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#reiner maria rilke
hozieresque · 1 month
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Is it me or do the Germans not know how to express a single emotion through verse? It's all rhyme and no gut punch
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riotgrrrlhole · 1 year
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Quotes that I want tattooed so bad
“Let me think that there is one among those stars that guides my life through the dark unknown.”
“If you cry because the sun has gone out of your life, your tears will prevent you from seeing the stars.”
“Let life be beautiful like summer flowers and death like autumn leaves.”
Rabindranath Tagore
“Let everything happen to you
Beauty and terror
Just keep going
No feeling is final. “
Reiner Maria Rilke
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poesias-de-quinta · 2 years
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Obras de arte são de uma solidão infinita, e nada pode passar tão longe de alcançá-las quanto a crítica. Apenas o amor pode compreendê-las, conservá-las e ser justo em relação a elas.
Rainer Maria Rilke, em Cartas a um jovem Poeta
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chicxchic · 2 years
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Si votre quotidien vous paraît pauvre, ne l'accusez pas. Accusez-vous vous-même de ne pas être assez poète pour appeler à vous ses richesses. Pour le créateur rien n'est pauvre, il n'est pas de lieux pauvres, indifférents. Même si vous étiez dans une prison, dont les murs étoufferaient tous les bruits du monde, ne vous resterait-il pas toujours votre enfance, cette précieuse, cette royale richesse, ce trésor des souvenirs? Tournez là votre esprit.
Reiner Maria Rilke.
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loveint-diario · 2 years
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 “Vorrei pregarvi di avere pazienza verso quanto nel vostro cuore vi si prospetta irrisolto e di avere care le domande stesse… Vivete adesso le vostre domande. Così, forse, riuscirete, a poco poco, senza accorgevene, a giungere un giorno ad avere la possibilità di vivere le risposte.”
Rainer M. Rilke, Lettera a un giovane poeta
La pazienza è davvero la virtù dei forti? Allora perché sono soprattutto i deboli a doverla esercitare? La pazienza quando non indica una vera e propria rassegnazione, coincide con la decisione di attendere, dopo aver attentamente valutato l’impossibilità di agire in quel determinato momento. La pazienza è un’attesa del futuro, l’attesa di chi non può agire nel presente. Pazienti sono tutti coloro che devono sopportare una qualsiasi situazione che non hanno il potere di modificare. La pazienza è dei malati di cancro, dei malati cronici, di quelli in cerca di una diagnosi, dei loro caregiver, la pazienza è dei carcerati, dei prigionieri, di chi combatte una guerra personale o patriottica, la pazienza è dei migranti quando attendono un soccorso galleggiando su un gommone troppo carico nel bel mezzo del Mediterraneo e ci sono solo le stelle a guardare. Le domande sono quelle di chi non sa, di chi non può, di chi cerca la verità, di chi chiede giustizia.
La verità è vero, è un lavoro faticoso, richiede che si facciano ricerche accurate, indagini mirate, bisogna analizzare i dati e le prove raccolte, richiede riflessione giudizio anche, per scartare il superfluo e tenere il necessario, richiede di saper individuare l’importante, di riuscire a mettere insieme i pezzi per dare forma al mosaico nascosto, è insomma una faccenda complessa che vuole tempo, ma come nella scultura di Gian Lorenzo Bernini, quando il tempo solleva il suo velo e la scopre, la verità appare nuda e semplice.
Siamo continuamente sommersi da fakenews, in un regime di parziale libertà di parola e di stampa, nel quale le notizie vengono spesso confezionate in modo che la forza dell’immagine dia loro credito e risonanza, in una realtà appositamente manipolata. Siamo sommersi da una retorica che ha completamente reciso il legame tra chi parla e ciò che dice, creando, come diceva Michel Foucault ne Il coraggio della verità, un vincolo costrittivo e di potere tra ciò che viene detto e coloro ai quali si rivolge, tanto che questi non sembrano essere disturbati dalla sfuocatura del velo come accade quando, in alcune circostanze, le Carte dei Diritti, le Costituzioni, i Decreti e le Leggi, contano meno delle decisioni di chi ha il dovere, e la responsabilità, di garantire e difendere queste Leggi e questi Diritti.
