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#regime nazionalsocialista
falcemartello · 1 year
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George Grosz
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E' degno di nota il fatto che non ci sia abbastanza informazione (e formazione) sul preludio tedesco al regime nazionalsocialista - il periodo della cosiddetta "Repubblica di Weimar".
Considerato lo stato dell'occidente nel 2023 mi sembra giusto.
Le similitudini si sprecano sotto ogni punto di vista: sociale, economico, geopolitico, culturale.
@gas_lerner
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abr · 1 year
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E' degno di nota il fatto che non ci sia abbastanza informazione (e formazione) sul preludio tedesco al regime nazionalsocialista - il periodo della cosiddetta "Repubblica di Weimar". Considerato lo stato dell'occidente nel 2023 mi sembra giusto. Le similitudini si sprecano sotto ogni punto di vista: sociale, economico, geopolitico, culturale. (...) Nei programmi scolastici la storia della Germania 1918-1939 è ridotta a "veloce menzione all'iperinflazione, Hitler diventa cancelliere, notte dei cristalli, invasione della Polonia". Per l'Italia invece è "fine I GM, marcia su Roma, guerre coloniali, leggi razziali, II GM". Tanto tutto quello che devi sapere per l'interrogazione è che a un certo punto H. e M. salirono al potere perché il popolino era stupido e ignorante mentre loro erano brutti e cattivi, fine.
via https://twitter.com/gas_lerner/status/1616783567194923014
Già.
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notizieoggi2023 · 1 month
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https://notizieoggi2023.blogspot.com/2024/03/gustav-wunderwald-der-heerstrae-1918.html Gustav Wunderwald - An der Heerstraße (1918) Gustav Wunderwald, un pittore tedesco associato allo stile del “Nuovo oggettivismo”, creò il dipinto “An der Heerstraße” nel 1918. Quest’opera cattura una scena di strada notturna con un affascinante gioco di luci e ombre. L’illuminazione teatrale aggiunge un fascino unico alla composizione. Il percorso artistico di Wunderwald iniziò a Colonia, dove fu apprendista del maestro pittore Wilhelm Kuhn. Nel corso degli anni, lavorò come scenografo, creando scenografie per vari teatri. La sua carriera lo portò da Berlino a Stoccolma, e trascorse persino del tempo “nella natura” come esperimento. Tuttavia, alla fine tornò all’impiego convenzionale. Negli ultimi anni, Wunderwald si concentrò sulla pittura di paesaggi industriali, quartieri di Berlino e soggetti rurali. Le sue opere raffiguravano ponti, stazioni ferroviarie e case popolari, catturando l’essenza della vita urbana. Nonostante le sfide affrontate durante la Prima Guerra Mondiale e il regime nazionalsocialista che etichettò la sua arte come “degenerata”, Wunderwald lasciò un’eredità duratura attraverso le sue evocative tele. !An der Heerstraße Sommario: “An der Heerstraße” di Gustav Wunderwald offre uno sguardo affascinante su una strada notturna, giocando abilmente con luci e ombre.
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personal-reporter · 6 months
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L'aeroporto di Tempelhof a Berlino, quando era palcoscenico della propaganda nazista
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L'aeroporto di Tempelhof a Berlino è un'icona dell'architettura e della storia tedesca del XX secolo. Situato nel cuore della città, questo aeroporto ha una storia ricca e complessa che ha visto diversi capitoli, tra cui uno dei più oscuri: la sua trasformazione in un potente strumento di propaganda nazista durante il periodo del Terzo Reich. Le origini di Tempelhof Tempelhof ha aperto per la prima volta al traffico aereo nel 1923, diventando così uno dei primi aeroporti al mondo. La sua posizione strategica nel centro di Berlino ne ha fatto un nodo vitale per i voli nazionali e internazionali, e la sua grande pista di decollo e atterraggio ha reso possibile l'operatività di aerei di grandi dimensioni. La trasformazione sotto il Terzo Reich Con l'ascesa di Adolf Hitler e il consolidamento del potere nazista negli anni '30, Tempelhof è stato oggetto di importanti trasformazioni. L'architetto Ernst Sagebiel fu incaricato di ristrutturare l'aeroporto in uno stile architettonico tipico del regime nazista. La struttura massiccia e monumentale, con le sue linee rette e l'uso abbondante di marmo, è diventata un esempio classico dell'architettura nazista. Propaganda nazista a Tempelhof Tuttavia, la trasformazione di Tempelhof è andata oltre l'aspetto fisico. Durante il regime nazista, l'aeroporto è diventato un palcoscenico per la propaganda nazista. I grandi eventi di propaganda, come i raduni del Partito Nazionalsocialista e le parate militari, venivano spesso organizzati a Tempelhof. La vasta piazza antistante l'edificio principale era utilizzata per radunare le masse e diffondere la retorica nazista. Il volo di propaganda di Leni Riefenstahl Un esempio noto di utilizzo di Tempelhof per scopi propagandistici è il famoso documentario di Leni Riefenstahl, "Il trionfo della volontà". Questo film, prodotto nel 1935, ha immortalato il Congresso di Norimberga del Partito Nazionalsocialista e ha fatto ampio uso di riprese aeree di Tempelhof per enfatizzare la grandiosità dell'evento e la potenza del regime. La fine del