a toccare col pube la soglia del mio sfintere.
Mi mancò il respiro per quanto era grosso e potente, annaspai cercando aria per i polmoni: lui prese a muoversi con lenta determinazione, ruotava il bacino per dilatarmi l'ano allo spasmo, un rumore liquido e impudico accompagnava quella penetrazione.
- Ti piace che ti fotta così il culo, vero maialina? -
- Sii! Mi piace molto professore. E’ così grosso e forte, sto impazzendo. Non smetta, la prego. Spinga dentro più forte. -
Deliravo senza ritegno, sollevavo e spingevo il bacino verso il suo sesso per accoglierlo maggiormente, me ne sentivo piena fino in gola.
Mi sentivo una troia senza più limiti né dignità di donna, ero una bestiola famelica di piacere, disciolta in un brodo di secrezioni vischiose e bollenti, volevo raggiungere l'orgasmo e svuotarmi la vescica orinando sul quel cazzo inghiottito del mio culo.
- Allora se vuoi che continui, ora prendi in bocca il cazzo del cavallo. Voglio che lo spompini mentre ti inculo troietta. -
Che porco sconvolgente era quest'uomo. Sapeva bene come ottenere ciò che voleva. Presi il sesso di Luki e me lo portai alle labbra.
Nel leccarlo la mia lingua teneva lo stesso ritmo degli affondi di Rinoldi dentro me, insinuai la punta nel buchetto da cui sortivano i suoi umori, il sapore non era dissimile da quello dello sperma umano e a quello ero abituata, quindi non mi risultò ripugnante, li raccoglievo, deglutendoli con cura, senza smarrirne una sola goccia.
Accompagnavo quel pompino con la carezza delle mani, reggendo l'asta che aveva scatti mobili e improvvisi: Luky gradiva molto la mia bocca.
Infine Rinoldi diede un colpo più violento e io sentì irrompere l'orgasmo, urlai per il piacere fortissimo che mi si propagava a tutto il basso ventre, il mio urlo fu bloccato dai sussulti del cazzo di Rinoldi nel mio intestino: stava venendo, riempiendomi con un clistere di sperma caldo.
Nello stesso momento il sesso di Luky si irrigidiva con uno spasmo, come un enorme anguilla viva tra le mie mani, e in quella il mio viso fu travolto da uno scroscio inarrestabile di sperma che mi tolse il fiato, lavandomi interamente il corpo. Mi sentii annegare e mi risveglia di colpo, sudata fradicia e con la fica grondante: ero arrapata come una cagna in calore e avevo la vescica che stava per esplodere.
Corsi al bagno e sulla tazza presi a orinare con schizzi violenti e quasi dolorosi, mi sentivo ancora piena di voglia: allora affondai le dita nella carne frolla della fica e ce le pompai dentro giunte a cono, lo feci mentre svuotavo la vescica inondandomi la mano fino al polso.
Diedi degli affondi cattivi e violenti: a occhi chiusi rivedevo il cazzo del mio professore, immaginavo che il mio pugno fosse la cappella turgida di quel sesso di animale che avevo così tanto leccato.
Venni tra i miei liquidi, mordendomi la mano libera per non urlare a squarciagola tutto il mio piacere.
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Da: Memorie del collegio
Un racconto erotico di Nightafter
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nightafter018 · 5 years
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Hot dream of the college girl
Il professor Rinoldi incarnava le nostre fantasie più sfrenate di adolescenti: rappresentava l'archetipo dell'uomo sexy alla soglia della maturità, univa un fisico giovanile e prestante al carisma dell'uomo fatto.
Quando ti veniva accanto, con quel suo profumo di note calde e muschiate, sentivi frullare qualcosa nel diaframma che bloccava il respiro. Restavi ammutolita e confusa come una scolaretta, pietrificata come il topolino che verrà mangiato dal serpente.
In realtà il serpente che turbava tuoi pensieri, non era un rettile velenoso e vorace, ma quello che intuivi grosso e lungo, celato nei suoi pantaloni.
Il tuo desiderio in quei momenti, era che ti divorasse interamente e con esasperante lentezza, ti assaliva un caldo sdilinquimento al basso ventre, che lasciava le mutandine umide e appiccicose.
La mattina presto, nella bella stagione, ci svegliavamo anzitempo e correvamo alla finestra, per vederlo passare al galoppo sul grande viale che veniva dal maneggio.
Montava Luky lo stallone nero, il suo cavallo preferito, campione della nostra scuderia.
Infatti il nostro collegio, tra le sue varie prerogative, era anche attrezzato di un maneggio che offriva, alle allieve che lo desiderassero, il corso d'equitazione.
Io non montavo perché era un'attività sportiva che non mi attraeva, in realtà i cavalli mi mettevano un po' paura.
La loro dimensione fisica imponente, la grande forza animale e quella vitalità imprevedibile mi inquietavano.
Passeggiando un pomeriggio nel nostro parco, ero giunta allo spiazzo del maneggio, all'interno del corral stazionava una coppia di cavalli: una femmina di baio dal manto bruno e un magnifico morello maschio.
Erano con evidenza in estro: lui appariva smanioso, con quell'enorme sesso eretto, teso come un ramo d'albero e quel glande dalla forma singolare lucido di umori.
A un certo punto l'avevo visto montare la femmina: un assalto potente salendole in groppa, sprofondando quella virilità congestionata nella vulva tumida di lei.
Il coito fu breve e violento, l'eiaculazione finale fu spettacolare e copiosa, mi provocò una sensazione di ripugnanza frammista di un'attrazione insana.
Assistere a quell'accoppiamento mi aveva turbata profondamente, nonostante il fastidio non mi era però riuscito di distogliere lo sguardo.
Rinoldi, uscendo dal paddock dove aveva lasciato alla posta Luky, mi vide lì ferma a osservare la scena e notando l'espressione del mio volto, sorrise divertito del mio evidente imbarazzo.
Restai fortemente impressionata da quello spettacolo, al punto che una notte di qualche tempo dopo, avevo sognato che il professor Rinaldi mi conduceva con lui nella stalla, all'interno del box di Luky, lo stallone arabo.
La bestia era splendida, il manto bruno, lucido come velluto, mandava riflessi argentati come il guscio di qualche coleottero. Aveva l'aria irrequieta, soffiava nervoso dalle froge ed emetteva nitriti acuti, io ero spaventata e nel sogno desideravo fuggire da lì.
Ma Rinoldi mi trattenne: disse che non potevamo andar via, eravamo nella stalla con il compito di calmare il nervosismo dell'animale: solo dopo avremo potuto allontanaci. Io mi sentivo intimorita e confusa, era notte, la luce nel box era esigua, tutto il luogo era cupo e immerso nel silenzio, non capivo poi, in che maniera la nostra presenza potesse giovare all'umore del cavallo
L'aria nell'ambiente era calda e come avviene nelle stalle con animali, il sentore della paglia, impregnata dalle deiezioni dei quadrupedi, ti prendeva alla gola. Ero a disagio e quasi nauseata di quell'olezzo, dentro montava un'ansia crescente.
Rinoldi prese a carezzare il cavallo, lisciandogli piano la criniera e parlandogli con accattivante dolcezza, l'animale pareva rispondere a quelle attenzioni acquietando la sua agitazione
- Buono Luky, guarda chi ti ho portato. Ti piace questa bella giovinetta, vero piccolo mio? - Sussurrò all'orecchio dello stallone con tono pacato e suadente: guardando me mentre parlava alla bestia.
Infine, rivolto a me: - Avvicinati, non avere timore. Vedi è mansueto, ha solo bisogno di coccole per tranquillizzarsi. -
Vedendo la mia ritrosia, mi cinse alla vita col braccio tirandomi a sé, l'aroma conturbante della sua colonia mi avvolse caldo e rassicurante, con la mano sulle mie reni mi sospinse, dolcemente, a un contatto quasi fisico col cavallo.
- Coraggio – Aggiunse. – Non ti farà niente, ci sono io ad assisterti. -
Quelle parole ebbero un effetto rassicurante, fiduciosa, accostata a lui, mi avvicinai all'animale.
Non ero mai stata tanto vicina a un cavallo: aveva una statura e una mole considerevoli.