Ecco perché quando cerchi la verità per chiedere giustizia “se guardi da vicino però_ ti accorgi che qualcosa stona_ che ci sono tipo dei glitch_ come se ci fossero altre immagini_ frammenti_ nascoste sotto”.
È Zerocalcare che scrive e disegna in Strati, La storia che nessuno vuole raccontare, uscita su L’Essenziale questo febbraio, la storia di Ugo Russo, un quindicenne ucciso a Napoli a colpi di pistola da un carabiniere, dopo che aveva tentato di rapinarlo con una pistola giocattolo. Sembra una storia semplice con fatti chiari e precise responsabilità, ma come mostra l’autore in questa storia ci sono dei glitch, dei frammenti stonati che richiedono di riflettere meglio sui dati raccolti. Perché un carabiniere che presta servizio a Bologna e si trovava in vacanza con la sua fidanzata, era armato? Perché il corpo di Ugo viene trovato a qualche metro di distanza dall’auto, dentro la quale si trovava il carabiniere come se, dopo il colpo alla testa che lo ha ucciso e quindi da morto, avesse tentato di fuggire?
Zerocalcare racconta una di quelle storie dove la verità si confonde nei dettagli di spazio e di tempo, le versioni sono più d’una e la giustizia ha i suoi percorsi lunghissimi. Una di quelle storie che non interessa a nessuno, di quelle che facilmente cadono nella disattenzione o nella banalità del pregiudizio del sapere già, per cui parole come camorra o mafia, sono esplicative di tutto, i fatti sono inquadrati dentro un modello che tutti pensano di conoscere e che permette loro di distinguere ciò che è bene da ciò che non lo è, di separare i buoni dai cattivi, ma soprattutto di mantenere intatta la retorica dei buoni, senza il bisogno di mettere in discussione chi siano questi i buoni e chi questi cattivi. Perché, conclude l’artista, “una storia senza buoni e cattivi non sappiamo nemmeno raccontarla”. Una storia, poi, dove i buoni li facciamo diventare i cattivi così possiamo metterli in prigione e i cattivi li facciamo diventare buoni, così hanno il potere di esercitare la giustizia, è impensabile. Del tutto distopica. Per raccontarla abbiamo bisogno della fantascienza, di sguardi visionari, di chi nell’illusione ottica vede sia il vaso sia il profilo degli amanti.
Durante questi anni, per far fronte a quello che mi stava accadendo ho dovuto anche io attraversare il cammino impervio della ricerca, l’incertezza della malattia, la stasi della prigionia, la confusione di immagini velate e di testi criptati. Quando mi sono rivolta alla giustizia, prima in Italia dove non hanno voluto accettare la denuncia, e dopo in Spagna dove ho visstuto per un paio d’anni e dove l’agente di polizia del tutto candidamente mi disse: “Signora, con tutte le denunce per stalking che abbiamo di donne che subiscono minacce di morte, benché la violazione della privacy sia un reato, ma chi vuole che indaghi su una denuncia per qualcuno che non le ruba denaro, non minaccia di farle del male e non posta le sue foto. È solo qualcuno che la guarda. Lo ignori e vada avanti con la sua vita, prima o poi si stancherà e la lascerà in pace.”
Era il 2017. La storia non era proprio una di quelle che non interessa a nessuno, era ancora meno, sembrava che non ci fossero nemmeno i presupposti per definirla una storia. Ero giusto una donna che voleva difendersi da un uomo che abusava del suo potere. Nessuno mi stava rubando dei soldi, non c’erano immagini piccanti e nemmeno insulti o minacce. Tutto normale insomma, come normale mi sembrò per non perdere la speranza, cominciare a frequentare la pazienza.
