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#stili di vita
il-gufetto · 2 years
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Il secondo modello è quello etico. La figura che meglio rappresenta tale stile è il giudice Guglielmo, il quale vive in un continuo stato di limitazione e negazione
Foto di Tim Samuel presso il sito pexels
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dedoholistic · 2 years
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Analisi delle unghie: ecco cosa rivelano sulla nostra salute di Maria Teresa De Donato
Il mio articolo su
IL Font – Informazione di Carattere – Salute, Benessere e Nuovi Stili di Vita
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lordfederico · 2 years
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queerographies · 2 years
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[Uomini e diete][Vulca Fidolini]
Uomini e diete. Cibo, maschilità, stili di vita di Vulca Fidolini è una ricerca originale, ancorata su dati empirici, che esplora gli stili di vita odierni, le disuguaglianze sociali nell'accesso ai consumi, e gli inattesi intrecci fra cibo, scelte a tavo
In che modo le scelte alimentari partecipano ai processi di identificazione di genere? Che legami esistono, oggigiorno, tra i modi di essere e dirsi maschi e le pratiche alimentari adottate dagli uomini? Tramite lo studio di regimi alimentari (diete vegetariane, vegane, digiuno, riduzione del consumo di carne…), di tecniche di cura del corpo e della salute, e tramite l’esplorazione delle…
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falcemartello · 4 months
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TECNOLOGIE PERSUASIVE
Possono le tecnologie modificare le nostre abitudini? Possono certe tecnologie spingerci a modificare le nostre abitudini, le nostre necessità, i nostri bisogni?
Si possono, possono farlo in maniera pervasiva. Le tecnologie non sono “neutre” chi le progetta sa benissimo quali modificazioni le tecnologie producono nella vita degli esseri umani.
Adesso grazie alle neuroscienze chi progetta tecnologie sa come manipolare le persone attraverso stimoli percettivi, emozionali, sensoriali con comprovata efficacia.
Grazie alla neuropsicobiologia tramite le tecnologie digitali e le loro interfacce chi detiene il sapere e la conoscenza di tali artefatti e li produce più se vuole stravolgere le nostre esistenze, spingerci a prendere determinate decisioni, ad assumere certi stili di vita ed anche a conformarci a determinate regole.
Non è che fosse necessario il digitale e la neuropsicobiologia per progettare tecnologie persuasive: pensiamo al Pan Opticon di Jeremy Bentham.
Spiega Focault : “Egli proclama una reale invenzione della quale dice ch’è «l’uovo di Colombo». E, in effetti, Bentham propone ai medici, ai penalisti, agli industriali, agli educatori proprio ciò che essi cercavano: egli ha trovato una tecnologia di potere capace di risolvere i problemi di sorveglianza.”
Focault descrive la struttura, la tecnologia architettonica teorizzata da Bentham:
”Poiché il principio era: alla periferia, un edificio a forma di anello; al centro, una torre; nella torre sono aperte larghe finestre che danno sulla facciata interna dell’anello. L’edificio periferico è diviso in celle, ciascuna delle quali ne attraversa l’intero spessore. Queste celle hanno due finestre: una aperta verso l’interno, che corrisponde alle finestre della torre; l’altra, che da verso l’esterno, permette alla luce riattraversare la cella da parte a parte.”
A questo punto, con tale struttura panottica è “sufficiente allora mettere un sorvegliante nella torre centrale, e in ogni cella rinchiudere un folle, un malato, un condannato, un operaio, o uno scolaro. Per un effetto di controluce, si possono vedere dalla torre le piccole sagome prigioniere nelle celle della periferia, che si stagliano nella luce. Insomma si inverte il principio della segreta; la piena luce e la sorveglianza captano meglio dell’ombra, che in ultima analisi proteggeva.”
Non è importante che il sorvegliante sia al suo posto è sufficiente che il malato, il prigioniero, il lavoratore sappia di poter essere continuamente sotto osservazione in maniera da essere indotto, spinto ad assumere comportamenti “conformi” a quelli che chiede il “padrone”.
Ma con l’avvento del digitale, delle tecnologie a schermo, con l’arrivo dei social network, dei robot e dei bot, dei sexbot umanoidi e delle voci suadenti degli assistenti artificiali il gioco della persuasione ormai è prassi e l’inganno e la manipolazione sono le armi con cui drogare ed indottrinare la società dei burattini di carne umana.
La manipolazione dolce che fa leva sulle nostre debolezze è molto più potente del manganello. Ma al giorno d'oggi il Potere non si accontenta più, perciò le usa entrambe. Gli uomini non sono mai stati così controllati e controllabili nella storia dell'umanità. Scordiamoci la favola della democrazia, mai e poi mai siamo stati sudditi a tal maniera senza neanche averne contezza.
Francesco Centineo
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abr · 4 days
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In Italia il numero medio di figli per donna nel 2023 è stato di 1,20, una media tra 1.18 delle italiane e 1,87 delle straniere (coi sigg. Egonu vari che contano come italiani, ndr.) Quindici anni fa il tasso di fecondità era circa 1,4 per le italiane e 2,5 per le immigrate.
In Danimarca lo scorso anno è accaduto qualcosa di inusuale: per la prima volta le donne immigrate da paesi “non occidentali” hanno avuto meno figli delle danesi, 1,4 contro 1,6.
Rispetto a 30 anni prima il calo per le straniere è stato superiore al 50%. (...) Anche le donne di origine straniera, cioè, vogliono ricevere un’istruzione adeguata, entrare nel mercato del lavoro, sposarsi solo quando è il momento. (...) Ovviamente ci sono una serie di concause ma (...) la spiegazione dell’adeguamento agli stili di vita occidentali è quella che riscuote più consensi ed è interpretata come una vicenda di successo.
Questa trasformazione culturale, in Danimarca, si è però manifestata anche in virtù di precisi indirizzi politici. Nel 2002, ad esempio, è stata introdotta una norma per limitare i matrimoni a scopo di ricongiungimento, consentendo le nozze tra residenti e stranieri solo ad aspiranti coniugi con almeno 24 anni di età (...). (Oltre ad altre leggi sui sussidi che) hanno aumentato l’occupazione femminile (delle migranti) ma hanno ridotto il tempo per dedicarsi ai figli.
Il caso danese è emblematico perché delinea bene i contorni di un paradosso che emerge nei contesti sviluppati. Da un lato la nascita di figli dovrebbe risultare agevolata da scenari in cui sono effettivamente disponibili servizi di cura, misure che favoriscono la conciliazione tra famiglia e lavoro per entrambi i genitori, alti tassi di occupazione maschili e femminili, buoni sostegni. Dall’altro invece, (dove ciò accade davvero come in Danimarca) e nonostante un welfare familiare considerato tra i più evoluti, sono soprattutto le donne appartenenti ai gruppi a basso reddito, e con istruzione inferiore a decidere di avere meno figli (...).
via https://www.avvenire.it/mondo/pagine/le-donne-immigrate-hanno-meno-figli-delle-danesi
Avvenire evidenzia un aspetto non noto e molto interessante, Fallisce però la diagnosi: del resto é house organ del clero decotto, collaborazionista e rassegnato al (quindi agevolatore del) cupio dissolvi Occidentale.
Il tema vero qui evidenziato è il crollo del cardine accoglione: ma quali lavori (ciulare) che i nostri non voglion più fare, ma quali pensioni ci pagheranno; di più, chi li porta qui perché costan poco, sappia che i costi sociali di codesti saran costantemente crescenti.
