Tumgik
#sei di corvi
insonniacaotica · 23 days
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I updated so the fanfiction is complete. Read the notes, then read the chapter. Then you can come back here and cry with me (even anonymously). Matthias the crow treated worse.
Kanej are so beautiful, though.
And WESPER OUT
(In English on #ao3 (and also in Italian on Wattpad))
An extract:
It always goes like this. Kaz is on his phone all the time, apparently reading incredibly cool things like Mary Shelley's Frankenstein ebook, basically—though he denies it—chatting with Inej.
Jesper and Nina tease each other about everything and Colm tries to prevent those two from blowing something up. Wylan, when he is there, is next to Jesper and pays attention to the conversation, interjecting from time to time with overly shrewd comments.
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smileandneversurrender · 11 months
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Alla fine era quello a distruggerti: la nostalgia per qualcosa che non potevi più avere
Leigh Bardugo - Il regno corrotto
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ricordinelvuoto · 2 months
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"Sentiva che se solo avesse potuto stringerla a sè un po' di più, ogni ferita, ogni sofferenza, ogni bruttura si sarebbe dissolta."
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sad-smile-03 · 1 year
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«Possiamo sopportare ogni genere di tormento. Ma è la vergogna che divora gli uomini»
-Bardugo(Il regno corrotto)
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innominecarbohydrates · 11 months
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HO TROVATO LA OST DEFINITIVA PER SEI DI CORVI:
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princessofmistake · 2 years
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Inej aveva riso, e se lui avesse potuto imbottigliare quella risata e bersela fino a ubriacarsi tutte le notti, l’avrebbe fatto. La cosa lo terrorizzò.
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ancilla-hawkins · 1 year
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Il fatto che stia apprezzando molto la storia di Alina la dice lunga su come abbiano massacrato quella dei Corvi
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sleepingdea · 1 year
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Ringrazio Mal Oretsev per avermi fatto scoprire che posso aumentare la velocità degli episodi
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swingtoscano · 3 months
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Vorrei che tu venissi da me una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi. Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi, per la prima volta pazzi e teneri desideri. “Ti ricordi?” ci diremo l’un l’altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento. Ma tu – ora mi ricordo – non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d’Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d’inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei “Ti ricordi?”, ma tu non ricorderesti.
Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi; e in date ore vaga la poesia, congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre della città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola. Ma tu – adesso mi ricordo – mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l’anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all’ora giusta l’incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrare la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti d’essere stanca; solo questo e nient’altro.
Vorrei anche andare con te d’estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l’acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dai prati e qui, distesi sull’erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne. Tu diresti “Che bello!” Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora.
Ma tu – ora che ci penso – tu ti guarderesti intorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata ad esaminare una calza, mi chiederesti un’altra sigaretta, impaziente di fare ritorno. E non diresti “Che bello!”, ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici.
Vorrei pure – lasciami dire – vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di se una specie di musica. Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell’uomo. Ma tu – lo capisco bene – invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall’estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni. Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d’oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo. E’ inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d’estate o d’autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare – ti prometto – gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all’amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo e donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.
Ma tu – adesso ci penso – sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso tra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.
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lunamarish · 7 months
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Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi. Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. "Ti ricordi?" ci diremo l’un l’altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento. Ma tu - ora mi ricordo - non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d’Oriente, cullata da pioggia sacra. Dietro i vetri, nella sera d’inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei "Ti ricordi?", ma tu non ricorderesti.
Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi; e in date ore vaga la poesia, congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre della città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola. Ma tu - adesso mi ricordo - mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l’anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all’ora giusta l’incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient’altro.
Vorrei anche andare con te d’estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l’acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull’erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne. Tu diresti "Che bello". Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora. Ma tu - ora che ci penso - tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un’altra sigaretta, impaziente di fare ritorno. E non diresti "Che bello!", ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici.
Vorrei pure - lasciami dire - vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di sè una specie di musica. Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell’uomo. Ma tu - lo capisco bene - invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall’estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni. Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d’oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo.
È inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d’estate o d’autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare - ti prometto - gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all’amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.
Ma tu - adesso ci penso - sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.
Dino Buzzati
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mywords-myworld · 7 months
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Ho finito di leggere Sei di corvi, e ho iniziato la serie TV. Sarò onesta: sono quasi certa che sarà parecchie spanne sotto al libro, ma voglio darle una possibilità.
Gli attori di Kaz e Wylan all'inizio non mi ispiravano molto le giuste vibes, però più li vedo recitare più mi convincono (anche se non sono comunque al livello delle loro controparti cartacee)
L'attrice che interpreta Inej è perfetta <3
Tutti gli altri vanno dal "meh" a "chi minchia ha fatto questo casting"
Quindi questa è la mia personale interpretazione dei sei corvi originali, e anche se non sono tutti perfetti perché l'RPG market aveva una scelta limitata di caratteristiche ne sono abbastanza soddisfatta.
Enjoy!
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insonniacaotica · 24 days
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I wrote part two of the Matthias pov. I apologize already.
I'll update in a few days. I'll leave you the rest of the series <3
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smileandneversurrender · 11 months
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Si poteva amare qualcosa e vederne comunque i difetti.
Leigh Bardugo - Il regno corrotto
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sciatu · 2 years
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Anniversario della morte di Borsellino
Tutti noi ti abbiamo ucciso. Non quando sei morto, ma dopo. Quando i telegiornali raccontavano le loro favole, stupiti che quanto ormai fosse già scritto, accadesse veramente. Ti abbiamo ucciso quando ci siamo chiusi in casa impauriti da quanto già sapevamo sarebbe accaduto. Ipocritamente stupiti che quanto era avvenuto con Falcone, accadesse di nuovo. Ci siamo chiusi nelle nostre paure, pecore nascoste in fondo all’ovile al sentire l’odore di morte dei lupi assassini. Invece dovevamo scendere in strada, correre da chi ti comandava e bruciare i loro uffici, le loro case perché avevano permesso che ti immolassero sull’altare del “nulla cambia”, dovevamo bruciare i tribunali e maledire le caserme perché era stata scambiata la tua vita con le strette di mano nell’ombra. Dovevamo urlare e battere a tutte le porte perché tutti uscissero a difendere la loro libertà, quella dei giusti e degli onesti, perché tutti corressero a difendere la verità, dovevamo correre alle case di chi si sentiva al di sopra dei diritti e dei doveri e che se la cavavano sempre grazie a conoscenze e violenze e dovevamo dar fuoco ai loro salotti dorati, alla loro ipocrisia borghese, ai loro vestiti firmati alle complicità e convivenze che avvelenano la nostra terra. Dovevamo giustiziare gli assessori corrotti, i sindaci conviventi, gli usceri accondiscendenti, i poliziotti collusi i giudici venduti, i carabinieri traditori, creare noi, miti e indifesi, un mondo dove i corvi  on potessero vivere e gli orfani non dovessero sentire il peso dell’abbandono.
Invece, ci siamo nascosti nella rassegnazione, nell’attesa che una giustizia malata, agonizzasse su i suoi cancri e negasse ogni evidenza, contradicendo se stessa. Ci siamo lavati le mani nel vostro sangue: non potevamo, non dovevamo fare niente se non indignarci, se non vestirci con le vesti consunte del rimpianto, sentire i soliti discorsi, indossare uno sdegno di circostanza, finire il ricordo al bar, seppellirvi in un'altra celebrazione. Dovevamo essere fuoco e tempesta, immolarci chiedendo giustizia invece tutto è finito in parole consunto dal loro abuso in canzoni noiose che nessuno ricorda. È così che ancora una volta vi abbiamo ucciso, lasciando le ombre dove sono state messe per confondere gli onesti, distribuendo i vostri santini, prima di passare dalla rosticceria a parlare del tempo. È così che ancora una volta, abbiamo seppellito la verità e voi con lei.