Roma 21/06/2022 h 08:27pm
Capitolo 4 La nuda verità
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hhorror-vacuii · 9 months
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What Will You Do?
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Reiner Maria Rilke
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spieltagslyrik · 1 year
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Der Kahn
Sein Blick ist vom Vergehn der Chancen So müd geworden, dass es ihn kaum hält Ihm ist, als fehlten nicht bloß Nuancen Und hinter ihnen zerbricht sie, seine Welt
Der weiche Gang, gefedert sonst von Pranken Der ach schon viele Titel hat gesammelt Ist wie ein Tanz von Kraft inmitten Schranken In der betäubt ein großer Wille stammelt
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jaded-ghoster · 2 years
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We’re going through old poets in my english class and I want to say I really admire Rilke’s general philosophy. Basically it revolves around living in complete solitude forever for personal and literary development (“Ten years are nothing”), never taking criticism (“No means of approach is so useless as criticism”), and never asking questions (“No one can advise or help you- No one”). Legend has it even when he was a married man with a wife and child he would still walk into the forest for random long periods of time for inspiration. He also changed his first name from René to Rainer because his lover-girlfriend-mentor-situationship said René was too feminine of a name. And he listened to her. Which is shocking, because his middle name was literally Maria and no one had any comments about that. Anyway I love him.
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radiogornjigrad · 2 years
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REINER MARIA RILKE: JESENJI DAN
REINER MARIA RILKE: JESENJI DAN
JESENJI DAN Gospode, ura dođe. Oduži se ljeto. Sad suncosate zakrili nam sjenom, a polja pusti vjetru raspuštenom. Nek’ zadnje voće puca od jedrine, s dva južna dana štedro ga nadari, i teret slatki nek’ granu povine, slador daj vinu neka nas ožari. Tko sada nema doma, nikad više neće mu pod krov stati. Tko sam biva samotan bit će vazda, slušat kiše, čitat će, pisat duga pisma, bdjeti, alejom…
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canesenzafissadimora · 3 months
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Quando i miei pensieri sono ansiosi, inquieti e cattivi, vado in riva al mare, e il mare li annega e li manda via con i suoi grandi suoni larghi, li purifica con il suo rumore, e impone un ritmo su tutto ciò che in me è disorientato e confuso.
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Reiner Maria Rilke
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NEUE BLUMEN RIEFEST DU AUS MEINER ERDE
Neue Blumen riefest du aus meiner jungen Erde, 
die sich dir ergab, niemals öffneten sich Kelche reiner 
als geweckt von deinem Zauberstab.
(Rainer Maria Rilke, aus: Sämtliche Werke, Band II 289)
Foto: by Thomas Vanderheyden on flickr 
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Les Quatraines Valaisans de Reiner Maria Rilke
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effervescentdragon · 2 years
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web-weaving for seb and lewis in my spy au wip Gold and Gifts that is being thought of but not yet written slowly :) 
credits:
pictures - pinterest, this post by @lewki (that moment was actually the inspiration for the au)
texts - the book of hours, reiner maria rilke // the guest, anna akhmatova // portrait of a daughter, sharon olds // friedrich nietzche // two, sleeping at last
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escritos-wildheart · 1 year
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«Deja que todo te acontezca.
Lo bello y lo terrible.
Solo sigue adelante.
Ningún sentimiento es definitivo»
Reiner Maria Rilke
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crazy-so-na-sega · 8 months
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Friedrich Nietzsche in compagnia della madre Franziska (1892)
2 aprile 1888: Friedrich Nietzsche era un viaggiatore un po’ distratto. Doveva arrivare a Torino, eppure si ritrovò a Sampierdarena, non lontano da Genova; aveva sbagliato treno, ecco tutto…ma un piccolo mistero rimane ancora oggi, visto che la sua valigia lo stesso giorno s’imbarcò educatamente sul vagone per il Piemonte.