In Danimarca si vede bene: più benessere (relativo) e servizi sociali per i povery, più questi fan come mediomen e arricchity: meno figli (mentre i veri ricchy ne fan sempre) e non viceversa (1,6 é meglio che 1,2 nostrano ma sta sempre sotto il tasso naturale di sostituzione). Si adeguano al finto edonishmo in realtà livore, incazzatura, passività aggressiva, ignoranza priva di speranza quindi perdente.
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libero-de-mente · 6 months
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Uno dei monologhi più belli che mi hanno colpito, quello conclusivo del film “The Big Kahuna”
Goditi potere e bellezza della tua gioventù.
Ma non ci pensare. Il potere di bellezza e gioventù lo capirai solo una volta appassite.
Credimi, tra vent’anni guarderai quelle tue vecchie foto e in un modo che non puoi immaginare adesso.
Quante possibilità avevi di fronte e che aspetto magnifico avevi.
Non eri per niente grasso come ti sembrava.
Non preoccuparti del futuro.
Oppure preoccupati, ma sapendo che ti aiuta quanto masticare un chewing-gum per risolvere un’equazione algebrica.
I veri problemi della vita saranno sicuramente cose che non ti erano mai passate per la mente.
Di quelle che ti pigliano di sorpresa alle quattro di un pigro martedì pomeriggio.
Fa’ una cosa, ogni giorno che sei spaventato: canta.
Non esser crudele col cuore degli altri.
Non tollerare la gente che è crudele col tuo.
Lavati i denti.
Non perder tempo con l’invidia. A volte sei in testa. A volte resti indietro.
La corsa è lunga e alla fine è solo con te stesso.
Ricorda i complimenti che ricevi, scordati gli insulti. Se ci riesci veramente, dimmi come si fa.
Conserva tutte le vecchie lettere d’amore, butta i vecchi estratti conto.
Rilassati.
Non sentirti in colpa se non sai cosa vuoi fare della tua vita.
Le persone più interessanti che conosco, a ventidue anni non sapevano che fare della loro vita. I quarantenni più interessanti che conosco, ancora non lo sanno.
Prendi molto calcio.
Sii gentile con le tue ginocchia, quando saranno partite ti mancheranno.
Forse ti sposerai o forse no.
Forse avrai figli o forse no.
Forse divorzierai a quarant’anni.
Forse ballerai con lei al settantacinquesimo anniversario di matrimonio.
Comunque vada, non congratularti troppo con te stesso, ma non rimproverarti neanche. Le tue scelte sono scommesse. Come quelle di chiunque altro.
Goditi il tuo corpo. Usalo in tutti i modi che puoi. Senza paura e senza temere quel che pensa la gente. È il più grande strumento che potrai mai avere.
Balla. Anche se il solo posto che hai per farlo è il tuo soggiorno.
Leggi le istruzioni, anche se poi non le seguirai.
Non leggere le riviste di bellezza. Ti faranno solo sentire orrendo.
Cerca di conoscere i tuoi genitori. Non puoi sapere quando se ne andranno per sempre. Tratta bene i tuoi fratelli. Sono il migliore legame con il passato e quelli che più probabilmente avranno cura di te in futuro.
Renditi conto che gli amici vanno e vengono. Ma alcuni, i più preziosi, rimarranno.
Datti da fare per colmare le distanze geografiche e gli stili di vita.
Perché più diventi vecchio, più hai bisogno delle persone che conoscevi da giovane.
Vivi a New York per un po’, ma lasciala prima che t’indurisca.
Vivi anche in California per un po’, ma lasciala prima che ti rammollisca.
Non fare pasticci coi capelli, se no quando avrai quarant’anni sembreranno di un ottantacinquenne.
Sii cauto nell’accettare consigli, ma sii paziente con chi li dispensa. I consigli sono una forma di nostalgia. Dispensarli è un modo di ripescare il passato dal dimenticatoio, ripulirlo, passare la vernice sulle parti più brutte e riciclarlo per più di quel che valga.
Ma accetta il consiglio… per questa volta.
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
ARTE STORIA DELLO STILE
Roberto Longhi, piemontese di Alba, classe 1890, è stato uno dei più pregevoli critici d'arte italiani.
Per alcuni, il maggiore.
Non faccio classifiche.
Ricordo solamente il suo concetto del fare artistico:
«[...] l'arte non è imitazione della realtà, ma interpretazione individuale di essa [...] Mentre il poeta trasfigura per via di linguaggio l'essenza psicologica della realtà, il pittore ne trasfigura l'essenza visiva: il sentire per l'artista figurativo non è altro che il vedere e il suo stile, cioè l'arte sua, si costruisce tutto quanto sugli elementi lirici della sua visione.»
Così affermava nella sua "Breve ma veridica storia della pittura italiana", effetto di un compendio proposto da Longhi, tra il 1913 e il 1914, per i maturandi dei licei romani "Tasso" e "Visconti".
Era un giovane laureato.
Ma tenne quell'impostazione per tutta la vita: l'arte nasce dall'arte.
Ed è dunque storia dello stile, o meglio degli stili.
Difficile tenere quel modello concettuale entro solidi margini nella creatività caotica dell'arte contemporanea.
A maggior ragione per chi come me sostiene che l'atto lirico non sia individuale e originale libertà ma il riflesso di una cultura che fa traccia nel tempo facendo del corpo dell'artista il suo strumento espressivo.
Eppure, quando osservo i cosiddetti "illustratori", tra XIX e XX secolo (tra i quali è annoverato Toulouse-Lautrec) che per me sono artisti senza alcuna limitazione, mi sento additato dalle parole di Longhi come in un invalicabile atto d'accusa.
René Gruau, al secolo Renato Zavagli Ricciardelli delle Caminate, riminese dalla nascita avvenuta nel 1909, è tra quelli che più di altri mi mettono in crisi.
Ma che, paradossalmente, concorre a salvare la mia tesi.
Infatti, mentre la sorprendente sintesi stilistica dell'artista italiano attraversa il '900 in un raffinato allungarsi e diffondersi di figure dalla strepitosa e diafana eleganza, corroborando la sentenza longhiana sulla traccia lirica come epicentro dell'arte, quelle apparizioni affascinanti altro non sono che l'espressione dell'estetica del secolo, punto di convergenza delle necessarie concatenazioni causali capaci di rendere riconoscibile il gusto per modelli rappresentativi inequivocabili: rammentano la stampa quotidiana e periodica, la pubblicità, il cinema, la moda di quegli anni ruggenti e tragici, disseminati di straripante follia ed estro creativo.
L'arte emerge dalla vita concreta delle società e dalla grafia delle loro visioni culturali.
Nondimeno, sono un tuffo nel passato recente, con una proiezione nel presente e nel futuro: la linea di Longhi mai spezzata nel suo farsi storico.
Dal fondo, emerge l'essere umano, illuso della libertà e immemore del destino di finitezza assegnata ai confini invalicabili di tempo e di spazio.
Che costui disegna nel colore di un'agognata dimenticanza.
- Le immagini sono un'antologia di espressioni figurative di René Gruau sparse lungo tutto il XX secolo.
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arcobalengo · 9 months
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QUANDO IL NEMICO FA PROPRIE LE TUE PAROLE D'ORDINE E NE STRAVOLGE IL SIGNIFICATO
di Silvio dalla Torre
《Una delle cose peggiori che possano capitare, come ricordava Brecht, è quando il nemico fa proprie le tue parole d'ordine  e ne stravolge il significato.
