Tumgik
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⌠ 12 ottobre 1943 ~ Scale ~ Arya ed Elizabeth ~ ‪#‎FailedExperimentOnft‬ ‪#‎FEeventOnft‬ ⌡
[Arya]
Quasi non se ne era accorta, all'inizio, quando qualcosa dentro di lei era cambiato. Lentamente, qualche comportamento, qualche atteggiamento che lei sapeva essere tipico del corpo che occupava era iniziato a diventare ricorrente, nella sua giornata, influenzando le sue relazioni con gli altri. Camminava per i corridoi, altezzosa, con il petto in fuori e i capelli biondo chiaro perfettamente sistemati; si lasciava andare a battute sarcastiche e commenti pungenti riguardanti gli argomenti e le persone più disparate senza, apparentemente, averne una motivazione. Quando, poi, un momento di lucidità si faceva strada tra la confusione che regnava nella sua mente, Arya veniva invasa dal senso di colpa e, affrettandosi, cercava di rimediare alle offese arrecate, talvolta invano, prima di tornare a comportarsi in maniera sempre più simile a Malfoy. Fu così anche quel giorno; dopo aver passeggiato per il parco, affranta, per aver allontanato con un brusco commento una bambina del primo anno che aveva ingenuamente pensato di poter trovare aiuto in uno studente più grande, era rientrata nel Castello per una lezione pomeridiana. Non aveva fatto in tempo ad arrivare all'aula del secondo piano, però; si era bloccato sulle scale, osservando una ragazza che scendeva le scale, con un sorriso soddisfatto sulle labbra ― così poco da Arya, ma anche così normale per Abraxas. Poco dopo, lei le fu di fronte e, senza capirne il motivo preciso, non poté fare a meno di rivolgerle la parola. «Lucretia Black, sono particolarmente felice di vederti, in questo momento. Non vedo un purosangue da un paio d'ore, state per caso facendo una riunione segreta senza di me?» Le chiese, il mento in alto, sottolineando il proprio disappunto con una smorfietta, che si aprì velocemente in un espressione soddisfatta, tanto era evidente fosse compiaciuto dal poter finalmente intrattenere la conversazione con qualcuno che valeva davvero il suo tempo.
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[Elizabeth]
La lezione era finita e, com’era logico, aveva preso la rampa di scale più vicina per dirigersi nei sotterranei per la lezione di pozioni. Era decisamente distratta, lo era stato per tutta la lezione di Difesa, non era decisamente da lei. Scendeva i gradini con sguardo vacuo, la sua mente era volata via dal castello, lontano. Elizabeth si rese conto di ripensare ai regazzi che avevano ormai lasciato Hogwarts sempre più spesso, a partire da Lucretia, Minerva, Kendeas, che – in un certo senso – aveva avuto modo di conoscere, fino a Ignatius, quel ragazzo rossiccio molto gentile ma, le era sembrato, riservato. Era a lui che andavano i suoi ultimi pensieri prima di chiudere gli occhi a notte fonda, sentiva di provare una certa simpatia nei suoi confronti, forse una leggera cotta, chissà. Nemmeno si accorgeva dell’insensatezza della cosa, si beava di quel sentimento vago eppure particolarmente insistente. Sarebbe passata, si diceva. Al sentirsi chiamare subito alzò lo sguardo per osservare meglio chi l’avesse interpellata. Un biondissimo Abraxas le sorrideva sornione e sembrava voler intrattenere una conversazione con lei. “Probabilmente” rispose atona sistemandosi meglio la tracolla sulla spalla sinistra, la spilla da caposcuola brillava sulla sua divisa bronzo-blu ma la cosa ultimamente le era del tutto indifferente, nonstante ciò sapeva benissimo a che casata appartenere. “Se hai dubbi, vieni a domandarlo ai tuoi amichetti nei sotterranei, è proprio lì che mi sto dirigendo.” 
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[Arya]
«Lo devo considerare una sorta di invito, questo?» Chiese, mentre la sua espressione piuttosto neutra si trasformava in un leggero sorrisetto divertito. «Aspetta un attimo―» Continuò, passandosi una mano tra i chiarissimi capelli biondi, sistemandoseli con cura. Non era certa del momento in cui tutto ciò aveva avuto inizio, ma, da qualche tempo, aveva improvvisamente iniziato a soffermare particolarmente la sua attenzione sul proprio aspetto fisico ― in particolar modo sui propri capelli ― oppure sullo stato di sangue dei suoi amici. Era diventata fredda, meschina, arrogante e provocatrice, persino. In poche parole, non sembrava più essere lei, quella persona, e non soltanto per l'aspetto fisico, purtroppo. «Divisa di Corvonero? Questo non vorrà dire che dentro di te c'è un'altra, indegna Sanguesporco, vero?» Concluse, trasformando velocemente il suo divertimento in disgusto; non poteva credere che altri corpi di Purosangue ― oltre al suo e a quello della Rosier, che aveva incontrato poco prima ― fossero stati occupati da Mezzosangue o Babbanofili. Stava iniziando a pensare che quello fosse un tentativo di rovinare la loro purezza, oltre che la loro reputazione. E, se avesse scovato i responsabili di tutto ciò, l'avrebbero pagata a caro prezzo.
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 [In corso]
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⌠ 3 ottobre 1943 ~ Dormitorio di Serpeverde ~ ‪#‎FailedExperimentOnft‬ ‪#‎FEeventOnft‬ ⌡
Le pareti verdi e argento accompagnarono il risveglio di Arya, così come i vestiti maschili – particolarmente costosi, a giudicare dall'aspetto – che indossava. Quando si guardò allo specchio, l'immagine che esso le restituì non fu la solita di sempre; i limpidi occhi azzurri erano rimasti – non gli stessi, ma, quanto meno, simili – tutto il resto, invece, era cambiato. «Che cosa mi è successo?!» Si passò una mano tra i capelli biondi, scompigliandoli leggermente, per poi darsi un leggero pizzicotto, come a volersi svegliare da un incubo. «No, non è possibile...» Sbatté più e più volte le palpebre, come a trarre conferma che ciò che stava osservando non fosse una menzogna, prima di ricambiare lo sguardo scosso che la fissava dallo specchio al quale era posizionata di fonte. «Oh, per Rowena! Se io sono nel corpo di Malfoy non vorrà dire che... lui... oh, dannazione!»
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⌠ 3 ottobre 1943 ~ Corridoi ~ Arya e Abɾaxas ~ ‪#‎FailedExperimentOnft‬ ‪#‎FEeventOnft‬ ⌡
[Arya]
Da quando si era svegliata, quella mattina, nel corpo del Serpeverde, aveva avuto un brutto presentimento. Un'intensa sensazione di ansia l'aveva pervasa, non potendo /affatto/ tenere la situazione sotto controllo, così, quasi senza rifletterci, si era avventurata per i corridoi, cercando Malfoy che, se le sue supposizioni erano giuste, si trovava all'interno del suo corpo. Quando lo vide, in lontananza, si fermò per un attimo, incapace di distogliere gli occhi dalla se stessa che le stava camminando di fronte. Era strano, terribilmente strano, vedere il proprio corpo in giro per Hogwarts e non poterne controllare le azioni, i movimenti, le parole; ma, ancora peggio, era sapere che a farlo era una persona come /Abraxas Malfoy/. Quanto era stata sfortunata! «Malfoy! Finalmente...!» Esclamò, dopo essersi scrollata di dosso quella sensazione di stranezza, avvicinandosi a lui o, meglio, al proprio corpo dentro al quale lui era rinchiuso. «Ti ho cercato ovunque, dove ti eri cacciato, per Rowena?!»
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[Abraxas]
Quel risveglio era stato sconvolgente doveva ammetterlo, trovarsi di punto in bianco non solo nel corpo di un altro ma persino nel corpo di una ragazza era stato un colpo abbastanza forte. Tuttavia stava cercando di vederci i lati positivi e da quei "lati" ricavarci qualcosa di buono. Nonostante apprezzasse molto di più il proprio corpo quello della ragazza poteva essere un buon intrattenimento. E di certo il caro Abraxas non si sarebbe lasciato sfuggire l'occasione. Passeggiava baldanzoso per i corridoi di Hogwarts quando sentì il suo nome urlato per richiamare l'attenzione. Si voltò e trovò davanti a se il proprio corpo. Niente da dire, in ottimo stato come sempre. « Oh, salve. Immagino a questo punto che ci sia Arya Linnen nel mio corpo. Ragazzina fortunata. Ma per piacere quei capelli, trattali con il rispetto che meritano. » Pieno di se come sempre del resto, non sarebbero state di certo un paio di generose curve a far cambiare quello che era.
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[Arya]
Non se ne rendeva ancora conto, Arya; non riusciva a metabolizzare il fatto di essere nel corpo di un'altra persona e che un altro – un quasi sconosciuto, per di più – avesse il pieno controllo sul suo corpo. Non lo conosceva molto, se non di fama, ma questo la portava a non fidarsi affatto di lui, anzi, addirittura ad avere paura di ciò che egli avrebbe potuto fare. «Sì, sono io.» Rispose, freddamente, lanciandogli uno sguardo indagatore, in seguito alle sue parole. «Non preoccuparti per questo, lo farò; vedi innanzitutto di trattare /tu/ il mio corpo come conviene.» Concluse, cercando di assumere un tono serio ed eloquente; era strano sentire una voce maschile pronunciare le parole che aveva appena pensato, ma, forse, questo l'avrebbe aiutata a trasmettere il messaggio che voleva mandare.
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[Abraxas]
« Tratterò il tuo corpo come ritengo che sia giusto, è ovvio. Avrò anche le tue sembianze ma non per questo perderò la mia libertà di fare quel che voglio, Linnen. » Quella povera ragazza era stata così sfortunata da avere uno scambio di corpo proprio con lui, una qualsiasi altra persona non si sarebbe mai comportata meschinamente come Abraxas che, e glielo si leggeva negli occhi, provava un certo divertimento dalla situazione, patto che sia stata temporanea e di solito quel genere di casini magici non duravano tanto, giusto abbastanza per divertirsi un po'. E lo avrebbe fatto, si sarebbe divertito. « Devo dire che appaio niente male, dovresti ritenerti molto fortunata. Non tutti possono vantare di avere il corpo di Abraxas Malfoy, l'unica pecca e che mancherò gli allenamenti di quidditch, oppure dovrò vedere se il tuo corpo è adatto a quel genere di sport. Tsk... ne dubito. » 
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[Arya]
Un brivido le percorse la schiena, all'udire quelle parole; aveva paura, una terribile paura, di ciò che il Serpeverde potesse fare del suo corpo. Per un momento aveva creduto che, nonostante la sua fama, si sarebbe comportato in maniera adeguata con il corpo di un'altra persona, ma, purtroppo, dopo quella frase aveva la certezza che non sarebbe stato così. «Non voglio limitare le tue libertà, Malfoy, ma vorrei che un concetto fondamentale entrasse nella tua testa, se possibile. Il /rispetto/ per gli altri.» Rispose, osservandolo fisso negli occhi. Temeva che tutto ciò non sarebbe servito a molto, ma, nonostante tutto, sapeva di doverci almeno provare. «Non mi definirei esattamente fortunata-» Roteò gli occhi, esasperata dal comportamento del ragazzo; nonostante il cambio di corpo, Abraxas era il solito arrogante e vanitoso ragazzo. «Oppure potrei recarmici io al posto tuo! Ti avviso, però: non sono per niente tagliata per il Quidditch e credo che nemmeno nel tuo corpo ci sarebbero grandi differenze.»
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[In corso]
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𝑺𝒄𝒂𝒎𝒃𝒊𝒐 𝒅'𝒊𝒅𝒆𝒏𝒕𝒊𝒕𝒂' » qᴜᴀɴᴅᴏ ɪɴᴄᴏɴᴛʀɪ qᴜᴀʟᴄᴜɴ ᴀʟᴛʀᴏ ᴄʜᴇ è qᴜᴀʟᴄᴜɴ ᴀʟᴛʀᴏ « ‪#‎FailedExperimentØnƒt‬ ‪#‎FEeventØnƒt‬
[Pomona]
Si aggirava per i corridoi del castello solitaria, camminando leggiadra e quasi sulle punte, come fosse perennemente su di un piedistallo, in cerca di una faccia amica, benché avesse ben in testa che tutti erano in corpi non propri. Scrutava chiunque incontrasse dall'alto in basso, cercando di capire in che corpi si nascondessero le sue compagne di dormitorio, i suoi amici di casata, i Purosangue. Si soffermava su ogni viso indifferente, osservando poi l'interno corpo dall'alto in basso. Fu così che incontrò il corpo ambulante di Abraxas Malfoy, e la cosa la incuriosì non poco. Chi si nascondeva dentro l'involucro di pelle chiara del Serpeverde dai capelli biondi e dagli occhi ghiacciati? Il suo aspetto era curato come sempre, sui vestiti costosi che ne coprivano il corpo si riuscivano a notare ancora le linee delle pieghe di quando sono stati stirati e appesi nell'armadio, così Pomona dedusse che l'attuale possessore del corpo di Malfoy fosse o una ragazza o un amico del ragazzo stesso. Senza scendere dal suo piedistallo naturale, cammina dritta in direzione del ragazzo. «Malfoy» lo saluta comparendogli davanti. «Quale essere si è nascosto dentro di te?» continua, sbeffeggiando il contenuto del corpo del Serpeverde.
‪#‎PᴏᴍᴏɴᴀSᴩʀᴏᴜᴛᴇ‬ & ‪#‎AʀyᴀHᴇɪᴋᴇLɪɴɴᴇɴ‬ ;; 𝕳𝖔𝖌𝖜𝖆𝖗𝖙𝖘 𝕸𝖎𝖝𝖚𝖕 {— ©}
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[Arya]
«Rosier.» Rispose al saluto della ragazza più freddamente di quanto avesse mai fatto; lei e Druella non potevano propriamente definirsi amiche ma, certamente, questo non l'aveva mai fatta rivolgere in quel modo a lei, né tanto meno alla coetanea Tassorosso ― che, per quanto non ci avesse parlato spesso, considerava una compagnia piacevole ― che lei sapeva celarsi all'interno. «Sarebbe piacevole parlare con te, se non fosse che sono perfettamente a conoscenza di chi si nasconda all'interno; immagino che la /vera/ Druella sia su tutte le furie, in questo momento, vista la mole di impurità che riempie il suo prezioso corpicino.» Continuò, aggirando la domanda posta dalla ragazza, dopo una breve pausa passata a far passare lo sguardo su quella che era la ragazza Purosangue o, meglio, lo era stata. Non si rese conto, Arya, del modo sgarbato in cui si stava comportando; le veniva spontaneo, naturale, come se quello fosse il suo modo naturale di relazionarsi con gli altri, soprattutto con coloro che non erano Purosangue. L'influenza di Abraxas, il cui corpo era quello in cui lei era imprigionata, era ormai evidente e, purtroppo, non sarebbe stato così facile liberarsene. .
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[Pomona]
Se Pomona avesse avuto la sua personalità, per evitare di mettersi a frignare avrebbe stretto i pugni conficcando le / sue / unghie corte nei / suoi / palmi. Ma Pomona stava cominciando a perdere la facoltà di controllare la Druella di cui possedeva già il corpo, e non si scompose minimamente. «Non so della vera Rosier, ma io starei cercando di tornare nel mio corpo con il mio carattere se / davvero / fossi lei» aveva invece detto incrociando le braccia. «Ovviamente dopo essermi presa gioco del povero corpo grasso della Sprout» concluse con un sogghigno. 
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[Arya]
«Mi sembri fin troppo tranquilla, Sprout. Io non lo sarei, se fossi in te; la vendetta di Druella potrebbe essere /molto/ pericolosa.» Rispose, con un ghigno, osservando la reazione composta e persino divertita della ragazza che aveva di fronte. «Anche io farei così, se fossi in lei... O forse―» Si interruppe, mentre l'espressione che aveva in volto si faceva ancora più divertita e meschina. «Bhe, ci sarebbero parecchie cose divertenti per rendere ridicolo /quel/ corpo, ci sarebbe l'imbarazzo della scelta, persino.»
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 [In corso]
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⌠ 27 settembre 1943 ~ Guferia ~ Arya e Olive ⌡
[Arya]
L'autunno era ufficialmente iniziato, ormai e la temperatura era calata ulteriormente, seppure soltanto di pochi gradi. Arya, stretta nel suo mantello, unica sua protezione contro il vento freddo della sera che penetrava dalle alte finestre aperte della stanza, stava ultimando la stesura di una lettera per Beth, la donna che l'aveva cresciuta e che, in quel momento, era l'unica famiglia che le fosse rimasta. Era stata restia, lei, quando la ragazza le aveva proposto di trasferirsi a casa Greengrass; sarebbe stato un posto sconosciuto e, alla sua età, le sembrava quasi impossibile adattarsi a una nuova casa, nonostante quella vecchia fosse un percorso di ricordi della parte della famiglia Linnen ormai scomparsa. Nonostante quei pensieri, però, aveva acconsentito a seguire la sedicenne nel Maniero dell'amico, luogo nel quale, senza ombra di dubbio, la giovane si sarebbe trovata meglio, ricordando con meno frequenza e intensità la recente scomparsa del padre. Così, mentre stendeva sulla carta, aiutata da calamaio e inchiostro, i saluti finali, augurandosi che la donna si trovasse bene in quella casa, anche senza la sua presenza, il soffiare dell'aria si fece più forte, scompigliando leggermente le penne di gufi e civette, nonché i suoi capelli scuri. Stava per sigillare la busta contenente il suo messaggio quando un leggero ticchettare di passi la distrasse dal suo compito, facendosi sempre più vicino. Era già buio, ormai e, presto, la neve avrebbe accompagnato la caduta delle Foglie già abbondantemente iniziata, proprio come faceva ogni anno e come lei sperava, sempre. Era un'amante dell'inverno, proprio come la madre. Quando la maniglia si abbassò rumorosamente, Arya si voltò verso la porta, per osservare la persona che stava per entrare. Era strano, secondo lei, vedere qualcuno in guferia, a quell'ora; la cena era già finita da parecchio e, in breve, il coprifuoco sarebbe scattato, rendendo il loro trovarsi all'infuori del dormitorio una bella e buona infrazione delle regole, che un prefetto perfetto come lei non poteva concedersi. Ancor prima di vedere in volto la figura che aveva appena varcato la soglia, la sua chiara voce ruppe il silenzio, in un tono pacato e cordiale, tipico di lei. «Buonasera.»