Terzo Reich e il destino di Tempelhof Con la sconfitta della Germania nazista alla fine della Seconda Guerra Mondiale, Tempelhof ha perso il suo status di aeroporto principale di Berlino. Durante l'occupazione alleata, l'aeroporto è stato utilizzato per scopi militari dagli Stati Uniti. Tuttavia, con il blocco di Berlino nel 1948 e il conseguente ponte aereo che ha fornito aiuti vitali alla città assediata, Tempelhof è tornato al centro dell'attenzione internazionale. La chiusura di Tempelhof e il suo futuro Tempelhof ha continuato a funzionare come aeroporto civile per molti anni dopo la fine della guerra, ma nel 2008 è stato definitivamente chiuso. Oggi, la struttura è stata convertita in un grande parco pubblico, il Tempelhofer Feld, che offre spazi aperti per il ricreazione e la cultura. La storia complessa di Tempelhof, dalle origini come aeroporto all'uso come strumento di propaganda nazista, è ora parte del passato della città di Berlino. Read the full article
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cinquecolonnemagazine · 9 months
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Cosa fu l'arte durante il periodo nazista
Durante il periodo nazista l'arte in Germania subì un drastico cambiamento poiché il regime di Adolf Hitler cercò di controllare e manipolare l'espressione artistica per promuovere l'ideologia nazista e il culto della personalità del Führer. Chi non si adeguava alle linee guida artistiche del regime subiva persecuzioni, repressione e censure. Contestualmente, l'arte moderna e sperimentale fu etichettata come "arte degenerata". I movimenti artistici come l'espressionismo, il dadaismo, il cubismo, il surrealismo e l'arte astratta furono disprezzati dal regime nazista e demonizzati come opere corrotte e degenerate. Cosa fu l'arte tedesca durante il periodo nazista L'arte tedesca durante il periodo nazista si focalizzò principalmente su due aspetti: propaganda e tradizione. L'arte venne utilizzata come uno strumento di propaganda per promuovere i valori e le ideologie del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP). Le opere d'arte prodotte in questo contesto cercavano di esaltare l'immagine del Führer, Adolf Hitler, come un eroe nazionale e incoraggiare il nazionalismo e il patriottismo tedesco. Spesso venivano raffigurati ritratti di Hitler, immagini di forza militare e scene che idealizzavano la razza ariana e la Germania come una potenza dominante. Il regime nazista promuoveva uno stile artistico più tradizionale, incentrato sul realismo e sullo stile classico. I valori nazisti come l'ideale della bellezza nordica, l'orgoglio della nazione e la supremazia della razza ariana furono esaltati in queste opere d'arte. Temi mitologici, paesaggi idilliaci, scene familiari e ritratti erano comuni nei dipinti accademici del periodo. Cosa fu la Camera della Cultura del Reich? Nel 1933, il regime nazista creò la Camera della Cultura del Reich, in tedesco Reichskulturkammer (RKK). La sua creazione fece parte del processo di controllo e censura del regime su tutte le forme di espressione culturale e artistica nel paese. Questo organo aveva il compito di regolamentare e supervisionare tutte le attività culturali in Germania. Tra queste erano comprese anche le arti visive, la letteratura, il teatro, il cinema, la musica e i media. Era un organismo centrale per il controllo della cultura e dell'informazione. Il suo principale obiettivo era promuovere l'ideologia nazista e il culto della personalità di Adolf Hitler. Gli artisti e gli intellettuali che non si conformavano all'ideologia nazista o che erano considerati "non conformi" alla politica culturale del regime erano espulsi dalla Camera della Cultura del Reich. Ciò significava che essi non potevano più esercitare la loro professione e i loro lavori erano banditi o sottoposti a censure. In questo modo, la Camera della Cultura del Reich giocò un ruolo fondamentale nella manipolazione dell'arte e della cultura tedesca per promuovere e consolidare il controllo del regime nazista sulla società e sulla mente delle persone. Questo organismo fu uno degli strumenti utilizzati dal Partito Nazionalsocialista per modellare l'identità culturale del Paese secondo la sua ideologia razzista, nazionalista e totalitaria. La Camera della Cultura del Reich era diretta da Joseph Goebbels, il Ministro della Propaganda e dell'Informazione del regime nazista. La sua influenza sulla cultura era onnipresente, e tutti gli artisti, scrittori, attori, musicisti, registi e giornalisti dovevano diventare membri dell'organizzazione per poter lavorare nel campo culturale. Cos'era l'arte degenerata? Le espressioni artistiche "non conformi" alla dottrina nazista erano inquadrate nell'ambito dell'"arte degenerata" (in tedesco "Entartete Kunst"). Le opere d'arte moderne, come quelle dei movimenti espressionisti, dadaisti, cubisti, surrealisti e molte altre, furono ritenute inadatte, decadenti e degeneri. Il regime nazista creò una lista di artisti considerati degeneri e le loro opere furono rimosse dai musei e dalle gallerie, spesso confiscate o distrutte. Le opere d'arte moderne furono equiparate a una minaccia all'ordine sociale e morale nazista e considerate dannose per la purezza culturale della nazione. Nel 1937, i nazisti organizzarono un'importante esposizione intitolata "Entartete Kunst" a Monaco di Baviera, in cui furono esposte opere d'arte considerate degeneri e derise come esempi di corruzione e immoralità culturale. Questa mostra servì a screditare e deridere gli artisti e le opere considerate non in linea con l'ideologia del regime. L'arte degenerata è divenuta simbolo dell'oppressione culturale e della censura artistica del regime nazista. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, molti dei lavori confiscati furono recuperati e restituiti ai loro legittimi proprietari o conservati in musei come testimonianze storiche dell'oscurantismo e della persecuzione artistica perpetrata dai nazisti. In copertina foto di Gerd Altmann da Pixabay Read the full article