Ho sempre pensato che fosse necessario adottare stili di vita più sobri, arrestare la cementificazione selvaggia, preservare ed incrementare le aree verdi (parchi pubblici e boschi), favorire il trasporto pubblico in luogo di quello privato, la bicicletta in luogo dell'automobile.
In passato queste posizioni erano spesso ridicolizzate, presentate come una chimera passatista di persone che non vogliono accettare la modernità.
Oggi l'ecologismo è diventato l'ideologia dell'elite dirigente.  Con la scusa della tutela dell'ambiente, si cerca di imporre una perversa trasformazione antiumana.
L'obiettivo è chiaro. Sul piano socio economico: drastica riduzione della popolazione mondiale, distruzione della classe media nei paesi sviluppati, cancellazione della piccola impresa, amazonizzazione del commercio, lavoro a distanza generalizzato, digitalizzazione dell'istruzione, controllo capillare sulla popolazione, creazione di una plebe sussidiata, dipendente dal telefonino, dalla televisione e dalle droghe. Sul piano geopolitico: separazione della Russia dall'Europa e riaffermazione dell'egemonia globale degli Stati Uniti usando il braccio militare della NATO.
Questo mostruoso progetto contro l'uomo (e contro la natura) richiede la creazione di sempre nuove emergenze , le quali rendano accettabile ciò che in condizioni normali sarebbe inaccettabile. Ecco quindi che prima abbiamo avuto l'emergenza pandemica, ora quella climatica. Il fatto che l'aumento della temperatura media dipenda dall'azione umana viene presentato come una verità inconfutabile. A chi esprime dei dubbi viene affibbiato l'epiteto insultante di negazionista. La cosa è andata talmente avanti che ogni pretesto è buono per scatenare la propaganda. Due giorni di caldo in un'estate sostanzialmente fredda ( almeno nella pianura padana) ed ecco che  pennivendoli, influencer, nani e ballerine del mondo dello spettacolo, politicanti al servizio permanente dell'oligarchia perdono ogni ritegno e si abbandonano a tirate apocalittiche.
Per quanto tempo i popoli accetteranno di farsi prendere in giro? Capiranno i giovani, i primi bersagli di questo lavaggio del cervello, che questa retorica non ha nulla a che vedere con la tutela dell'ambiente?》
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seoul-italybts · 26 days
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[✎ ITA] Hope On The Street Vol.1 : Intervista dall'Album Speciale di j-hope (PRELUDE) | 29.03.24⠸
HOPE ON THE STREET VOL.1
__ Parte 1 : PRELUDE __
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1. Saluti d'Apertura
Ciao, sono j-hope, sono felice ed emozionato per il lancio di "HOPE ON THE STREET", il progetto riguardante il ballo che tanto amo e considero come mia radice artistica. Potrete godervi le mie mosse di danza nel documentario omonimo, e quest'album contiene storie ed aneddoti inediti, non inclusi nel progetto televisivo. Ragazzə, j-hope ha ballato! Spero apprezzerete e mostrerete tanto supporto!
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Ciao, j-hope. Tra i tanti generi di ballo esistenti, questo progetto si concentra principalmente sulla street dance. Perché trovi la street dance così affascinante?
Perché alla domanda 'chi sei?' o 'quali sono le tue radici' non potrei che rispondere 'la street dance'. Quando mi fermo a riflettere sui ricordi che ho del ballo – di quei momenti in cui, totalmente concentrato su me stesso, la musica e null'altro, davo il 100% – non può che tornarmi in mente il mio passato. È grazie alle mie origini se ora sono quello che sono, se ancora adesso provo il desiderio di esplorare e praticare la street dance.
Ti ricordi il momento in cui, per la prima volta in assoluto, hai deciso di darti al ballo? C'è stato forse un qualche momento cruciale di svolta, nella tua vita, in cui il ballo ha smesso di essere solo un hobby o interesse?
Credo sia stato in occasione di una gara scolastica, durante una gita, quando ero ancora studente. Nessuno voleva esibirsi, quindi ho preso e sono salito io sul palco per ballare. È stato un momento estremamente entusiasmante ed indimenticabile. Essere sotto i riflettori e lo sguardo di tutti era davvero una sensazione fantastica. Ricordo il batticuore per tutte le grida e l'entusiasmo ricevuti! È stato quell'episodio a dar forma al me stesso di adesso.
Di questi tempi, ci sono tanti programmi televisivi o comunque contenuti legati alla street dance, che l'hanno resa più approcciabile e nota al pubblico rispetto al passato, ma credo sia ancora difficile stabilire cosa sia il "buon ballo", perché ognuno di noi ha standard e gusti diversi. Tu hai criteri specifici o personali rispetto al ballo?
Questa è una domanda piuttosto difficile, per me.
Quando ci si lascia andare totalmente alla musica e si riesce ad arrivare ai cuori degli spettatori con la danza, allora credo quello possa essere considerato del "buon ballo". Non è forse quello il motivo per cui balliamo? (ride).
Dato che il progetto riguarda il ballo, hai voluto creare della musica ballabile, adatta all'occasione. Su quale aspetto ti sei concentrato, sotto il punto di vista musicale?
Quando ho iniziato a lavorare a questo progetto, mi son detto "scriviamo della bella musica adatta al ballo!", e mi sono poi reso conto che la buona musica, fondamentalmente, non può che essere anche perfetta per il ballo. In altre parole, la buona musica ha il potere di far muovere e ballare la gente. Data questa premessa, ho cercato di concentrarmi sulle canzoni, di per sé, e poi le coreografie sono seguite con estrema naturalezza.
Quest'album è diviso in due parti. Immagino il focus e la direzione imboccata con ognuna di esse sia parecchio diversa.
Nella "VER.1 : PRELUDE" ho dato uno sguardo alle mie origini, come suggerisce il titolo. Son partito da quell'Hoseok, un ragazzino di Gwangju, che ballava e faceva musica con la sua crew di ballo, e vi ho riallacciato i legami, tornando a ballare con loro. Più avanti, anche Seoul è diventata un caposaldo delle mie radici artistiche ed identità attuale, quindi, sì, ho cercato di esprimere tutto ciò e le esperienze vissute in quel periodo in modo più intenso e vibrante possibile.
La "VER.2 : INTERLUDE" vuole, invece, essere più matura. Di conseguenza, ho deciso di concentrarmi sulla musica e sugli stili di ballo come tematiche principali. In particolare, ho voluto sottolineare quello che è stato il mio processo formativo.
j-hope : Intervista 1
- Il Motivo Per Cui Ballo -
"Il ballo è la mia passione, ma è un po' che la trascuro"
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Hai deciso di dedicare questo documentario al ballo.
Tutto ha avuto inizio con il ballo, sul serio. Molto di ciò che sono e faccio è nato dal ballo. Quindi mi son detto 'Perché non dare uno sguardo agli stili di ballo che ero solito praticare?'. Credo sia un modo per riflettere su me stesso e la mia vita, prima di entrare in servizio militare. 'Che cos'è che mi piaceva?', 'Quali pensieri mi passavano per la testa, prima del debutto?', 'Che cos'è che mi ha portato dove sono ora?'...Tutte domande che mi sono sempre posto e, in fin dei conti, tutte riconducono al ballo.