Luky nella fattispecie era un esemplare stupendo: il pelo corto e lucido come seta, la muscolatura armoniosa e guizzante, emanava un odore forte, muschiato, pungente come l'odore selvatico del sesso.
Rinoldi si pose alle mie spalle, sentivo il suo corpo a contatto della mia schiena, la cosa mi procurò un brivido d'emozione che mi fece avvampare.
- Cosa devo fare professore? - Chiesi con un filo di voce.
- Carezzagli il collo e la criniera, fallo lentamente, senza paura. - Sentivo il suo fiato caldo dietro l'orecchio, la sua presenza fisica era rassicurante e carezzevole, nel profondo desideravo le sua mani su di me: che mi toccasse, con la stessa soavità impiegata nel blandire il cavallo.
Con la massima cautela, allungai la mano sul collo della bestia, la feci scorrere per tutta la sua lunghezza, lui reclinò il capo con un soffiò soddisfatto mostrando di gradire la carezza. confortata da quel risultato incoraggiante, aggiunsi anche l'altra mano nell'attuare l'operazione.
- Brava! - Disse Rinoldi – Continua così, non fermarti, lo vedi che è facile. -
Proseguì per qualche lungo momento, ero felice di aver superato quella mia paura insensata, Luky dimostrava il suo compiacimento, pur essendo il nostro primo incontro mi aveva accettata e nitriva di piacere.
- Ora senza smettere, ripeti le carezza lungo il corpo, vai sul fianco. - Sussurrò il professore e mi guidò le mani dal collo del cavallo al fianco più in basso.
- Ti sei chiesta perché ti abbia condotta qui questa notte? - L'interrogativo mi colse alla sprovvista: certo che mi ero posta quella domanda, ma confesso che la trepidazione causata dalla sua presenza e quella inconsueta situazione nella stalla, l'avevano fatta scomparire dalla mia mente.
- Si, professore, ma non so farmi un'idea. Speravo che lei mi dicesse... - Risposi, non riuscendo concludere la frase e a fare a meno di arrossire.
- Ti ho osservata davanti al maneggio, l'altra settimana, mentre assistevi alla monta dei due cavalli. - Parlando, sentì che si era accostato ancora di più a me, il suo corpo aderiva alle mie natiche: trattenni il respiro.
- Mi sei parsa molto interessata. Dico bene? -
- Io, si... Io sono rimasta impressionata, è vero. - Risposi con voce malferma, mentre l'aria della stalla mi pareva essere divenuta incandescente e il corpo mi si imperlava di traspirazione.
- Solo impressionata? Non mentire. - La voce aveva una nota divertita. - Sono certo invece, che quello che hai visto ti sia piaciuto. Che la tua fighetta si sia bagnata in maniera indecente, non negarlo. -
Nel profferire quelle insinuazioni, le sue mani salirono al mio petto, iniziando a sbottonate la blusa che indossavo: sentivo il tepore dei polpastrelli sfiorare la pelle nuda e sudata.
Proseguì senza mutare il tono di voce: - Ti sei bagnata, perché sei una piccola troietta viziosa, e quel grosso sesso del cavallo ti ha fatto nascere delle fantasie perverse. -
Ora aveva aperto la camicetta, abbassate le coppe del reggiseno e mi stava plasmando le tette a piene mani, stringendole e modellandole come plastilina.
Il cuore ebbe un tuffo, iniziò a palpitare frenetico e il mio respiro a divenire pesante. Avrei voluto urlare, ma non di sorpresa o paura: i capezzoli si erano inturgiditi da fare male. Avrei gridato di voglia.
- Ti stai eccitando vero porcellina? Ti piace essere qui. - Disse. - L'odore di stallatico ti accende i sensi, perché ami fare le cose sporche nei posti sudici. Sei una deliziosa puttanella. -
Mentre mi strizzava i capezzoli, stringendoli tra le dita, la sua lingua mi precorse il collo dall'orecchio all'incavo della clavicola, lasciando una striscia umida sulla pelle.
Un mugolio lieve mi sfuggì dalle labbra, avvertì l'erezione del suo sesso premere contro le mie natiche, mi stavo sciogliendo nelle mutandine.
Scostò le mani dai seni e scese a sganciare sui fianchi i bottoni che fermavano la mia gonna: in un attimo l'indumento giaceva a terra, attorno alle mie caviglie.
- Ora sentiamo a che punto di cottura è la tua fighetta: vediamo se sta già lacrimando al punto giusto. -
Scostò le mutandine, le fece scivolare lungo le cosce, si fermarono ai miei piedi, facendo mucchio sulla gonna.
- Apri le gambe troietta, che voglio sentire quanto sei calda lì in mezzo. - Eseguì l'ordine, divaricai per permettergli di toccarmi, sentivo pulsare la fica, mentre il liquido sieroso mi colava caldo all'interno delle cosce.
Le sue dita si fecero strada tra le grandi labbra, allargando e cercando la fessura morbida del mio sesso: introdusse quatto unite a cono, iniziando a entrare e uscire con un movimento lento e ritmato.
- Ohh...Professore, la prego non smetta. - L'implorazione mi sfuggì dalle labbra come una preghiera febbrile. Gli stavo inondando la mano, si udiva il rumore liquido della mia figa fradicia che si dilatava nell'affondo delle sue dita.
- Ti piace puttanella? - La sua voce bassa e conturbante era un tormento incandescente.
- Ohh...Sì professore, mi piace molto. Infili tutta la mano. Continui la prego. Sto impazzendo... -
Ero in pieno delirio, volevo che con quelle dita mi slabbrasse a dismisura la fica: mi sentivo porca come non avrei mai creduto. Non volevo che smettesse.
- Ora porcellina dobbiamo pensare anche a Luky. Ricordi perché siamo qui vero? -
- Si professore, certo. Ma cosa possiamo fare? Me lo indichi lei per favore. -
La sua bocca mi mangiava i capezzoli, leccava e succhiava con foga, mordicchiava, colmandoli di saliva vischiosa, mentre la mano sprofondava nella mia morbidezza sfatta.
- Brava, la mia troietta piena di voglia. Adesso, porta la mano sotto la pancia di Luky e carezzalo lì sotto. -
- Oddio, no. Questo no. Non può chiedermelo professore. Toccarlo laggiù mi fa troppa impressione. -
- Su, non fare la sciocchina ora. Solo una carezza per rilassare Luky. Vedrai che ti piacerà, fallo dai. -
Alle dita introdotte nella fica, ora aveva aggiunto la pressione del pollice sul buchetto dell'ano, umettando la rosetta bruna con le secrezioni cremose del mio sesso. Il pollice, ben lubrificato, scivolò dentro lo sfintere come un biscotto nel budino. Iniziò a scoparmi la figa e il culo insieme, con le dita della mano.
Emisi un guaito lascivo: che porco meraviglioso era il proffessor Rinaldi. Quanto avevo sognato di divenire una cagnetta obbediente e piena di voglia nelle sue mani, come stava accadendo. Desideravo solo che mi facesse cose sconce, usandomi come una viziosa puttana, che mi farcisse la bocca di sperma caldo.
Portai, esitante, la mano sotto lo scroto della bestia: possedeva testicoli grossi come piccoli meloni, iniziai a carezzarli come si fa con la testa di un bimbo.
- Bene, continua così, che a Luky piace molto. - Nel parlare le sue dita stringevano la nocciola del mio clitoride. Giocava, con perversa abilità, tormentando quella piccola protuberanza di carne, così eretta e sensibile. I polpastrelli scivolavano, in quella presa sdrucciolevole di umori, provocandomi scosse di piacere tanto intense da farmi cedere le gambe.
Gustando la carezza della mano, la carne di Luky parve animarsi in un graduale risveglio: la pelle spessa del sesso prese a distendere le rughe minute che lo rivestivano, la verga sollecitata si gonfiava e cresceva di dimensione tra le mie dita.
Assistevo quasi sgomenta a quel miracolo: il glande, di un vivido rosa carnicino, si affacciava provocante dal turgore di quella appendice scura, già potevo vedere il luccichio perlato di umori sorgere dall'uretra come piccole lacrime. Attimo dopo attimo veniva alla luce l'escrescenza carnosa candida di quel sesso smisurato, impossibile cingerne interamente il diametro col cerchio delle dita.