We all killed you. Not when you are dead, but after. When the news broadcasts told their tales, amazed that what was already written, what really happened. We killed you when we locked ourselves in the house afraid of what we already knew was going to happen. Hypocritically amazed that what had happened with Falcone would happen again. We closed ourselves in our fears, sheep hidden at the bottom of the fold to smell the deathly smell of killer wolves. Instead we had to go down to the street, run to those in charge and burn their offices, their houses because they had allowed them to sacrifice you on the altar of "nothing changes", we had to burn the courts and curse the barracks because your life had been exchanged with handshakes in the shadows. We had to scream and bang at all the doors so that everyone would go out to defend their freedom, that of the just and honest, so that everyone ran to defend the truth, we had to run to the homes of those who felt above the rights and duties and who they always got by thanks to acquaintances and violence and we had to set fire to their golded salons, their bourgeois hypocrisy, their designer clothes to the complicity and cohabitation that poison our land. We had to execute the corrupt councilors, the cohabiting mayors, the condescending exiles, the colluding policemen, the sold judges, the traitor carabinieri, to create us, meek and defenseless, a world where the crows could not live and the orphans should not feel the weight of abandonment.
Instead, we hid in resignation, waiting for a sick justice to agonize over its cancers and deny all evidence, contradicting itself. We washed our hands in your blood: we could not, we had to do nothing but indignation, if not to dress in the worn garments of regret, to hear the usual speeches, to wear a disdain of circumstance, to finish the memory at the bar, to bury you in a other celebration. We had to be fire and storm, immolating ourselves asking for justice instead it all ended in words worn out by their abuse in boring songs that no one remembers. This is how we killed you once again, leaving the shadows where they were placed to confuse the honest, distributing your holy cards, before moving on to the rotisserie to talk about the weather. This is how once again, we have buried the truth and you with it.
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gregor-samsung · 2 years
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“ La Comune dovette, prima di tutto, pensare a difendersi. E fino ai suoi ultimi giorni, che vanno dal 21 al 28 maggio, essa non ebbe il tempo di pensare seriamente ad altro. Del resto, nonostante le condizioni cosi sfavorevoli, nonostante la brevità della sua esistenza, la Comune riuscì a adottare qualche misura che caratterizza sufficientemente il suo vero significato e i suoi scopi. Essa sostituì l'esercito permanente, strumento cieco delle classi dominanti, con l'armamento generale del popolo, proclamò la separazione della Chiesa dallo Stato, soppresse il bilancio dei culti (cioè lo stipendio statale ai preti), diede all'istruzione pubblica un carattere puramente laico, arrecando un grave colpo ai gendarmi in sottana nera. Nel campo puramente sociale, essa poté far poco; ma questo poco dimostra con sufficiente chiarezza il suo carattere di governo del popolo, di governo degli operai. Il lavoro notturno nelle panetterie fu proibito; il sistema delle multe, questo furto legalizzato a danno degli operai, fu abolito; infine, la Comune promulgò il famoso decreto in virtù del quale tutte le officine, fabbriche e opifici abbandonati o lasciati inattivi dai loro proprietari venivano rimessi a cooperative operaie per la ripresa della produzione. Per accentuare il suo carattere realmente democratico e proletario, la Comune decretò che lo stipendio di tutti i suoi funzionari e dei membri del governo non potesse sorpassare il salario normale degli operai e in nessun caso superare i 6.000 franchi all'anno (meno di 200 rubli al mese). Tutte queste misure dimostrano abbastanza chiaramente che la Comune costituiva un pericolo mortale per il vecchio mondo fondato sull'asservimento e sullo sfruttamento. Perciò, finché la bandiera rossa del proletariato sventolava sul Palazzo comunale di