Sul serio, tutto è iniziato quando vivevo ancora a Gwangju. Allora, non sapevo far altro che ballare ed era l'unica cosa che sapevo di far bene. Sul serio, non sapevo far altro. Adoravo ballare. Se non fosse stato per il ballo, credo ora sarei una persona diversa. Senza il ballo, oggi non sarei qui e sicuramente non esisterebbe j-hope. Il ballo è diventato tutta la mia vita ed è da quello che è iniziato tutto.
j-hope : Intervista 2
- Commento al Documentario -
"Imparare a ballare è anche un modo per imparare a vivere"
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Cos'è il progetto "HOPE ON THE STREET"?
L'aspetto più importante di questo progetto è il processo d'apprendimento. Credo sia un progetto che mi dà l'opportunità di ripensare alla mia vita e rievocare la passione ed ispirazione che avevo, quando ho iniziato. Credo tutto questo sarà fonte di nuova ispirazione, per me.
Hai ballato in molte città – Seoul, Gwangju, Osaka, Parigi e New York. Perché hai scelto proprio di ballare?
Beh, innanzitutto perché credo le/i fan amino vedermi ballare (ride). Quella è la ragione principale. Ho deciso di mettere su questo progetto così da poter mostrare loro più cose riguardo al ballo, la mia identità ed esplorare più approfonditamente le mie radici.
Hai partecipato attivamente ad ogni aspetto di questo progetto, dalla pianificazione fino alla direzione generale. Avevi già una qualche visione registica specifica in mente?
Nulla di così grandioso, ma è un mio progetto, quindi ho preso in mano le redini e ho cercato di proporre quante più idee possibile. Credo gli aspetti cui ho partecipato maggiormente siano stati la scelta degli stili di ballo, le location, gli abiti da indossare, la musica nonché la composizione e direzione per quanto riguarda le riprese. Questi sono tutti aspetti fondamentali, quando si tratta del ballo.
Trovo sia piuttosto rilassato rispetto agli altri contenuti video visti finora.
Se pensiamo al K-Pop, la prima cosa che ci viene in mente sono le riprese multisfacettate, i tanti effetti speciali e l'editing superbo. Ovviamente è bello ed entusiasmante, ma stavolta volevo catturare il ballo e tutto il resto esattamente per quello che è. Dunque ho cercato di restare più possibile sul semplice. L'idea di fondo è che più semplice è, maggiore sarebbe stato il risalto posto sugli aspetti migliori di questo documentario.
Hai detto che l'idea per "HOPE ON THE STREET" ti è venuta mentre stavi filmando un dietro le quinte per i MAMA Awards 2022. Tre settimane dopo, hai iniziato le riprese. Davvero poco tempo per i preparativi, non trovi?
Sì, sono d'accordo! Non ho avuto che tre settimane per preparare questo progetto. All'inizio, andavamo fondamentalmente a tentativi. Non avevo idea ci sarebbero state così tante cose cui prestare attenzione e altre da preparare. Ma credo che, tutto sommato, ce la siamo cavata bene, preoccupandoci dei dettagli strada facendo. Credo l'aspetto più grezzo e genuino di quest'arte sia ben rappresentato, quindi non ho rimpianti. Anzi, forse il fascino di questo progetto, in parte è, proprio che... non ci sono fronzoli? È tutto molto casual e rilassato, no? (ride).
j-hope : Intervista 3
- Perché Boogaloo Kin? -
"Non c'è altro modo che continuare"
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C'è un'altra figura cruciale, nel documentario. Perché proprio Boogaloo Kin?
Questo documentario è fondamentalmente un percorso formativo. Ecco perché ho deciso che Haknam (a.k.a. Boogaloo Kin) non potesse mancare. Sul serio, è una figura fondante della street dance coreana, fin dalle origini e ancor oggi, ed è profondamente rispettato, non solo nella scena coreana ma a livello globale. Ecco perché non avevo dubbi sarebbe stato perfetto come guida, sia per me che per il progetto. E poi ho pensato sarebbe stato più divertente compiere questa rivisitazione del passato insieme a qualcun altro.
Inoltre, grazie a Haknam, sapevo non avrei solo imparato cose riguardo il ballo, ma anche sulla vita. Non lo ringrazierò mai abbastanza per aver accettato di partecipare, nonostante il poco preavviso. È sempre stato un modello di vita per me.
INTERVISTA con BOOGALOO KIN
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Puoi presentarti?
Salve, sono Haknam Kim, a.k.a. Boogaloo Kin. Sono un ballerino da 24-25 anni. Giro il mondo per varie attività legate al ballo, come giurato di competizioni, workshop e sessioni come istruttore di ballo.
Ho saputo che questo progetto ti è stato proposto all'improvviso. Come mai hai deciso di partecipare?
Quando ho ricevuto l'offerta, sono andato in confusione totale. Perché, cioè, come potevo non essere agitato, quando ci si aspettava che volassi ad Osaka tre giorni dopo? (ride). Quindi, sì, ero piuttosto teso. Però, in un certo senso, si trattava di lavorare sodo affinché gli stili di ballo che ho studiato, ricercato, in cui mi sono specializzato e ho sempre praticato fossero tramandati come si deve a questa generazione–e a quella dopo e quella dopo ancora – È ciò per cui continuo a ballare, quindi ho subito accettato.
Se ho capito bene, la street dance è nata negli Stati Uniti, ma si è successivamente diffusa ed evoluta in stili e modi diversi a seconda del paese e zona del mondo in cui è arrivata. Dare una risposta completa è difficile, ma potresti spiegarci brevemente quali sono le principali differenze da regione a regione? Per dare un'idea più chiara ai nostri lettori..
Esatto, la street dance ha avuto origine negli Stati Uniti, dopodiché si è diffusa anche altrove, come in Europa ed Asia, evolvendo in generi e stili diversi man mano. A mio parere, la versione ballata in Europa è più originale e creativa grazie alla commistione di diverse culture, paesi ed etnie. Gli stili prediletti (in Europa) sembrano essere l'hip-hop e l'house freestyle.
La scena street dance giapponese è la più sviluppata e strutturata, in Asia. Ciò che mi colpisce sempre un sacco è il modo in cui, grazie al ballo, diverse generazioni si incontrano e danno inizio ad un dialogo e scambio vicendevole. È qualcosa che invidio profondamente. Tuttə i/le ballerinə giapponesi sono i/le migliori quando si tratta delle tecniche fondamentali. È evidente la precisione con cui ballano, un aspetto che è parte integrante della loro cultura.
La street dance sudcoreana, diversamente da questi altri paesi, non ha una storia così lunga e radicata. Tuttavia, essendo sbocciata più tardi, ha tratto molte influenze dai paesi esteri in cui la street dance si è sviluppata prima, come gli Stati Uniti, i paesi europei ed il Giappone. A mio parere, la street dance coreana ha anche beneficiato di quell' "heung" [*capacità di divertirsi entusiasmarsi] tipicamente coreana, ereditata dai nostri predecessori. Quindi, sì, credo l'unicità ed esuberanza della street dance coreana risalti con prepotenza proprio grazie alle varie influenze assorbite da altri paesi, influenze che poi si fondono e danno vita a quell' "heung" [*divertimento] collettivo.
Con così tanti stili di ballo diversi, cosa distingue e rende particolarmente affascinante la street dance?