[Olive]
Certe volte, Olive doveva scrivere lettere. Era diventato un dovere da molto tempo, perché prima o poi tutti alcuni doveri sono piaceri che non piacciono più. Ormai si recava alla guferia sono per mandare lettere il cui destinatario probabilmente leggeva, ma aveva il vizio di non rispondere sempre. A cosa serviva, tenere aggiornata una famiglia che per ella non era nemmeno una famiglia? E che a malapena vedeva Olive come membro di essa? Non era quindi difficile per la serpe provare ripudio, lei stessa stava diventando lo stesso riflesso dei familiari. Queste lettere, erano allora un frutto di dovere; non erano perciò scritte con passione e sentimenti come al primo anno, erano scritte solo con freddezza, e le uniche frasi che mostravano un briciolo di interessamento nello scrivere le lettere erano quelle in cui parlava del fratello. In quel periodo, serviva che Olive accennasse alla situazione con Mirtilla. L’estate si era provveduto legalmente e tramite il Ministero, facendo confinare il fantasma nei bagni delle ragazze del primo piano e quel nucleo familiare necessitava di sapere se quegli sforzi fossero serviti a qualcosa. Olive odiava abbastanza doverne parlare, perché ormai tutto quello era il passato e quella bimbetta sbraitante era solo un altro fantasma come tutti gli altri. Lei era morta, Olive era viva. Importava quindi davvero poco. Ogni volta che doveva inviare una lettera, lo faceva di mattina presto o di sera. In quel giorno, la lettera venne mandata di sera, scritta in fretta e furia in sala comune – questo perché non ci teneva mai ad essere vista, soprattutto se si trattava di una così noncurante come lei scrivere una lettera per la famigliola felice. Le cose erano ben più diverse, ma ci teneva a non essere vista comunque. Di solito, solo dopo la cena in sala grande Olive si recava in guferia, afferrava bruscamente un pennuto della scuola e gli porgeva i suoi omaggi per il destinatario. Poi, correva verso i sotterranei, prima che scattasse il coprifuoco. Quella volta andò un po’ diversamente. Di solito non c’era mai nessuno a quell’ora, ma non si sorprese troppo a vedere Arya Linnen nella guferia che la salutava. La conosceva solo di vista, ma quel che non sapeva era se lei conoscesse Olive. La serpe, tuttavia, la squadrò severamente da capo a piedi prima di salutarla senza alcuna ombra di sorriso. « Buonasera. »
[In corso]
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{ 𝟕 𝐥𝐮𝐠𝐥𝐢𝐨 𝟏𝟗𝟒𝟑 | 𝐋𝐨𝐧𝐝𝐫𝐚 | 𝑻𝒉𝒆 𝑪𝒐𝒏𝒇𝒆𝒔𝒔𝒊𝒐𝒏 | 𝐃𝐞𝐧𝐢𝐬 𝐞 𝐀𝐫𝐲𝐚 }
[Denis]
Poche righe erano state scritte dal ragazzo per invitare l'amica a trascorrere una mattinata insieme. Giusto il necessario per informarla del luogo che aveva scelto e giustificare quell'invito con un'improvvisa voglia di scambiare due parole. L'idea gli era venuta qualche giorno prima, quando suo zio lo aveva accompagnato in quel pub della Londra Babbana frequentato da pochissime persone per bere un drink. Nel constatare il silenzio, Denis aveva pensato che quello fosse il luogo più adatto a ciò che aveva in mente. "Fanno ottime colazioni qui." aveva detto Lester Bennett, un po' alticcio, circondando le spalle del nipote con un braccio.
Ed eccolo lì, in anticipo, seduto in uno dei tavolini all'interno del locale, il più isolato ed appartato, mentre attendeva l'arrivo di Arya. Denis aveva preso una decisione che non era stata affatto semplice e che lo faceva stare in ansia tanto che le mani appoggiate sul tavolo tremavano. Il segreto che si portava dentro lo logorava ogni giorno di più, aveva cominciato a consumarlo quando era comparso per la prima volta e ora che non aveva più nessuno con cui condividerlo, il suo peso si era fatto insostenibile. L'avrebbe rivelato, finalmente, si sarebbe liberato di parte di quel fardello che avrebbe portato sulle spalle per sempre; ora che l'amato non era più parte della sua vita, ora che la loro relazione pareva esser giunta al termine, non correva più il rischio di metterlo in pericolo. L'unico rischio era allontanare per sempre la sua confidente, dover rinunciare alla sua preziosa amicizia e diventare ai suoi occhi un depravato, un malato mentale. Non voleva dire addio ad Arya, alla sua amicizia e a tutto quello che avevano condiviso nel corso degli anni e si era appigliato alla consapevolezza del suo buon cuore, nella speranza che la ragazza non iniziasse a disprezzarlo. Per questo aveva scelto lei, era l'unica a cui si sentiva di affidare quel dettaglio di sé tanto insignificante quanto fondamentale. Udì il campanello che preannunciava l'ingresso di una persona e si irrigidì nella sedia. Tirò fuori dal taschino l'orologio e lo toccò rapidamente per sapere l'ora. Non c'erano dubbi: Arya era arrivata.
[Arya]
Non aveva più avuto la possibilità di incontrare i suoi amici, né tanto meno Elessar, da quando la scuola era finita. Aveva avuto parecchio da fare: casa sua era ancora piena di cose di suo padre, proprio come l'aveva lasciata il settembre precedente, come se lui fosse ancora lì, come se ci vivesse ancora. Beth non aveva toccato nulla, non aveva buttato via niente, lasciando così ad Arya la libertà di scegliere cosa conservare e cosa no di ciò che rimaneva della sua famiglia ormai scomparsa. Non era stato affatto facile, aveva richiesto uno sforzo, sia dal punto di vista fisico, sia e soprattutto da quello morale, ma ce l'aveva fatta. Con l'aiuto della donna che l'aveva cresciuta, era riuscita a selezionare le cose più importanti e a sistemarle con cura in una serie di scatoloni, in modo da rendere più facile portare tutto ciò che le serviva in Casa Greengrass, dove avrebbe vissuto per un po'. Ricevendo il biglietto del caro, migliore amico Denis, aveva sorriso, felice di poterlo rivedere e di trascorrere un po' di tempo con lui. Le mancava, le mancava moltissimo. Adorava le loro chiacchierate, adorava farsi dare dei consigli da lui su questo o su quell'argomento. Adorava il loro rapporto e sentirlo così vicino. Al tempo stesso, però, leggendo quelle poche, semplici parole, si era sentita un po' preoccupata; malgrado da come fosse scritta la lettera si potesse evincere che quello fosse soltanto un normale incontro, sentiva che c'era qualcosa che non andava, che, sotto quella apparente motivazione, ci fosse di più. Entrando dalla porta del locale che l'amico le aveva indicato, lo vide subito, seduto in un tavolo appartato. Le sue preoccupazioni, in quel momento, aumentarono soltanto; le sembrava pensieroso, forse anche triste. Si avvicinò in fretta a lui, sedendogli sulla sedia di fronte alla sua, mentre, con tono allegro, lo salutava. «Ciao, Denis! Come stai?»
[Denis]
Udì i passi della ragazza avvicinarsi e si affrettò a mutare espressione: un bel sorriso, forse un po’ troppo forzato, ma era davvero felice che Arya fosse finalmente arrivata. Non poteva sapere che la ragazza, entrando nel locale, aveva già avuto modo di vederlo in viso e probabilmente già aveva compreso che non era esattamente tutto a posto. « Arya! Sono così contento di incontrarti di nuovo! » Esclamò, prendendo le mani dell’amica sopra il tavolo e stringendole forte, con calore. Non era mai stato così espansivo, anzi, di rado toccava le persone per timore che queste si infastidissero. Ma con Arya c’era una complicità tale che era certo non le avrebbe arrecato alcun fastidio se le avesse preso le mani in quel modo: la sua voce non gli bastava, voleva davvero sentirla vicina e quello era l’unico modo. Alla sua domanda, alzò leggermente le spalle. « Oh … beh, le mie vacanze non sono cominciate proprio benissimo, ma ho attraversato periodi peggiori. Passerà anche questo. Tu, invece, come stai? È da quando è finita la scuola che non ho avuto modo di sentirti. » Cercò di mostrarsi sereno, tranquillo, ma per un secondo un velo di tristezza e malinconia oscurò il volto del giovane. Si sentiva stupido a star così male per una rottura, ma più ripensava alla voce di Kendeas, alla sua delusione mentre gli diceva di aver bisogno di tempo per pensare. Le sue vacanze dovevano essere le migliori di sempre: dopo la morte di Mirtilla, per rincuorarlo, l’amato gli aveva promesso di trascorrere le prime settimane di luglio insieme. Dopo solo un giorno Denis aveva fatto le valigie ed era ritornato a casa sotto gli occhi attoniti dei suoi familiari. Non voleva pensare a questo, però. Voleva innanzitutto godersi la mattinata con Arya e, poi, al momento giusto avrebbe messo in atto il loro piano. In quei mesi Denis aveva avuto migliaia di ripensamenti, ma ormai era certo di ciò che voleva fare.
[Arya]
Il sorriso dell'amico ebbe il potere di tranquillizzarla almeno un po'. Si era forse immaginata quell'espressione malinconica e pensierosa? Si stava forse preoccupando in maniera eccessiva nei confronti del ragazzo? Cercò di rilassarsi, provando a lasciare da parte quei sentimenti agitati che, ormai, non poteva fare altro che provare nei confronti dei propri amici da quando una di loro li aveva tragicamente lasciati, regalando al suo cuore un'altra ferita che, sapeva, avrebbe sempre portato con sé. «Anche io ne sono felicissima, Denis!» Rispose, sincera, ricambiando il gesto dell'amico, stringendo a sua volta le sue mani. Tempo prima, quando lo conosceva appena, aveva avuto dei problemi a capire come rapportarsi con lui. Non era una persona molto espansiva, Arya – anche se per lei non era particolarmente difficile farsi degli amici –, quindi, spesso, i momenti di silenzio erano riempiti da qualche sorriso gentile, nulla di più. Col passare del tempo, però, mentre il loro legame iniziava a formarsi, aveva capito che non doveva sforzarsi per comunicare con Denis, perché lui riusciva perfettamente a capirla, anche quando non diceva una parola. Da allora, semplici gesti come quello erano diventati una consuetudine, per lei, un modo in cui sentirlo ancora più vicino e, di certo, non poteva che essere felice di sentire le sue mani sulle proprie, come a dimostrare la solidità del loro legame. «Hai ragione, non ci siamo più sentiti dopo la fine della scuola e me ne dispiaccio... Mi sei mancato, sai? Sto abbastanza bene, direi. Sono solo stata molto impegnata a fare una selezione tra le cose di mio padre, sai... E' inutile conservare tutto.» Rispose con un tono un po' triste, abbozzando un sorriso malinconico. Sarebbe andata meglio con il passare del tempo, lo sentiva. Aveva ancora degli amici, aveva ancora Elessar, aveva ancora Beth. Non era sola, non lo sarebbe mai stata; avrebbe sempre avuto qualcuno intorno e avrebbe sempre portato i cari scomparsi dentro al suo cuore, sentendoli vicini, per sempre.
[Denis]
Capì di essere riuscito a celare il proprio reale umore e non poté non sentirsi sollevato, anche se nel profondo gli dispiaceva dover fingere con Arya. Ma non avrebbe mentito a lungo, gli serviva solo un po’ di tempo e avrebbe finito di nascondersi dietro a delle menzogne. Fu felice di sentire la propria stretta ricambiata e stavolta fu un sorriso sincero a spuntare sul viso di Denis. Con Arya stava bene e si sentiva a proprio agio: era stata una delle sue prime amiche e, sebbene all’inizio il loro rapporto non fosse stato dei più semplici – essendo entrambi due caratteri piuttosto introversi – aveva scoperto che era la miglior persona che potesse desiderare al proprio fianco. Proprio per questo l’aveva scelta e l’ansia che provava a causa di ciò che doveva confessarle era di gran lunga minore a quella che avrebbe provato con qualcun altro. « Mi sei mancata molto anche tu. Oh, capisco, ma hai fatto bene. Separarsi da certi oggetti può essere doloroso poiché hanno un enorme valore affettivo, ma tenere tutto non serve, anzi rende difficile andare avanti. Sono del parere che sia meglio conservare solo alcune cose, quelle a cui siamo più legati, ecco. » Replicò alle sue parole, ora dispiaciuto di udirle. Arya aveva sofferto tanto quando era morto suo padre e Denis non le era stato vicino come avrebbe voluto, tanto che pure in quel momento sentì una fitta di colpevolezza e si rattristò per un momento. Prese un respiro profondo, le mani cominciarono a tremargli leggermente e Denis le nascose sotto al tavolo; non era molto bravo con le parole, specie sottopressione, ma preferiva parlare spontaneamente piuttosto che seguire un discorso. « Arya, immagino avrai capito che non ti ho voluta incontrare solo per due semplici chiacchiere. Avrei preferito attendere ancora un po’, ma più sento che passa il tempo e più mi sento agitato e non voglio ritornare a casa senza aver fatto quel che devo. Ho preso una decisione, difficile certo, ma non voglio tornare indietro perché sento che è la cosa giusta. Io … io devo rivelarti un segreto, una cosa molto importante. » La voce tremava appena, ma quando ebbe terminato, già stava meglio. Non aveva detto ancora nulla, ma era un primo passo avanti.
[Arya]
«Mi trovi completamente d'accordo con te, Denis. Per quanto sia difficile separarmi dagli oggetti di mio padre, conservarli tutti non mi avrebbe sicuramente aiutata ad andare avanti. So che lui non vorrebbe che io restassi bloccata nel passato e poi... le cose più preziose che ho di lui me le porto dentro.»Parlare di suo padre le faceva ancora male, in quanto la ferita lasciata dalla sua improvvisa scomparsa era ancora troppo recente per riuscire a smettere di sanguinare, così come lo era quella della perdita della piccola Mirtilla, l'amica che aveva considerato quasi come la sorellina che non aveva mai avuto, che aveva trattato come avrebbe fatto con il fratellino al quale non era stato concesso di nascere vivo. Quei pensieri e quelle parole non facevano altro che rattristarla, distrarla dal motivo per cui si era recata lì, quel giorno: passare un po' di tempo con il suo migliore amico, cercando di distrarsi dallo stress dell'ultimo periodo. Per questo, cercò di cacciarli via, quasi sollevata del fatto che Denis non potesse vedere i suoi occhi, diventati leggermente lucidi, in modo da non causargli ulteriore dolore.«A dire il vero, sì, lo avevo immaginato.»Ammise, un po' triste per ciò che riusciva a captare nella voce tremante dell'amico, un po' spaventata da ciò che gli avrebbe sentito dire. Avrebbe voluto avvicinarsi di più, avrebbe voluto posargli una mano sulla spalla e assicurargli che andava tutto bene o, quanto meno, lo sarebbe stato, però, qualcosa le disse di trattenersi, almeno per il momento. Così, prese un bel respiro e, con tono calmo e delicato, come a non volerlo agitare ulteriormente, si rivolse a lui.«Io sono qui, Denis, sono qui per /te/. Qualsiasi cosa tu voglia dirmi, non devi aver paura, non di me. Se senti che è la cosa giusta, vuol dire che lo è. Segui il tuo cuore, non ti porterà sulla cattiva strada.»Nonostante, dalle sue parole, sembrasse tranquilla e perfettamente pronta per affrontare ciò a cui stava andando in contro, la preoccupazione cresceva dentro di lei, portandola a osservare più attentamente il volto dell'amico, in cerca di qualche indizio su ciò che, presto o tardi, le avrebbe rivelato. Non poteva negare di essere un po' spaventata da quel discorso, dal segreto che il ragazzo diceva di celare, però non si sarebbe di certo tirata indietro. Denis era veramente importante per lei e quale modo migliore di quello, per dimostrarlo?
[Denis]
« Sei forte, lo sei sempre stata. Ed io lo so bene perché tempo fa è stata proprio questa tua forza ad aiutarmi. Forse è per questo che ho scelto te per custodire questo segreto, oltre che fidarmi immensamente di te, so anche che avrai la forza necessaria per tenerlo nascosto a chiunque, anche nel caso in cui decidessi di non rivolgermi mai più la parola. Lo capirei e non ti giudicherei: molti di quelli che chiamo “amici” mi condannerebbero se sapessero questo mio segreto. » Altri minuti di pausa, un’altra lunga serie di respiri per calmarsi. Stava per farlo /davvero/? Non era solo un sogno in cui immaginava di rivelare finalmente tutta la verità? Il suo cuore che batteva impazzito nel petto, però, era una prova sufficiente a fargli capire che tutto era reale. Era una sciocchezza, a pensarci, un piccolo dettaglio di sé che contava poco o nulla. Ma Denis sapeva bene che, per quanto minuscolo, a molte persone era costato e costava tutt’ora la vita. Gli riusciva molto difficile comprendere che cosa ci fosse di male in una natura come la sua, in qualcosa che neppure poteva scegliere. Lui stava bene con se stesso, con tutto ciò che era e per il breve tempo in cui aveva avuto la felicità con un altro uomo non si era sentito un mostro, non si era definito /malato/. Cosa avrebbe detto Arya? Avrebbe voluto vedere solo per poter scorgere il suo viso e capire quale sarebbe stata la prima emozione della ragazza: rabbia, stupore, /disgusto/? Si sarebbe alzata e lo avrebbe abbandonato lì, definendolo un abominio della natura? Era impossibile anche solo a pensarci, Arya era così dolce e gentile. Ma Denis non poteva essere certo che la notizia non l’avrebbe sconvolta. « L’ho sempre considerata una sciocchezza. Anzi … beh … all’inizio avevo paura e pensavo che in me ci fosse qualcosa che non andava bene; ma non ero /io/ a temere quella parte di me, temevo il giudizio degli altri, l’abbandono da parte di tutti quelli che amo e le conseguenze che avrebbe portato. La verità è che io amo un ragazzo e lo amerò per il resto dei miei giorni: non ti dirò chi è perché rivelare questa verità è stata una scelta /mia/ e non sua, ma penso che tu lo sappia già. Per quel che è durato non siamo stati molto bravi a tenerlo nascosto. Vedi, Arya, il punto è che se non fosse lui sarebbe un altro, ma sono certo che /mai/ al mio fianco potrei avere una donna. Non è nella mia natura, sarebbe andare contro ciò che desidero. Ho voluto rivelartelo perché voglio che almeno una persona al mondo mi conosca per quello che sono /davvero/, perché sono stufo di fingere e nascondermi. Ti chiedo, ti /imploro/, qualsiasi cosa tu possa pensare di ciò, sarai libera di farlo, m-ma ti prego non dirlo a … a nessuno. » La voce di Denis si era abbassata fino a diventare quasi inudibile, gli occhi del ragazzo ormai pieni di lacrime, ne liberarono qualcuna che scorse lungo le sue gote ancora più pallide del solito. Al di là del timore per la reazione della ragazza, Denis finalmente si sentiva libero.