- Fai scorrere la mano lungo l'asta: prendilo con entrambe le mani se una non ti basta. - Mi incitò il professore, vedendomi in difficoltà nel maneggiare quel sesso inalberato.
Tentai di eseguire quell'esortazione, ma non era facile: il cazzo della bestia si inarcava, pareva una grossa serpe innervata e potente, che volesse sgusciare per sfuggire alla presa.
Con fatica cercavo di compiere quella carezza su tutta l'estensione del pene, che ora aveva raggiunto la considerevole misura di oltre sessanta centimetri di lunghezza. La difficoltà stava nel fatto che le mani non riuscivano a scorrere con la dovuta scioltezza, poiché la pelle, pur essendo idratata, non risultava scivolosa a sufficienza.
Vedendo la laboriosità della mia azione, Rinoldi, sicuramente avezzo all'addestrare, in quel genere di turpitudini, qualche promettente allieva ben prima di me, disse: - Se vuoi che scivolino con facilità sul cazzo, devi lubrificarti le mani. - Notando la mia espressione dubbiosa, proseguì: - Raccogli un poco del liquido dalla punta del glande, con quella cremina spalmata nei palmi ti sarà più semplice. Prova! -
Seguì l'indicazione: portai le mani alla sommità del fallo e concentrai la carezza, plasmando la carne spugnosa della cappella. La risposta fu immediata: piccoli fiotti di liquido pre-spermatico mi irrorarono le mani, con quella materia filante e viscida ripresi a masturbare lo stallone.
Rinoldi alle mie spalle, si inginocchiò e facendomi leggermente piegare in avanti, ottenne che le mie natiche e lo spacco rorido della fighetta si proiettassero all'infuori, totalmente esposte alla luce del suo viso.
Quindi usando le mani divaricò lo spazio tra i glutei e ci pose la bocca, labbra bollenti e voraci, si impossessarono del mo sesso.
Iniziò a leccarmi soavemente, scivolando con insinuanti colpi di lingua lungo la fenditura bollente della figa: lo faceva con lentezza esasperante, intervallata a frollate sapienti e veloci della lingua, l'affondava nelle mucose palpitanti, poi la ritraeva lasciandomi in balia della ventosa delle labbra che risucchiavano, con ingordigia, la carne e i liquidi che in abbondanza rilasciavo.
Non mi lasciava tregua, instancabile compiva poi lo stesso gioco più in alto, penetrando a fondo, con la punta mobile della lingua, nell'orifizio anale. Volevo urlare, ma dalla mia gola usciva solo un rantolo lamentoso, stelline incandescenti si affollavano nel campo visivo, il piacere mi ottenebrava la vista. Aggrappata al sesso del cavallo, cercavo un equilibrio instabile, allargando quanto potevo le cosce per favorire quel supplizio di piacere sconvolgente.
Mi sentivo molle come pasta frolla, mi bagnavo come una cagna in calore, l'urgenza del piacere si mescolava ora a quella orinare, implorai un attimo di tregua per prendere respiro.
- Professore, la prego. Ho la vescica gonfia, mi scappa la pipì. - Dissi tutto d'un fiato.
- Non ora troietta, la farai più tardi quando avremo finito. - Decretò senza appello Rinoldi.
- Sia buono, abbia pietà. Mi conceda qualche attimo per liberami. Sento che potrei farmela addosso da un momento all'altro.-
A quella invocazione smise ciò che stava facendo, si allontanò lasciandomi in piedi accanto al cavallo, fradicia e tremante come avessi la febbre.
Poco distante, in un angolo del box, giaceva a terra una balla di fieno, come quello presente nelle mangiatoie, alta una sessantina di centimetri.
La prese, per poi disporla ai miei piedi affiancata alla bestia.
- Stenditi qui sopra e divarica le cosce. - Ordinò, col sorriso ambiguo e sicuro di chi ha in mente un progetto ben definito.
Mi stesi supina sul quel materasso di fieno secco, le pagliuzze solleticavano e pungevano la pelle nuda della schiena, allargai le cosce flettendo le ginocchia, mi venne in mente la posizione di una rana posta sul tavolo, nella lezione di osservazione scientifica.
- Ora mia piccola puttanella, prendi in mano il glande di Luky e struscialo su quella bella fica brodosa. Voglio che ti masturbi col sesso del cavallo. -
- Oh! No! Professore, non me lo chieda, mi riempirà la topina di quel liquido appiccicoso che gli gocciola dal sesso, sarebbe disgustoso. -
- Taci, piccola pervertita! Sappiamo bene entrambi che queste cose sudicie ti piace a dismisura farle. Sei marcia fino al midollo, ma vuoi mentire a te stessa, negando di desiderarle. -
Era alto e imponente, attraente, con una mascolinità da dio greco, era nato per dominare una donna e lo sapeva.
Mentre diceva queste cose, iniziò a sbottonare la patta dei pantaloni da equitazione che portava: finalmente mi avrebbe mostrato quel membro duro che gli vedevo tendere la stoffa cremsi della braga. Una nuova esplosione di calore si allargò nel mio basso ventre, miele fuso inzuppò il fieno sotto le mie reni.
Rinoldi mostò un sesso turgido, paonazzo di vene gonfie, animalesco nella dimensione, teso come una guglia di roccia.
Stregata da quella visione, iniziai a piena mano a strusciare la cappella del cavallo sulla mia fica spalancata.
- Brava troietta, fagli sentire quanto lo desideri, Luky smania dalla voglia di sfondati la fighetta, guarda come te la sta lavando di secrezioni. -
- Mmmmh... Si! Professore, ho voglia dei vostri cazzi. Voglio che mi riempiate i buchi. Lo faccia la prego. -
Lui si accostò al mio viso tenendo in mano il sesso, guidandomi la testa lo avvicinò alla mia bocca.
- Ora fammi sentire come sei brava con la lingua puttanella. -
Mi invitò a leccargli quel cazzo spaventoso: lo tenevo con la mano libera e tentavo di masturbarlo, facendole scorrere su e giù la pelle lungo l'asta.
Rinoldi, mi carezzava la testa aiutandomi a tenerla sollevata mentre ero intenta baciare e leccare il suo sesso equino: lo facevo con grande impegno di mano e lingua, sentivo la fica pulsare con spasmi di una voglia dolorosa.
Volevo essere brava, mostrare ciò che sapevo fare: il frutto tecnico delle tante prove fatte in camera con la mia amica Marika e Big Tom, il nostro dildo nero. Desideravo che il professore fosse contento della sua allieva.
Dal cazzo gli colavano delle goccioline bavose, come quelle che stava lasciando sulle mie grandi labbra il sesso di Luky: mi sentivo una troia condotta alla monta.
Ogni tanto sputavo su quel sesso, gli facevo colare fiotti di saliva lucida: le bave lasciavano filamenti tra le mie labbra e la carne calda, poi aprivo le mascelle a dismisura per accoglierlo fino alla gola.
Lui muoveva il bacino nell'atto di scoparmi la bocca: respiravo a fatica col naso, per non annegare nella saliva o soffocare di quel sesso abnorme.
Non sarei stata meno porca di quelle troiette che mi avevano preceduto, in passato, in quel maneggio e glielo avrei dimostrato!
Mi doveva fottere col suo cazzo da bestia, lo volevo tutto dentro me, doveva riempirmi di sborra calda, litri di sborra, come quella che eiaculano i cavalli quando vengono, e io avrei bevuto e leccato tutto.
- Sei brava a succhiare il cazzo. Chissà dietro quell'aria da verginella quanti ne hai già conosciuti. Sono davvero contento di te. - Disse soddisfatto.
Aveva la voce rauca e densa di eccitazione, il tono trasudava una lascivia sconfinata.
- Ora dobbiamo pensare a Luky, puttanella. Prendi il suo sesso in mano e portalo alla bocca. -
Lo disse, sfilando il suo, grondante di bave dalle mie labbra.
Fui presa dal panico per l'enormità di quella richiesta: compiere un atto sessuale con un animale era qualcosa che travalicava la mia fantasia, oltre che il mio senso morale.