Credo l'unicità della street dance sia data dal suo essere uno stile libero, in cui c'è molta improvvisazione. Nonostante continui ad evolversi in tante diverse varietà, fondamentalmente si è liberə di ballarla quando si vuole ed ovunque ci sia della musica.
Sei anche un giudice di questo genere. A che cosa presti attenzione nel giudicare la street dance, data la sua natura libera e ricca di improvvisazione?
Dipende dal tipo di ballo con cui ho a che fare. Ogni giudice ha i suoi parametri personali. Per quanto mi riguarda, presto attenzione al ballo di per sé. Do un giudizio basandomi su ciò che mi trasmette il/la ballerinə, se riesco a percepire la musica nei suoi movimenti. Poniamo di assistere ad una sfida di ballo. Il/la ballerinə A sfoggia tecniche complesse ed elaborate o presenta altre mosse interessanti che però non hanno nulla a che fare con la musica; il/la ballerinə B usa passi e mosse piuttosto nella norma, ma è evidente che sente la musica e sa farla sua. In una situazione come questa, solitamente do un punteggio maggiore al/lla secondə concorrente.
Secondo te, quali sono le caratteristiche principali del ballo di j-hope?
So che prima del debutto, j-hope era appassionato di popping e boogaloo e che ha anche partecipato a diverse competizioni di ballo. Quando poi è entrato a far parte dei NEURON, ha potuto anche imparare l'hip hop freestyle e, una volta diventato trainee, ha studiato tutti i vari stili di street dance. Quindi credo il motivo per cui j-hope si distingue rispetto agli altri ballerini, a fronte di una stessa coreografia, sia perché è tanto che coltiva il suo interesse per la street dance. Ho notato che, talvolta, improvvisa anche durante i concerti. Quindi, sì, direi che uno dei suoi maggiori punti di forza è il modo in cui sa improvvisare pur mantenendo gran naturalezza.
J-hope ha detto di aver intrapreso questo progetto perché voleva imparare. Ora che l'hai accompagnato in questo viaggio d'apprendimento, cosa pensi abbia imparato?
Credo il ballo sia ciò che ha aiutato Hoseok a diventare j-hope, un membro dei BTS. Credo non abbia più avuto modo di lasciarsi andare all'improvvisazione, negli ultimi anni – a stili come il popping, il boogaloo e l'hip-hop freestyle -, come invece era solito ballare prima del debutto. Quindi credo questo progetto sia stata l'opportunità di poter tornare alle sue origini e a quel periodo in cui era totalmente concentrato sul ballo e null'altro. Sono sicuro quest'esperienza avrà un effetto positivo anche sui suoi progetti futuri in quanto artista.
E personalmente, invece, che cosa ti ha lasciato?
Mi ha permesso di realizzare, una volta di più, quanto effettivamente amo il ballo – dato che è qualcosa che ho dovuto mettere da parte per un po'. Quando ho accettato di partecipare al progetto, arrivavo da circa un anno di inattività per un infortunio al ginocchio destro. Quindi, quando ho ricevuto l'offerta, ci ho pensato bene prima di accettare. Ma poi ho pensato questo progetto fosse l'opportunità di far conoscere la street dance ad un pubblico più vasto e globale. Continuerò a lavorare sodo a mia volta per mostrare a tutti quanto è figa la street dance e diffondere il verbo con quante più persone possibile.
j-hope : Intervista 4
- Hoseok Incontra i NEURON -
"Vuoi ballare con noi?"
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Penso si possa dire che è proprio quando vivevi a Gwangju che è iniziato tutto. Com'eri in quel periodo?
Ero semplicemente un ragazzino che non sapeva far altro che ballare. Lo adoravo, il ballo era tutto ciò che contava allora, ed era ciò che sapevo fare meglio. Ora so molte più cose, con l'esperienza acquisita da dopo il debutto ecc., ma non dimenticherò mai i miei inizi e come mi sono avvicinato al ballo per la prima volta in assoluto, quando vivevo a Gwangju.
Come hai trovato i NEURON?
Non è che io sia andato effettivamente a cercarli – ma semplicemente sono diventati il mio primo contatto reale col ballo ed un modo per studiare quest'arte. Ero solito ballare con i membri della crew, i quali poi mi hanno dato anche lezioni. Poi però la situazione si è fatta un po' complicata e non ho più potuto permettermi i loro corsi, quindi ho continuato senza un piano preciso e semplicemente ballavo su ciò che ascoltavano durante le pause, tenendomi aggiornato sul programma grazie agli altri studenti. Credo i membri dei NEURON abbiano notato questi miei sforzi e riconosciuto la mia dedizione. Un giorno mi hanno chiamato e mi hanno chiesto "Vuoi ballare con noi?" Ero al settimo cielo. Ero loro immensamente grato. Cioè, era letteralmente dei miei eroi che stavamo parlando. È in quel momento che ho iniziato a fare sul serio e a sognare di diventare un artista. È così che è iniziato tutto. Poi, più avanti, quando ho detto loro che desideravo perseguire i miei sogni, i NEURON sono state le persone che mi hanno dato più supporto.
Sul serio, non lo e li dimenticherò mai – i NEURON
Era da tanto che non vedevi i NEURON. Dev'essere stata un'esperienza molto emozionante per te.
Di tanto in tanto, mi capita di trovarmi con un membro o l'altro, ma era da tanto che non ci riunivamo tutti insieme. Non appena li ho visti, mi è parso evidente non fossero cambiati affatto. Sono ancora sempre quei ragazzi dagli ottimi consigli, amici che sanno scherzare e che mi hanno sempre fatto ridere molto. È probabile col tempo alcune cose siano cambiate, ma per quanto mi riguarda, sono sempre gli stessi di allora.
Che valore hanno i NEURON per te?
Ho dedicato loro cuore, anima e corpo. Mi sono sempre sentito il benvenuto, con loro. Quindi anche se una parte di me era concentrata sul diventare un buon ballerino, fondamentalmente mi piaceva poter lavorare e stare con loro. Era qualcosa cui non volevo rinunciare.
INTERVISTA con i NEURON
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Quella dei NEURON è una crew di ballo nata a Gwangju e j-hope vi si è unito durante il suo secondo anno di scuole medie, diventandone il membro più giovane. Grazie ai NEURON, j-hope ha imparato diversi stili di danza, ha partecipato a competizioni e saggi di ballo, innamorandosi perdutamente di quest'arte. Come canta in "Chicken Noodle Soup", i NEURON sono stati un grandissimo supporto per lui, fin dall'età più tenera, e l'affetto che j-hope nutre per questo gruppo non è mai scemato.
Quale genere di ballo piaceva a j-hope?
Credo il più delle volte lo si potesse vedere fare popping, perché era il genere preferito di Hoseok da ragazzino, ma ora conosce molti altri stili. Ormai ha un bagaglio esperienziale molto più ampio ed approfondito, ma le sue ambizioni e la passione che nutre per il ballo non sono mai cambiate. Quando lo guardo, non posso che pensare "Wow, questo ragazzo fa sul serio, è un vero ballerino, non c'è dubbio". Non ha mai dimenticato le sue origini, ha un'idea più che chiara della sua identità quindi sono sicuro non potrà che migliorare.
Era da un po' che non vedevate j-hope. Com'è andata?