[Arya]
«Denis, i-io non capisco...» Disse, in risposta alle sue prime parole. Perché mai avrebbe dovuto smettere di rivolgergli la parola? Perché mai avrebbe dovuto condannarlo? Cosa era successo di tanto grave per fargli credere che lei, la sua migliore amica, avrebbe potuto smettere di volergli bene, anche solo per un secondo? Mille domande affollavano la sua giovane mente, in cerca di risposta, mentre un silenzio teso aleggiava tra lei e il ragazzo, che raramente le era parso agitato come quel giorno. Denis era una delle prime persone che aveva incontrato, una volta entrata a Hogwarts e, ormai, lo conosceva da più di cinque anni; però, mai l'aveva visto così, mai era stata tanto preoccupata per lui, mai aveva temuto in quel modo le sue parole. Per questo, trattenne il suo impulso di porgli mille quesiti, cercando di rimanere calma, per ascoltare al meglio quel grande segreto che le stava per rivelare. Le parole uscirono veloci dalle labbra dell'amico, mentre il suo tono di voce andava affievolendosi sempre di più, ma Arya non perse un dettaglio, ascoltò con attenzione maniacale ciò che le stava raccontando, senza pensare, cercando soltanto di assorbirne il significato. Quando Denis ebbe finito, una nuova e strana sensazione si fece strada dentro di lei: da un lato era sorpresa, ma dall'altro era in qualche modo consapevole di aver già intuito qualcosa a riguardo, in passato, anche se non se n'era resa conto, non fino a quel momento, almeno. Mentre cercava di analizzare le sue emozioni, invano, rimase in silenzio, secondo dopo secondo, con gli occhi fissi davanti a sé, senza, però, guardare nulla in particolare. Quando si accorse che l'amico stava piangendo, qualcosa dentro di lei scattò e, scacciando la confusione che, in parte, la attanagliava, si alzò dalla sedia sulla quale era seduta, in modo da potersi avvicinare di più all'amico. Si spostò dall'altra parte del tavolo e, abbassandosi accanto a lui fino a raggiungere l'altezza giusta, con un gesto delicato asciugò con i polpastrelli le lacrime dal suo viso, accarezzando leggermente le sue guance, come a volerlo rassicurare; poi, con la stessa calma e dolcezza che, in quel momento, stupì anche se stessa, si rivolse a lui. «Denis, non mi importa se tu sia innamorato di un uomo o di una donna, al pari del fatto che non considero rilevante se esso sia un mago o un babbano. La cosa che conta, per me, è che tu sia veramente /felice/ – perché sei una di quelle persone che lo merita davvero e alla quale lo auguro con tutta me stessa –, ma che tu raggiunga questa condizione con una persona del tuo stesso sesso o con una di quello opposto, per me è indifferente.» Prese la sua mano e la strinse delicatamente tra le sue, accarezzandola leggermente. «Ti sono grata di esserti fidato di me a tal punto da rivelarmi questo segreto e sappi che la tua fiducia non è assolutamente mal riposta. Non parlerò con nessuno di quello che mi hai detto oggi, tanto meno con colui che, credo di aver capito, sia la persona interessata. Puoi e potrai sempre fidarti di me, Denis, così come puoi star certo che ci sarò per te, /sempre/. Non sarà di certo questo a far venir meno l'amicizia e l'affetto che nutro nei tuoi confronti, credimi; è solida e forte e nulla potrà scalfirla.»
[Denis]
Il silenzio si era fatto pesante, così tangibile che Denis poteva avvertirlo stringersi attorno a sé. Era come trovarsi intrappolato tra le spire di un serpente letale, pronto ad ucciderlo. Eppure, poteva sentire le chiacchiere sommesse degli altri clienti del locale, le posate che facevano rumore, la porcellana delle tazze che cozzava contro quella dei piattini … non c’era silenzio, ma lei non parlava e questo era abbastanza da far mancare il respiro a Denis. Le lacrime non volevano smettere di scendere, ma il giovane non se ne curò perché per un momento fu certo di aver appena trovato un buon motivo per piangere: l’aveva persa per sempre, avrebbe perso /tutti/ prima o poi. La immaginava a fissarlo disgustata, incapace di dire qualcosa, sconvolta dalle sue parole e ferita dall’enorme bugia che per tutto quel tempo aveva rifilato a lei e ai suoi amici. Avrebbe mai sopportato un simile tormento con ogni persona che amava? Avrebbe avuto la forza di restare impassibile mentre i suoi amici, lentamente, lo abbandonavano? No. Ed era per questo che Denis mentiva, che si nascondeva dietro un semplice “non sono innamorato di nessuno, un giorno chissà” quando dentro sapeva benissimo che /mai/ avrebbe desiderato una donna. E si odiava. Aveva più volte pensato di imporsi una relazione con una ragazza, di comportarsi /normalmente/, ma non ne aveva mai avuto il coraggio perché Denis voleva essere felice. C’era solo una persona capace di fargli provare quella gioia solo camminandogli accanto. Ed ora aveva perso pure lui. Udì Arya alzarsi e capì che era tutto finito. Non poté impedire ad un singhiozzo di scuotere il proprio corpo, ma non aveva più importanza. Abbassò il capo e deglutì perché la gola era improvvisamente arida, ma fu come mandar giù un pugno di spilli. Però la giovane si avvicinò e Denis alzò debolmente il capo verso di lei, confuso. Arya lo odiava, era certo, ma perché era vicina? Il tocco delicato delle sue mani sulle guance gli fece realizzare solo in quel momento che stava piangendo già da un po’ e, vergognandosi di sé, asciugò il resto con le maniche della camicia. « P-perdonami … » mormorò, continuando a strofinare la manica sul viso ormai asciutto « Sono un idiota … l’unica cosa di buono che i miei occhi sanno fare è spillare lacrime come un rubinetto difettoso. » Rise, poco, impercettibilmente. Era sollevato, /felice/. Il sorriso sul suo viso si fece più ampio nel sentire la propria mano fra quelle piccole e delicate della ragazza. Era stato un’idiota ad aver paura, a temere che Arya potesse odiarlo. Nel profondo lo aveva sempre saputo ed era per questo che l’aveva scelta. Avrebbe voluto abbracciarla, stringerla forte a sé per dimostrarle la sua gratitudine, ma la gioia era tale che non riusciva a muoversi. « Sono io a doverti essere grato, Arya, dico sul serio. Ho avuto paura che potessi odiarmi per questo, ma ora sono felice e lo devo a te. È un primo, piccolo passo, ma non mi sono mai sentito così /libero/ in vita mia. E lo devo a te, perché nel profondo sapevo che potevo fidarmi e che non avevo nulla da temere. »
[Arya]
La confusione che sentiva di aver provato fino a poco prima era improvvisamente sparita, lasciandola tranquilla e rilassata. Non si era resa conto di averlo fatto preoccupare, con il suo silenzio, non si era accorta di averlo messo in agitazione e si dispiaceva fortemente per questo. Non sopportava di far soffrire le persone e, se qualche volta accadeva, i sensi di colpa la attanagliavano, rendendole impossibile dimenticare quello che aveva fatto. Così, anche in quel momento, avrebbe voluto scusarsi, avrebbe voluto chiedere a Denis di perdonarla per aver alimentato la sua ansia, ma, in cuor suo, vedendo finalmente un sorriso comparire sul viso dell'amico, sapeva che, in quel momento, non importava, perché tutto stava tornando alla normalità, l’ansia dell’amico si stava finalmente dissipando. «Non devi scusarti, assolutamente. Non con me, almeno. Piangere è una forma di sfogo, non sai quante volte lo faccio io, quindi... Non c'è alcun problema, Denis, dico davvero.» Rispose, sincera, sorridendo, senza smettere, però, a stringere la mano del ragazzo tra le sue. Purtroppo, Arya era una ragazza molto emotiva, che non riusciva a non farsi sopraffare dai suoi sentimenti; spesso, infatti, si ritrovava a piangere anche solo al semplice ricordo della madre, morta ormai da tanto, troppo tempo perché potesse ricordare la sua voce o le sue carezze, rendendosi conto che la ferita della sua scomparsa non si era ancora cicatrizzata, anzi, era ancora aperta e sanguinante. Non era brava ad accettare la morte, lei, a farsi coraggio e a reagire; viveva tranquillamente, cercando di allontanare il ricordo, ma, ogni qualvolta questo si presentava, lei non poteva fare altro che cedervi nuovamente, riversando all'esterno le emozioni che cercava, invano, di controllare. Per questo quelle parole uscirono dalla sua bocca, in un altro tentativo di rassicurare il ragazzo; vista la grande quantità di lacrime che aveva versato, non solo in quegli anni, ma anche – e soprattutto – negli ultimi tempi, non si sarebbe di certo infastidita ad assistere allo sfogo del suo migliore amico. «Non potrei /mai/ odiarti, Denis! Sei una delle persone più speciali che io abbia mai conosciuto, il mio affetto c'è e ci sarà sempre.» Il suo sorriso si fece più marcato, mentre pronunciava quelle parole; nulla avrebbe potuto cambiare l’amicizia che li univa, nulla avrebbe potuto scalfire ciò che lei provava per lui, ne era convinta; se vi era una cosa di cui la Corvonero era sicura, in quel momento, era di certo quella. Non era facile, per lei avere la certezza dei suoi sentimenti, ma, fin da quando l’aveva conosciuto aveva capito che lui sarebbe stato importante per lei e quella ne era la dimostrazione. «Sono contenta di questo, Denis, non immagini quanto. Sono fiera e felice di poterti far sentire un po’ più libero e spensierato e sono certa che, in futuro, potrai esserlo ancora di più.» Lo sperava, davvero, con tutta se stessa. Denis era una delle persone per le quali avrebbe voluto il meglio e si agurava che, presto o tardi, avrebbe potuto smettere di nascondere se stesso e i suoi sentimenti, avrebbe potuto essere la persona che voleva essere, senza che il mondo lo giudicasse negativamente. Perché lui se lo meritava, se lo meritava davvero.
[In corso]
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⌠ 14 febbraio 1943 ~ Arya e Charlus ~ ‪#‎StValentinedisaster‬ ⌡
[Arya]
«Charlus, ciao, stavo giusto cercando te. Come sai, oggi è San Valentino e io... io volevo darti questo.» Disse, allungando un pacco regalo al ragazzo, sperando che decidesse di accettarlo e, soprattutto, che lo gradisse. Conteneva una mazza da battitore, l'ultimo modello, il più leggero ed efficiente a quanto dicevano i critici sportivi.
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[Charlus]
Arya, mi fa piacere che tu mi stessi cercando. San Valentino? Oh già... Minerva non ha accett..- Per me? Grazie mille cara!" La mano di Charlus subito si avvicinò al regalo della ragazza e il suo viso si illuminò subito dopo averlo scartato. Era da tempo che voleva comprarsela ma tra i vari impegni non è riuscito a recarsi a Hogsmeade.
[Arya]
«Allora, che ne dici, ti piace?» Chiese sorridendo, per accertarsi che quello che l'espressione del ragazzo stava comunicando fosse vero. «Pensavo che... Magari... Giocare con questa potesse farti pensare... Farti pensare a me.» Distolse lo sguardo, imbarazzata, posandolo sulle proprie mani.
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San Andreas - 2015 In the aftermath of a massive earthquake in California, a rescue-chopper pilot makes a dangerous journey across the state in order to rescue his daughter.
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Alexandra Daddario
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⌠ 15 febbraio 1943 ~ Sala Comune ~ Arya e Tiana ⌡
[ Arya ]
Stava tornando dalla biblioteca quando aveva incontrato un caposcuola della sua Casata che le aveva affidato il compito di sostituire il prefetto maschile del sesto anno che era in infermeria a causa di un piccolo incidente avuto nell'aula di pozioni proprio quella mattina. Le aveva detto di cercare il prefetto femminile, colei che sarebbe stata la sua compagna di ronda, quella sera. E così aveva fatto. Era subito tornata nella Sala Comune, sperando di trovarla lì ed era stata fortunata. L'aveva avvistata e si era diretta a passo spedito verso di lei.«Ciao, scusa il disturbo, sei tu Tiana Boyle il prefetto del sesto anno?» Le chiese gentilmente, quando si fu avvicinata abbastanza. La osservò attentamente; l'aveva già vista da qualche parte e non intendeva in Sala Comune o in giro per i corridoi. Che la ragazza facesse parte di uno stesso gruppo che lei frequentava? Non avrebbe saputo dirlo e quindi decise di lasciare da parte quei pensieri per presentarsi.«Io sono Arya Linnen, mi hanno detto che questa sera dovrò sostituire il tuo compagno di ronda.»
[ Tiana ]
Lo sguardo di Tiana si posò sull’orologio, che continuava a scandire incurante lo scorrere del tempo. Quella sera avrebbe dovuto fare la ronda in compagnia del suo compagno di Casata e di anno, eppure non si faceva vedere. In un certo senso, era preoccupata: quel giorno, aveva avuto un piccolo incidente durante l’ora di Pozioni e sperò che il suo ritardo non fosse dovuto al fatto che dovesse rimanere ancora a lungo in Infermeria. Il dubbio si fece largo nella sua mente e la Corvonero non poté chiedersi se, in caso le sue supposizioni si fossero rivelate correte, le avrebbero affiancato qualche altro Prefetto del suo medesimo anno, ma di differente Casa. Il suo timore più grande, in realtà, era che si trattasse di un Serpeverde: non provava alcun sentimento di vera “paura” nei confronti degli studenti della Casa di Salazar, quello che più temeva era la discussione che sarebbe potuta nascere – soprattutto se tale studente appoggiava le idee di Purezza del Sangue. Lei era una Nata Babbana e, per quanto la sua famiglia fosse nobile e importante, nel mondo magico era considerata inferiore.La sua attenzione venne attirata da una voce femminile e Tiana si voltò, puntando le sue iridi celestine sulla ragazza che si avvicinava verso di lei.« Sì, sono Tiana Grace Boyle », annuì il Prefetto – nonché Cacciatrice della squadra di Quidditch –, accompagnando le parole con un lieve cenno del capo. « Oh mon Dieu! Lieta di conoscerti, Arya! Sono davvero felice che prendi il posto del mio collega – temevo dovessi fare la ronda con qualche Serpeverde! ».
[ Arya ]
«Il piacere è tutto mio, Tiana. Oh, i Serpeverde. Fare le ronde con loro è davvero una brutta esperienza, soprattutto con quel Riddle.» Rispose con una smorfia, mentre quei ricordi tutt'altro che positivi le tornavano alla mente. Dopo un breve istante decise di cacciarli via, ripensando a dove poteva aver incontrato quella ragazza. Il suo viso le sembrava familiare, come se l'avesse già visto centinaia di volte. Ben pensandoci era sicuramente così. Erano compagne di Casata e la ragazza aveva solamente un anno in più di lei, quindi si erano probabilmente incrociate spesso, sia nei corridoi che in Sala Comune. E, in più, erano entrambe dei prefetti. Eppure, era certa che non si trattasse di quello. Si erano forse già parlate? No, non le sembrava di ricordarlo. Allora dove poteva averla vista?«Scusa la domanda... Fai per caso parte del Lumaclub?» Chiese con un'espressione interrogativa dipinta in volto. Era parte di quel gruppo ed era la prima cosa che le era venuta in mente, l'unica che le sembrava avesse un senso«Scusa la domanda... Fai per caso parte del Lumaclub?» Chiese con un'espressione interrogativa dipinta in volto. Era parte di quel gruppo ed era la prima cosa che le era venuta in mente, l'unica che le sembrava avesse un senso.
[ Tiana ]
« Riddle ».Il sol nominare quel Serpeverde innervosì Tiana. Non aveva mai avuto modo di parlargli granché – considerato che appartenevano a due Case e anni differenti –, ma la sua fama di certo precedeva il suo nome – e a detta delle voci che circolavano sul suo conto, non si poteva certo definire una “buona” fede, sebbene fosse considerato un ottimo studente, oltre che un rispettabile Prefetto.« Purtroppo tutti i Serpeverde con ideologie razziste non sono esattamente le persone più simpatiche sulla faccia della Terra ».Un po’ per orgoglio personale, un po’ per orgoglio nei confronti della famiglia da cui preveniva, Tiana non riusciva ad accettare il fatto che valesse zero per persone che, nel mondo magico, erano allo stesso livello di prestigio e importanza dei Boyle. Ancora trovava difficoltà ad accettare che il fatto che provenisse da una famiglia nobile non era considerato “importante” da persone come Riddle, perché vicino a “nobile” doveva essere aggiunto l’aggettivo – e spesso dispregiativo – “babbana”. Quali differenze, però, vi erano tra lei e loro? Nessuna.« Lumaclub? », ripeté la Corvonero, colta di sorpresa. « No, non ne faccio parte – però sono nella squadra di Quidditch come Cacciatrice ».
[ Arya ]
Si trovò completamente d'accordo con la ragazza. Quella Casata era probabilmente quella con più pregiudizi sulle persone con il sangue "impuro" e lei ne aveva avuta un'esperienza diretta diverse volte. «Purtroppo la maggior parte dei Serpeverde ha queste idee. Il che rende difficile poter parlare civilmente con loro.»Probabilmente la maggior parte delle conversazioni che aveva avuto con gli studenti della Casa di Salazar erano degenerate in "questioni della purezza del sangue". Suo padre era un mago, mentre sua madre non lo era; probabilmente questa cosa l'avrebbe condizionata per tutta la vita. Non poteva credere che fosse così; lei era abituata a giudicare le persone in base alla loro essenza, a quello che erano realmente, non al loro stato di sangue. Sapeva, tuttavia, che una buona parte del mondo magico avesse pensieri contrapposti ai suoi. «Ecco che cos'era!»Disse annuendo, improvvisamente ricordandosi di averla vista qualche giorno prima recarsi agli allenamenti di Quidditch.«Sapevo che tu avessi un altro ruolo, oltre a quello di prefetto, ma non ricordavo quale.»Accennò un sorriso, soddisfatta. Odiava non ricordare qualcosa. E, finalmente, aveva capito a cosa era associata quella sensazione di familiarità che aveva provato vedendo la ragazza.Probabilmente la maggior parte delle conversazioni che aveva avuto con gli studenti della Casa di Salazar erano degenerate in "questioni della purezza del sangue". Suo padre era un mago, mentre sua madre non lo era; probabilmente questa cosa l'avrebbe condizionata per tutta la vita. Non poteva credere che fosse così; lei era abituata a giudicare le persone in base alla loro essenza, a quello che erano realmente, non al loro stato di sangue. Sapeva, tuttavia, che una buona parte del mondo magico avesse pensieri contrapposti ai suoi. «Ecco che cos'era!»Disse annuendo, improvvisamente ricordandosi di averla vista qualche giorno prima recarsi agli allenamenti di Quidditch.«Sapevo che tu avessi un altro ruolo, oltre a quello di prefetto, ma non ricordavo quale.»Accennò un sorriso, soddisfatta. Odiava non ricordare qualcosa. E, finalmente, aveva capito a cosa era associata quella sensazione di familiarità che aveva provato vedendo la ragazza.
[ Tiana ]
Tiana si ritrovò ad annuire, con un lieve cenno del capo. Purtroppo, era quasi impossibile avere una qualsiasi discussione civile, un qualsiasi scambio di idee o di opinioni era paragonabile a una missione impossibile con gli studenti della casa di Salazar. Ragion per cui, aveva imparato a evitare gran parte dei Serpeverde, a cercare di confrontare i propri ideali con quelli loro e di trovare un punto in comune – poiché quest’ultimo non esisteva: i loro punti di vista entravano in collisione, costantemente, provocando solo una nuova guerriglia. Una guerriglia che forse – non sempre, però, era così – portava a ferite fisiche, ma che scavava nell’animo di almeno una delle due parti – se non entrambe – e feriva più di una qualsiasi maledizione o di un qualsiasi incantesimo. Quante volte si era sentita dire “sporca Nata Babbana” o le era stato detto tra le righe che era praticamente inutile, che non aveva il diritto di essere definita una “strega”, di respirare la medesima aria di molti Purosangue. Spesso quegli attacchi l’avevano ferita, ma l’orgoglio le aveva sempre infuso la forza necessaria per affrontare il tutto quell’odio e disprezzo a testa alta.« Sì, è dallo scorso anno che gioco nella squadra di Quidditch ».“Anche se in teoria non dovrei”. Tiana tacque quel pensiero, non dandogli modo di concludere la frase. Sua madre si era sempre opposta all’idea che una ragazza nobile come lei si avvicinasse agli sport, di qualunque genere essi fossero. Figurarsi come avrebbe reagito, se le avesse spiegato in cosa consisteva il Quidditch e quanto pericoloso potesse rivelarsi.