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valhallarealm · 9 months
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La storia di Barbie tra politicamente scorretto e adattamento alle tendenze
Come è nato un giocattolo che ancora oggi suscita polemiche Barbie non è mai stata tanto politically correct sin dall’inizio. La sua creatrice, Ruth Handler, copiò il suo design alla bambola tedesca Lilli, ispirata al personaggio della striscia a fumetti nato dalla matita di Reinhard Beuthin il 23 giugno 1952 su Bild Zeitung. Lilli corrispondeva al canone di bellezza regime nazionalsocialista e…
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gregor-samsung · 3 years
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“ Era festa. Si celebrava il compleanno del plebeo in capo. La città era piena di bandiere. Nelle strade sfilano le ragazze che cercano l’aviatore scomparso, i ragazzi che vorrebbero che tutti i negri morissero, i genitori che credono alle bugie scritte sui manifestini, e quelli che non ci credono sfilano lo stesso. Divisioni di gente senza carattere, al comando di idioti. E tutti con lo stesso passo. Cantano di un uccellino che canta sulla tomba di un eroe, di un soldato che muore asfissiato, di ragazze nerobrune che mangiano i rifiuti rimasti a casa, e di un nemico che non esiste. È così che i deboli di mente e i bugiardi celebrano il giorno in cui è nato il plebeo in capo. E mentre così penso, noto con una certa soddisfazione che anche alla mia finestra sventola una bandierina. L’ho messa fuori ieri sera. Quando si ha a che fare con dei criminali e dei pazzi, bisogna agire da criminali e da pazzi; altrimenti, addio. Bisogna imbandierare la casa, anche se non si ha più casa. Quando non si sopporta più il carattere, ma soltanto l’obbedienza, la verità fugge e viene la menzogna. La menzogna, madre di tutti i peccati. Fuori le bandiere! Piuttosto il pane che la morte. Così pensavo quando mi chiesi: ma che cosa vai fantasticando? Non ricordi che sei stato sospeso dall’insegnamento? Non sei stato spergiuro. Hai confessato di aver forzato la cassetta. Metti pure fuori la bandiera, rendi pure omaggio al plebeo in capo, striscia pure nella polvere e menti più che puoi, le cose stanno come stanno, hai perduto il pane. “
Ödön von Horváth, Gioventù senza Dio, traduzione di Bruno Maffi, Bompiani, Milano 2003. (Libro elettronico)
[ 1ª edizione originale: Jugend ohne Gott, Amsterdam, 1937 ]
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auroraccblog · 5 years
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🔴Blood e Honour Hexagone: un gruppo neonazista di fronte alla giustizia - Le Monde - Luc Leroux
Tre leader di questo gruppo nostalgico del Terzo Reich potrebbero essere rapidamente rinviati a giudizio dinanzi al Tribunale penale di Marsiglia per "partecipazione ad un gruppo di combattimento".
In quel giorno, la sala della Trois-Chênes de Torchefelon, un villaggio di 700 abitanti dell'Isère, è stata ufficialmente riservata per un compleanno. Il 5 marzo 2016, 400 appassionati di rock anticomunista (RAC) si sono riuniti per un concerto di "musica patriottica", organizzato da Blood and Honour Hexagon (BHH), un gruppo di estrema destra il cui nome si riferisce al motto della gioventù hitleriana "Blut und Ehre" ("sangue e onore").
Allertata da questa manifestazione apertamente neonazista, la polizia ha arrestato 393 persone. Risultato: 68 seguaci sono stati ritrovati in possesso di una cart "S" timbrata " destra radicale" con la panoplia del perfetto militante filonazista, di striscioni con la scritta "White Power" e manifesti con l'effigie del Terzo Reich.....
Tre dei leader di questo gruppo sono stati incriminati e potrebbero, secondo le nostre informazioni, essere rinviati a giudizio davanti al tribunale penale di Marsiglia nelle prossime settimane per "partecipazione ad un gruppo di combattimento", come richiesto dal pubblico ministero: Loïc Delboy, 38 anni, presidente di HexaProds, associazione legale di facciata, Pierre Scarano, 29 anni, autista di autobus nella regione parigina e considerato il braccio destro del primo, e il tesoriere dell'associazione, David Dumas, 48 anni, tipografo. L'accusa ha inoltre richiesto l'allontanamento per lo stesso reato del tatuatore "ufficiale", che era presente ai raduni di BHHH. Dopo il loro arresto nel marzo 2016, tutti sono stati posti sotto controllo giudiziario con il divieto di detenere armi.
🔴Fascinazione per il regime nazista 🔴
Il gruppo è sottoposto a giudizio dal 2015, dopo essere comparso nel corso di un'indagine sul traffico di armi ed esplosivi. Un pm marsigliese si è così immerso in questo universo che unisce il movimento skinhead, la musica e il fascino per il regime nazista e sta per chiudere il caso che Le Monde ha potuto consultare.