Ad esser sincero, ero un po' agitato perché me lo ricordavo ancora ragazzino, ma ora è molto più figo (ride). Ormai è (solleva una mano) quassù! Wow. Ma non c'è voluto niente perché tornassimo a nostro agio. Non è cambiato di una virgola. È stato come quando eravamo tutti più giovani insieme. L'impressione non è stata quella di lavorare ad un progetto – semplicemente, è stato come tornare ai vecchi tempi. È stato tutto molto tranquillo. Sul serio, Hoseok è come una roccia, sa come mettere il prossimo a proprio agio, è estremamente garbato e rispettoso e sono sicuro quello sia il motivo per cui ha ottenuto tutto il successo di adesso.
2. SOUL/SEOUL con Lock Woong
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j-hope : Intervista 5
- Lock / Unlock -
"Ma soprattutto.. è divertente"
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Il tema dell'episodio intitolato "Seoul" è 'Lock / Unlock'. Che cosa significa, esattamente?
C'è un tipo di street dance che si chiama 'locking'. Ho cercato un modo per incorporarlo nei video e nella musica. Il locking è un po' come la vita: quand'è che mi blocco, nel corso della mia esistenza? Quand'è che ho bisogno di uno sblocco? Credo la vita ed il locking siano molto simili, sì. Perché ci sono momenti in cui devi bloccarti, trattenerti, ed altri in cui ti lasci andare.
Chi è stato ad insegnarti il locking?
L'ho imparato per bene da Lock Woong dello studio LEVEL6, quando ero un trainee. L'etichetta mi ha sostenuto in tutto ciò che volevo imparare, incoraggiandomi a provare il più possibile. Io amavo così tanto il ballo che desideravo davvero provare un po' di questo, un po' di quello e vari stili.
Il mio approccio era davvero mirato ad imparare il più possibile ed un po' di tutto e Woong è stato il primo ad insegnarmi il locking. Ho davvero imparato un sacco da lui.
Qual è stato l'aspetto più memorabile, durante le riprese dell'EP. "Seoul"?
Ero estremamente agitato. Ma era un'agitazione diversa da qualsiasi forma d'ansia avessi mai provato prima. Non credo di essere poi così bravo nel locking, quindi immagino il peso dell'insicurezza si sia fatto sentire, anche psicologicamente. Mi sono comunque impegnato al massimo perché non volevo adagiarmi ed accettare di non riuscirci, volevo davvero migliorare. Quindi, sì, forse è per quello che le riprese con Woong ed il locking che abbiamo ballato insieme mi sono rimasti particolarmente impressi.
INTERVISTA con LOCK WOONG
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Il vero capostipite del locking coreano è Lock Woong, che ha giocato un ruolo fondamentale nel rendere popolare questo stile in Corea, diffondendolo e sviluppandolo sempre più. Inoltre, Lock Woong è stato anche allievo di un altro locker leggendario, Greg "Campbellock Jr."
J-Hope ha imparato molto sulla street dance, frequentando lo studio di Lock Woong, quando era un trainee.
Salve, Lock Woong. Era da tanto che non incontravi j-hope, com'è stato rivederlo?
L'ultima volta che avevo visto j-hope era prima del suo debutto solista, al listening party per Jack in the Box, dove ero invitato come DJ. Abbiamo parlato e riallacciato i contatti. Non è cambiato affatto. Mi son chiesto "Oh... Come mai è sempre lo stesso? Non è una star globale, ormai?", ma quando abbiamo parlato e lui mi ha espresso brevemente le sue vedute riguardo il ballo, mi è parso subito evidente quanto non fosse cambiato.
Quali sono le caratteristiche principali dello stile locking, rispetto agli altri generi di ballo?
Uno degli aspetti migliori del locking, se paragonato agli altri stili di ballo, è che lo si può praticare insieme. Inoltre è uno stile che trasuda positività e buone energie, ecco perché mi è sempre piaciuto.
RINGRAZIAMENTI
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Hai provato i generi popping, locking, house e hip-hop, puoi spiegarci secondo te qual è il fascino di ognuno di questi stili?
Non ho mai abbastanza del locking. Che i miei movimenti siano giusti o sbagliati, il solo ballarlo mi rende felice e mi entusiasma. Il popping mi piace perché è un genere trasparente e permette a chi lo balla di sentire ed esprimere appieno la musica. Quindi, sì, penso sia quello il suo fascino principale. Per quanto riguarda l'hip-hop e l'house... ne parlerò meglio nella 2a versione, "INTERLUDE", perché sono stili che ho provato a New York e Parigi (ride).
Quindi se tu dovessi associare questa prima parte di viaggio – nonché la ver.1 dell'album "PRELUDE" - ad uno stile di street dance, quale sceglieresti?
Penso il popping, è davvero il meglio! Ho iniziato a ballarlo a Gwangju, insieme al boogaloo, quando ero un ragazzino e credo questo stile ben rappresenti le città di Gwangju e Seoul.
E a proposito di Gwangju e Seoul, qual è stato il momento più memorabile?
Ricordo particolarmente il momento in cui ho rincontrato i NEURON, dopo tanto, ed abbiamo ballato insieme. Trovo davvero speciale ed affascinante che la crew sia ancora unita ed abbia superato il passare del tempo. Ma è stato anche divertente ballare con Haknam e Woong a Euljiro. Poter ballare con degli hyung che rispetto ed ammiro così tanto è sempre un grandissimo onore.
Hai detto di aver intrapreso quest'avventura perché desideravi imparare. Che cosa hai imparato a Gwangju e Seoul?
Ho provato ed imparato molto e, ancora una volta, ho avuto la riconferma che il mio cuore brucia ancora della stessa passione di un tempo, per il ballo. Non lo credevo possibile, ma ho veramente riscoperto quella scintilla e parte di me che credevo sepolte, e grazie a quest'esperienza ho guadagnato maggiore fiducia in me stesso.
Ora che questo viaggio è concluso, cosa pensi sia cambiato tra l'Hoseok – giovane ballerino originario di Gwangju – e j-hope?
È stato come riaccendere un vecchio amore, folle come riallacciare una relazione che credevo finita. Credo ciò che è cambiato, però, sia il modo in cui vivo ed esprimo quell'amore, ora.
Se c'è qualche altro aneddoto che vorresti raccontare... Vanno bene anche dei ringraziamenti, se lo desideri.
Vorrei ringraziare me stesso per non aver mai dimenticato la mia vita come Jung Hoseok e le persone che mi sono state accanto in quel periodo.
Vorrei ringraziare i ballerini che si sono uniti a questo progetto, i NEURON e tutte le persone che mi sono state accanto. Gwangju e Seoul sono luoghi ricchi di nostalgia, per me. Capisaldi della mia vita che mi riportano al passato e mi permettono di ritrovare me stesso.
Sono molto grato a tutto lo staff di "HOPE ON THE STREET" per aver reso questo sogno realtà... Grazie a Pdogg, Gaeko, Mirae, Benny Blanco e Nile Rodgers e a tutti coloro che hanno partecipato alla produzione degli episodi di Seoul e Gwangju. Credo lavorare con tutti voi a questo progetto mi abbia permesso di maturare in previsione del futuro.
Questo progetto è dedicato all'ARMY. Grazie per il vostro continuo interesse e supporto. Siete la mia motivazione!!! Carə le/i mie/i ARMY, siete lo stimolo che mette in moto i miei neuroni, vi voglio bene di tutto cuore. Presto terminerò il mio servizio militare, e tornerò da voi. Per ora, continuerò ad aver cura di me e della mia salute, spero farete altrettanto. Grazie infinite.
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morganadiavalon · 1 year
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Siamo sempre giovani fino a quando non lo siamo più.