[ Arya ]
Credono che il sangue sia indice delle capacità di una persona, ma non sanno quanto si sbagliano.»Lo disse quasi senza riflettere. Non era certa che la ragazza avesse voglia di parlare di quell'argomento, ma quando si iniziava, lei non poteva fare ameno di difendere la propria posizione. In quanto Mezzosangue si era sentita più volte giudicare e schernire per via delle origini di sua madre e ogni volta aveva avuto la stessa reazione di collera. Non poteva tollerare che insultassero sua madre. L'aveva conosciuta per breve tempo, ma suo padre le ripeteva sempre che era una delle donne migliori che avesse mai incontrato e che lei le assomigliava molto. E lei era incredibilmente fiera, di questo.«Il Quidditch non è esattamente tra le cose che mi interessano maggiormente, ma faccio sempre il tifo per la mia squadra. Siete davvero forti!» Si complimentò con la ragazza. Pensava davvero che fossero un'ottima squadra. Lo sport non le interessava più di tanto, ma quando si recava a vedere le partite, rimaneva sempre colpita dalle abilità dei giocatori. Riuscivano a volare ad una velocità sorprendente, svolgendo contemporaneamente i propri ruoli. Era incredibile. Lei ci aveva provato, ma decisamente non era nata per l'attività fisica. Anche le lezioni di volo al primo anno non le erano andate molto bene; le sua abilità con la scopa erano molto ridotte.«Si, ne faccio parte. Malgrado Pozioni non sia la materia che prediligo, me la cavo bene. Il suo nome mi sembra familiare... Quanti anni fa ha lasciato Hogwarts?»
[ Tiana ]
« Temo che dovremmo sfatar loro quel mito: a quanto pare, la capacità di dire baggianate è più che riconducibile alla loro mentalità chiusa – non parlo di Stato di Sangue, considerato che conosco Purosangue che sanno usare il cervello ».Tiana non si premurò di celare l’ironia che accompagnava buona parte di quella frase. Lei era esattamente come le sue iridi: cristallina. Non si preoccupava di mantenere toni pacati, quando si giungevano a certi argomenti, a cercare un antidoto per il veleno che accendevano i suoi discorsi. Era sincera, nel bene e nel male. Non temeva cosa gli altri pensassero di lei – se la definissero esagerata o fuori di testa. A dirla tutta, non era nemmeno spaventata dall’idea di affrontare tutti coloro che credevano che lo Status di Sangue fosse il motivo per cui loro potessero decidere delle vite altrui. Aveva discusso a lungo su questi argomenti, non si era mai tirata indietro davanti agli scambi d’idee e di opinione. Purtroppo, non sempre finivano come sperava lei: alcune volte era inevitabile che l’aggredissero e insultassero; altre volte, darle della “sporca Nata Babbana” era l’unica difesa che i suoi interlucori avevano, poiché incapaci di trovare un modo per obbiettare alle sue parole.« Il vero problema è che, purtroppo, non sono solo i Serpeverde a pensarlo – chissà quanti Corvonero ne sono convinti, o Grifondoro, o Tassorosso ».La ragazza aveva sempre pensato a quell’eventualità, al fatto che un giorno avrebbe dovuto scontrarsi con un suo compagno di Casa e non più con uno degli studenti di Salazar. La cosa la preoccupava, ma al tempo stesso l’aiutava a ricordarsi che bene e male non erano altro che due facce della stessa medaglia.« Ti ringrazio per i complimenti e per il tuo tifo, e – ehi –, tranquilla, il Quidditch non deve interessare tutti. Mia sorella? Ha finito due anni fa, quand’ero al quarto anno. Lumacorno stravedeva per lei: Ariana ha i capelli biondo rame e, uhm, gli occhi marroni, ma alcune volte sembrano quasi verdi ».
[ Arya ]
«Sono d'accordo con te. Ci sono dei Purosangue che sanno ragionare o, almeno, che sanno andare oltre al semplice stato di sangue.» Disse, ricordandosi delle persone che, nonostante secondo i canoni di purezza del sangue si sarebbero potute permettere di considerarsi migliori, l'avevano trattata in maniera gentile o, almeno, non si erano spinti a prenderla in giro per il fatto di essere nata dall'unione di un mago e una babbana. Era grata che esistessero persone come loro, le facevano vedere il mondo in maniera migliore, facendole capire che, se fosse successo qualcosa, avrebbe avuto anche dei Purosangue al suo fianco, a difendere lei e gli altri Mezzosangue e Nati Babbani.«Sì, è la cosa più triste. Non riesco davvero a capire per quale motivo anche gli studenti delle Casate diverse da Serpeverde pensino che solo le persone pure abbiano il diritto di avere un'istruzione magica. Tra i quattro fondatori, a quanto so, solo Salazar aveva questo pensiero. E' vero che l'appartenenza ad una Casa non dice tutto di una persona, non voglio /assolutamente/ generalizzare. Sono solamente perplessa da questo loro atteggiamento, molto più rispetto a quello dei Serpeverde. Il mio pensiero è che tutti coloro dotati di magia abbiano il diritto, e il dovere, di imparare a controllarla.» Aggiunse, esprimendo tranquillamente le proprie idee di fronte a Tiana. L'aveva conosciuta pochi minuti prima, ma già aveva capito che parlare con lei era piacevole, anche se gli argomenti di cui si discorreva non fossero dei più allegri.«Non mi dispiace assistere alle partite, ma a giocare proprio non mi ci vedo. Sarà che la mia famiglia non è mai stata portata per lo sport, sarà che preferisco le mansioni intellettuali rispetto a quelle fisiche, non so. Sta di fatto che sono una frana nel volo, quindi puoi solo immaginare quanto siano /limitate/ le mie capacità nel Quidditch. Sì, ora che ci rifletto bene, la ricordo. E ho la vaga sensazione che Lumacorno straveda /ancora/ per lei. E' in una delle prime file della sua mensola, un posto importante che il professore riserva solo a coloro che ritiene siano i migliori.» Ricordava chiaramente di aver visto la fotografia di una ragazza che assomigliava in qualche modo a colei che si trovava di fronte a lei in quel momento e rimembrava le parole di ammirazione che l'insegnante di pozioni aveva riservato per tutti coloro che erano riusciti, a detta sua, a guadagnarsi un posto sulla mensola. Si vantava spesso di aver avuto come alunni delle persone che erano divenute importanti e, evidentemente, la sorella di Tiana era una di esse.
[ Tiana ]
Tiana schiuse le labbra per dire qualcosa, per rispondere alle affermazioni di Arya, ma poi si ritrovò a richiuderla. Di certo, sì, trovava molto triste che l’ideale della Purezza del Sangue fosse diffuso in più studenti e non solo tra coloro da cui le persone se lo sarebbero più aspettato. Non era forse stato Salazar ad andarsene perché non accettava che la scuola fosse aperta a tutti? Quel lato della storia di Hogwarts era conosciuto da tutti e interpretato in maniera diversa secondo i punti di vista: c’era chi trovava sconveniente, sbagliato e irrispettoso l’ideale del Fondatore; e chi, invece, considerava che, se si fosse seguita quella sorta di “politica”, a Hogwarts ci sarebbero stati molto meno problemi. Era impossibile decidere cosa fosse giusto o cosa non lo fosse, era tutto così soggettivo e niente sembrava essere abbastanza certo da essere classificato come “oggettivamente corretto”.« L’ignoranza e il razzismo, sicuramente, sono i peggiori nemici dell’essere umano – soprattutto quando inducono le persone a uccidersi a vicenda, pur di far prevalere una loro opinione. Purtroppo, non credo che esista una maniera per sconfiggerle: adesso il problema gira intorno allo Stato di Sangue, all’importanza di provenire da una famiglia importante, di origini prettamente Purosangue. Poi, però? Quale sarà la loro scusante? L’ignoranza trova sempre un appiglio e lo trasforma in odio, razzismo. L’intelligenza, per quanto ben superiore sia, spesso non basta come arma per contrastare tutto ciò. Vi sono persone razziste, ma che fanno un buon uso del cervello – per quanto mi dispiaccia dirlo. Non li definisco intelligenti, poiché per me non lo sono affatto. Dove l’intelligenza, la diplomazia falliscono, ecco che subentrano la forza bruta, la guerra. Alla fine, cadiamo tutti nella stessa trappola: cominciamo a odiarci, a non vedere di fronte a noi degli esseri umani, ma semplicemente dei mostri, degli assassini. Ci macchiamo delle loro stesse colpe, ma ci definiamo superiori. Non so quanto sia vero questo punto ».La Corvonero quasi non si rese conto di quanto avesse parlato. Le capitava, spesso, di non porsi dei limiti, di lasciare che il fiume di parole straripasse – in special modo quando si trattava di quegli argomenti. La sua determinazione sembrò quasi svanire quando Arya le fece intuire quanta ammirazione provasse ancora Lumacorno nei confronti di sua sorella, Ariana. Quest’ultima si era sempre vantata di essere una delle preferite del docente di Pozioni, del fatto che le avesse aperto migliaia e migliaia di possibilità nel mondo magico. Tiana arricciò il naso. Fino a quel momento aveva sempre pensato che fossero menzogne, a quanto sembrava non era così.« Mia sorella è diventata una Medimaga, è una delle migliore – non mi stupisce che il professor Lumacorno la adori e ancora la veneri. Ad ogni modo, direi che dovremmo avviarci, non credi? ».
[ Arya ]
Ascoltò attentamente la ragazza mentre parlava, rimanendo stupita dalla fermezza con cui esprimeva e con la quale credeva nelle sue opinioni, nonostante fosse solamente di un anno maggiore di lei. Le sarebbe piaciuto essere altrettanto sicura dei suoi pensieri, ma spesso essi venivano messi in dubbio, persino da se stessa. Stava iniziando ad ammirare Tiana; la sua determinazione, il modo sicuro e disinvolto con cui esprimeva il suo pensiero le davano l’idea di un modello da imitare, di una ragazza che, una volta diventata donna, avrebbe fatto grandi cose. Quando finì di parlare, passò un momento a riflettere sulle sue parole: sì, era vero che con la violenza non si risolveva la situazione e che, al contrario, alcune volte si tendeva a peggiorarla, ma con la diplomazia non sarebbe stato altrettanto possibile porre fine a quella guerra, a quella battaglia che nelle mura del castello si sentiva solo relativamente, ma che al di fuori di esso, si stava trasformando in una vera e propria lotta concreta, con centinaia e centinaia di vittime sia tra i Purosangue, che tra i Mezzosangue e i Nati Babbani.«Sono d’accordo con te su tutto, dal fatto che quella della purezza del sangue sia soltanto una giustificazione, una scusa che, in un altro momento, potrebbe essere facilmente rimpiazzata con una totalmente diversa, fino al fatto che molti dei sostenitori di quegli ideali abbiano un gran cervello che, tuttavia, potrebbero utilizzare in maniera diversa, più utile al mondo magico e, perché no, anche a quello babbano. Su una cosa, però, mi sento di dissentire appena: ovviamente la violenza non dovrebbe mai essere utilizzata, soprattutto da coloro che si battono per difendere il cosiddetto “bene”, ma, certe volte, è l’unica via possibile per riuscire a porre fine a certe spiacevoli situazioni.»Disse quelle parole un po’ titubante, in quanto non era ancora convinta in cosa consistesse il suo pensiero. Erano anni importanti per lei, quelli, in quanto stava iniziando a formarsi un’opione per quanto riguardava tutti gli argomenti principali di discussione. Spesso, infatti, da qualche parola dei compagni o dei professori riusciva a trarre uno spunto per elaborare una riflessione e capire cosa effettivamente lei pensasse di un determinato argomento. Non sempre era facile, anzi, la maggior parte delle volte rimaneva con il dubbio, ma tentava ugualmente di darsi una risposta, una risposta che proveniva da dentro di lei, senza lasciarsi influenzare dal mondo esterno. «Non mi stupisco che sia divenuta una Medimaga importante. Se non fosse così, non la terrebbe su quelle sue “famose” mensole... Sì, sono d’accordo. Dovremmo avviarci.»In quanto membro del Lumaclub, anche lei avrebbe dovuto desiderare di finire su uno di quegli scaffali, eppure la prospettiva di avere una sua foto incorniciata nell’ufficio del professore di Pozioni non le faceva né caldo né freddo. Non voleva diventare famosa, voleva realizzare i suoi sogni, compiere qualcosa di utile, essere felice. Appoggiò il libro che ancora teneva in mano su un tavolo lì vicino, lo avrebbe ripreso quando fossero tornate dalla ronda. Iniziò a camminare verso l’uscita della Torre di Corvonero, continuando a conversare con la ragazza.
[ Tiana ]
Che la violenza fosse inevitabile in certe situazioni, Tiana ne era più che consapevole. Vi erano volte in cui, anche lei, aveva provato l’istinto di esercitarne, di usarla per imporsi e farsi rispettare. Era un istinto naturale, immaginò, che apparteneva a tutti gli esseri umani: quando ci si sentiva minacciati, quando si voleva trovare una scappatoia per farsi notare, quando erano le persone che si amavano ad essere in pericolo, la violenza appariva come l’unica soluzione. Non si vergognava di quel lato del suo carattere, anche se tentava di celarlo e di non fargli prendere il sopravvento su di sé. Era istintivo, impulsivo, ma per sua fortuna era sempre stata una persona più o meno razionale.« Essere violenti, o meglio, la violenza in sé è un tratto che accomuna tutti gli uomini e le donne. Vi è chi fa della violenza la propria forza, il proprio credo e chi invece la ripudia, preferendo usare il cervello e denigrando chiunque la consideri come l’unico modo per eliminare certi problemi. Sinceramente? Io credo di essere nel bel mezzo di entrambe le due ideologie, nel limbo. Vi sono volte in cui divenire violenta mi sembra l’unico modo per difendermi, per impormi, /ma/ c’è sempre la mia razionalità pronta a ricordarmi che non otterrei nulla agendo in questo modo. Inoltre, essendo un Prefetto, temo di non potermi permettere di schiantare o prendere a schiaffi chiunque mi dia fastidio o mi insulti ».Tiana avrebbe potuto trattenere quella piccola confessione, lasciare che rimanesse segreta, che la conoscesse solo lei. La Corvonero, però, era esattamente come il colore dei suoi occhi: limpida, incapace di nascondere le proprie emozioni, di tenerle a troppo lungo rinchiuse in un cassetto del suo cuore. Erano più le volte in cui diceva una verità che feriva, che quelle in cui mentiva. Inoltre, tutte le volte che aveva provato a rifilare una bugia era stata scoperta: chi la conosceva bene, sapeva quanto il suo viso fosse espressivo e lasciasse trapelare fin troppe emozioni.Il Prefetto lanciò uno sguardo verso la Sala Comune, come se si fosse ricordata di dove si trovassero. Vi erano solo loro due – era stata lei stessa ad accertarsi che tutti i loro compagni di Casa andassero realmente nei loro Dormitori – e il silenzio che si era creato riuscì a metterla a disagio. Di quei tempi, era raro che vi fosse così tanta quiete, anche in luoghi come la Biblioteca. Era qualcosa di assurdo, ma si temeva sempre che fossero gli ultimi attimi di tranquillità prima della tempesta. Di una tempesta troppo grande e forte da affrontare e a cui porre freno.« Lumacorno ha provato a infilarmi nel suo gruppo di “studenti prediletti” e non solo perché ero sorella dell’adorabile Ariana », e qui Tiana non poté celare il suo disappunto, dettato dal rapporto complicato che vi era tra lei e sua sorella maggiore, « ma perché trovava interessante che fossi una “ribelle”. Mi sono rifiutata e dopo un po’ ha perso le speranze, anche se di tanto in tanto cerca di capire se ho cambiato idea o meno – piuttosto, quale corridoio controlliamo per primo? ».
[ Arya ]
Annuì, ascoltando le parole pronunciate dalla ragazza, come un piccolo sfogo. Capiva che, spesso, era difficile per persone come loro accettare gli insulti senza reagire, per via della loro carica di Prefetto e della loro coscienza. Non era facile, in quel tempo di guerra e scontri, dove la violenza dilagava, sia all’interno del castello, sia e soprattutto fuori, non seguire l’esempio che veniva presentato ai loro occhi. Erano ragazzi, persone facilmente influenzabili, facilmente convertibili agli ideali a cui si era interessati, se solo si sapeva come rivolgersi a loro. Erano giovani, non avevano esperienza di vita, di guerra. Era facile far loro credere che qualcosa fosse più giusto di qualcos’altro. Era facile far loro credere che /qualcuno/ fosse migliore di qualcun altro. Che qualcuno meritasse di vivere, mentre altri no. Stava a loro imparare a ragionare con la propria testa, a non lasciarsi influenzare dalle opinioni e dagli ideali altrui. Stava a loro cercare le proprie risposte, dentro se stessi, senza accettare passivamente quelle degli altri.«Anche io preferisco non usare la violenza, per nessuna ragione. Sarà che, per la mia età, preferisco cercare di parlare, di ragionare con le persone, invece di passare subito alle maniere forti, o forse sarà che non credo che me la caverei bene utilizzando la forza. Sta di fatto che, per ora, non mi sono mai vista costretta a ricorrere a questo tipo di pratiche, in quanto non sono mai stata messa in pericolo in maniera così seria, in maniera che attentasse alla mia vita. Non sono mai stata costretta ad utilizzare questo tipo di arma, per difendermi e per sopravvivere. Tuttavia, non posso di certo biasimare coloro che lo fanno, soprattutto se hanno una ragione più che fondata per ricorrere a questo. Stiamo vivendo in un periodo storico particolare, in casi come questi la violenza potrebbe quasi considerarsi giustificata, se utilizzata per difendersi, almeno a mio parere.»Quelle ultime parole la riportarono ai pensieri di poco prima. Stava ancora cercando la sua opinione, dentro se stessa e dubitava di poterla trovare velocemente. Era una questione delicata, quella che stavano affrontando e, nonostante in molti le dicessero che era piuttosto saggia per l’età che aveva, era ancora soltanto una ragazza, che si trovava a dover vivere e affrontare cose più grandi di lei, cose che ancora non comprendeva appieno.«Il Professor Lumacorno è molto abile a scegliere e convincere gli studenti ad unirsi al suo club, devi essere molto tenace per non aver ceduto ai suoi continui assilli. Io mi sono lasciata trascinare… Un po’ perché mi piaceva la materia, un po’ perché volevo conoscere qualcuno degli studenti più bravi della scuola. Non mi ci trovo male, ma… bhe, alcuni membri preferirei evitarli.»Disse, sincera, rivelando alcune delle ragioni che l’avevano portata ad accettare il posto che il professore le aveva offerto, qualche tempo prima. Pozioni non era decisamente la sua materia prediletta, ma le piaceva. Inoltre, grazie a quel club, aveva avuto l’opportunità di conoscere alcuni ragazzi veramente simpatici, con i quali aveva avuto il piacere di fare conversazioni davvero interessanti. Non credeva di poterli considerare amici, ma la loro compagnia non le dispiaceva. Tuttavia, per sua sfortuna, non tutti i membri erano così aperti e disponibili; vi erano, infatti, anche Riddle e altri della sua cerchia che non mancavano di rendere l’atmosfera più pesante e tesa ad ogni incontro. Si riscosse da quei pensieri tutt'altro che positivi, facendo tornare la propria attenzione alla ragazza che aveva di fronte a sé.«Io, solitamente, parto dal primo piano, ma se preferisci iniziare da quello più vicino, per me non c’è alcun problema.»