"Appartenere all'estrema destra per difendere il mio paese è l'impegno della mia vita", ha riassunto al magistrato Loïc Delbloy, un ex skinhead che adottava il bastone “con gli arabi e i redskins". All'ingresso dell'appartamento del signor Delboy, gli investigatori hanno notato la presenza di una tela sulla parete descritta come "una visione allegorica di Adolf Hitler in visita al fronte". Su uno stendibiancheria c'erano delle magliette firmate "Anti Antifa" con un coltello insanguinato e, sul retro, "Welcome to NS Territory", NS è l'abbreviazione di National Socialism. Nel suo computer, un esperto ha trovato video di raduni durante i quali sono state bruciate bandiere algerine e israeliane sul palco e un discorso del 2013 in cui dice di "reclamare la terra dei nostri antenati e non lasciarla ai cani di Israele e ai figli di Allah".
I tre uomini presentano Blood and Honour Hexagone come un gruppo di amici che vogliono "promuovere la scena musicale". La musica sembra essere il filo conduttore del gruppo, che, secondo Delboy, conta una ventina di membri, ma è legato ad altri movimenti di estrema destra come l'ex Union Defence Group di Lione o agli altri gruppi Blood and Honour all'estero, che in alcuni paesi sono fuorilegge.
L'attività formalmente dichiarata l’organizzazione di quattro eventi all'anno: a marzo, un concerto di musica RAC nella regione di Lione; a giugno, un gala di arti marziali miste (MMA), uno sport da combattimento la cui pratica e le cui competizioni sono vietate in Francia; a settembre, un secondo concerto chiamato "Memorial ISD" che celebra Ian Stuart Donaldson, cantante di un gruppo neonazista britannico (Skrewdriver) scomparso nel settembre 1993, noto per le sue teorie bianche suprematiste. E infine, a dicembre, si è tenuto il "Natale bianco". "Il termine bianco è più simile al colore della pelle dei partecipanti che al colore della neve", ha chiarito uno dei membri durante la sua custodia cautelare. Le foto illustrano anche la celebrazione, nel cuore della natura, del solstizio d'estate.
🔴Saluti Nazisti, tatuaggi e bombers🔴
I saluti nazisti sono d’obbligo in questi concerti, la cui location viene resa pubblica sui social network solo poche ore prima del loro inizio, al fine di evitare ogni rischio di infiltrazione. In questo ambiente dove il tatuaggio fa parte del codice di abbigliamento proprio come il bomber, uno degli attivisti, escluso da BHH, si è fatto tatuare il volto di Hitler sulla coscia sinistra. "Mi considero nazionalsocialista o, in altre parole, di estrema destra", ha spiegato.
La scelta delle location predilige piccoli villaggi isolati e le prenotazioni si effettuano con la scusa di un compleanno o di un battesimo. E' stata effettuata una perquisizione su ogni partecipante per "impedire loro di entrare con armi e, a seconda dei gruppi musicali invitati, per impedire loro di far entrare i telefoni cellulari e di scattare foto perché alcuni gruppi provenienti da Germania, Russia e Spagna sono vietati".
Rispondendo francamente agli investigatori, i leader della BHHH hanno spiegato che il gruppo era strutturato intorno ad un primo cerchio, i membri effettivi, un secondo cerchio composto da "prospettive", aspiranti membri prima di essere ammessi alla presentazione dei "colori" e, infine, simpatizzanti chiamati "esagonieri" che danno una mano nell'organizzazione degli eventi.
Alla domanda sulle condizioni necessarie per l'adesione, Loïc Delboy ha detto: "Prendere droghe è proibito, praticare uno sport è obbligatorio, bisogna praticare uno stile di vita sano, possibilmente uno sport da combattimento, ma questo non è obbligatorio. "La birra, tuttavia, non è proibita. "Non è però tollerato ritrovarci ubriachi morti per terra con una maglietta ufficiale del gruppo", ha riassunto un attivista.
Ma Loïc Delboy si è difeso dall'aver guidato un "gruppo di combattimento", cioè un "gruppo di persone che detengono o hanno accesso alle armi, con un'organizzazione gerarchica atta a turbare l'ordine pubblico", secondo il codice penale, che punisce il fatto di partecipare con tre anni di reclusione e una multa di 45 000 euro. Questo marsigliese vanta in particolare di aver avuto accesso alle armi e perturbato l'ordine pubblico.
Gli investigatori, da parte loro, imputano a Blood and Honour Hexagone e ai suoi manager "una ricerca di egemonia in alcuni mercati di nicchia considerati promettenti, come i concerti del RAC e le gare di MMA in Francia". Con la tendenza anche a "riunire un movimento di ultra-destra che agisce a livello diffuso". Loïc Delboy è stato visto durante gli scontri del 6 febbraio 2016 a Roquevaire (Bouches-du-Rhône) dove una trentina di attivisti dell'Action Provence francese si sono riuniti, nonostante un decreto prefettizio che lo vietasse, presso la tomba di Charles Maurras. O durante un concerto musicale del RAC il 31 luglio 2015 nelle arene di Fréjus (Var) che era degenerato in incidenti.
Questo gruppo è stato sciolto il 24 luglio di quest'anno in sede di Consiglio dei ministri. In risposta alla recrudescenza di atti antisemitici e anti-musulmani, Emmanuel Macron si è impegnato, alla fine di febbraio, durante una cena del Consiglio di Rappresentanza delle istituzioni ebraiche in Francia, a sciogliere diversi piccoli gruppi di estrema destra, tra cui Blood and Honour Hexagone.