Tre giorni dopo, comunque, il professore ritentò l’impresa sulla linea Alessandria-Asti-Torino e, questa volta, giunse a destinazione: gli apparve una città ammantata di luce purissima, dai viali silenziosi e splendidamente lastricati.
Proprio dietro Palazzo Carignano, l’edicolante Davide Fino vide il forestiero, tutto contento con la valigia in mano, e cercò di vendergli una guida turistica; si ritrovò, invece, ad affittargli una stanza nella sua stessa casa, all’ultimo piano di Via Carlo Alberto n.6, dove oggi si trova la lapide che ricorda il soggiorno torinese del filosofo.
Nietzsche rimase due mesi in città; in estate partì per la Svizzera e poi, a settembre, tornò qui per un soggiorno più lungo, che si rivelò fatale.  
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La targa che ricorda il soggiorno torinese del filosofo tedesco in via Carlo Alberto 6
Dodici anni prima, poco più che trentenne, la salute malferma lo aveva costretto a congedarsi dall’università di Basilea, dove insegnava lingua e letteratura greca; fu l’inizio di un’intensa attività di scrittura e peregrinazioni sempre più sofferte, in un “Gran Tour” europeo di cui rimane solamente un taccuino insignificante, con appuntati i prezzi di frutta e verdura.
Eppure, Torino gli apparve splendida:“…è l’unica città che mi piaccia. Un qualcosa di calmo e di superstite lusinga i miei istinti. Percorro con estasi queste vie dignitose…Un paradiso per i piedi, anche per gli occhi…Non avrei mai creduto che una città, grazie alla luce, potesse diventare cosi bella”.
Diverse lettere, indirizzate alla madre, al musicista Peter Gast e al teologo Overbeck, mostrano l’entusiasmo per Torino che, persa la corona da capitale, rimaneva comunque vivacissima: cinque quotidiani, venti giornali scientifici e quattordici letterari, oltre a numerose biblioteche internazionali.
A questa effervescenza culturale, però, Nietzsche prendeva raramente parte. Preferiva passeggiate solitarie lungo i viali di Corso Casale; pensava, forse, a Richard Wagner, il celebre compositore con cui si era interrotto, misteriosamente, il sodalizio spirituale; o pensava ancora a Lou Salomé, l’affascinante russa che avrebbe anche sposato se questa non avesse ammaliato, prima il suo migliore amico, Paul Rée, poi un giovane poeta, Reiner Maria Rilke, e successivamente persino Sigmund Freud.  
Conduceva una vita riservata: di amici forse solo Carlo Clausen, editore tedesco che portò in Italia le dottrine orientali, quando erano ancora sconosciute.
Curiosamente, gli avvenimenti che lo interessavano di più erano gli stessi che entusiasmavano quella borghesia da lui tanto criticata: pare che alla fine dell’estate, trascorsa tra le montagne di Sils Maria, desiderasse tornare a Torino proprio per assistere, insieme ad oltre 70.000 persone, al matrimonio fra il duca Amedeo di Savoia e la principessa Letizia Bonaparte.
Curioso, per un personaggio ritenuto da tutti anticonformista; ma Nietzsche non era mai stato un “bohémien” ed, anzi, aveva sempre tenuto tantissimo a titoli, blasoni e frequentazioni altolocate.
Arrivò l’autunno: monotono, ma prolifico. C’era la sua scrivania, dove scrisse “Ecce Homo”, e c’era il pianoforte, che condivideva con Irene, la figlia dei suoi affittuari.
Poi, giorno dopo giorno, la sua grafia divenne sempre più nervosa e illeggibile; mentre nel suo cestino i coniugi Fino trovavano banconote stracciate, dalla vicina posta centrale, il filosofo cominciò a spedire biglietti in cui si considerava l’incarnazione di Vittorio Emanuele II, dell’architetto Antonelli o di altre celebrità dell’epoca; firmava le lettere come “il Crocifisso” o “l’Anticristo”.