Mi era, in realtà, accaduta un'esperienza a riguardo nei primi tempi dell'adolescenza, quando la smania di sperimentare si univa all'urlo potente dei mie impulsi carnali, e mi portava a cercare esperienze di trasgressione anche al limite, per soddisfare le urgenze fisiologiche che mi assalivano.
Era però rimasta un fatto episodico, una piccola follia archiviata nella memoria, che non avevo più ripetuto in seguito.
Il fatto risaliva a un pomeriggio di quegli anni, nel quale mi sentivo decisamente accesa: ricordo che, trovandomi sola in casa con Devil, il mio Labrador Retriever, sdraiata sulla chaise longue della mia camera, leggevo un libro erotico con l'intento di carezzarmi la topina per darle un poco di pace.
Avevo tolto le mutandine e a cosce larghe, completamente rilassata, mi toccavo lentamente, giocando con la carne morbida e sensibile del sesso: introducendo coppie di dita nella topina e nel buchetto elastico del culo, in preda a un languore torbido.
Procedendo nelle parti più bollenti del racconto che leggevo, la mia fantasia viaggiava a vele spiegate, e mi bagnavo in un crescendo morbido di sensazioni che scioglievano i miei succhi.
Ogni tanto portavo le dita alla bocca per gustare il mio sapore intimo, per poi riportale fra le cosce intrise di saliva, aumentando la lubrificazione della carezza.
L'odore del mio sesso in calore riempiva il chiuso della stanza, mi sentivo ubriaca di voglia, aperta e disponibile a ogni cosa che mi facesse godere di quel mio trastullo solitario.
Ero molto giovane, ma già nella mia mente si affollavano fantasie inconfessabili, tra le più peccaminose e sfrenate.
Devil che stava accucciato ai miei piedi, pareva dormire, forse avvertì quel turbamento dei sensi che mi agitava.
Gli animali di casa, sono sovente sensibili agli umori e ai nervosismi dei loro padroni, o più semplicemente, lui fu attratto dal sentore forte, rilasciato dagli effluvi della mia topina.
Si levò in piedi e accostò il muso al triangolo del mio ventre, interrompendo il lavorio delle mie dita e mostrando un singolare ed eccitato interesse.
Sulle prime la cosa mi divertì, quindi lo scostai con la mano per tornare alla mia fervida attività, ma nulla può distrarre un cane dalla determinazione di annusare un odore che lo attiri.
Infatti il tartufo nero in cima al muso di Devil, si ricacciò di forza fra la mano e il mio sesso, spingendo con forza la testa e inalando con ripetuta continuità l'odore caldo della mia carne
- Smettila Devil! Sporcaccione! Torna a cuccia, lasciami in pace, cagnaccio. - Dissi, innervosita dall'intrusione che mi distoglieva da quel momento intimo.
Gli feci anche due grattini sul capo per smorzare la sua frenesia, ma non ci fu verso: non solo non smise, ma iniziò con foga e leccarmi la mano fino al gomito, la lingua veloce e rasposa cercava gli umori di cui era intrisa, con la frenesia di un intingolo squisito.
Allora la spostai dietro la schiena, distogliendola alla sua vista, sperando che smettesse.
Lui infatti si disinteressò alla mano ma cacciò il muso a fondo, nel mezzo allo spacco tumido della mia fighetta.
Rimasi sconcertata, indecisa se alzarmi e scostarmi da lì per farlo cessare. Non nego d'essere stata al contempo leggermente allarmata per l'impeto di quell'assalto inaspettato: benché lo avessi praticamente allevato da cucciolo, era la prima volta che lo vedevo agitarsi a quel modo e la cosa mi metteva a disagio.
Nel tentativo di divincolarmi divaricai maggiormente le cosce anziché serrarle, e lui ne approfittò per prendere possesso totalmente della mia topina.
La lingua iniziò a scavarla come fosse alla ricerca di una sorgente in cui dissetarsi, mi bagnò di bava cercando con insistenza nel profondo, scendendo dalla vulva alla rosetta dell'ano, tornando poi al punto di partenza, senza concedere tregua.
Allora, forse con la mente appannata dalla tensione erotica in cui la lettura del libro e l'inizio della masturbazione, bruscamente interrotta, mi avevano precipitato, sentì un calore languido dilagare nel ventre: il clitoride si inturgidì come una ciliegia matura e il mio siero vischioso prese a colare come miele denso.
Devil eccitato dal proliferare di quelle secrezioni me le spalmava, con lingua golosa, come una crema liquida e soave sulla fica spalancata.
- Oh! Cucciolone, che lingua meravigliosa hai. Lecca bello, lecca questa troietta della tua padrona. Così, bravo, non smettere. -
Stavo impazzendo, il mio cane mi stava leccando la fica e io glielo lasciavo fare, invece di inorridire mi piaceva in maniera vergognosa.
Iniziai a strizzarmi le tette spingendo in fuori il bacino, non volevo che perdesse una sola goccia del mio nettare caldo: inarcai la schiena per offrirmi meglio, oscena e aperta a quel bacio animalesco.
Immaginavo il suo piacere nell'avere la bocca impastata del mio sapore: un gusto che conoscevo bene, ed ero grata alla natura per avermi fatta, laggiù, così buona e sapida.
Ingenuamente pensavo che se risultavo tanto desiderabile alla lingua di un cane, sarei stata irresistibile, in futuro, alle brame di una bocca di uomo.
Mi accorsi che Devil non apprezzava unicamente il mio sapore: infatti vidi che dalla guaina del suo ventre, faceva capolino la testa rossa del sesso in erezione. Gli era venuto duro e ora si mostrava nella sua voluminosa, piena , estensione. L'idea che si eccitasse sessualmente nel leccarmi mi accecò di libidine: essere desiderata dal cane ebbe su di me un effetto afrodisiaco sconvolgente.
Chiusi gli occhi e immaginai quel sesso, vermiglio e superbo che mi penetrava da dietro, assaltandomi come avrebbe fatto con una cagna in estro, sfondandomi la fica con le sue penetrazioni inesorabili e martellanti: ero sul punto di urlare, di venire meno per una vertigine di voluttuosa lascivia.
Mi pinzai i capezzoli tra le dita, torcendoli con forza, per farmi male, per punirmi della mia lussuria dissoluta, volevo soffrire per espiare, ma Devil accelerò i colpi di lingua seviziandomi il clitoride, e venni, scossa da un orgasmo devastante.
Mi accasciai sfinita sulla poltrona, ansante e col cuore in tumulto, strinsi le cosce per prolungare il riflusso dell'orgasmo, abbracciai Devil stringendolo forte a me.
Lui mi leccò con gratitudine il viso.
-Oh! No! Professore, non mi chieda una cosa tanto depravata. Mi vergognerei troppo. La scongiuro, non me lo faccia fare. -
Parlando continuavo a sfregare il glande di quel pene bestiale sulle labbra della fica: il liquido che colava dall'uretra aveva allagato i riccioli bruni del pube, ero impastata di quell'umore bavoso e opalino fino al solco tra le natiche, dove scivolava per inzuppare la paglia su cui giacevo.
Pensare di portare alla bocca quella cappella enorme e bitorzoluta, mi provocava un senso di repulsione misto a una malsana tentazione che tentavo di scacciare dalla mente.
L'odore dell'animale infoiato era persistente, soffocante come l'aria della stalla, che si era fatta più densa e calda.
Una caligine umida, in sospensione nell'ambiente, mi ricopriva la pelle come un velo di materia adesiva e odorosa di sesso.
La mia riluttanza a quella richiesta non piacque a Rinoldi, fino a ora avevo acconsentito a soddisfare ogni sua richiesta e questo diniego lo stava infastidendo.
Una giovane puttanella, totalmente disponibile e collaborativa nel realizzare quei giochi perversi, era sicuramente il genere di allieva che prediligeva avere alle sue cure, non era abituato a ricevere resistenze o rifiuti.
Vidi che si rabbuiava in viso, lo sguardo diveniva duro e il tono, fino a qual momento accattivante, assunse una freddezza risentita.
- Non fare la schizzinosa ragazzina. Ricordati che non siamo qui per il tuo piacere. Ma abbiamo un compito da svolgere. -
Così dicendo mi colpì un seno con una sberla secca e dolorosa.