Parigi, la borghesia non poteva dormire sonni tranquilli. E quando, infine, le forze governative organizzate riuscirono ad avere il sopravvento sulle forze male organizzate della rivoluzione, i generali bonapartisti, sconfitti dai tedeschi, ma valorosi contro i compatrioti vinti, questi Rennenkampf e Moller-Zakomelski [generali zaristi; NdC] francesi compirono una carneficina quale Parigi non aveva mai visto. Circa 30.000 parigini furono massacrati dalla soldataglia scatenata, circa 45.000 furono arrestati; di questi ultimi molti furono uccisi in seguito; a migliaia furono gettati in carcere e deportati. In complesso, Parigi perdette circa 100.000 dei suoi figli, e fra essi i migliori operai di tutti i mestieri. La borghesia era soddisfatta. « Ora il socialismo è finito per molto tempo », diceva il suo capo, il mostriciattolo sanguinario Thiers, dopo il bagno di sangue che egli e i suoi generali avevano fatto subire al proletariato parigino. Ma i corvi borghesi gracchiavano a torto. Sei anni circa dopo lo schiacciamento della Comune, quando molti dei suoi combattenti gemevano ancora nella galera e nell'esilio, il movimento operaio rinasceva in Francia. La nuova generazione socialista, arricchita dall'esperienza dei suoi predecessori, e per nulla scoraggiata per la loro sconfitta, impugnava la bandiera caduta dalle mani dei combattenti della Comune e la portava avanti con mano ferma e coraggiosa al grido di « Evviva la rivoluzione sociale! Evviva la Comune! ». Due-quattro anni più tardi ii nuovo partito operaio e l'agitazione che esso scatenava nel paese obbligavano le classi dominanti a restituire la libertà ai comunardi rimasti nelle mani del governo. Il ricordo dei combattenti della Comune è venerato non solo dagli operai francesi, ma dal proletariato di tutti i paesi. Perché la Comune non combatté per una causa puramente locale o strettamente nazionale, ma per l'emancipazione di tutta l'umanità lavoratrice, di tutti i diseredati e di tutti gli offesi. Combattente avanzata della rivoluzione sociale, la Comune si è guadagnata le simpatie dovunque il proletariato soffre e combatte. Il quadro della sua vita e della sua morte, la visione del governo operaio che prese e conservò per oltre due mesi la capitale del mondo, lo spettacolo della lotta eroica del proletariato e delle sue sofferenze dopo la sconfitta, tutto questo ha rinvigorito il morale di milioni di operai, ha risvegliato le loro speranze, ha conquistato le loro simpatie al socialismo. Il rombo dei cannoni di Parigi ha svegliato dal sonno profondo gli strati sociali più arretrati del proletariato e ha dato ovunque nuovo impulso allo sviluppo della propaganda rivoluzionaria socialista. Ecco perché l'opera della Comune non è morta; essa rivive in ciascuno di noi. La causa della Comune è la causa della rivoluzione socialista, la causa dell'integrale emancipazione politica ed economica dei lavoratori, è la causa del proletariato mondiale. In questo senso essa è immortale.  “
V. I. Lenin, La Comune di Parigi, a cura di Enzo Santarelli, Editori Riuniti (collana Le idee n° 59), 1971¹; pp. 60-62.
NOTA: Il brano è tratto dal discorso tenuto da Lenin per commemorare il quarantennale della Comune di Parigi; il testo di tale orazione fu prontamente pubblicato in Rabočaja gazeta [«Gazzetta dell’operaio»] (1911, n. 4-5) e comparve in Italia in Opere complete (1954-70) di V. I. Lenin, vol. 17, pp. 123-127.
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wwweirdworld · 1 year
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così piccini eravamo,
quando ci siamo incontrati
avevi zampine minuscole
e gli occhi stropicciati
due orecchie grandi come un'oliva,
il pelo più bianco delle neve di mattina.
sei nato in primavera, con il volo
delle rondini e dei corvi
ma non hai imparato a camminare
finché non è arrivata l'estate,
con i suoi climi torridi.
Tumblr media
ti ho amato dal principio,
e mai tramonterà
questo affetto che ho per te,
che immortalato nelle foto resterà.
ti ho visto crescere ogni giorno,
e diventare forte,
lasciare passo dopo passo
nel bosco le tue impronte.
ora un po' vecchiotto sei,
hai problemi alla vista
ma nonostante anche la tua sordità,
sei la gioia dei giorni miei 🐶
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