Cominciò a confondere le notizie che apparivano sui giornali con quelle della sua vita quotidiana: vaneggiò che i sovrani d’Italia sarebbero andati a trovarlo nella sua stanza e poi, quando su “La Gazzetta Piemontese” apparve la notizia che uno spagnolo, accusato di omicidio, veniva condannato a morte, pensò di essere il carcerato stesso.
Il 3 gennaio 1889 avvenne la fine, forse un episodio più leggendario che veritiero.
Vedendo un vetturino che frustava a sangue un cavallo, Nietszche abbracciò e baciò l’animale, cadendo a terra e urlando di essere il nuovo Dioniso.
Lasciò Torino con la papalina di Davide Fino sulla testa, come pegno di un futuro incontro che mai avvenne. Morì il 25 agosto 1900 a Weimar, prigioniero della pazzia, presto trasformato in un mito.
I suoi scritti, rimaneggiati dalla sorella Elisabeth, conobbero un enorme successo e colpirono negli anni successivi Adolf Hitler.
Si convinse di essere l’ubermensch invocato dal filosofo per una nuova era. E, cosa ancor più folle, tanti lo seguirono. Ma non era il superuomo; era, anzi l’ultimo uomo, il peggior nichilista che avrebbe distrutto il mondo. L’ubermensch vagheggiato dal filosofo era diverso; il suo oltreuomo, avendo scoperto che Dio era morto, con la Filosofia del Martello avrebbe distrutto quei valori in cui l’Occidente faceva ancora finta di credere, libero di creare, come un fanciullo, nuovi valori.
“Ma chi sono i pazzi?”
-Fonte: Nietzsche a Torino
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L'uomo e il suo pensiero raramente coincidono...(cit)
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hicapacity · 1 year
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A Závecz Research által végzett közvéleménykutatás szerint a magyar emberek több, mint 80%-a elutasította azt a kijelentést, hogy "A világ folyamatosan változik, és ez így van jól". Nem szeretjük a változást - rettegjük a múlandóságot, áhítozzuk az állandóságot. Azt hisszük, hogy a változás, az új: mindig bizonytalanságot és szenvedést jelent. Arról fantáziálunk, hogy régen minden jobb volt. Ez persze látszólag ellentétben áll azzal a fogyasztói társadalommal, ami folyamatosan új dolgokat tukmál ránk: mindig a legújabb kütyüt, fogkrémet és mosóport a régi, hagyományossal szemben. De ez is csak látszólagos ellentét: valójában ezek is csak arra kellenek, hogy csökkentsük a változás bizonytalanságát. Hogy valamiféle stabil, állandó státuszt - vagy annak illúzióját - érjünk el ezeken a dolgokon keresztül. Közben nem vesszük észre: a változás makacs elutasítása a fő oka annak, hogy szenvedünk. Görcsös igyekezetünk, hogy megakadályozzuk a dolgok elmúlását, hogy kimerevítsük az időt: szorongást kelt a jövőtől. A múlt nyomasztó árnyékában élünk, de azt legalább ismerjük - és az ismerős szenvedést választjuk az ismeretlen, kényelmetlen változással szemben. Tapasztalataim szerint ennek óriási szerepe van abban is, amit szenvedélybetegségnek nevezünk.   Nem egy új probléma ez - az emberiség régóta küzd vele. Az első világháború előestéjén, 1913 nyarán Sigmund Freud, a pszichoanalízis atyja, és Reiner Maria Rilke, a híres költő a Dolomitokba utazott. A kirándulás során mindkettejüket lenyűgözte a természet: a havas hegycsúcsok komor fensége, a zöldellő fenyvesek és virágzó mezők szépsége. Mégis, Rilke, Freud-al ellentétben, bár felfogta és érzékelte, de nem tudta élvezni ezt a fenséget és szépséget. Pontosabban fogalmazva: nem tudott benne örömet találni. Mert folyamatosan az járt a fejében, hogy mindez múlandó.