Emisi un gemito, cercai di articolare una protesta, ma lui non me ne lasciò il tempo: una seconda sberla mi fece sobbalzare l'altro seno. Forse fu la sorpresa, o il fatto che quei colpi non fossero realmente dolorosi, ma solo umilianti, che un brivido mi provocò una sferzata calda al basso ventre e i capezzoli si inturgidirono fino a dolermi.
- Allora troietta, sappi che, se non sarai obbediente e sollecita nel fare quanto ti è richiesto, sarò costretto a punirti: non ti permetterò di godere, e non ti sarà consentito di fare la pipì come avevi richiesto.
Oh... Professore, non sia così cattivo, è una cosa troppo sudicia quella che mi chiede. La prego, non può punirmi così. Guardi in che condizioni versa la ma topina: è completamente fradicia di voglia. - con tono singhiozzante continuai: - Ho tanto bisogno di sfogarmi, sto soffrendo molto, mi creda. Lo stimolo della pipì è davvero forte, mi è difficile trattenerlo. -
Mente lo imploravo, infatti, un piccolo fiotto di urina era sfuggito dal minuscolo orifizio della mia figa, e un rivolo timido era colato fra gli altri umori a bagnare il fieno sotto le mie natiche.
- Piccola sporcacciona disubbidiente. La stai facendo nonostante la mia proibizione. Ora sarò costretto davvero a punire la tua insolenza. -
Era decisamente arrabbiato, il viso si era acceso di collera e gli occhi erano del colore di un cielo che preannunci tempesta.
Non riuscivo a reggere quello sguardo irato, mi sentivo profondamente in colpa, intimorita e senza più la volontà di fare un movimento serrai gli occhi, come un cucciolo che subisca una sgridata.
- Apri bene le cosce e metti le mani dietro la testa. - Sentì ordinare alla sua voce.
Eseguendo l'ordine riaprì gli occhi: Rinoldi era i piedi davanti a me, mi sovrastava con la sua alta figura, il sesso sempre eretto sorgeva imponente dai pantaloni.
Aveva un aria volitiva e determinata, nella sua mano ora era comparso il suo frustino da dressage. Iniziò a farlo schioccare più volte, fendendo l'aria con colpi a vuoto, come se calibrasse la forza delle scudisciate che intendeva infliggermi.
Compresi che era inevitabile: mi avrebbe fustigata, gocce di sudore mi imperlarono il corpo mentre fremevo nell'attesa.
Con le reni leggermente sollevate, bacino proteso all'insù e le tette che, per la postura delle mani dietro al capo, ora sporgevano indifese nell'orgoglio di una sferica pienezza. Chiusi nuovamente gli occhi, irrigidendomi nell'attesa di quella punizione.
- Non mi faccia male professore. Lo so che sono una piccola viziosa ed è giusto che lei mi castighi. Ma sia clemente nel colpire, la prego. -
- Taci troietta, so ben io come si educa una piccola cagna vogliosa come te. -
Iniziò a colpirmi i seni con colpi dal suono secco e rapido: abilmente centrava i capezzoli già infiammati dal protratto turgore, a ogni schiocco mi sfuggiva un gemito e lampi rossi mi investivano la mente nel buio denso degli occhi serrati.
Facevano male quei colpi, un male caldo, infatti i capezzoli si indurivano e dolevano procurando un piacere snervante: avrei voluto che me li mordesse e poi succhiasse con foga dopo ogni colpo.
La punizione ma non faceva decrescere la mia voglia: ero certa che se lo avesse fatto, da quei morsi sarebbe venuto fuori un succo bianco come il latte, lo stesso che gocciolava dal sesso del cavallo e mi inondava la fica.
Stavo con le gambe spalancate, fradicia, tutta aperta e pulsante, così lui prese scudisciarmi la fica, mi colpiva le grandi labbra e il clitoride, producendo un rumore umido e sconcio.
A ogni colpo ansimavo a bocca spalancata, ma non era per il dolore: quei colpi erano come quando il cazzo ti batte in fondo alla vagina e a ogni colpo sei sempre più vicina all'orgasmo.
Era così infatti, mi sentivo prossima a esplodere, stavo per venire: aumentava anche lo stimolo a fare pipì e quei colpi me lo facevano crescere con un'urgenza incontenibile.
Rinoldi cambiò modalità: prese a strusciare lentamente la cima del frustino sul clitoride congestionato, mi carezzava delicato, inzuppando il cuoio nella mia bagnetta calda, per poi colpirmi all'improvviso, era una tortura dolce e devastante, andò avanti così per un po'.
- Lo vuoi il mio cazzo puttanella? - Chiese insinuante.
- Ho... Sì. La prego, me lo dia. Mi sfondi col suo grosso cazzo. Ho tanta voglia professore, mi penetri. Scopi la sua troietta, la riempia tutta. -
Si inginocchiò davanti a me tenendo il sesso in mano. Attesi ansiosa di sentire quella grossa verga rigida, trapuntata di vene gonfie e azzurre, slabbrami la fica.
Ma lui puntò la cappella sul buchetto del culo e con un affondo di reni mi colmò il budello.
Lo sentì scivolare dentro con facilità, quasi risucchiato, i liquidi abbondanti che avevo tra le natiche favorirono al meglio la penetrazione, affondò tutto fino a toccare col pube la soglia del mio sfintere.
Mi mancò il respiro per quanto era grosso e potente, annaspai cercando aria per i polmoni: lui prese a muoversi con lenta determinazione, ruotava il bacino per dilatarmi l'ano allo spasmo, un rumore liquido e impudico accompagnava quella penetrazione.
- Ti piace che ti fotta così il culo, vero maialina? -
- Sii! Mi piace molto professore. E' così grosso e forte, sto impazzendo. Non smetta, la prego. Spinga dentro più forte. -
Deliravo senza ritegno, sollevavo e spingevo il bacino verso il suo sesso per accoglierlo maggiormente, me ne sentivo piena fino in gola.
Mi sentivo una troia senza più limiti né dignità di donna, ero una bestiola famelica di piacere, disciolta in un brodo di secrezioni vischiose e bollenti, volevo raggiungere l'orgasmo e svuotarmi la vescica orinando sul quel cazzo inghiottito del mio culo.
- Allora se vuoi che continui, ora prendi in bocca il cazzo del cavallo. Voglio che lo spompini mentre ti inculo troietta. -
Che porco sconvolgente era quest'uomo. Sapeva bene come ottenere ciò che voleva. Presi il sesso di Luki e me lo portai alle labbra.
Nel leccarlo la mia lingua teneva lo stesso ritmo degli affondi di Rinoldi dentro me, insinuai la punta nel buchetto da cui sortivano i suoi umori, il sapore non era dissimile da quello dello sperma umano e a quello ero abituata, quindi non mi risultò ripugnante, li raccoglievo, deglutendoli con cura, senza smarrirne una sola goccia.
Accompagnavo quel pompino con la carezza delle mani, reggendo l'asta che aveva scatti mobili e improvvisi: Luky gradiva molto la mia bocca.
Infine Rinoldi diede un colpo più violento e io sentì irrompere l'orgasmo, urlai per il piacere fortissimo che mi si propagava a tutto il basso ventre, il mio urlo fu bloccato dai sussulti del cazzo di Rinoldi nel mio intestino: stava venendo, riempiendomi con un clistere di sperma caldo.
Nello stesso momento il sesso di Luky si irrigidiva con uno spasmo, come un enorme anguilla viva tra le mie mani, e in quella il mio viso fu travolto da uno scroscio inarrestabile di sperma che mi tolse il fiato, lavandomi interamente il corpo. Mi sentii annegare e mi risveglia di colpo, sudata fradicia e con la fica grondante: ero arrapata come una cagna in calore e avevo la vescica che stava per esplodere.
Corsi al bagno e sulla tazza presi a orinare con schizzi violenti e quasi dolorosi, mi sentivo ancora piena di voglia: allora affondai le dita nella carne frolla della fica e ce le pompai dentro giunte a cono, lo feci mentre svuotavo la vescica inondandomi la mano fino al polso.
Diedi degli affondi cattivi e violenti: a occhi chiusi rivedevo il cazzo del mio professore, immaginavo che il mio pugno fosse la cappella turgida di quel sesso di animale che avevo così tanto leccato.