"Vivendo come fossimo immortali noi modifichiamo la vita stessa, il significato e il profilo del suo corso, trasformando per la prima volta nella storia dell’umanità la curva dell’esistenza – com’è stata chiamata sempre – in una lunghissima linea retta che non siamo mai stati abituati a risalire: e che crolla di colpo quando cede l’inganno dell’eterna fittizia gioventù, precipitando nella vecchiaia improvvisa.
Non è un autoinganno, perché tutto quel che ci siamo creati per dominare la vita ci autorizza a pretendere l’immortalità. La medicina naturalmente, la genetica e la biologia con i loro progressi al servizio dell’uomo. Ma anche il maquillage sociale e culturale al servizio delle mode, dei trattamenti, degli stili di vita, con la promessa di ingannare la realtà, camuffandone l’estetica. Se la tecnica, con la sua autorità che la rende signora dell’epoca, dice che si può fare, allora si deve: e infatti padri e madri lo fanno, mimando i consumi e la cultura dei figli, cercando di uniformarsi dentro l’età dominante, dunque senza più fine.
Così non viviamo la nostra vita, o almeno non nel suo naturale percorso, che è ciò che la rende appunto “vita” con un suo inizio, un culmine e una fine, e non soltanto esperienza di una fase illusoriamente fissata per sempre.
Al suo posto viviamo un’esperienza mimetica, spostata abusivamente nel territorio dell’età altrui, alterando il senso dell’una e dell’altra. Ciò che si indebolisce è il fluire del tempo, il passaggio delle fasi e il loro trascorrere, la fine di una stagione e la sua mutazione nell’inizio di un’altra, con i diversi colori, i toni e i modi propri di ogni epoca. Quel che si disimpara è la preparazione alla vecchiaia, il modo di accoglierla dai primi segnali fino alle prove evidenti e la sua accettazione. Scegliamo di rimanere uguali a quel che ci immaginiamo di essere. Pur di non declinare, decidiamo di non evolvere, imprigionandoci nell’oggi"
"Senza adulti" di Gustavo Zagrebelsky
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moonyvali · 1 year
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Il World Economic Forum lo ha detto chiaramente:
"Non POSSIEDERAI nulla e SARAI felice".
Bisogna quantomeno dargli atto dell'onestà intellettuale; non hanno detto infatti:
"Non POSSIEDEREMO nulla e SAREMO felici".
Per apprezzare fino in fondo lo straordinario pezzo che segue consiglio di tenere bene a mente due ambienti: da un lato le meravigliose case degli anziani di paese, che straripano di oggetti, foto di famiglia, ninnoli e cianfrusaglie; dall'altro le asettiche residenze minimali che tanto vanno di moda oggi, che somigliano più a Bed&Breakfast che ad abitazioni e che straripano di tecnologia ma sono prive di qualsiasi riferimento al passato o alla storia della famiglia.
Quando tutta la memoria sarà digitale, bastera un click per cancellare il passato e riscrivere la storia a piacimento.
Giorgio Bianchi
TUTTA COLPA DI FIGHT CLUB.
Di Lorenzo Vitelli.
La musica su Spotify. I film su Netflix. I documenti su Cloud. I libri su Kindle. L’enciclopedia su Wikipedia. Le foto su Instagram. Il lavoro su Drive. Il cibo su Glovo. Siamo nullatenenti. Affittuari di esperienze. E se vi dicessimo che la colpa è di Fight Club, un’apologia del post-capitalismo?
Fight Club, il film diretto da David Fincher e tratto dall’omonimo romanzo di Chuck Palahniuk, ha segnato profondamente l’immaginario dei Millennials, la generazione che comprende i nati tra i primi anni Ottanta e la metà degli anni Novanta. Interpretato dal riuscito binomio Norton-Pitt, il primo un impiegato mediocre, frustrato e insonne, e il secondo (in verità il suo doppelgänger) un carismatico e imprevedibile giovane kerouachiano a capo di un’organizzazione eco-terrorista, questo lungometraggio è uscito nelle sale statunitensi nel 1999, sul finire del secolo, quando qualcuno credeva che la storia fosse giunta al termine. Negli anni si è affermato come un vero e proprio cult movie, un contenitore simbolico da cui i Millennials hanno attinto citazioni e riferimenti anti-capitalisti, pose e stili di vita, poster e magliette, tanto che taluni hanno eletto il film a manifesto generazionale. Affresco schizofrenico della società tardocapitalistica il film offre una critica ridondante e fuori tempo massimo alla società dei consumi.
Si tratta di una critica all’americana della società americana, un’esplicita condanna all’accumulazione di oggetti, alla mercificazione del mondo, alla corsa ai consumi emulativi che caratterizza la classe media, in particolare i colletti bianchi, le masse impiegatizie e salariate incastrate nella gabbia trigonometrica casa-starbucks-ufficio e ritorno. A questa vita si contrappone il fight club, zona franca dell’escapismo selvaggio all’interno della metropoli. Un luogo dove si combatte a mani nude, senza regole, e che permette ai suoi adepti, quelli che si sono risvegliati dall’american dream – un risveglio che assomiglia all’effetto della red-pill di Matrix (film uscito nello stesso anno) – di riscoprire la cattività del loro essere interiore attraverso una violenza che diventa ricreativa e terapeutica, violenza redentrice che desta l’individuo dalla sua disforia esistenziale, rendendogli evidente l’asimmetria tra ciò che crede di essere e ciò che realmente è. In modo superficialmente nietzschiano, il film trasmette messaggi di questo tipo: “Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, né il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca, sei la canticchiante e danzante merda del mondo!”. Stampata sulle magliette, tatuata sugli avambracci, utilizzata per citazioni fuori luogo sui propri profili Facebook è una frase che per assurdo oggi suona come un claim pubblicitario: “le cose che possiedi alla fine ti possiedono”. Una lezione, questa, che noi Millennial a quanto pare abbiamo introiettato alla perfezione, finendo poi per vederci costretti a metterla in pratica. Infatti non siamo più posseduti dalle cose che possediamo, perché non le possediamo più! Macchine, case, vestiti di marca, conti in banca in positivo sono prerogative che la nostra generazione non contempla. Nullatenenti, al massimo possiamo affittare esperienze: ascoltiamo musica e vediamo film in streaming, leggiamo libri su supporti virtuali, non acquistiamo più riviste né giornali, abitiamo case dormitorio per tempi sempre più ridotti, guidiamo macchine non nostre, lo smartworking ci ha privato persino di un ufficio in cui lavorare stabilmente. Le città testimoniano di questo mutamento: niente più negozi di dischi, biblioteche, cinema, teatri, niente più uffici e forse, a breve, neanche più scuole. Pur rimanendo professionalmente frustrati come il protagonista, stavolta non per colpa della vita impiegatizia ma della precarietà, ci atteggiamo a Tayler Durden quando accediamo al nostro fight club customizzato inserendo un nome utente e una password su una qualsiasi piattaforma digitale, dove non ci sono più oggetti a possederci (ma i contenuti cattura-attenzione prodotti da un algoritmo).