Rilkét végtelenül elszomorította a gondolat, hogy a virágok, amik ma a szivárvány minden színében pompáznak - holnap már elhervadhatnak. És mi, akik mindezt a szépséget megtapasztaljuk, mi is meghalunk. De még a hegyek is, amelyek életét nem évszázadokban, de évszázmilliókban mérik - még a hegyek is porrá válnak egyszer.
Freud később, az első világháború vészterhes éveiben, amikor háború dúlta az egykor békés Európát - sokat gondolt a Rilkével folytatott beszélgetésére. Tudta, hogy az a háború előtti "boldog békekorszak", aminek mintegy a lezárásaként kirándultak el a hegyekbe, örökre a múltté. Egy külön esszében (Vergänglichkeit, 1915) próbált meg választ találni arra a kérdésre, hogy vajon hogyan találhatunk örömet egy olyan világban, amiben minden - mi is - folyamatosan változik és minden elmúlik.
Freud Rilkével vitatkozva eljut a múlandóság egy olyan értelmezéséhez, amiről Mark Epstein amerikai pszichológus megállapítja, hogy nagyon közel áll a Buddha tanításaihoz. A görcsös vágyunk, hogy a szépséget állandónak lássuk, írja Freud, abból fakad, hogy birtokolni akarjuk a valóságot. Rilke szenvedése, amit a dolgok múlandóságának tulajdonított, valójában nem a múlandóságból fakadt - hanem abból, amit a múlandóságról gondolt.
"A virág, ami csak egyetlen éjszakán virágzik, nem kevésbé gyönyörű a számunkra" - jelenti ki Freud. Mivel a mulandó dolgok szépségüket azon keresztül nyerik el, amilyen jelentést mi tulajdonítunk nekik, szépségük független az élettartamuktól. A kulcs az, ahogyan mi gondolkodunk a világról. Nem azért szenvedünk, mert a világ hibás - hanem mert a mi felfogásunk hibás, amit a világról alkotunk.
Ez valóban nagyon közel áll a buddhista felfogáshoz, ahol az emberi szenvedés (dukkha) abból fakad, hogy ragaszkodunk a múlandó (aniccsa) dolgokhoz. Ragaszkodunk ahhoz, hogy a dolgoknak van valamiféle állandó valóság-magja, esszenciája, pedig ilyen nincs (anatta). És ez a felfogásunk okozza a szenvedést, ami nem a létezés elkerülhetetlen velejárója.  
Ezt Thich Nhat Hanh vietnámi buddhista szerzetes így fogalmazta meg: "Nem a dolgok múlandósága az, ami a szenvedésünket okozza. Hanem a vágyunk, hogy a dolgokat állandónak lássuk, miközben nem azok. Meg kell tanulnunk értékelni a múlandóságot."
Aki inkább nyugati, zsidó-keresztény hivatkozásokra vágyik: hát ott a Biblia. "Nézzétek az ég madarait! Nem vetnek, nem aratnak, csűrbe sem gyűjtenek – mennyei Atyátok táplálja őket. Nem többet értek ti náluk? Ugyan ki toldhatja meg életét csak egy könyöknyivel is, ha aggodalmaskodik?" (Máté 6,26)
Aki pedig nem vallási hivatkozásra: annak ott van Horatius, a latin költő. Carpe diem - élvezd a napot! Ez az üzenet ezen keresztül nyer új értelmet. Nem nyüszítő menekülés a holnap vagy a tegnap elől, hanem hagyni, hogy megtörténjen. Örömet, hálát lelni a jelen pillanatban - anélkül, hogy kontrollálni, megállítani akarnánk, valami mást akarnánk helyette.    
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