Venni tra i miei liquidi, mordendomi la mano libera per non urlare a squarciagola tutto il mio piacere.
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Da: Memorie del collegio
Un racconto erotico di Nightafter
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nightafter018 · 5 years
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nightafter018 · 5 years
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nightafter018 · 5 years
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Le memorie del Collegio Pt.!
Il Collegio svizzero
Guardo le acque scure del lago, riflessi d'argento su una lastra d'ossidiana, nei vapori del primo mattino piccole creste di spuma candida, create dalla leggera brezza, sono l'unico movimento sul grande specchio d'acqua.
Un vaporetto di linea bianco e rosso le solca: così lento che pare un fermo immagine del paesaggio, la scia aperta nell'acqua si richiude rapida, col pudore di una giovane donna che, sorpresa, serri le gambe. La bruma mattutina si liquefà lenta ai raggi del primo sole autunnale.
L'umidità germoglia lacrime lucenti sui fusti delle piante, la stagione le spoglia delle foglie e un mare d'ocra, in tutte le sue tonalità, ricopre le rive del lago. Stormi di folaghe sfiorano le acque con i becchi candidi, si impegnano negli ultimi tuffi della stagione: presto voleranno via a svernare lontano da questo orizzonte livido.
Bevo il mio caffè caldo e amaro seduta al dehors del piccolo bar in riva, è ancora presto per il mio appuntamento: mi rilasso, il tempo non manca. Alzo il bavero dello spolverino e rabbrividisco per scrollarmi di dosso l'impressione di freddo, la temperatura a quest'ora è ancora fresca.
Accendo una sigaretta, il fumo si disperde in filamenti bianchi che scivolano come frammenti di pensieri nell'aria mossa.
Sono di passaggio, lavoro come account di una importante agenzia di pubblicità milanese, ho cinque clienti da visitare, scorro sulla moleskine gli appuntamenti che mi attendono: il primo è tra quattro ore.
Controllo nel portadocumenti della borsetta di avere una scorta adeguata di biglietti da visita: sono degli eleganti talloncini in carta Acquerello avorio, leggermente goffrata. Leggo l'intestazione: Ambra De Angeli – Accont Executive Senior, carattere a inchiostro nero, Verdana corpo nove, un classico. Centrale, in alto, il logo dell'agenzia: moderno e rassicurante, in filo snob, per dare il giusto fumo negli occhi ai clienti più pretenziosi.
Molte cose sono cambiate nel panorama che ho di fronte. Erano vent'anni che non tornavo qui al lago, sembra siano trascorse vite intere da quel tempo. Non è più lo stesso luogo che ricordavo, molto è mutato nel paesaggio urbano e qualcosa anche in quello naturale.
Ma sono cambiata anch'io, il mondo stesso è divenuto un luogo diverso: mi domando cosa sia rimasta in me di quell'adolescente d'allora.
Ero acerba e un poco folle, affamata di vita, ansiosa di crescere, di un futuro da trasformare in presente. Le montagne intorno, sono uno spettacolo struggente, di rara bellezza. Amavo l'autunno in questo luogo, che non appariva malinconico e immobile come lo vedo ora.
Chissà, forse sono io, col mio umore e i miei anni, a rendermelo così. Avevo sedici anni, in quel tempo, ero interna a un prestigioso collegio posto sull'altra sponda del lago, in terra Svizzera.
Sheffer & Mullary
Era un grande edificio ottocentesco di un austero stile vittoriano: con ampie finestre sulla facciata, soffitti altissimi, stucchi e raffinate boiserie all'interno.
Un collegio dotato di un parco sterminato in riva al lago, arricchito da una natura splendida e lussureggiante di colori e profumi nelle giornate di primavera.
L'istituto era riservato unicamente ad allieve di sesso femminile e appartenenti alla buona borghesia europea, io vi avevo frequentato il ginnasio, ed ero ormai giunta al secondo anno di Liceo Classico.
Come molte altre coetanee vivevo quell'esperienza con lo spirito di una reclusa, una malfattrice confinata in un correzionale.
La serietà, la disciplina di studio e condotta generale, vigevano al suo interno con una rigidità assolutamente teutonica.
Il corpo docente era sceltissimo, austero al pari della struttura, costituito da insegnanti di qualità e credenziali adeguate al livello dell'istituto: quindi tutti puntigliosi, severi ed eccellenti nella loro materia. Insomma dei veri rompicoglioni.
Il collegio, era sullo stile dei "College" inglesi, non a caso i suoi fondatori: tali Sheffer & Mullary, erano due insigni docenti di estrazione etoniana, che abbandonarono le nebbie britanniche, trasferendosi nel più temperato clima lacustre del Canton Ticino, per edificarvi questo monumento educativo, tanto eccellente quanto esclusivo.
Il loro progetto era di forgiare, con impronta british, la formazione delle giovani eredi provenienti dalla high-class centro-europea.
Naturalmente questa missione non era solo una vocazione filantropica, ma risultava vivacemente stimolata dal ricco segmento sociale al quale l'esosa retta di frequenza era destinata.
La mia famiglia, con mio padre brillante avvocato d'affari e mia madre, raffinata antiquaria, con bottega in via Monte Napoleone, apparteneva sicuramente a questa privilegiata categoria sociale.
Il piano terra e il primo piano dell'edificio, ospitavano le aule in cui si tenevano le lezioni, vi era poi una sezione per le cucine e un ampio refettorio per i pasti giornalieri delle allieve.
Il secondo e il terzo piano erano destinati ai dormitori, con camere a due o quattro letti.
Almeno in questo ero stata fortunata: dividevo infatti una camera a due letti con Marika, mia compagna di classe, anche lei proveniente da Milano. Una brunetta tutto pepe, solare, intelligente e simpaticissima.
La nostra intesa era stata molto forte fin dal primo incontro: eravamo in sintonia su tutto.
La nostra amicizia rappresentava per entrambe un'isola felice, una salvifica boccata d'ossigeno in quel mortorio sonnolento e asfittico.
Come detto, la disciplina imposta era parecchio severa. Quindi per noi femminucce l'idea di vedere un maschio la dentro, era del tutto aleatoria.
Gli unici esponenti di sesso maschile che ci era concesso di incontrare, erano il vecchio professore di matematica Andreoli, quasi sessantenne e prossimo alla pensione, poi il signor Lorenzo, un inserviente cinquantenne tutto fare e in fine il professor Rinoldi, un quarantenne, docente di lettere e anche con funzione di Vice Preside. Il resto del personale, insegnante o di servizio, era tutto declinato al femminile.
In questo deserto di valide figure maschili, il professor Rinoldi, diveniva inevitabilmente il polo d'attrazione delle nostre più sfrenate fantasie adolescenziali.
Intanto perché era un uomo di notevole fascino: bruno, lievemente brizzolato, un viso piacevolmente maschio, mascella volitiva e occhi da principe mediorientale. Raffinato nei modi e nell'aspetto come un aristocratico inglese.
Impeccabile nella stagione invernale, vestiva severe grisaglie scure, o eleganti spezzati in tweed. Camicie in Oxford dal colletto button down, con cravatte in morbida lana a tinta unita, nei toni del sottobosco, oppure in brillante seta a disegno regimental.
Ma era nelle stagioni calde, che i nostri ormoni andavano a mille: soprattutto quando le polo in piquet, indossate su chinos color sabbia e il mocassino di Sebago bordeaux ai piedi, esaltavano l'armonia di quel fisico alto e prestante. La tonicità dei muscoli guizzava sotto il fresco tessuto di cotone.
Era inoltre uno sportivo, appassionato di equitazione, montava Lucky un cavallo arabo nero, il campione della scuderia del collegio.
Sia che commentasse Virgilio o che sfrecciasse in groppa a Lucky lungo i vialoni del parco, il professor Rinoldi non mancava di fare le sue vittime sentimentali tra noi ragazze.
In classe pendevamo dalle sue labbra, persino le versioni di Tacito o le gravose traduzioni dal greco antico, ci apparivano come seducenti carezze per le nostre giovani menti e ancor più per i nostri giovani corpi.
Molte di noi durante le sue lezioni si abbandonavano a fantasticare su lui a occhi aperti, e nascoste dal piano dei banchi, inserivano oggetti nelle mutandine per sollecitarsi il sesso umido di voglia.