Fight Club perciò ci ha venduto come una forma ribellistica di liberazione dalla merce, l’esproprio che in realtà il post-capitalismo stava già mettendo in atto con il nostro tacito assenso. Interiorizzata tra i Millennials l’idea secondo cui “i beni che possiedi alla fine ti possiedono”, la nostra generazione si è rivelata un parterre perfetto, ideologicamente e antropologicamente restio all’accumulazione di oggetti, alla stabilità e alla vita borghese, a cui si potevano disinvoltamente vendere i nuovi prodotti fatti di byte, la cui immaterialità assicurava di non partecipare alla società dei consumi (come la si conosceva prima dell’avvento di internet), lasciando accedere i suoi membri al nascente mercato digitale privi di sensi di colpa ma con spirito da pionieri anti-sistema. Fight Club ha raccontato implicitamente un passaggio di consegne da un’architettura capitalistica a un’altra: il vecchio mondo fordista e industrializzato muore – come nell’epilogo del film in cui esplode la città – ma perché nulla cambi davvero. Fincher e Palahniuk hanno fornito ai Millennials un libretto di istruzioni per farla finita con il vecchio capitalismo dell’accumulazione, e una cartina per orientarsi nella geografia del nuovo mondo, hanno dato vita a una delle più riuscite apologie della società post-capitalista, insospettabilmente complice dello stile di vita anti-materico che nel frattempo la Apple aveva cominciato a pubblicizzare con il suo design buddhista e il suo comunismo light dello sharing. La Apple era già promotrice dell’abolizione degli oggetti, delle case vuote e minimaliste, di un certo nomadismo esistenziale, delle vite precarie ma customizzate. Come dice Ian Svenonius in Censura subito!!!: “Apple sprona alacremente la popolazione a liberarsi dei propri beni. La musica? Salvatela sul Cloud. I libri? Sul Cloud. I film, le riviste, i giornali, e la televisione devono essere tutti stoccati nell’etere, non per terra o in un armadio. È come vivere in un monastero modernista il cui culto è la Apple stessa”. E aggiunge: “Apple ha operato un rovesciamento del mondo che ha trasformato il possesso materiale in un simbolo di povertà, e l’assenza di beni in un indice di ricchezza e potere”.
Siamo dei nullatenenti, in definitiva, e ce ne vantiamo. Le cose intorno a noi stanno scomparendo. L’accumulazione di oggetti è diventata una pratica volgare e retrograda nonostante gli oggetti raccontino una storia, costellino i nostri ricordi. Gli oggetti erano, come dice sempre Svenonius, “dei ricettacoli di conoscenza, avevano un senso, erano totem di significato”, custodivano un sapere tramandato rispetto a quello sempre rinnovato, in costante aggiornamento virtuale, che troviamo online. Il fenomeno vintage testimonia la nostalgia per gli scaffali pieni di libri polverosi, i dischi accatastati, le videoteche e le dispense piene. Ma si tratta proprio di una posa in voga tra pochi privilegiati che conferma la tendenza della società a liberarsi degli oggetti, o comunque a dargli un’importanza sempre minore, a favore invece dell’esperienza connessa all’acquisto. Alla proprietà di qualcosa infatti, si preferisce fare l’esperienza di qualcosa: questo è diventato un mantra ormai banale tra gli startupper e gli esperti di marketing di tutto il mondo. La gente vuole fare cose, vuole condividere momenti, avventure, sensazioni, peripezie. È una rincorsa al consumo emulativo di attività esperienziali da rilanciare sui propri profili social. Siamo ancora la canticchiante e danzante merda del mondo, ma adesso non abbiamo neanche più degli oggetti dietro cui nasconderci. Vogliamo farlo sapere a tutti.
https://www.lintellettualedissidente.it/inattuali/tutta-colpa-di-fight-club/?fbclid=IwAR0x5vl4FC8oEg9lZV1UVoGoMc1CggtL7E-9IPBmDFksI_o1rASrFNUTA-4
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lordfederico · 2 years
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meglio il successo che tutta quell`invidia
(Alberoni Francesco)
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nonamewhiteee · 1 year
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oggi mi sono visto con E., e ci tenevo a spendere due parole su di lui: siamo così diversi eppure fin da subito mi ha sempre trasmesso un senso di "tranquillità". siamo amici da boh, sedici anni ormai (?), uno dei pochi sempre presente nella mia vita e spero lui possa dire altrettanto di me. astemio, non ha mai toccato una sigaretta nemmeno per sbaglio, lui classico io scientifico, sempre vestito a modo, dubito abbia mai bestemmiato, a volte un po' "giudicante", ma sempre fin troppo rispettoso (come quando rotea gli occhi quando mi sente parlare male delle forze dell'ordine e del mio ideale di semi anarchia pacifica). che la vita ti possa dare tutto ciò che meriti caro amico.
altre parole per dire che vorrei davvero tanto essere bravo con i sentimenti, e che forse mi sto logorando un po' dentro a furia di pensare troppo nei miei nuovi stili d'insonnia, come devo fare con questa mia anima?
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abr · 22 days
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(L)’industria politico-culturale e la finanza ormai globale hanno probabilmente contribuito in modo decisivo a far introiettare progressivamente ai popoli “l’idea che sia perfettamente logico e naturale perdere se stessi”, per acquisire progressivamente “la consistenza che può derivare dalla fruizione di pacchetti di comfort e divertissement”.
In questa corsa generale a perdere se stessi, ciascuno sembra trovare “il proprio tornaconto nell’abominio del proprio annullamento: non devono più esservi popoli distinti, né differenziate individualità. L’equivalenza deve riguardare anche il più intimo di ciascun popolo e di ciascun individuo.
L’equivalenza deve riguardare anche la sessualità. Anzi, soprattutto questa, poiché, come la Chiesa da secoli insegna, è proprio su questa che si deve intervenire se il progetto di colonizzare la vita vuol risultare efficace. Sferrato l’attacco alla identità sessuale, anche ogni altra identità, come in un effetto domino, verrà meno”.
Una volta abolita tale identità, l’uomo medio diverrà perfettamente fluido, compiutamente ricettivo di modelli e stili di vita eterodiretti, e “si identificherà finalmente con la propria medietà e la propria fluidità evitando come una fastidiosa pietra d’inciampo quel che resta della sua esperienza più propriamente individuale”.
quote from La quotidiana mancanza di F.Bazzani,
via https://opinione.it/cultura/2024/04/02/gustavo-micheletti-la-quotidiana-mancanza-un-libro-malinconico-e-obliquo-fabio-bazzani-editrice-clinamen/
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anaromantico · 10 months
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BENE...Sfortunatamente, il costo della vita mi ha abbattuto finanziariamente.
Per compensare il costo extra per cibo, elettricità, ecc. ho bisogno di guadagnare qualche soldo in più....
Quindi ecco la mia nuova avventura. 🥂
Sono orgoglioso di annunciare che sto vendendo GIOCATTOLI PER ADULTI. Spero che nessuno si senta in imbarazzo a chiederli.
Ho tutti i tipi, dimensioni e stili in base alle tue esigenze, anche motorizzati. Posso inviare foto e dimensioni ecc. Basta chiedere.
La discrezione è garantita!!
Richiedi il tuo in qualsiasi momento.
Ho tutto elencato di seguito:
-Deambulatori
-Bastoni da passeggio
-Quadripodi
-Girelli
-Sedie a rotelle
-Scooter
-Serbatoi di ossigeno
-Pannoloni per adulti
-Colla per denti
-Cuscinetti riscaldanti e altro ancora
Copia e incolla se hai il senso dell'umorismo!!! 🤣🤣
Abbiamo tutti bisogno di una bella risata. 😅
🤔🦖🤣
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