Versione originale pubblicata su Le Monde:
🔴Blood and Honour Hexagone : un groupe néonazi face à la justice🔴
➡️[Article en entier] publié par Luc Leroux
Trois dirigeants de ce groupuscule nostalgique du IIIe Reich pourraient être renvoyés rapidement devant le tribunal correctionnel de Marseille pour « participation à un groupe de combat ».
Ce jour-là, la salle des fêtes des Trois-Chênes de Torchefelon, un village de 700 habitants dans l’Isère, avait été officiellement réservée pour un anniversaire. Le 5 mars 2016, 400 adeptes de rock anticommuniste (RAC), s’y sont retrouvés pour un concert de « musique patriote », organisé par Blood and Honour Hexagone (BHH), un groupuscule d’extrême droite, dont le nom fait référence au « Blut und Ehre » (« sang et honneur »), devise des Jeunesses hitlériennes.
Alertés de ce rassemblement aux relents ouvertement néonazis, les gendarmes ont procédé à 393 interpellations. Résultat : 68 adeptes relevaient d’une fiche « S » estampillée « droite radicale » avec la panoplie du parfait militant pronazi, banderoles « White Power », affiches à l’effigie du IIIe Reich…
Trois des dirigeants de ce groupe ont été mis en examen et pourraient, selon nos informations, être renvoyés dans les semaines à venir devant le tribunal correctionnel de Marseille pour « participation à un groupe de combat », comme l’a requis le parquet : Loïc Delboy, 38 ans, président d’HexaProds, l’association qui faisait office de vitrine légale, Pierre Scarano, 29 ans, conducteur de bus en région parisienne et considéré comme le bras droit du premier, et le trésorier de l’association, David Dumas, un imprimeur âgé de 48 ans. Le parquet a également requis le renvoi pour la même infraction du tatoueur « officiel », présent lors des rassemblements de BHH. Après leur interpellation en mars 2016, tous avaient été placés sous contrôle judiciaire avec interdiction de détenir des armes.
🔴Fascination du régime nazi🔴
Le groupe est dans le viseur de la justice depuis 2015, après être apparu au détour d’une enquête sur un trafic d’armes et d’explosif. Un juge d’instruction marseillais a ainsi plongé dans cet univers qui mêle mouvement skinhead, musique et fascination du régime nazi et s’apprête à boucler un dossier que Le Monde a pu consulter.
« L’appartenance à l’extrême droite afin de défendre mon pays est l’engagement de ma vie», a résumé au magistrat Loïc Delbloy, ancien skinhead adepte de bastons « avec des Arabes ou des redskins ». Dans l’entrée de l’appartement de M. Delboy, les enquêteurs avaient noté la présence d’une toile au mur décrite comme « une vision allégorique d’Adolf Hitler visitant le front ». Sur un étendoir séchaient des t-shirts siglés « Anti antifa » avec un couteau ensanglanté et, au dos, « Welcome to NS Territory », NS étant l’abréviation de national-socialisme. Dans son ordinateur, un expert a déniché des vidéos de rassemblements durant lesquels étaient brûlés sur scène des drapeaux algérien et israélien et un discours de 2013 appelant à « reconquérir la terre de nos ancêtres et non à l’abandonner aux chiens d’Israël et aux fils d’Allah ».
Les trois hommes présentent Blood and Honour Hexagone comme un groupe d’amis ayant le souci de « faire bouger la scène musicale ». La musique apparaît comme le fil rouge du groupuscule regroupant, selon M. Delboy, une vingtaine de membres, mais en lien avec d’autres mouvances d’extrême droite tels l’ex-Groupe union défense de Lyon ou des groupes Blood and Honour à l’étranger, interdits dans certains pays.
L’activité revendiquée est d’organiser quatre événements par an : en mars, un concert de musique RAC dans la région lyonnaise ; en juin, un gala d’arts martiaux mixtes (MMA), un sport de combat dont la pratique et les compétitions sont interdites en France ; en septembre, un second concert baptisé « Memorial ISD » célèbre Ian Stuart Donaldson, chanteur d’un groupe néonazi britannique (Skrewdriver) mort en septembre 1993, connu pour ses théories suprémacistes blanches. Et, enfin, en décembre, se tenait le « White Christmas ». « Le terme blanc s’apparente plus à la couleur de la peau des participants qu’à la couleur de la neige », a bien tenu à préciser l’un des membres durant sa garde à vue. Des photos illustrent également la célébration, en pleine nature, du solstice d’été.
🔴Saluts nazis, tatouages et bombers🔴
Les saluts nazis étaient de mise dans ces concerts dont l’adresse n’était diffusée que sur les réseaux sociaux que quelques heures avant qu’ils ne commencent afin d’éviter tout risque d’infiltration. Dans ce milieu où le tatouage fait partie du dress code tout comme le blouson bomber, l’un des militants, exclu de BHH, avait fait tatouer le visage d’Hitler sur sa cuisse gauche. « Je me considère comme national-socialiste ou en d’autres termes, d’extrême droite », s’est-il expliqué.
Le choix des lieux se portait sur des petits villages isolés et les réservations étaient faites sous le motif fallacieux d’un anniversaire ou d’un baptême. Une fouille était opérée sur chaque participant afin d’« éviter qu’ils n’entrent des armes et, suivant les groupes de musique invités, pour éviter qu’ils ne rentrent des téléphones portables et que des photos soient prises car certains groupes d‘Allemagne, de Russie et d’Espagne sont interdits ».