[ Tiana ]
« Il problema è proprio questo, Arya, non tutti sanno imporsi senza evitare di usare la violenza – che sia psicologica o fisica, in ogni caso è sbagliata ». Tiana aveva avuto modo di assistere a situazioni del genere, in cui persino i Prefetti – stanchi di non riuscire a imporsi con le metodologie più consone, adeguate e corrette al ruolo che rivestivano all’interno di Hogwarts – erano giunti ad esercitare una vera e propria “piccola dittatura”, basata sulla violenza psicologica e fisica sugli altri studenti. Se fossero stati da soli, se avessero agito di conto loro e senza che nessuno stesse dietro ai loro “modelli di rispetto”, probabilmente sarebbe stato più semplice sventrare situazioni del genere, porre rimedio e fare in modo che venissero del tutto cancellate e annullate – affiancate, poi, da una punizione esemplare. Il problema sorgeva, però, quando questi “Prefetti – dittatori” erano appoggiati da altri studenti, pronti a seguire gli ordini dei loro “capi” e agire seguendo i principi di quest’ultimi. La situazione che si andava a creare non era poi così differente da quella che vigeva con Grindelwald: vi era il Mago Oscuro al capo di tutto e sotto di lui vi erano migliaia e migliaia di maghi pronti a seguire i suoi ordini, come fedeli cagnolini. L’unica differenza – e forse piuttosto grossa – stava nel fatto che nel caso dei Prefetti – e/o Caposcuola – si trattava di studenti, che ancora dovevano apprendere gran parte delle cose e che comunque non potevano agire in totale libertà; mentre Grindelwald era un mago più esperto di loro, uno dei più temuti. Un Mago Oscuro in tutto e per tutto e forse solo Silente era in grado di eguagliare, se non addirittura superare, la sua forza. « Si dice che “Il mondo è bello perché vario”. Non so quanto sia vero. Forse lo è fino a un certo punto, fin quando nella “varietà” vengono rispettate le idee delle persone – o ancor meglio viene rispettata la persona in sé e, perciò, tutti i suoi diritti, senza far distinzione di colore della pelle, religione, Stato di Sangue, origine. Finché c’è rispetto, si può dire che questo insieme differente di opinioni è bello. Quando, però, si arriva a uccidere, torturare, attaccare a livello psicologico o fisico gli altri, perché si hanno ideologie diverse – non riesco a vedervi della bellezza. È un’arma a doppio taglio il poter pensare con la propria testa: da un lato porta alla democrazia, al discutere di come migliorare una società, come rendere favorevole la vita all’interno di essa; dall’altro può portare alla discordia, alla guerra, alla paura.D’altro canto, se non potessimo usare il nostro cervello, se fossimo costretti a seguire certe regole, certi principi, non saremmo liberi, saremmo sotto una dittatura. La stessa che vi è in Germania o in Russia o in Italia: chissà quanti tedeschi, russi o italiani non la pensano allo stesso modo dei loro “capi”, ma delle volte si accetta di andare contro se stessi, pur di rimanere vivi. Se non potessimo ragionare con la nostra testa, non avremmo possibilità di scelta tra il “Bene” e il “Male”. Ma poi, Arya, esistono veramente il “Bene” e il “Male”? O forse sono solo schieramenti che l’Uomo si è creato per giustificare le proprie azioni? In fin dei conti, ciò che noi consideriamo “Bene”, per chi è dall’altra parte dello schieramento rappresenta il “Male”; al contrario quello che noi consideriamo “Male” per gli altri è il “Bene” ». Il Prefetto inarcò le sopracciglia, assumendo un’espressione seria. Non si rese nemmeno conto di quanto avesse parlato, persa com’era a dar sfogo a tutti i suoi ragionamenti, a tutte le sue congetture – era difficile trovare qualcuno che ascoltasse quanto faceva Arya, il che era davvero frustrante per una Corvonero col cervello sempre in attività, pronto a generare nuovi ragionamenti, nuovi pensieri, a discapito di chi rimaneva ad ascoltare. «Per me possiamo pure partire dal più vicino, non ci sono differenze. Speriamo solo di non incontrare troppi studenti in giro – al contrario di Riddle, non mi diverto a punire troppi ragazzi, spero sempre che non sia costretta a farlo ».
[ Arya ]
«Non posso fare a meno di darti ragione anche su questo, Tiana. Il rispetto è la cosa fondamentale per la vita di una comunità, di un gruppo, che sia essa una scuola come la nostra o una nazione. E’ su questo che si fondano la maggior parte delle nostre regole e delle nostre leggi, sulla parziale limitazione della nostra libertà per far si che non si vada a provocare danni ad altre persone. Non oso immaginare come si sentano coloro che sono costretti a vivere in un posto in cui regna la dittatura, in cui non possono scegliere come agire, la cui libertà è stata completamente sottratta… Ma è anche vero che bisogna imporsi dei limiti, perché la troppa libertà porta a perdere di vista gli obbiettivi comuni di una comunità, a dimenticarsi che essere liberi non deve portare a smettere di rispettare gli altri, nei loro diritti e nelle loro opinioni.» Disse con un tono calmo nella voce che raramente aveva quando parlava con altre persone di argomenti sui quali ognuno aveva una propria opinione personale. Era bello avere qualcuno da ascoltare, da cui essere ascoltati, per potersi confrontare su determinati argomenti senza timore di sfociare in una discussione o, se non peggio, in un litigio. I dialoghi tranquilli come quello potevano portare ad una crescita personale delle persone coinvolte, mentre i diverbi avevano spesso come unica conseguenza quella di infastidire coloro che si ritrovavano a farne parte. Fece una breve pausa, prima di proseguire con l’esposizione della propria opinione, come per chiedere alla ragazza se le era concesso di continuare. Aveva sempre avuto qualche timore nell’esprimere ciò che pensava, infatti preferiva ascoltare piuttosto che essere ascoltata, temendo di annoiare gli altri o di infastidirli. «Spesso si è portati a pensare che il rispetto e la libertà siano due concetti contrastanti, come i diritti e doveri, ma io sono convinta che l’unico modo per far funzionare una comunità in maniera corretta ed efficiente sia l’unione di questi due valori, nonché il loro equilibrio. Ovviamente, come tutte le cose importanti, non è facile, ma se ognuno, nel proprio piccolo, cerca di fare del suo meglio per realizzarlo, non è affatto impossibile.» Concluse, distogliendo poi lo sguardo per posarlo dapprima sulla finestra della Torre e subito dopo sull’orologio appeso alla parete. «Perfetto, allora direi che possiamo iniziare ad avviarci, l’ora è quasi arrivata, ormai. Non sono di certo una persona che si tira indietro quando arriva il momento di dare punizioni a chi se lo merita, non transigo sul rispetto delle regole, ma non è la cosa più importante, per me, non è la cosa che mi ha spinta ad accettare la spilla di Prefetto, quest’estate. Sembra, invece, che sia la cosa più importante per lui, mantenere l’ordine e garantire la sicurezza degli studenti non sembrano cose che suscitano particolarmente il suo interesse.» Concluse, ricordandosi della discussione avuta con Riddle proprio su quell’argomento duarante una ronda notturna e facendo una piccola smorfia, mentre si lasciava alle spalle la loro Sala Comune, per ritrovarsi nel corridoio.
[Role in corso]
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⌠ 25 febbraio 1943 ~ Corridoi ~ “Sono sola, ora.” ~ Arya ed Elessaɾ ~ ‪#‎TSNCOnft‬ ⌡
[Arya]
「Carissima Arya, Ti prego di sederti, perché la notizia che ti sto per dare ti sconvolgerà non poco. Vorrei essere lì per comunicartela di persona, purtroppo, però, non mi è possibile. Come sai, tuo padre si trovava a Dundee per conto del Ministero della Magia e, durante la sua permanenza, il posto in cui si trovava è stato attaccato dalle truppe di Grindelwald. La città era totalmente impreparata ad affrontare un attacco di quel calibro, le forze Auror erano insufficienti ed è stato chiesto a chiunque fosse presente di dare la propria disponibilità per sconfiggere i Reinigerend. Conosci tuo padre, sai che non si tirava mai indietro quando si trattava di aiutare qualcuno e non l’ha fatto nemmeno questa volta. Si è unito allo scontro, cercando di salvare la vita delle persone innocenti di quella città. Purtroppo, però, durante un duello è rimasto gravemente ferito; nessuno ha potuto fare nulla per salvarlo, era ormai troppo tardi. Mi dispiace, bambina mia. Era un mago in gamba, nessuno, tanto meno lui, avrebbe mai pensato che sarebbe finita in questo modo. Non ti avrebbe mai lasciata, lo sai. Eri tutta la sua vita, tutta la sua famiglia. E’ stato coraggioso, tuo padre, a compiere questo gesto; è stato un eroe. Ha dato la propria vita per la difesa di altre persone, Arya. Lo so che è difficile da accettare, ma dovresti farlo, dovresti andare fiera di lui perché questo è quello che vorrebbe da te, ora. Devo andare, adesso, mi aspettano al Ministero. Mi dispiace, tesoro. Appena tornerò, chiederò al Preside il permesso per venire a farti visita. Sono sicura che capirà la situazione in cui ci troviamo.Ti voglio bene, passerotto. Scrivimi presto, sono già preoccupata per te. Non lasciare abbattere, sai che lui non lo avrebbe voluto. Ti avrebbe voluta forte. Un grande abbraccio, la tua Beth 」
Arya lesse la lettera tutta d’un fiato, notando la calligrafia frettolosa e poco curata della donna che l’aveva scritta. Beth teneva molto alle piccole cose come l’ordine e la precisione, quindi la ragazza capì già da quel particolare che c’era qualcosa che non andava. Quando finì di leggere lo scritto, il suo viso era già rigato dalle lacrime. Non poteva crederci, non era possibile che stesse accadendo davvero. Aveva già perso sua madre, non poteva succedere la stessa cosa anche a suo padre. Rimase in silenzio per quelle che le sembrano ore, mentre la tristezza la invadeva e i ricordi più belli del tempo passato con suo padre le scorrevano davanti agli occhi, provocandole ancora più dolore. Uno di essi la colpì più degli altri; poco prima di partire per il suo primo anno ad Hogwarts suo padre le aveva detto: “Se dovesse succedere qualcosa che ti fa star male, non tenertelo dentro. Parlane con qualcuno, ti farà stare meglio. Con qualche tuo compagno, se puoi. O con me e Beth. Sai che potrai scriverci quando vorrai e noi ti risponderemo al più presto.” Aveva seguito quel saggio consiglio molte volte, da quando frequentava la scuola e le era sempre stato estremamente utile. Decise di farlo anche in quel momento; non se la sentiva di stare sola, aveva bisogno di sapere che qualcuno le era vicino, perché le sembra che le persone a cui era più affezionata la stessero lasciando, una dopo l’altra. Con un gesto deciso si asciugò le lacrime e corse fuori dalla Torre di Corvonero, giù per le scale, con la lettera ancora stretta tra le dita. Percorse i corridoi alla ricerca di Sir Elessar, l’unica persona che pensava l’avrebbe potuta aiutare in quel momento particolarmente difficile per lei. Attraversò una buona parte del castello, camminando tra le persone senza mai fermarsi. Ora non piangeva più, ma i suoi occhi rossi e gonfi evidenziavano il fatto che lo aveva fatto fino a poco tempo prima. Quando finalmente lo vide, in un corridoio del terzo piano, le dava le spalle e quindi pronunciò il suo nome per richiamare la sua attenzione, mentre lo raggiungeva correndo. «Sir Elessar! Sir. Mi scusi… Ho bisogno… Ho bisogno del /suo/ aiuto…» La sua voce si spezzò e le lacrime ricominciarono a scendere copiose lungo il suo viso. Il dolore che era rimasto assopito dentro di lei, in quei minuti di ricerca, esplose in quel momento, mentre iniziava a rendersi conto di quello che significava veramente la perdita di suo padre. Si lasciò scivolare lungo la parete, appoggiando i gomiti sulle gambe e prendendosi la testa tra le mani, mentre i suoi singhiozzi si facevano più intensi. La lettera che aveva stretto fino a poco prima, cadde sul pavimento, vicino a lei. Si sentiva sola, terribilmente sola. Non aveva più una madre, non aveva più un padre, non aveva più una famiglia. Beth era tutto ciò che le rimaneva. Sapeva che avrebbe dovuto reagire, che si sarebbe dovuta sforzare di rimanere forte, di non lasciarsi andare, ma non ci riusciva. Il dolore che provava era intenso, incontrollabile, come se qualcuno l’avesse pugnalata più volte al cuore e ora stesse rigirando il coltello nella ferita. La possibilità di potersi riprendere, di poter stare meglio non le sembrava nemmeno considerabile, in quel momento. Riusciva solamente a pensare alla sofferenza, al vuoto che sentiva dentro di sé e alla solitudine che avrebbe caratterizzato la sua vita, la sua casa da quel giorno in avanti.
[Elessar]
Le ultime luci del vespro andavano a spegnersi all'orizzonte. Pallide lingue di fuoco, ancora visibili nel cielo macchiato d'oscurità, rischiaravano quel paesaggio ed allungavano inverosimilmente le ombre sulla landa erbosa, facendole convergere e scontrare come enormi navi alla deriva. La Foresta Proibita, fitta ed imponente, troneggiava sulle rive del Lago Nero, circondandolo per buona parte della sua lunghezza; essa poi si perdeva nell'ombra della sera, svanendo nell'infinito che distingueva la lunga notte. Il sole, prima che venisse inghiottito dalla catena montuosa che circondava il castello dalla parte nord ovest, illuminò obliquamente la superficie del Lago, facendola risplendere di luce propria. V'era qualcosa di assolutamente innaturale in quel paesaggio, ma forse erano le barbarie della Guerra a far sembrare meraviglioso anche il più normale dei tramonti. Elessar si scostò dalla finestra. Quanto gli mancava uscire all'aria aperta e partire per una lunga avventura in compagnia dei suoi amici! Più ci pensava e meno ricordava di quei tempi ormai trascorsi da secoli e secoli di solitudine. Gli mancava il mondo, gli mancavano gli Elfi, gli mancava la propria forma umana; ma cosa significava, per lui, essere in carne ed ossa? Erano passati ottocento anni dall'ultima volta che Arwen aveva attuato l'incantesimo su di sé e a poco a poco, anche la cognizione del materiale si era dissipata insieme ai ricordi. In quel 1943, però, una speranza aveva riacceso l'animo ectoplasmatico di Elessar. C'era una studentessa che egli amava e che ricambiava con lo stesso ardore. Il suo nome era Arya Linnen ed era una brillante Corvonero del quinto anno. Una ragazzina agli occhi di molti, la quale però custodiva molte più potenzialità di certi adulti. Fu lei, precipitosa, ad interrompere i tristi pensieri di Elessar. La sua voce proruppe nell'aria silente, spezzata e bloccata da ciò che Elessar intuì fossero lacrime. Cos'era accaduto? Perché Arya piangeva? E cosa teneva in mano? Non fece in tempo a rispondere, a chiedere, ad informarsi, che la giovane si accasciò lungo il muro, lasciando ricadere a terra quel foglio misterioso che teneva tra le dita. Elessar lesse e tacque al contempo. La lettera parlava della morte del padre di Arya, trapassato con onore per difendere della povera gente. Povera ragazza... così piccola e già sola al mondo. Il fantasma si liberò di un lieve sospiro rattristato e, svolazzando, andò a sedersi affianco alla studentessa, sopra la lettera che non poteva spostare. ≼ Milady... è una notizia terribile. Personalmente, avrei preferito ve la riferissero di persona e non tramite una lettera, ma in un modo o nell'altro è sempre devastante. Posso solo immaginare quanto vostro padre fosse importante per voi, come ogni genitore, dopotutto... ai miei tempi, quando la Guerra sterminava qualcuno di caro, il re era solito donare una somma di denaro alla famiglia come atto di... risarcimento. Ma basta davvero del denaro per colmare un cuore vuoto? No... no, non basta. I dolori sono troppo immensi da sopportare. Posso dirvi, però, che sebbene il primo periodo sia opprimente, piano piano la coscienza torna a controllarsi. La vostra amica... Beth? Ha descritto perfettamente il suo stato. Vostro padre è un eroe, milady. Un eroe, che ha fatto di tutto per salvare altre persone, ma che purtroppo il destino della Morte lo ha ingannato. Piangete per lui, perché non farlo sarebbe disumano, ma pensate soprattutto al / perché / lui ora non è più tra noi. Ho visto tante Guerre, milady, così tante che voi nemmeno immaginate; e non una si è conclusa senza un piccolo o un enorme spargimento di sangue innocente. Custodite l'orgoglio, sotto la tristezza, perché in futuro... esso vi aiuterà. ≽ Concludendo quel discorso, avrebbe voluto stringere la giovane a sé. Non era facile vederla così abbattuta, così distrutta, ma la ragione di ciò era normale. Si limitò a posare una mano evanescente sul suo ginocchio, senza toccarla in modo da non infonderle gelo.