Una nostra compagna aveva ideato l'uso insolito di due paline da ping pong: unite da un elastico che le attraversava, per mezzo di due fori, da parte a parte e fermato all'apice di ciascuna da un nodo.
Le due palline, alloggiate nelle mutandine a contatto delle grandi labbra, stringendo le cosce, nell'allontanarsi si spostavano verticalmente strusciando sul clitoride. Poi allentando la stretta le due sfere tornavano nella posizione iniziale. Ripetendo il movimento, si generava un massaggio, che la conduceva silenziosamente all'orgasmo.
Una volta Rinoldi la sorprese a fissarlo con sguardo estatico per divenire, dopo poco, paonazza e sudata in volto. Pensando ad un improvviso malore, il professore le chiese se si sentisse poco bene. Ma lei, con un'espressione di gioioso appagamento in viso, lo rassicurò, rispondendo di non essere mai stata meglio in tutta la sua vita.
Lui, perplesso, ne prese atto e riprese a parlarci di letteratura Romanza.
Sarà stata la carenza di materia prima, o gli ormoni nel pieno della turbolenta vivacità adolescenziale, ma io, come molte della mie compagne, su Rinoldi avevamo pensieri a dir poco indecenti.
Facevamo a gara di inventiva, sulle cose più sconce che avremmo voluto fare con lui, prese da quelle fantasie ci bagnavamo come porcelle in calore, poi ci si imboscava nei bagni o in qualche angolo nascosto a toccarci finché la fighetta ci bruciava.
Big Tom
Ho sperimentato in quegli anni, tutte le possibili tecniche per masturbarmi: qualsiasi oggetto oblungo poteva servire allo scopo.
Matite, grossi pennarelli, manici di scopa, pomelli sulla spalliera del letto, candele e poi ortaggi o frutta. Questi ultimi sottratti di nascosto nella dispensa della cucina: cetrioli, zucchine, grosse carote e banane, sparivano a vista d'occhio.
La nostra cuoca, proveniente da Zurigo, nel vedersi eclissare quelle numerose derrate vegetali, andava letteralmente in bestia: la si udiva smadonnare blasfemità irripetibili, nella sua gutturale lingua tedesca, fino al fondo del piano terra.
Alla fine del secondo anno Marika, la mia compagna di stanza, era tornata dalle vacanze con una sorpresa in valigia: era riuscita a procurarsi un dildo di gomma.
Un oggetto meraviglioso a vedersi: lattice morbido, solido e flessibile allo stesso tempo, lucido e nero, aveva la forma assolutamente realistica di un grosso cazzo con vene in rilievo. Era una sberla di oltre trenta centimetri di lunghezza, un giocattolino che ingolosiva solo a guardarlo.
Da quel momento iniziammo a fantasticare di avere un negro a disposizione nella nostra stanza.
La cosa ci piaceva oltremodo e con quel coso lungo come un avambraccio, dal diametro di un pistone d'automobile, ci trastullavamo allo sfinimento, lo avevamo ribattezzato: Big Tom.
Ci esercitavamo, tra le altre cose, a infilarcelo in bocca per vedere chi riusciva a mandarne in gola di più, senza vomitare, testavamo anche la nostra resistenza nella pratica della fellatio facendo su e giù con la testa, incuranti che ci dolessero le mascelle e il collo.
A turno, una di noi lo reggeva con due mani, poggiato sul ventre come se fosse un membro umano, mentre l'altra iniziava a fargli, con voluttà, un pompino. Impiegando solo la bocca, come fanno le vere professioniste, tenendo le mani incrociate dietro la schiena.
Ci venivano giù certe bave, litri di saliva. Bisogna dire che quegli esercizi estemporanei ebbero la loro brava utilità: se avessimo avuto nello studio lo stesso profitto acquisito nella pratica del sesso orale, ci saremmo di certo diplomate col massimo dei voti.
Quella che cedeva per prima pagava pegno: l'altra le infilava quella gomena da mandingo nella fica grondante di succhi, pompandogliela con vigore, mentre le succhiava e mordicchiava le tette, impastando lingua e saliva.
In realtà non era certo una grande punizione, ogni tanto si barava e si giocava a perdere volutamente.
(Continua)
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Le memorie del Collegio  - Pt. 1
Il Collegio svizzero
Guardo le acque scure del lago, riflessi d'argento su una lastra d'ossidiana, nei vapori del primo mattino piccole creste di spuma candida, create dalla leggera brezza, sono l'unico movimento sul grande specchio d'acqua.
Un vaporetto di linea bianco e rosso le solca: così lento che pare un fermo immagine del paesaggio, la scia aperta nell'acqua si richiude rapida, col pudore di una giovane donna che, sorpresa, serri le gambe. La bruma mattutina si liquefà lenta ai raggi del primo sole autunnale.
L'umidità germoglia lacrime lucenti sui fusti delle piante, la stagione le spoglia delle foglie e un mare d'ocra, in tutte le sue tonalità, ricopre le rive del lago. Stormi di folaghe sfiorano le acque con i becchi candidi, si impegnano negli ultimi tuffi della stagione: presto voleranno via a svernare lontano da questo orizzonte livido.
Bevo il mio caffè caldo e amaro seduta al dehors del piccolo bar in riva, è ancora presto per il mio appuntamento: mi rilasso, il tempo non manca. Alzo il bavero dello spolverino e rabbrividisco per scrollarmi di dosso l'impressione di freddo, la temperatura a quest'ora è ancora fresca.
Accendo una sigaretta, il fumo si disperde in filamenti bianchi che scivolano come frammenti di pensieri nell'aria mossa.
Sono di passaggio, lavoro come account di una importante agenzia di pubblicità milanese, ho cinque clienti da visitare, scorro sulla moleskine gli appuntamenti che mi attendono: il primo è tra quattro ore.
Controllo nel portadocumenti della borsetta di avere una scorta adeguata di biglietti da visita: sono degli eleganti talloncini in carta Acquerello avorio, leggermente goffrata. Leggo l'intestazione: Ambra De Angeli – Accont Executive Senior, carattere a inchiostro nero, Verdana corpo nove, un classico. Centrale, in alto, il logo dell'agenzia: moderno e rassicurante, in filo snob, per dare il giusto fumo negli occhi ai clienti più pretenziosi.
Molte cose sono cambiate nel panorama che ho di fronte. Erano vent'anni che non tornavo qui al lago, sembra siano trascorse vite intere da quel tempo. Non è più lo stesso luogo che ricordavo, molto è mutato nel paesaggio urbano e qualcosa anche in quello naturale.
Ma sono cambiata anch'io, il mondo stesso è divenuto un luogo diverso: mi domando cosa sia rimasta in me di quell'adolescente d'allora.
Ero acerba e un poco folle, affamata di vita, ansiosa di crescere, di un futuro da trasformare in presente. Le montagne intorno, sono uno spettacolo struggente, di rara bellezza. Amavo l'autunno in questo luogo, che non appariva malinconico e immobile come lo vedo ora.
Chissà, forse sono io, col mio umore e i miei anni, a rendermelo così. Avevo sedici anni, in quel tempo, ero interna a un prestigioso collegio posto sull'altra sponda del lago, in terra Svizzera.
Sheffer & Mullary
Era un grande edificio ottocentesco di un austero stile vittoriano: con ampie finestre sulla facciata, soffitti altissimi, stucchi e raffinate boiserie all'interno.
Un collegio dotato di un parco sterminato in riva al lago, arricchito da una natura splendida e lussureggiante di colori e profumi nelle giornate di primavera.
L'istituto era riservato unicamente ad allieve di sesso femminile e appartenenti alla buona borghesia europea, io vi avevo frequentato il ginnasio, ed ero ormai giunta al secondo anno di Liceo Classico.
Come molte altre coetanee vivevo quell'esperienza con lo spirito di una reclusa, una malfattrice confinata in un correzionale.
La serietà, la disciplina di studio e condotta generale, vigevano al suo interno con una rigidità assolutamente teutonica.
Il corpo docente era sceltissimo, austero al pari della struttura, costituito da insegnanti di qualità e credenziali adeguate al livello dell'istituto: quindi tutti puntigliosi, severi ed eccellenti nella loro materia. Insomma dei veri rompicoglioni.