Répondant sans détour aux enquêteurs, les dirigeants de BHH ont expliqué que le groupe se structurait autour d’un premier cercle, les membres à part entière, un second cercle étant composé de « prospects », aspirants à l’adhésion avant d’être adoubés par la remise des « couleurs » et, enfin, des sympathisants baptisés « hexagoners » qui donnent notamment un coup de main dans l’organisation des événements.
Interrogé sur les conditions nécessaires à l’adhésion, Loïc Delboy a indiqué : « Prise de drogue interdite, pratique d’un sport obligatoire, une bonne hygiène de vie, un sport de combat mais ce n’est pas obligatoire. » La bière n’entre cependant pas dans les prohibitions. « Il n’est pas toléré de nous retrouver ivres morts à terre avec un t-shirt officiel du groupuscule », a résumé un militant.
Mais Loïc Delboy s’est défendu d’avoir dirigé un « groupe de combat », soit un « groupement de personnes détenant ou ayant accès à des armes, doté d’une organisation hiérarchisée et susceptible de troubler l’ordre public », selon le code pénal, qui punit le fait d’y participer de trois ans de prison et de 45 000 euros d’amende. Ce Marseillais conteste notamment avoir eu accès à des armes et avoir troublé l’ordre public.
Les enquêteurs, eux, prêtent à Blood and Honour Hexagone et à ses dirigeants « une recherche d’hégémonie sur certains créneaux jugés porteurs comme les concerts RAC et la compétition de MMA en France ». Volonté aussi de « rassembler une mouvance ultradroitière qui agit en ordre dispersé ». Loïc Delboy a ainsi été vu lors des incidents du 6 février 2016 à Roquevaire (Bouches-du-Rhône) où une trentaine de militants de l’Action française Provence s’étaient rassemblés, malgré un arrêté préfectoral l’interdisant, à proximité de la tombe de Charles Maurras. Ou lors d’un concert de musique RAC le 31 juillet 2015 dans les arènes de Fréjus (Var) qui avait dégénéré en bagarre générale.
Le groupe lui-même a été dissous le 24 juillet de cette année en conseil des ministres. En réponse à une recrudescence des actes antisémites et antimusulmans, Emmanuel Macron s’était engagé, fin février, lors d’un dîner du Conseil représentatif des institutions juives de France à dissoudre plusieurs groupuscules de l’ultradroite, dont Blood and Honour Hexagone.
Traduzione a cura di AURORA: https://www.lemonde.fr/societe/article/2019/08/21/blood-and-honor-hexagone-un-groupe-neonazi-face-a-la-justice_5501173_3224
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Titolo: Cielo stellato
Autore:  Emil Nolde (1867-1956)
Anno: 1938  
Ubicazione: Museo Nolde, Neukirchen (Acquarello , 22×16 cm)
Dopo essere stato all'inizio del XX secolo uno dei protagonisti del gruppo espressionista "il ponte", Emil Nolde prosegue per diversi decenni a dipingere.  
Soprattutto agli anni '30 risalgono numerosi acquarelli.
Due le tematiche di questi lavori: il paesaggio ed i fiori.
Nolde simpatizzò dagli anni '20 per il partito nazionalsocialista ma le sue opere rientrarono tra quelle considerate "degenerate" perché non allineate all'arte di regime di stampo prevalentemente accademico.  
Dal 1937 gli fu proibito di dipingere ma Nolde proseguì a farlo in segreto.
L'acquarello, risalente al 1938, appartiene quindi a questa delicata fase della sua attività.
Nolde, memore dell'approccio espressionista giovanile, infonde ai propri paesaggi ad acquarello una forte carica emotiva, talora dirompente nei contrasti cromatici qui attenuati dal colore dominante della notte.  
Il cielo stellato è percorso da correnti elettriche mentre il paesaggio sottostante pare agitarsi sotto tensioni telluriche.  
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jumpingfrog75 · 6 years
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Quarta tappa
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Nürnberg (Norimberga)
Una città in cui tornare
Norimberga è tante cose, tutte insieme.
Norimberga è imperiale, c’è poco da fare..., quando si è per secoli capitale “ufficiosa” del Sacro Romano Impero non si può nasconderne le tracce. La città ha custodito per anni i simboli dell’impero: scettro, globo, corona e spada. Dal 1356 ogni nuovo imperatore eletto fu obbligato a tenere qui la prima dieta imperiale e la città divenne la residenza preferita dai re tedeschi.
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Norimberga è la città del Terzo Reich. Fu scelta da Hitler come palcoscenico ideale per l’auto rappresentazione del regime e come sede privilegiata per i raduni del Partito Nazionalsocialista. Non a caso: dove un tempo si tenevano le fastose diete imperiali, si tennero i raduni del nuovo impero nazista. Qui il Führer fece costruire un’arena grandiosa e un enorme centro congressi (mai terminato, ma resta comunque un relitto imponente) per ospitare le adunate e le assemblee naziste. Tutto studiato nei minimi dettagli, per amplificare il messaggio della grandezza e potenza del Terzo Reich. La maggior parte delle foto propagandistiche e celebrative del nazismo furono scattate proprio qui.