[Arya]
L’aveva cercato lei, era stata lei a chiamarlo, a richiamare la sua attenzione pronunciando il suo nome; eppure, in quel momento esatto, qualcosa si era spezzato dentro di lei e non era riuscita più a trattenersi come aveva fatto fino a qualche secondo prima. Non sapeva cosa fosse stato, probabilmente era la sensazione di comprensione e sicurezza, la sensazione di libertà che sentiva quando stava con lui, che le aveva concesso di sfogarsi, di lasciarsi andare completamente. Era una ragazza emotiva, normalmente, e non era molto abile a controllare le proprie emozioni; quel giorno in particolare quel suo difetto era più evidente che mai. E così aveva cominciato a piangere, a singhiozzare incontrollabilmente e rumorosamente, riempiendo il silenzio che si era creato tra loro, in quel corridoio stranamente e fortunatamente deserto. Quando sentì la sua voce alzò lo sguardo su di lui, lasciando scivolare le proprie mani lungo il corpo fino a posarle per terra, mentre le lacrime continuavano a scendere lungo le sue guance. Ascoltò attentamente le sue parole e quando vide la sua mano incorporea posarsi sul suo ginocchio senti il peso che portava sul proprio cuore, quella cosa che la opprimeva, che la faceva piangere, che la faceva sentire isolata dal resto del mondo chiusa nel suo dolore, diventare un po’ più leggero. Trasse un profondo respiro, cercando di fermare le lacrime e passando una mano sulle sue guance bagnate per asciugarle. Purtroppo, però, i suoi occhi non sembravano voler rispondere ai suoi tentativi, e i singhiozzi tornarono a farsi sentire. Abbassò le palpebre, appoggiando la testa contro il muro, assaporando per qualche secondo il silenzio e cercando di concentrare i suoi pensieri sul ricordo di suo padre, dei bei momenti passati insieme a parlare, a ridere, a giocare. Dopo un paio di minuti, le rialzò, lanciò uno breve sguardo a Elessar, per poi iniziare a fissarsi le mani, intrecciando le dita mentre iniziava a parlare. «S-sì, avete ragione, Sir. Mio padre… Mio padre era un eroe, /è/ un eroe… Ha salvato delle vite, molte. Dovrei andare fiera di lui. E, credetemi, lo sono, ma… Non posso fare a meno di pensare che non avrò più la possibilità di vederlo, non posso fare a meno di pensare che non avrò mai la possibilità di salutarlo come si deve, di dirgli addio, di dirgli che gli voglio bene, per l’ultima volta… Non sentirà mai queste parole uscire dalla mia bocca, /mai/. E mi sento sola, terribilmente sola. Lo vorrei qui, accanto a me… e sono consapevole di quanto egoistico possa essere questo pensiero, sono consapevole del fatto che, probabilmente, la sua presenza significherebbe l’assenza di qualcun altro da qualche altra famiglia, ma non riesco a non formularlo nella mia mente… Ho già perso mia madre, tanto tempo fa, e nonostante di lei abbia solo qualche vago ricordo, il solo pensiero mi fa soffrire ancora. E ora che anche lui se n’è andato, ora che anche lui mi ha lasciata… E’ tutto troppo difficile da sopportare. So che lui non vorrebbe vedermi così, so che vorrebbe vedermi reagire con forza e coraggio, i valori che ha sempre cercato di insegnarmi e che lui stesso ha sempre messo in atto, fino all’ultimo, ma… Mi sembra troppo dura, mi sembra di non riuscire a farcela...» Non sapeva dove avesse tenuto tutto quello, fino ad allora. Sapeva solo che, ancora una volta, era riuscita a confessarsi, ad esprimere tutto ciò che provava, interrompendosi soltanto per qualche breve pausa quando un singhiozzo le faceva mancare il respiro o quando le lacrime diventavano troppe per riuscire a parlare. Non alzò mai lo sguardo su di lui, mentre si sfogava, forse per timore, forse per vergogna; nel suo cuore, tuttavia, sapeva benissimo di potersi fidare completamente di lui, di potersi affidare a quell’uomo, l’unico che era sempre pronto ad ascoltarla e col quale lei era sempre pronta a mostrarsi completamente, senza trattenersi, senza celare nulla.
[Role in corso]
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⌠ 6 marzo 1943 ~ Ingresso ~ “You’re back.” ~ Arya, Denis e Kendeas ~ ‪#‎TSNCOnft‬ ⌡
[Arya]
Erano giorni che pensava alla guerra. La battaglia era scoppiata così improvvisamente, che pochi avevano avuto modo di rendersene conto in maniera immediata. Lei, infatti, stava iniziando a realizzare solo in quel momento il significato della situazione. Gli eventi si erano susseguiti troppo velocemente; era stata bombardata di una miriade di emozioni contrastanti l’una con l’altra. La morte di suo padre l’aveva gettata in uno stato di triste disperazione dal quale, lo sapeva, sarebbe stato impossibile uscire del tutto. Aveva pianto tutte le lacrime che possedeva, non era uscita dalla Sala Comune per giorni, se non per svolgere i doveri necessari. Il ritorno in forma umana di Elessar l’aveva risollevata, l’aveva fatta sorridere di nuovo, per la prima volta dalla scomparsa di Klaus. L’aveva resa felice, concedendole un’intera giornata di gioia completa, come se si trovasse in un’altra dimensione, in un'altra realtà. Non sapeva ancora come fosse stato possibile quel radicale cambiamento di emozioni; forse era dovuto alla sua presenza concreta, fisica accanto a lei, o forse era solamente dovuto al suo sogno d’amore che si era concretizzato. In ogni caso gli sarebbe stata infinitamente grata, sempre, per quello che aveva fatto per lei. Purtroppo, però, velocemente come era diventato umano, era tornato ad essere un fantasma. La sua presenza la confortava ugualmente e le regalava un po’ di gioia negli attimi più bui, ma aveva lasciato una nota di tristezza e rimpianto, in attesa dell’anno successivo, la loro prossima occasione di incontro. Quando si era resa conto che due tra le persone più importanti per lei in quel castello erano partite per recarsi a Dundee a combattere, il suo umore era peggiorato ulteriormente. La paura e la preoccupazione l’avevano colta, ma era ormai troppo tardi. Non era riuscita a salutarli, proprio come non era riuscita a dire addio a suo padre, per l’ultima volta. Se fosse loro successo qualcosa non se lo sarebbe mai perdonato. Era stata troppo presa da tutto il resto che non si era resa conto né che il Preside aveva chiamato a raccolta tutti gli alunni maggiorenni né che loro, proprio loro, avevano accettato. In un primo momento, quando dei ragazzi l’avevano avvisata di questa loro decisione, non ci aveva creduto, aveva pensato che fosse uno scherzo di cattivo gusto, poi, però, la loro assenza si era fatta sentire, pesante, opprimente. Quella mattina, durante la colazione, avevano annunciato il rientro dei professori e degli studenti maggiorenni, accompagnati da numerosi feriti di ridotta gravità, in modo da lasciare il San Mungo per coloro che ne avevano più bisogno. Avevano chiesto il sostegno degli studenti per aiutare a curare i feriti e lei si era offerta volontaria. Aveva perso il padre, in quella battaglia e sentiva il bisogno di darsi da fare. Inoltre, quel compito l’avrebbe aiutata a distrarsi, a non pensare. Non riusciva a farsene una ragione, ad accettare che suo padre non c’era più. L’unica cosa che la faceva andare avanti era il pensiero di lui e sua madre, finalmente insieme, che la osservavano, sperando che non si lasciasse andare, sperando che continuasse a vivere la sua vita. Aveva atteso l’orario di pranzo per tutta mattina, la preoccupazione e la speranza che si mischiavano dentro di lei, confondendola più del dovuto. Sarebbero tornati, entrambi? Sarebbero stati illesi, oppure feriti, anche in modo grave? Queste e una miriade di altre domande si affollavano nella sua mente, mentre, seduta al tavolo dei Corvonero, fissava il piatto, senta riuscire a mangiare nulla. Finalmente, dopo quelle che le parvero ore di attesa straziante, annunciarono agli studenti che si erano offerti per aiutare, di recarsi all’ingresso, per accogliere i feriti e smistarli; quelli più gravi sarebbero andati in infermeria, mentre gli altri sarebbero stati sistemati nella Sala Grande. Quando il portone si aprì, decine di persone cominciarono a varcare la soglia. Molti di loro avrebbero avuto bisogno di aiuto, ma lei, sentendosi incredibilmente egoista, non riuscì a muoversi per dare loro una mano. Fissava ogni singolo individuo che entrava, scrutandoli in cerca dei loro volti. Quando li vide, dopo qualche minuto, un senso di sollievo si fece strada dentro di lei, consentendole di riprendere a respirare; non si era nemmeno accorta di aver trattenuto il fiato. Quando la folla si spostò un po’, però, lei poté notare che Kendeas era ferito; non riusciva a camminare da solo, si reggeva in piedi soltanto grazie all’aiuto di Denis e di un altro studente. Corse verso di loro, raggiungendoli in pochi istanti. «Oh Merlino! Kendeas… Denis… cos’è successo?» Chiese preoccupata, appoggiando una mano sul viso pallido dell’amico più grande, notando che, probabilmente, gli era salita la febbre. Fece una piccola smorfia che indicava la sua agitazione. Non ne sapeva molto di medicina, ma da quel poco che le avevano spiegato al “corso” a cui aveva assistito in quanto volontaria, solitamente non era un buon segno. «Grazie mille per l’aiuto, ora… me ne occupo io. Tu va pure in Sala Grande, è meglio che ti sottoponga ad una visita, per sicurezza.» Disse al ragazzo che aveva aiutato i suoi amici, notando i brutti graffi che aveva sul volto, mentre prendeva il suo posto per sostenere Kendeas. Rivolse uno sguardo preoccupato a lui e a Denis; sebbene il secondo non sembrasse ferito, poteva notare dalla sua espressione che era a pezzi. «Credo… Credo che sia meglio portarlo in infermeria. A-andrà tutto bene, n-ne sono certa…» Concluse tentando di mantenere la voce ferma. Vedere gli amici in quello stato la faceva soffrire, la faceva stare male. Avrebbe voluto fare qualcosa per alleviare le loro pene. In quel momento, però, l’unica cosa che poteva fare era star loro vicina, cercare di confortarli. Nei giorni precedenti non era riuscita a essere forte per se stessa, ma in quel momento doveva provarci, doveva riuscirci. Non per lei, per /loro/.
[Denis]
Le parole che Kendeas gli aveva rivolto per cercare di dissuaderlo dalla folle idea di recarsi in guerra con gli altri studenti maggiorenni erano vivide e impresse nella mente di Denis, come incise sul marmo, un monito doloroso che non mancava mai di ricordargli quanto fosse stato stupido e imprudente. Se solo avesse avuto la possibilità di tornare indietro, avrebbe preso la mano del ragazzo e insieme si sarebbero recati in Sala Grande, avrebbero tracciato una linea sui loro nomi e insieme alla volontà di andare in guerra avrebbero spazzato via il fato avverso che li attendeva entrambi. Il ricordo di quella notte era confuso, un amalgama di rumori e urla. Solo una cosa era ben distinta nella sua memoria: pochissimi istanti prima che tutto accadesse aveva avvertito una morsa fredda al cuore, come se una gelida creatura mostruosa l’avesse stritolato fino a far cessare il battito per farlo riprendere a ritmo rapido subito dopo. Aveva udito Kendeas urlare il proprio nome e poi il ragazzo gli si era lanciato addosso ed entrambi erano caduti a terra; Denis aveva battuto la testa e forse fu proprio per questo motivo che faticava a ricordare. Era tutto troppo confuso: i lamenti di Kendeas, il sangue denso e caldo del ragazzo nelle proprie mani, le voci concitate degli altri. Ricorda di aver stretto il corpo del giovane amato al proprio, di avergli detto che tutto sarebbe andato per il meglio. E poi ricorda il modo in cui gli era stato strappato via dalle braccia. "Lascialo andare, Bennett, cazzo!" Ed era arrivato il buio, silenzioso, e l'aveva inghiottito. Il corpo caldo di febbre dell'altro era attaccato al suo, il braccio stringeva la vita del giovane Greengrass e lo sorreggeva mentre quest'ultimo gli cingeva le spalle; camminavano con lentezza e, se non fosse stato per l'altro ragazzo che lo aiutava, non era certo di essere in grado di sopportare il peso di Kendeas. « Siamo a casa. » Di tanto in tanto glielo ripeteva, con dolcezza, senza preoccuparsi del fatto che l'amato potesse vedere il suo viso straziato e addolorato così in contrasto col tono che aveva usato. Senso di colpa. Dolore. Non c'era altro. Non poteva fare altro se non chinare il capo davanti a quel castigo, alla punizione che il destino gli aveva riservato per la propria scelta. Entrarono lentamente in Sala Grande, il mormorio dei numerosi presenti gli rendeva difficile capire se qualcuno di conosciuto fosse nei paraggi, qualcuno a cui chiedere aiuto, qualcuno a cui affidare il giovane perché ricevesse le cure di cui aveva bisogno. Denis aveva paura, non voleva perdere Kendeas, non voleva che soffrisse per colpa sua; desiderava potersi impadronire del suo dolore, liberarlo e farlo proprio perché era lui a meritarlo, non Kendeas. Fu allora che udì la sua voce. Era lei, non c'era spazio per i dubbi. Un piccolo, minuscolo senso di sollievo lo pervase per qualche istante, il tempo di rendersi conto che non tutto era perduto. Arya era un'amica e sapeva che gli voleva bene almeno quanto loro ne volevano a lei. Non aveva idea di cosa la ragazza avesse passato, del fatto che la guerra avesse ferito anche lei. Eppure ora era lì, ad offrirgli il suo aiuto. « Kendeas ... io ... mi ha difeso ... lo hanno f-ferito a ... alla gamba, la sinistra. Ti prego, a-aiutalo, Arya, per favore. » Lacrime grosse e amare rigarono le guance pallide di Denis mentre cercava di fornire una spiegazione fra i singhiozzi che lo facevano sussultare, rivivere quei momenti era una sofferenza ulteriore e inevitabile. Ma non era il momento di crollare, non era il momento di lasciarsi andare perché Kendeas aveva bisogno di lui ora più che mai. Doveva essere forte. "Andrà tutto bene" diceva Arya e Denis pregò con tutto il cuore che la ragazza avesse ragione.
[Kendeas]
Kendeas odiava la guerra e come dargli torto? A causa di questo stupido scontro, all'età di cinque anni aveva perso i suoi genitori. Il mondo intero si stava distruggendo a causa della guerra ma questo non importava a nessuno. Durante la guerra tutti diventano dei giudici e decidono chi merita di vivere e chi no. Perché si chiedeva Kendeas, perché doveva succedere tutto questo. Ci sono stati uomini che hanno sacrificato la loro vita per garantire quella di migliaia di persone, perché ora uno dei sopravvissuti al sacrificio doveva fare da mietitore privando del diritto alla vita gli altri? Quando scoprì che Dippet metteva a disposizione gli alunni maggiorenni rimase disgustato da quella /vendita/ di giovani uomini e donne che avrebbero dovuto rischiare la vita per rispondere a una guerra infinita contro un nemico immortale. Inizialmente non ebbe alcuna intenzione di firmare. Non temeva per se, temeva per tutti gli innocenti che sarebbero morti per puro divertimento di uomini il cui motto è “Per il bene superiore”. Si avvicinò al foglio, curioso di scoprire chi avesse firmato e il sangue gli si gelò nelle vene alla vista di “ Denis René M. Bennett”. Aveva firmato senza dirgli nulla, senza parlargli, senza discutere. Kendeas ancora ci pensava mentre veniva riportato a Hogwarts dal suo amato, colui per il quale aveva rischiato la vita in quella trincea. Si era pentito di aver permesso a Denis di andare in guerra, non l’avrebbe dovuto permettere. Ora lui era li lo sorreggeva e cercava di tranquillizzarlo ma in realtà soffriva e la smorfia sul suo viso lo confermava perfettamente. Non si sentiva più la gamba, era come se qualcuno l’avesse staccata e ne avesse messo una finta. Sanguinava, lo sentiva. Era ridotto davvero male ma riuscì comunque a sorridere quando sentì la voce di Arya. Alzò il viso e gli occhi gli brillarono per la prima volta durante quel lungo tragitto. Era davvero a casa, Denis non gli aveva mentito. Era davvero finita e lui, il suo amato stava bene. “ Arya, sei davvero tu? Non preoccuparti per me, Denis ha preso una botta in testa, occupati di lui, ti prego…” Disse sfiorando il viso di lei allontanandosi dal ragazzo che aveva aiutato Denis a portarlo a Hogwarts. Sentì la guancia di lei umida e aggrottò appena le sopracciglia scuotendo la testa. “ Non piangere figlia di Atena, stiamo bene, entrambi.” Le disse cercando di tranquillizzarla mentre sentiva la gamba destra cedere sfinita. Se non si fosse riavvicinato il giovane, sarebbe caduto a terra e avrebbe dovuto ammettere che probabilmente aveva bisogno di cure immediate. Nonostante ciò si guardò intorno e ignorando il dolore sorrise ancora una volta, beandosi della vista del castello che mostrava tutta la solidarietà possibile agli studenti, come a chiedere scusa del precedente atto di egoismo testimoniato dalla pergamena firmata da gran parte dei ragazzi.
[Arya]
Quando l’amico gli disse quale fosse il problema, lei spostò il suo sguardo dai loro volti sofferenti per posarlo sulla gamba ferita del ragazzo. Il pantalone era inzuppato di sangue, lo poteva chiaramente vedere, ed era strappato in diversi punti, sottolineando la serietà della situazione. Per un breve istante, tutto quello che aveva imparato al corso in preparazione all’arrivo dei feriti di guerra sembrava essere svanito dalla sua mente. Sbatté le palpebre, più volte, cercando invano di trattenere le lacrime e recuperare la lucidità. La situazione era più seria di quello che le era sembrata ad un primo sguardo; non c’era tempo di aspettare, Kendeas doveva ricevere cure esperte al più presto. L’infermeria era bene attrezzata, lo sapeva in quanto aveva avuto modo di aiutare ad allestirla. La Madama era preparata per certi casi, inoltre, vi era anche qualche medimago inviato dal Ministero ad aiutarla in questo difficile e faticoso compito. Deglutì, riprendendo il controllo di se stessa e si schiarì la voce. «Sì… Sì, lo farò. Vi aiuterò entrambi. Starete bene, tutti e due.» Affermò con un tono più fermo e controllato rispetto a quello usato precedentemente, nonostante sul suo viso ci fosse ancora traccia di quelle lacrime che aveva versato prima. Condusse i due amici verso la colonna più vicina e fece appoggiare Kendeas alla fredda pietra, in modo da potersi inginocchiare di fronte a lui senza che troppo peso gravasse sulla gamba ferita. Aprì la borsa che portava a tracolla, attrezzata di tutti i materiali di primo soccorso, e ne estrasse delle bende e una stecca di legno. Nonostante il corso, non era abbastanza informata ed esperta da riuscire a capire cosa avesse l’amico, ma credeva che era meglio bloccare la gamba e praticare una fasciatura stretta in modo da arrestare la possibile emorragia in corso. Sperava che quella fosse la mossa giusta, perché, in caso contrario, non avrebbe saputo che altro fare. «Denis… Ti consiglio di stingergli la mano, perché quello che sto per fare probabilmente gli causerà dolore… Scusami, Kendeas…» Disse a mo’ di avvertimento, prima di costringere l’amico a stendere la gamba ferita con un gesto deciso e rapido. Fissò la stecca ad essa con una fasciatura più stretta verso l’alto per ridurre il passaggio e la conseguente fuoriuscita di sangue. Mentre faceva quel lavoro, cercando di essere il più delicata possibile, in modo da causare poco dolore al ragazzo, strinse i denti, concentrandosi su quello che faceva ed eliminando ogni altro pensiero. Quando ebbe finito, si rialzò e, facendo passare lo sguardo dall’uno all’altro, notò che anche Denis non era uscito completamente illeso dallo scontro. «Come va… con la fasciatura? Pensate di riuscire a camminare fino all’infermeria?» Chiese, titubante, sperando che il suo intervento avesse aiutato l’amico e non peggiorato il suo malessere. Sperava in una risposta affermativa da parte di entrambi, perché sapeva che Kendeas aveva bisogno di una mano esperta, il prima possibile, e anche Denis, a parere suo, aveva bisogno di un controllo. Non era certa di nulla, in quel momento, se non del fatto che avrebbe fatto il possibile per fare star meglio gli amici. Aveva già perso tanto in quella guerra, non poteva permettere che succedesse loro qualcosa di male.