Il collegio, era sullo stile dei "College" inglesi, non a caso i suoi fondatori: tali Sheffer & Mullary, erano due insigni docenti di estrazione etoniana, che abbandonarono le nebbie britanniche, trasferendosi nel più temperato clima lacustre del Canton Ticino, per edificarvi questo monumento educativo, tanto eccellente quanto esclusivo.
Il loro progetto era di forgiare, con impronta british, la formazione delle giovani eredi provenienti dalla high-class centro-europea.
Naturalmente questa missione non era solo una vocazione filantropica, ma risultava vivacemente stimolata dal ricco segmento sociale al quale l'esosa retta di frequenza era destinata.
La mia famiglia, con mio padre brillante avvocato d'affari e mia madre, raffinata antiquaria, con bottega in via Monte Napoleone, apparteneva sicuramente a questa privilegiata categoria sociale.
Il piano terra e il primo piano dell'edificio, ospitavano le aule in cui si tenevano le lezioni, vi era poi una sezione per le cucine e un ampio refettorio per i pasti giornalieri delle allieve.
Il secondo e il terzo piano erano destinati ai dormitori, con camere a due o quattro letti.
Almeno in questo ero stata fortunata: dividevo infatti una camera a due letti con Marika, mia compagna di classe, anche lei proveniente da Milano. Una brunetta tutto pepe, solare, intelligente e simpaticissima.
La nostra intesa era stata molto forte fin dal primo incontro: eravamo in sintonia su tutto.
La nostra amicizia rappresentava per entrambe un'isola felice, una salvifica boccata d'ossigeno in quel mortorio sonnolento e asfittico.
Come detto, la disciplina imposta era parecchio severa. Quindi per noi femminucce l'idea di vedere un maschio la dentro, era del tutto aleatoria.
Gli unici esponenti di sesso maschile che ci era concesso di incontrare, erano il vecchio professore di matematica Andreoli, quasi sessantenne e prossimo alla pensione, poi il signor Lorenzo, un inserviente cinquantenne tutto fare e in fine il professor Rinoldi, un quarantenne, docente di lettere e anche con funzione di Vice Preside. Il resto del personale, insegnante o di servizio, era tutto declinato al femminile.
In questo deserto di valide figure maschili, il professor Rinoldi, diveniva inevitabilmente il polo d'attrazione delle nostre più sfrenate fantasie adolescenziali.
Intanto perché era un uomo di notevole fascino: bruno, lievemente brizzolato, un viso piacevolmente maschio, mascella volitiva e occhi da principe mediorientale. Raffinato nei modi e nell'aspetto come un aristocratico inglese.
Impeccabile nella stagione invernale, vestiva severe grisaglie scure, o eleganti spezzati in tweed. Camicie in Oxford dal colletto button down, con cravatte in morbida lana a tinta unita, nei toni del sottobosco, oppure in brillante seta a disegno regimental.
Ma era nelle stagioni calde, che i nostri ormoni andavano a mille: soprattutto quando le polo in piquet, indossate su chinos color sabbia e il mocassino di Sebago bordeaux ai piedi, esaltavano l'armonia di quel fisico alto e prestante. La tonicità dei muscoli guizzava sotto il fresco tessuto di cotone.
Era inoltre uno sportivo, appassionato di equitazione, montava Lucky un cavallo arabo nero, il campione della scuderia del collegio.
Sia che commentasse Virgilio o che sfrecciasse in groppa a Lucky lungo i vialoni del parco, il professor Rinoldi non mancava di fare le sue vittime sentimentali tra noi ragazze.
In classe pendevamo dalle sue labbra, persino le versioni di Tacito o le gravose traduzioni dal greco antico, ci apparivano come seducenti carezze per le nostre giovani menti e ancor più per i nostri giovani corpi.
Molte di noi durante le sue lezioni si abbandonavano a fantasticare su lui a occhi aperti, e nascoste dal piano dei banchi, inserivano oggetti nelle mutandine per sollecitarsi il sesso umido di voglia.
Una nostra compagna aveva ideato l'uso insolito di due paline da ping pong: unite da un elastico che le attraversava, per mezzo di due fori, da parte a parte e fermato all'apice di ciascuna da un nodo.
Le due palline, alloggiate nelle mutandine a contatto delle grandi labbra, stringendo le cosce, nell'allontanarsi si spostavano verticalmente strusciando sul clitoride. Poi allentando la stretta le due sfere tornavano nella posizione iniziale. Ripetendo il movimento, si generava un massaggio, che la conduceva silenziosamente all'orgasmo.
Una volta Rinoldi la sorprese a fissarlo con sguardo estatico per divenire, dopo poco, paonazza e sudata in volto. Pensando ad un improvviso malore, il professore le chiese se si sentisse poco bene. Ma lei, con un'espressione di gioioso appagamento in viso, lo rassicurò, rispondendo di non essere mai stata meglio in tutta la sua vita.
Lui, perplesso, ne prese atto e riprese a parlarci di letteratura Romanza.
Sarà stata la carenza di materia prima, o gli ormoni nel pieno della turbolenta vivacità adolescenziale, ma io, come molte della mie compagne, su Rinoldi avevamo pensieri a dir poco indecenti.
Facevamo a gara di inventiva, sulle cose più sconce che avremmo voluto fare con lui, prese da quelle fantasie ci bagnavamo come porcelle in calore, poi ci si imboscava nei bagni o in qualche angolo nascosto a toccarci finché la fighetta ci bruciava.
Big Tom
Ho sperimentato in quegli anni, tutte le possibili tecniche per masturbarmi: qualsiasi oggetto oblungo poteva servire allo scopo.
Matite, grossi pennarelli, manici di scopa, pomelli sulla spalliera del letto, candele e poi ortaggi o frutta. Questi ultimi sottratti di nascosto nella dispensa della cucina: cetrioli, zucchine, grosse carote e banane, sparivano a vista d'occhio.
La nostra cuoca, proveniente da Zurigo, nel vedersi eclissare quelle numerose derrate vegetali, andava letteralmente in bestia: la si udiva smadonnare blasfemità irripetibili, nella sua gutturale lingua tedesca, fino al fondo del piano terra.
Alla fine del secondo anno Marika, la mia compagna di stanza, era tornata dalle vacanze con una sorpresa in valigia: era riuscita a procurarsi un dildo di gomma.
Un oggetto meraviglioso a vedersi: lattice morbido, solido e flessibile allo stesso tempo, lucido e nero, aveva la forma assolutamente realistica di un grosso cazzo con vene in rilievo. Era una sberla di oltre trenta centimetri di lunghezza, un giocattolino che ingolosiva solo a guardarlo.
Da quel momento iniziammo a fantasticare di avere un negro a disposizione nella nostra stanza.
La cosa ci piaceva oltremodo e con quel coso lungo come un avambraccio, dal diametro di un pistone d'automobile, ci trastullavamo allo sfinimento, lo avevamo ribattezzato: Big Tom.
Ci esercitavamo, tra le altre cose, a infilarcelo in bocca per vedere chi riusciva a mandarne in gola di più, senza vomitare, testavamo anche la nostra resistenza nella pratica della fellatio facendo su e giù con la testa, incuranti che ci dolessero le mascelle e il collo.
A turno, una di noi lo reggeva con due mani, poggiato sul ventre come se fosse un membro umano, mentre l'altra iniziava a fargli, con voluttà, un pompino. Impiegando solo la bocca, come fanno le vere professioniste, tenendo le mani incrociate dietro la schiena.
Ci venivano giù certe bave, litri di saliva. Bisogna dire che quegli esercizi estemporanei ebbero la loro brava utilità: se avessimo avuto nello studio lo stesso profitto acquisito nella pratica del sesso orale, ci saremmo di certo diplomate col massimo dei voti.
Quella che cedeva per prima pagava pegno: l'altra le infilava quella gomena da mandingo nella fica grondante di succhi, pompandogliela con vigore, mentre le succhiava e mordicchiava le tette, impastando lingua e saliva.
In realtà non era certo una grande punizione, ogni tanto si barava e si giocava a perdere volutamente.
(Continua
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nightafter018 · 5 years
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