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Norimberga è la culla del moderno diritto internazionale. Al termine della Seconda guerra mondiale fu sede del Tribunale per i crimini di guerra. Per la prima volta nella storia, dirigenti politici furono chiamati a rispondere delle proprie azioni di fronte a un tribunale internazionale. Il processo ai criminali nazisti (dirigenti del partito e autorità governative) ha una storia complessa, che lascia aperte questioni e interrogativi, ma segnò una tappa fondamentale nella storia del XX secolo.
La visita ai due centri documentali, quello nella sede del Tribunale in cui si svolse il processo e quello nei luoghi dei fasti nazisti, sono stati una tappa fondamentale.
Al di là di tutti i significati storici e politici, al di là delle vicende umane dei singoli che ne sono stati protagonisti (da una parte e dall’altra) la storia del processo di Norimberga è emozionante e a colpirmi, come sempre, è stata anche la complessità della macchina organizzativa.
La ricerca e il recupero delle testimonianze e della documentazione probatoria, il trasporto delle carte a Norimberga (all’interno di casse di legno); le migliaia di documenti da riordinare, organizzare, tradurre e analizzare. Perché se di mestiere fai l’archivista pensi anche a queste cose qui...
E per me la foto simbolo, tra le tante esposte, è questa qui: una stanza con documenti sparsi ovunque, un pavimento affollato di carte (incubo o sogno di ogni archivista...) e una decina di persone a riordinare. E sono tutte donne, le persone messe a riordinare, intendo... Tutte donne..., per un sacco di motivi che non sto qui a dire, ma che sono facilmente intuibili. Sarà per questo che mi ha colpito.
Norimberga è una città in cui tornerò.
23 agosto 2018
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letameediamanti · 3 years
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02/01/21
Verso una unione sempre più stretta? Prima parte - La Corte di Giustizia europea
Perry Anderson, storico accademico e saggista britannico, sulla London  Review of Books propone una distaccata e lucida analisi delle istituzioni europee sin dalle loro origini, molto distante dal dilagante e superficiale conformismo del politicamente corretto, dalla quale emerge che tra i principali protagonisti dell'integrazione europea furono accolti con tutti gli onori importanti esponenti del partito nazionalsocialista tedesco o personalità ad esso vicine.  All'interno delle diverse istituzioni europee  essi continuarono a perseguire, pur in forme nuove e diverse,  quel disegno di unificazione dell'Europa sotto l'egemonia tedesca già tentato durante il terzo Reich.  In questa prima parte si prende in esame l'azione di uno degli organi più decisivi e meno trasparenti dell'Unione europea, la Corte di Giustizia.  
di Perry Anderson, 
London Review of  Books, gennaio 2021
Quantitivamente parlando, lo spostamento del centro di gravità del lavoro sull'UE dall'America alla stessa Europa è stato il prodotto di un'industria accademica ormai vasta: circa cinquecento cattedre Jean Monnet sono attualmente presenti in tutta l'Unione. In mezzo a un mare di conformismo, è emerso un gruppo di pensatori le cui opere rappresentano un progresso qualitativo nella comprensione critica dell'Unione. Animati da un'indipendenza di spirito più vicina ad intellettuali "tradizionali" come Gramsci, che non alla variante "organica" rappresentata da Luuk van Middelaar, costoro non si trovano a coprire incarichi nelle posizioni ufficiali; non formano una scuola di pensiero collettiva; e sono di diversa estrazione nazionale e generazionale. Un breve elenco includerebbe Giandomenico Majone (Italia), teorico della amministrazione pubblica; i giuristi Dieter Grimm (Germania) e Thomas Horsley (Gran Bretagna); i sociologi Claus Offe e Wolfgang Streeck (Germania); gli scienziati politici Christopher Bickerton (Gran Bretagna), Morten Rasmussen (Danimarca) e Antoine Vauchez (Francia); gli storici Kiran Klaus Patel (Germania) e Vera Fritz (Lussemburgo). Nel lavoro di questi e altri studiosi, le dinamiche dell'integrazione europea emergono in una luce più fredda e più indagatrice rispetto ai panegirici di van Middelaar, rivelando ciò che questi omettono e scrutandone i contenuti con una lente più precisa.
L'Unione, come la conosciamo oggi, è una organizzazione complessa composta da cinque istituzioni principali: la Commissione europea, la Corte di giustizia europea, il Parlamento europeo, il Consiglio europeo e la Banca centrale europea. Si può iniziare l’analisi prendendo in considerazione l’espressione che convenzionalmente definisce la storia del suo sviluppo, "integrazione europea". Questa espressione, come ha mostrato Patel, proviene dall’America ed è stata adottata per evitare un altro termine troppo caratterizzato dagli scopi tattici della politica degli anni '50.  La parola che ha sostituito era "federazione", termine rifiutato dai governi e dai centri di interessi esistenti allora, anche se sostenuto con ardore da una piccola ma impegnata minoranza di attivisti. Per i governi e per i loro simpatizzanti accademici, "integrazione" era un termine più neutro per indicare il progresso verso un ideale, per il momento, mantenuto in pectore. In nessun campo è stato più utile che nel lavoro della Corte di giustizia, che è stata, come sottolinea van Middelaar, la prima promotrice del "passaggio all'Europa" dopo il Trattato di Roma.