[Denis]
Sbuffò e scosse la testa nell'udire le parole di Kendeas, possibile che anche mentre era ferito, mentre la sua gamba rappresentava la più impellente urgenza, il ragazzo dovesse preoccuparsi per lui che, eccezion fatta per qualche taglio e qualche livido, era praticamente illeso. Certo, aveva battuto la testa e subito dopo aveva perso i sensi, quando si era risvegliato aveva la nausea e sentiva un ronzio continuo alle orecchie. Ronzio che non era cessato nei giorni successivi, neppure quando finalmente ritornarono ad Hogwarts. Ma pensava che uno stupido ronzio non fosse importante, non di fronte all'arto sanguinante del giovane che amava. « Ma quale botta alla testa! Sta' zitto, Kendeas, non ho un bel niente. Per una volta lascia che sia io a preoccuparmi per te. » Disse spazientito, mentre il pensiero che le proprie parole potessero essere interpretate in maniera ambigua non gli sfiorava la mente come invece avrebbe fatto di solito. Che importava, ora, che qualcuno pensasse che provava qualcosa per Kendeas? Ciò che davvero contava era che il ragazzo venisse curato e assistito il prima possibile. Accompagnò Kendeas laddove Arya li aveva condotti entrambi e fece appoggiare il ragazzo a sé e alla parete di pietra. Denis avrebbe voluto ringraziare Arya, dire quanto fosse contento che fosse lei a prendersi cura di Kendeas, lei che era un'amica e una persona fidata; dalle sue labbra non fuoriuscì alcunché mentre ascoltava la giovane rovistare fra le proprie cose. I pensieri più negativi presero ad affollare la mente di Denis: e se fosse stato troppo tardi e Kendeas avrebbe dovuto passare il resto della propria vita con una gamba amputata? Come avrebbe fatto /lui/ a vivere con il peso di essere l'unico responsabile di quell'orribile mutilazione? Si morse il labbro e la voce di Arya lo riportò alla realtà. No, non doveva lasciarsi prendere dal panico, doveva restare lucido fino all'ultimo. Prese la mano di Kendeas, la strinse forte, con quella stretta voleva comunicargli che gli sarebbe sempre rimasto accanto nel bene e nel male, che poteva contare su di lui, che gli dispiaceva infinitamente di aver causato tutto quel dolore ad entrambi. C'era tanto che Denis voleva dire a Kendeas, ad Arya, ma le parole restavano ferme nella sua mente, incapace di dar loro voce. « Sì, io ce la faccio. Kendeas ... non so, non credo. È meglio che non sforzi la gamba ferita ... potrei provare a tenerlo in braccio. » Rispose, incerto. Era pronto a fare di tutto per lui, ma non era certo di essere in grado di trasportarlo fra le braccia fino all'Infermeria. Si sentiva debole, stanco, così tanto che si sarebbe steso a terra e avrebbe dormito sulla pietra.
[Role in corso]
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「 The Four Ravenclaws | 20.02.1943 | Sala Comune Corvonero 」
[ Tiana ]
Il malumore di Tiana aveva raggiunto livelli incredibili ed era impossibile riuscire a celarlo, soprattutto ai suoi compagni di Casa. Con un sospiro, si lasciò cadere su una delle poltrone della Sala Comune, massaggiandosi le tempie doloranti. Aveva un gran mal di testa e la confusione che era regnata in Sala Grande, di certo, non l’aveva aiutata ad alleviare il dolore. “Maledetto Shelby”. Ed ecco il motivo di tanto nervoso e verso cui miravano tutti i suoi pensieri. Aveva litigato con John Shelby, dopo che quest’ultimo aveva aggredito Denis. Aveva agito d’impulso, non si era posta il problema che – forse – avrebbe potuto ferirlo, pur di porsi in difesa del suo compagno di Casa. “ « Mi fai schifo » ”. Davvero aveva detto quelle tre parole? Davvero si era spinta oltre la soglia del buonsenso? Ancora stentava a credere che proprio lei avesse sputato così tanto odio nei confronti di un ragazzo che, alla fin fine, cominciava ad attirare la sua attenzione, sotto ogni aspetto di quella parola. Non poteva negarlo a se stessa, per quanto avrebbe voluto farlo, ma, sì, John stava cominciando a piacerle – fin troppo per i suoi gusti. « Non so voi, ma questa è proprio una giornata da dimenticare ».
[ Mirtilla ]
Mirtilla era riuscita a scappare dalla Sala Grande, un pò ammaccata ma miracolosamente senza altri incidenti. La caduta dalle scale di qualche ora prima le provocava ancora dolore alla schiena, ma la soddisfazione nel vedere quella civetta di Druella lavata dalla caraffa che lei aveva lanciato, le donava sollievo. Era successo un finimondo quella sera, ma era anche una delle poche volte in cui la giovane Bolton non si trovava a dover piangere da sola in bagno o in dormitorio, quindi poteva ritenerla una bella giornata, in confronto al solito. Dal momento in cui era salita in Sala Comune, risolvendo senza problema l'indovinello, non era passato troppo tempo prima che gli altri facessero lo stesso. Mirtilla li guardava riempire la stanza bronzo e blu, mentre con le spalle appoggiate al muro, si beava del calore del fuoco del camino, stando comodamente seduta su un cuscino raccattato ai piedi del divano. A spezzare il silenzio fu Tiana che, da quanto poteva vedere, era ancora arrabbiata per quanto successo nella sala del refettorio. « Per i miei standard,» rispose « direi che ripetere una giornata così non mi dispiacerebbe. A me fortunatamente è andata bene.» Strizzò un codino bruno, rinsaldando la stretta del nastrino di raso azzurro con cui aveva legato i capelli quella mattina e fantasticò qualche istante sul piacere di non essere stata insultata dalla Serpeverde Olive Hornby e di essere riuscita a parlare con Riddle senza ripercussioni. Alzò la testa quel tanto che bastava per guardare i presenti, poi chiese - a nessuno di specifico- « Alla fine Shelby ha vomitato per strada o è riuscito ad arrivare in infermeria senza spargere schifo per il castello? » Sebbene Mirtilla fosse consapevole di sembrare egocentrica a tutti e di dare l'impressione di non pensare a nessuno se non a sé stessa e ai propri sentimenti, in realtà si preoccupava per chi la circondava. Sì, anche se con questi non aveva mai scambiato molte parole.
[Arya]
Si era svegliata quella mattina con un terribile mal di testa. Le ci era voluto parecchio tempo per capire la situazione in cui si trovava, per accettare che tutto quello che ricordava di aver fatto quella settimana non fosse frutto della sua immaginazione, non fosse un sogno, ma solo la terribile e mortificante realtà. Aveva passato gli ultimi giorni a umiliarsi, inseguendo Potter in giro per il castello, corteggiandolo e permettendogli di fare quasi qualsiasi cosa volesse, persino infrangere le regole. Per colpa di quello stupido scherzo di cattivo gusto aveva trascurato i suoi doveri di prefetto, si era resa ridicola e, cosa peggiore di tutte, aveva ferito la persona che amava. Si era costretta a uscire dalla Torre di Corvonero quella mattina solo perché sapeva che adempiere ai suoi doveri era la cosa migliore che potesse fare. Si era continuata a ripetere che sarebbe potuta essere fortunata; forse non avrebbe incontrato il fantasma, né tanto meno quel combina guai di Potter. Infatti, lo era stata per tutto il giorno, fino a quando si era recata in Sala Grande, poco prima. Lui si era presentato con quel suo solito saluto, pronunciato con un tono gentile che rivolgeva sempre a tutti, quel tono che ormai si era abituata ad ascoltare e aveva iniziato ad amare. Non era riuscita a ignorarlo; sapeva che avrebbe solamente peggiorato la situazione, facendolo. Dopo poche parole, però, si era accorta che il suo comportamento era diverso. Aveva saputo. Aveva saputo come si era comportata in quella settimana ed era ferito, deluso da lei. Mentre, seduta in Sala Comune si stava lasciando prendere dallo sconforto, fissando le fiamme che scoppiettavano nel camino, le voci di due ragazze la distolsero dai suoi pensieri. «Settimana da dimenticare, direi.» Sospirò con un tono quasi disperato. Doveva trovare il modo di farsi perdonare, di rimediare a quello che era successo. Non sopportava che lui le rivolgesse quello sguardo deluso e che la trattasse con freddezza. Le faceva male, la feriva più di qualsiasi altra cosa. «Shelby? Cosa gli è successo? Quando me ne sono andata, pensavo che il litigio fosse finito.» Chiese, leggermente incuriosita. Parlare d'altro magari l'avrebbe fatta stare un po' meglio. Non poteva cambiare il passato e continuare a rimuginarci sopra l'avrebbe sicuramente fatta stare peggio.
[Denis]
Lo scherzo dell'Amortentia, da parte di colpevoli ancora ignoti, per ironia della sorte aveva accresciuto il sentimento già forte che Denis provava per Kendeas. Nei giorni in cui fu vittima dell'effetto del filtro Denis non si mise alcuno scrupolo a sbandierare ai quattro venti il suo amore per il ragazzo ed era questa una cosa che lo rendeva inquieto: sapeva bene che nessuno poteva scoprire la relazione che aveva con il greco perché le conseguenze sarebbero state sicuramente poco piacevoli. Kendeas, però, dopo aver assunto la pozione aveva perso la testa per Alphard Black e all'improvviso Denis si era ritrovato abbandonato dall'unica persona che mai aveva amato e le pene che patì in quei giorni si fecero sentire anche quando ormai l'effetto dell'amore fittizio era svanito. Non aveva ancora avuto modo di chiarirsi con l'amato, questi pareva evitarlo e aggiungeva ulteriore sofferenza all'animo tormentato di Denis: non solo doveva convincere tutti, anche coloro che sospettavano del contrario, che l'infatuazione per Kendeas era stata solo frutto dell'Amortentia, ma doveva anche risolvere quel piccolo disguido con il giovane che minacciava di farlo impazzire. Come se tutto ciò non fosse abbastanza, John Shelby si era convinto dell'assai improbabile idea che fosse stato proprio Denis l'artefice dello scherzo che lo aveva fatto innamorare proprio di quest'ultimo. Dopo aver appreso che si trattava di un unico, grosso malinteso il Corvonero non aveva dato peso al bacio che John gli aveva dato o a tutte le attenzioni ricevute da lui. Eppure John non sembrava essere dello stesso parere e, dando spettacolo in Sala Grande, lo aveva aggredito. Quando finalmente era riuscito a tornare alla pace della Torre di Corvonero, aveva preso posto in una poltrona accanto al fuoco e si era rilassato, ad occhi chiusi, quasi come se dormisse. Quella, per lui, era stata decisamente una giornata da cancellare. E c'era chi era del suo medesimo parere. Denis ascoltò le ragazze in silenzio, indeciso se prendere parte o meno a quella che sembrava una conversazione di sole donne; pensò, però, che sfogarsi e parlare con persone che poteva considerare amiche lo avrebbe aiutato ad andare a letto più sereno, senza che spiacevoli pensieri lo tenessero sveglio. « Mi ritrovo d'accordo con Arya: settimana da buttare ... » Esordì con tono mesto, mentre si raddrizzava sulla poltrona ed abbandonava la testa all'indietro su di essa. Emise un debole sospiro frustrato, poi proseguì: « Ma ditemi che è successo quando sono andato via. »
[Tiana]
Il fatto che Mirtilla e Arya avessero riportato a galla il discorso “John Shelby” non l’aiutò affatto. Tiana si ritrovò a sbuffare, mentre scivolava sempre più con la schiena, finché non si ritrovò per terra e con la testa appoggiata al divano della Sala Comune dei Corvonero. Chiuse per qualche istante gli occhi, cercando di assaporare la pace del momento, ma non vi riuscì. Tutti i suoi pensieri ronzavano attorno alla figura del Serpeverde e del suo atteggiamento incomprensibile. Il fatto di non riuscire a comprenderlo appieno, a delineare la sua personalità, la faceva mandare in bestia – o forse era qualcos’altro che la innervosiva, ma era troppo orgogliosa per ammetterlo anche a se stessa. « Io e Shelby abbiamo litigato – questa non è una novità ». In effetti, non era la prima volta che accadeva: anche nei giorni precedenti si erano ritrovati a discutere – in maniera molto animata –, sempre perché lei era mossa dall’istinto irrefrenabile di difendere Denis, il suo compagno di Casa, nonché amico. Non sapeva dire con esattezza cosa l’avesse infastidita, di certo il suo ruolo da Prefetto l’aveva spinta – o forse era davvero animata da istinto materno? – a prendere le posizioni dell’altro Corvonero e a fronteggiare John Shelby. Inutile dire cosa succede quando due persone ugualmente testarde si scontrano: non ne esce mai nulla di buono e Tiana si era guadagnata il soprannome di “miss mammina” – che, in fondo, non le dispiaceva, se ciò implicava il fatto che svolgesse al meglio il suo lavoro. « Il problema è che ha bevuto – un po’ troppo – e ha dato spettacolo ». “Come se non lo facesse già”, avrebbe voluto aggiungere Tiana, ma si limitò a tacere. Non riusciva a comprendere cosa provasse nei confronti del Serpeverde: se dell’irritazione o se, sotto sotto, vi era qualcosa di ben differente dalla semplice simpatia. In fin dei conti, non era una compagnia spiacevole come lasciava pensare. «Ad ogni modo, l’ho accompagnato io stessa in Infermeria e, no, ‘Tilla, non ha lasciato dello schifo in giro per il castello – e cerca di non dire certe cose, per piacere, basto io a fare danni con le parole. Comunque, a parte Mirtilla, sembra che tutti noi non abbiamo molto di allegro di cui parlare. Se avete bisogno di sfogarvi, fatelo pure – ve lo consiglio caldamente, trattenere e trattenere non servirà a nulla: alla fine esploderete. Potete star certi che io non dirò nulla a nessuno. Chiamatelo “segreto professionale”, se vi va ».
[Role in corso]
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{21 Febbraio 1943 - Sala Comune - 'Tilla e Arya}
[Tilla]
Myrtle, quel giorno, si sentiva più triste del solito. Era consapevole di non avere tantissime doti, secondo gli standard dei Corvonero, ma non aveva mai fallito a Trasfigurazione. Il professore aveva chiesto semplicemente di trasformare un rospo in un cofanetto, eppure nel giro di cinque minuti, il suo rospo non solo si era ingigantito, ma aveva iniziato a sputare acido in ogni direzione. La classe si era sparpagliata, in subbuglio. I ragazzi scappavano in tutte le direzioni per paura di venire colpiti e il professore aveva persino detratto dieci punti a Corvonero per il danno inferto a un ragazzino Tassorosso, mandato poi in infermeria per curare la bruciatura. La giornata della ragazzina era passata all'insegna delle prese in giro e non c'era ormai un solo studente che non fosse al corrente diquanto accaduto a lezione.
-Non avvicinarti a Mirtilla- dicevano -ha mandato un ragazzo ini nfermeria!-
A nulla servivano i tentativi di spiegare della giovane Bolton, ma questo già si sapeva. Nessuno ascolta ciò che in realtà non vuole sentire; chi mai avrebbe detto "ma si, può succedere a tutti!" quando c'era la possibilità di usarla un pò come valvola di sfogo? Come se non bastasse, la bacchetta di Myrtle aveva assorbito così tanto malumore dalla ragazza, da iniziare a scaricare energia nei modi più assurdi e nei momenti meno prevedibili. Myrtle pensò bene di rinchiudersi nella Sala Comune della propria casata, prima di dover subire altre prese in giro o vedersi detrarre altri punti.
Risolse l'indovinello, poi corse a lanciarsi sul divano di fronte al camino. Credeva che all'interno della Torre non ci fosse ancora nessuno, o forse lo sperava per non sentirsi di nuovo uno schifo, così si sfogò nel modo in cui era sicura di non poter fallire: piangendo.
[Arya]
Si trovava in biblioteca a studiare Antiche Rune, quando si era accorta di aver lasciato il libro che le serviva per il compito nel suo dormitorio. Si alzò, prese la borsa con dentro il suo materiale e siavviò verso la propria Sala Comune; se l'avesse trovata vuotasi sarebbe potuta fermare lì a svolgere il suo dovere, senza essere costretta a percorrere nuovamente il tragitto verso la biblioteca. Aveva spesso la testa tra le nuvole, in queig iorni. La situazione creatasi a San Valentino la turbava ancora; aveva perso moltissimo tempo inseguendo Charlus per il castello pur di trascorrere del tempo con lui e assistere ai suoi allenamenti, talmente tanto che era rimasta indietro con lo studio e con i compiti. Quello, per lei, era l'anno dei G.U.F.O, un anno di fondamentale importanza per la sua istruzione magica e non poteva permettersi di andare male in alcuna materia. L'ansia per la scuola e gli esami la attanagliava già in quel momento, anche se era soltanto febbraio. Camminando si ritrovò a fare una lista mentale delle cose che avrebbe dovuto fare quel giorno: aveva in programma molto studio e lavoro sodo, ma progettava anche di concedersi una pausa per una chiacchieratina con i suoi compagni in Sala Grande o con Sir Elessar. Le cose con lui andavano meglio, molto meglio. Un paio di sere prima avevano cercato di chiarire la situazione ed ora il loro rapporto stava gradualmente tornando quello di prima, avvicinandoli sempre più. La sua mente corse veloce al primo marzo: non mancava molto, ormai. Un sorriso le apparve sul viso. Senza nemmeno rendersene conto si era ritrovata fuori dalla Sala Comune. Rispose in fretta al quesito ed entrò. In un primo momento non si accorse di non essere l'unica, in quella stanza, ma ad un certo punto, un suono di singhiozzi le giunse alle orecchie. Non impiegò molto tempo a individuare da dove venisse e vi si diresse con passo spedito, abbandonando la borsa sul tavolo più vicino. Sul divano vide una ragazza in lacrime e le si avvicinò.
«Ehy, Mirtilla, cosa è successo?»
Le chiese preoccupata, posandole una mano sullaspalla.
[Tilla]
Nonsapeva nemmeno più quanto tempo era passato da quando si era gettatasul divano, ma una mano dal tocco gentile le si era posata sulla spalla. Quando si voltò, gli occhi di ghiaccio di Arya sembravano sinceramente preoccupati e conoscendo la ragazza non poteva che pensare che fosse davvero così. Si tirò su a sedere senza riuscire a frenare i singhiozzi liberatori e si ritirò in un angolo del sofà per farle spazio in modo da sedersi comodamente. Per un attimo si sentì in colpa. La Sala Comune, si sà, è per tutti gli studenti di una data casata e sfogandosi proprio lì, in un certo senso, limitava la libertà altrui. Portò le ginocchia al petto, cingendole con le braccia, per poi affondarci il volto.«Non c'è bisogno che ti preoccupi per me. Fai finta che io non sia qui!» Sbiascicò tra un pianto e l'altro.
"Anche io vorrei non esserci, qui. Vorrei morire e basta, tanto non ne combino una giusta!" Pensò. Il ricordo di quanto avvenuto qualche ora prima le faceva ancora male, così come le parole dei compagni del terzo anno e l'esasperazione mista a rabbia del docente al momento della sottrazione di punti. Per quanto la distrazione dovuta al proprio malumore, talvolta, le causasse qualche incidente, non aveva mai fatto del male a nessuno e il senso di colpa l'attanagliava ancor più di tutto il resto. Un sibilo acuto scaturì dalla propria bacchetta e una sottile raffica di scintille azzurre si sprigionò dalla punta. Myrtle scattò in piedi con così tanta velocità da stupirsi, poi gettò la bacchetta al suolo. Non era laprima volta che succedeva, dopo tanto malumore, sembrava che quel sottile pezzetto di legno incanalasse le sue emozioni per poi sprigionare l'energia nei momenti meno indicati. Finì in fretta come era accaduto, ma lo spavento interruppe il suo pianto.
[Arya]
Guardò la ragazza con un velo di tristezza. Si sentiva sempre a disagio quando vedeva le persone piangere e in quel momento lo era particolarmente. Avrebbe voluto fare qualcosa per farla sentire meglio, ma non aveva la più pallida idea di come riuscirci. Decise di affidarsi alle parole e ai gesti, sperando di riuscire nel proprio obbiettivo. Si sedette accanto a lei, avvicinandosi di più in modo da farle sentire la sua vicinanza.
«Non posso e non /voglio/ fare finta che tu non sia qui, Mirtilla.»
Disse prendendole una mano tra le sue e cercando gli occhi della ragazza con i suoi.
«Sono sinceramente preoccupata per te. Posso sapere cosa è successo, da sconvolgerti così tanto?»
Chiese in tono gentile e calmo, osservando la ragazza che si trovava di fronte a lei. Improvvisamentela bacchetta di Mirtilla iniziò a lanciare scintille azzurre. Si alzò in piedi con uno scatto, stupita, osservando la ragazza che gettava a terra l'oggetto. Vedendo che non accennava a raccoglierlo, si chinò e prese quel pezzo di legno tra le mani. Aveva smesso di sprigionare scintille, così lo restituì a Mirtilla, notando conpiacere che aveva smesso di piangere.
«Qualsiasi cosa sia successa, sono più che sicura che tu abbia la possibilità dirimediare.»
Le disse, riprendendo il discorso interrottopoco prima a causa di quel piccolo incidente e accennando un sorriso rassicurante alla ragazza. Non sopportava vederla con quella faccia imbronciata. La trovava una ragazza gentile e simpatica, nonostante quelle sue caratteristiche leggermente fuori dal comune. Meritava di sorridere, lo sapeva. Meritava di essere serena e spensierata comesarebbe dovuta essere una ragazza della sua età, anche in quei tempi duri. Invece, c'erano "persone" che continuavano a prenderla in giro. Sperava non fosse quella la ragione del suo piantoo si sarebbe arrabbiata molto. Non sopportava le ingiustizie; ne era spesso stata vittima e non riusciva proprio a tollerarle, soprattutto ora che ricopriva la carica di Prefetto.
[Tilla]
Quando riprese in mano la bacchetta, il suo sguardo la scrutò guardingo. Non sapeva mai se era il caso di fidarsi di quel pezzetto di legno e il fabbricante di bacchette stesso, più volte, le aveva consigliato di cambiarla poichè erano sin troppo simili e il nucleo tendeva amorire con una frequenza spaventosa. Dal giorno dell'acquisto, difatti, Myrtle aveva dovuto farlo sostituire già due volte e , a quanto pareva, era giunto il momento della terza. Tuttavia c'era così tanto affezionata che non aveva intenzione alcuna di cambiarla, sebbene ogni qualvolta l'anima andasse sostituita, il costo era l'equivalente di metà del valore originario d'acquisto. Myrtle accennò un sorriso triste di scuse, asciugandosi gli occhi ancora lucidi e arrossati. Si sentiva così in imbarazzo per lasituazione creata che, per un istante, le sfiorò il pensiero di fuggire semplicemente via, cosa che in realtà non fece.
«Arya scusami. Scusami tanto per ... beh, tutto in realtà.» Tornò asedersi sul divanetto ricoperto di velluto blu, lasciando liberi più di due terzi, rannicchiata com'era contro il bracciolo. «Io.. ho avuto un pò di problemi, oggi.» Iniziò a spiegare. «Lo giuro, ho chiesto scusa, ma nessuno ha voluto ascoltare.» Il famigliare pizzicorìo agli occhi stava tornando. «Ho fatto un brutto sogno stanotte, perciò a lezione di Trasfigurazione ero distratta. Chi mai sbaglierebbe di proposito un incantesimo, insomma! Mi sono anche offerta per accompagnare il ragazzo che è stato ferito in Infermeria, ma il professore mi ha detto che avevo già fatto abbastanza e tutti hanno riso di me. Come sempre, del resto, dovrei essere abituata!»
La sua spiegazione, per quanto incompleta, era bastata a farle rivivere la pessima giornata. Si sentiva come un fiume in piena, impossibile da fermare ora che aveva la possibilità di sfogarsi.
«Mi dispiace così tanto essere d'impiccio per tutti. Il cappello avrebbe dovuto dire che c'era stato un errore e rispedirmi a casa, il giorno del mio Smistamento!»
Eppure non era tutto. Ciò che scatenava così tante lacrime alla ragazzina, era avvenuto dopo il pranzo in Sala Grande. Aveva così tanta paura diparlare, che quando guardò negli occhi Arya, sentì un groppo in gola che impediva alle parole di emergere.
[Arya]
«Non c'è bisogno di scusarsi, Mirtilla. Non è successo nulla di grave, stai tranquilla. A tutti capita di avere una giornata storta. Se ti andasse di parlarne, per me sarebbe un piacere ascoltarti. Sfogarsi, una buona parte delle volte, può essere la cosa giusta per sentirsi meglio.» Disse, con un sorriso rassicurante, mentre tornava a sedersi sul divano insieme alla ragazza, posando una mano sulle sue ginocchia, in modo da tranquillizzarla. Ascoltò le parole della sua compagna e, a mano a mano che il racconto proseguiva, iniziò a provare sempre più dispiacere per lei. Sentiva disprezzo e disgusto per le persone che ridevano degli studenti in difficoltà. Fortunatamente, non aveva mai avuto grossi problemi a scuola, anche se nel volo era sempre stata negata. Ricordava ancora come si era sentita durante le lezioni di quella disciplina, quando in molti l'avevano presa in giro perché non era riuscita a fare alzare la scopa da terra richiamandola con un semplice "su" o quando era caduta rumorosamente sul prato dopo un breve volo di una decina di secondi. Non si sarebbe mai scordata l'umiliazione subita, né la tristezza e l'insicurezza che avevano seguito quel momento. Poteva, quindi, perfettamente capire la ragazza e cercare di consolarla, per quanto possibile.
«Distrarsi e commettere degli errori sono cose normali. Siamo umani, sbagliare è nella nostra natura. Sono sicura che quello che è successo sia facilmente risolvibile, quindi ignora i commenti di quelle persone che ti fanno sentire inferiore. Loro non sono perfetti, loro non fanno sempre tutto giusto, loro non sono /assolutamente/ meglio di te. Se hai ricevuto la lettera da Hogwartse se il capello ti ha smistata in Corvonero è perché ti meriti di fare parte di questa scuola e di questa casata.»
Continuò, determinata, dicendo alla ragazza le parole di conforto che meritava e che anche lei avrebbe desiderato sentire nei momenti di sconforto. Non avrebbe lasciato che si abbattesse. Non avrebbe lasciato che si considerasse inferiore a causa del giudizio degli altri.
«Non lasciare che le loro parole, i loro giudizi, i loro scherzi ti abbattano in questo modo, 'Tilla.»
I suoi occhi incrociarono quelli di lei, cercando di influirle un po' della forza e della determinazione di cui si era servita per superare i momenti sconfortanti che si erano susseguiti nel corso dei suoi anni a Hogwarts. Le accennò un sorriso, cercando di farla sentire meglio.
[Tilla]
Arya aveva un potere rassicurante su chiunque, Myrtle inclusa. Ogni volta che si sentiva giù di morale e la ragazza era presente, riusciva a farla sentire una normalissima studentessa e a ricordarledi non essere sola, di far parte di un gruppo. Si sentiva meno in colpa per i propri errori, pur non dimenticandoli e non giustificandoli. Era vero, tutti potevano sbagliare e questo lo sapeva, ma si sentiva sempre il dito puntato contro ogni volta che era lei la persona a cui accadeva. Myrtle guardava sempre con un pòdi invidia le ragazze più grandi, idealizzandole invincibili ,  intoccabili, giuste e molto più sagge di quanto forse lei non sarebbe mai stata. A volte metteva in dubbio la scelta del Cappello Parlante, che senza esitazione l'aveva assegnata ai Corvonero. Si chiedeva spesso se avesse fatto la scelta giusta, se non avesse tirato a caso avendo impiegato così poco tempo a decidere, però era così che era andata.
"Forse," pensò, "un giorno anche io riuscirò a somigliare un pò ad Arya o alle altre."
Questo pensiero le diede un pò più di coraggio, di speranza. 'Tilla sorrise debolmente, soffiandosi poi il naso rumorosamente.
« Io.. credo davvero di esserefortunata ad averti conosciuta, sai?»
Espresse quel pensiero a vocebassa, con un pò di timore misto a vergogna. In compagnia delle amiche si sentiva sempre così piccola e fragile, come una bambina insieme alle sorelle maggiori. Era uno dei fattori che contribuiva al suo essere così sensibile, perchè temeva che il proprio atteggiamento le avrebbe sempre portate a sentirsi obbligate a proteggerla. Come se con le proprie gambe non sarebbe mai stata in grado di camminare, bisognosa di loro al proprio fianco, pronte a sorreggerla non appena fosse caduta. La classica donzella in difficoltà. Eppure era grata a ognuna di loro, perchè soprattutto in quei momenti di sconforto, le ricordavano di non essere solo "Mirtilla Malcontenta", ma un membro dei Corvonero. Se ancora non le era chiaro il motivo, forse sarebbe accaduto in futuro.
« Ti ringrazio per la gentilezza con cui dimostri sempre di esserci per chi ne ha bisogno. Non mi stupisce che ti abbiano scelta come Prefetto. Te lo meriti davvero tanto, sei così altruista e giusta...»
[Arya]
Mentre la ragazza rimaneva in silenzio, per qualche minuto, si chiese cosa le stesse passando per la testa. Non era la prima volta che una sua conversazione con Mirtilla veniva interrotta da un momento di silenzio in cui, probabilmente, la ragazza rifletteva. Avrebbe voluto chiederle a cosa stesse pensando, ma temeva di essere indiscreta e peggiorare solo lo stato d’animo già negativo che l’amica aveva in quel momento. Così, decise di tacere, osservandola per cercare di evincere dal suo sguardo qualsiasi, anche piccolo, cambiamento nel suo umore. Era lì per rassicurarla, tirarla su di morale, ma sapeva che la maggior parte del lavoro per risollevarsi e tornare a sorridere lo doveva fare lei, autonomamente, trovando le ragioni dentro di sé. Ascoltò le parole della ragazza, in silenzio, mentre un sorriso felice e grato le riempiva il volto. «Anche io sono davvero felice di averti conosciuta, ‘Tilla. Sei una ragazza speciale, dico davvero. Servirebbero più persone come te in questo castello.» Disse, rivolgendole un altro sorriso rassicurante. Non aveva detto quelle parole solo per cortesia o per cercare di consolare la ragazza, le pensava davvero. Non smise di sorridere, mentre si avvicinava ulteriormente alla ragazza e posava una mano su quella di lei. Non poteva sapere quello che stesse pensando la ragazza, ma il suo sguardo ammirato le faceva bene, la rendeva fiera di quello che faceva. Non era mai stata una ragazza particolarmente espansiva, ma in quegli anni, anche e soprattutto grazie alle amicizie, era riuscita a diventare più aperta e socievole. Non era stato un percorso facile, il suo, ma alla fine era riuscita a superare abbastanza bene la sua timidezza e la sua insicurezza, potendo finalmente dire che andava fiera del risultato. Cercava di impegnarsi al massimo in tutto ciò che faceva, partendo dalla scuola e dal suo compito di Prefetto, fino ad arrivare alle sue amicizie e ai suoi rapporti con gli altri e sentirsi dire quelle parole le fece capire di avercela fatta, almeno in parte. «Grazie, sono contenta di sapere che qualcuno mi veda in questo modo. Ma non sempre lo sono. Ci provo, certo, ed è questa la cosa veramente importante: l’impegno. Non sempre si riuscirà a realizzare tutto quello che si vorrebbe, ma se si tenta, si sarà sempre a posto con la propria coscienza. Sei una ragazza fantastica, ‘Tilla, lo vedo. Dai sempre il massimo in quello che fai e sono convinta che alla fine ce la farai. Un po’ di pratica aiuta sempre a superare tutte le difficoltà. Un giorno potresti diventare la migliore della classe, anche un Prefetto, perché no e allora tutti coloro che ti hanno presa in giro nel corso degli anni capiranno quello che vali veramente. E quando arriverà quel giorno, penserai a questi momenti e li rivedrai come ostacoli che ti hanno aiutata a crescere. In ogni caso, però, se ti servisse una mano durante il percorso per qualsiasi cosa, un aiuto, un consiglio, un ascolto, sappi che io ci sono.» Concluse, guardandola negli occhi e rivolgendole un sorriso rassicurante, senza mai lasciare la sua mano.
[Role in corso]
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♕ ⊱ 𝟬𝟰 ▪ 𝟬𝟭 ▪ 𝟭𝟵𝟰𝟯╎𝘓𝘪𝘣𝘳𝘢𝘳𝘺╎𝓔𝓵𝓮𝓼𝓼𝓪𝓻, 𝓚𝓮𝓷𝓭𝓮𝓪𝓼 & 𝓐𝓻𝔂𝓪 ⊰ ♕
[Elessar]
Il discorso iniziato in Sala Grande aveva risvegliato nell'antico animo del Re profonde riflessioni sul proprio passato. Aveva seriamente parlato degli Eldar? Li aveva davvero ricordati dopo così tanti anni? Anche solo sentire il nome della specie, il suo cuore incorporeo provava una fitta di dolore inimmaginabile. Ripensare a quelle magnifiche creature gli riportava alla mente sua moglie, Arwen. La sua bellezza inestimabile coronava i suoi sogni notturni, sebbene un fantasma non potesse realmente dormire. Uno spettro poteva solo immaginare ad occhi aperti e nella calma notturna Aragorn riusciva a percepire l'atmosfera giusta per pensare. Ma in quell'istante, mentre raggiungeva la biblioteca, i ricordi si ammassavano numerosi nella sua mente, assillandolo e dilaniandolo come se le sue membra avessero una forma corporea. Gli sembrava quasi di camminare dopo lunghi, inesorabili anni. Sentiva le gambe muoversi e i muscoli contrarsi sino a farlo avanzare in maniera veloce verso la sua meta. Aveva già assaggiato quella sensazione. Secoli prima, quando l'XI secolo stava ormai per concludersi, l'ormai canuto Re aveva assistito alla tragica morte di sua moglie, resa mortale per amore. E in quella stessa maniera, con lo stesso viso corrucciato dal dolore, quella volta aveva camminato nel proprio palazzo diretto all'unico luogo tranquillo: la biblioteca. Si accorse di avere innanzi la sua meta solo quando alzò lo sguardo. La porta dell'enorme sala si apriva su un antro buio e spettrale. Elessar la varcò, sentendosi visibilmente in ritardo rispetto all'appuntamento che si era prefissato con due studenti della casata Corvonero; infatti, con ben poca sorpresa, il fantasma li vide già seduti sul fondo della sala, che lo attendevano. Fluttuò verso di loro con eleganza, nascondendo il proprio dolore con cordiale e regale sorriso.
‹ Lieto di rincontrarvi, signor Greengrass. Buon pomeriggio, milady Linnen. E' da molto che aspettate? Temo di dover voi le mie più profonde scuse per il ritardo da me conseguito, ma certi pensieri mi hanno distratto dal mio effettivo dovere. ›
Elessar fluttuò accanto alla finestra, dando una veloce e distratta occhiata al paesaggio tetro che quella vista offriva.
‹ Allora, ditemi. Stavamo parlando degli... Eldar, prima, in Sala Grande? Quali domande avete da porgermi, cari studenti? ›
Lo sguardo caldo ed accogliente del Re si posò su entrambi i ragazzi, mentre ancora quella parola tanto remota gli provocò un'altra ondata di ricordi e sensazioni che da secoli aveva obliato.
[Arya]
Uscita dalla Sala Grande un brivido percorse la sua schiena, mentre il tepore dei caminetti accesi la abbandonava ad ogni passo di più. I corridoi del castello erano molto freddi e Arya accelerò l’andatura per arrivare prima in biblioteca dove, era sicura, avrebbe trovato un po’ di riparo dal gelido vento che filtrava attraverso le piccole aperture nelle pareti e una finestra lasciata socchiusa da qualche studente. Fortunatamente quella sera non toccava a lei fare la ronda, pensò sollevata. Adorava il suo incarico di prefetto con tutti i doveri e le responsabilità che comportava, la faceva sentire importante e… speciale. Tuttavia non avrebbe potuto sopportare di girare per il gelido castello, controllando che gli studenti non infrangessero le regole e punendo i trasgressori. Non aveva voglia di discussioni, voleva solamente intrattenere una conversazione interessante e istruttiva su certe creature del passato, gli… Eldar, se non ricordava male. In quel periodo tra gli studenti del castello c’era molta tensione e un po’ di tranquillità le avrebbe sicuramente fatto bene. Arrivata in biblioteca si diresse rapidamente verso lo scaffale dei libri riguardanti la storia della magia e ne prese uno sulle principali rivolte dei troll durante il medioevo che le sarebbe servito per un tema che le era stato assegnato quel giorno stesso. Proprio nel momento in cui si allungava per togliere il pesante volume, la porta si aprì e un suo compagno di Casa entrò. «Ciao, Kendeas! Come va, oggi?» Chiese, ricordandosi della tristezza che aveva scorto negli occhi del ragazzo qualche tempo prima, dopo una discussione con Denis. Strinse il libro tra le mani e si avviò verso alcune poltrone poco distanti. “Spero che abbiano chiarito.” Pensò, lasciandosi cadere su una di esse e appoggiando il volume su un tavolino lì di fronte. Dopo pochi minuti dall’arrivo di Kendeas, anche un'altra figura comparve nella stanza. «Ben ritrovato, Sir Elessar. Non si preoccupi, non è da molto che siamo qui. Si, prima stavamo proprio parlando degli Eldar. Volevo chiederle, come li ha incontrati, per la prima volta? E come le sono sembrati, a primo impatto? Benevoli o… ostili?» Disse accennando un sorriso, gli occhi che le brillavano per la curiosità di scoprire qualcosa di più riguardo a quelle affascinati creature.
[Role in corso]
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