Oggi la Corte resta, tra tutte le istituzioni dell'Unione, la più nascosta al pubblico. Situata con discrezione in Lussemburgo, non esattamente un crocevia europeo, e composta da giudici nominati - uno per paese - dagli Stati membri, i suoi procedimenti sono nascosti agli occhi del pubblico; le sue decisioni non consentono la menzione dell’opinione dissenziente; i suoi archivi garantiscono un accesso minimo ai ricercatori. Nel suo modus operandi, la Corte di giustizia europea è l'antitesi della Corte Suprema degli Stati Uniti, i cui emolumenti supera largamente - il suo presidente riceve uno stipendio di 400.000 dollari, oltre a molte indennità; il presidente della Corte suprema a Washington un misero stipendio di $ 277.000. Le sue origini risalgono alla prima fase dell’integrazione: la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA) nata dal Piano Schuman era stata dotata di una Corte di Giustizia, poi estesa alla Comunità Economica Europea istituita dal Trattato di Roma cinque anni dopo, e poi all'Unione europea creata a Maastricht.
Grazie al lavoro pionieristico di una giovane storica lussemburghese, Vera Fritz, abbiamo ora uno studio accademico dettagliato sulla composizione della Corte nei primi vent'anni della sua esistenza. Le sue scoperte sono illuminanti. C'erano sette giudici fondatori e due avvocati generali. Chi erano? Il presidente del tribunale, l’italiano Massimo Pilotti, era stato vice segretario generale della Società delle Nazioni negli anni '30. Lì aveva operato come longa manus del regime fascista di Roma, consigliando a Mussolini quali contromisure adottare per proteggere l'Italia dalla condanna della Società delle Nazioni per i suoi interventi in Etiopia. Dimessosi dal suo incarico nel 1937, Pilotti prese parte ai festeggiamenti a Genova per la conquista dell'Etiopia; e durante la seconda guerra mondiale diresse l'Alta corte di Lubiana occupata dopo l'annessione della Slovenia all'Italia, dove la resistenza fu debellata con deportazioni di massa, campi di concentramento e repressione militare e poliziesca. Il giudice tedesco della corte, Otto Riese, era un nazista così devoto che senza alcuna costrizione - trascorse la guerra come accademico in Svizzera - mantenne la sua appartenenza al Partito nazionalsocialista fino al 1945. Il suo connazionale Karl Roemer, avvocato generale della corte, trascorse la guerra nella Parigi occupata gestendo società e banche francesi per il Terzo Reich; dopo la guerra, sposò la nipote di Adenauer, e agì come avvocato difensore delle Waffen SS imputate del massacro degli occupanti del villaggio francese di Oradour. L'altro avvocato generale, Maurice Lagrange, era stato un alto funzionario del governo di Vichy, pienamente impegnato nell'ideologia di una "rivoluzione nazionale" al fine di spazzare via l'eredità della Terza Repubblica. Agendo come uomo di collegamento tra l'apparato giudiziario del Conseil d'Etat e l'apparato politico del Consiglio dei ministri, Lagrange fu incaricato di coordinare la prima ondata di persecuzioni degli ebrei francesi. Quando Laval prese le redini di Vichy nel 1942, trasferendo Lagrange al Conseil d'État, Pétain lo ringraziò per la sua "rara abnegazione'' verso la funzione legislativa e amministrativa del regime, e Lagrange rispose "per me è stato un grande privilegio essere così strettamente coinvolto nell’opera di rinnovamento nazionale da lei intrapresa per la salvezza del nostro paese. Sono convinto che ogni francese possa e debba prendere parte a quest’opera." Dopo la guerra fu scelto dagli americani per aiutare a democratizzare la pubblica amministrazione in Germania e da Monnet per contribuire alla stesura del trattato che istituisce la Comunità del carbone e dell'acciaio.
Il fatto che personaggi come questi diventassero figure di spicco della prima Corte di giustizia europea rifletteva, naturalmente, la serrata dei ranghi della politica dopo l'inizio della Guerra Fredda, quando ciò che contava non erano i misfatti del passato fascista quanto la minaccia del presente comunista. Erano tempi in cui l'ultimo comandante della divisione Charlemagne delle SS, che aveva combattuto fino all'ultimo per difendere Hitler nel suo bunker, è potuto emergere come scelta migliore per il Premio Robert Schuman per i servizi all'unità europea.  Perché non avrebbe dovuto, anche la giustizia europea, dimenticare il passato e metterci una pietra sopra? Più in generale, le nomine al tribunale avevano poco o nulla a che fare con i titoli in campo giuridico. Quasi tutti erano politici. Il giudice belga era una figura di spicco del partito cattolico del suo paese; uno dei giudici olandesi era il fratello di un ministro degli esteri prebellico; il giudice francese, Jacques Rueff, ex vicegovernatore della Banque de France, era stato uno dei fondatori del Centre National des Indépendants et Paysans; un sindacalista cattolico dei Paesi Bassi e un magistrato socialista del Lussemburgo completavano l’organico.
Tra gli altri componenti della Corte vi erano uno dei fondatore dell'Unione Democratica Cristiana (CDU) a Berlino, in seguito deputato del partito al Bundestag; il figlio di un leader del Partito Anti-Rivoluzionario (Calvinista) nei Paesi Bassi; un ex assistente di Dino Grandi, ministro della giustizia del Duce e fratello dell'allora ministro delle finanze italiano; un co-fondatore del Partito sociale cristiano in Belgio; un ex nazista e sostenitore delle SA (annata 1933), poi entrato nel partito socialdemocratico tedesco; un funzionario di lunga data nella colonizzazione italiana di Rodi; un ex capo di gabinetto del governatore civile e militare dell'Algeria. La "giustizia all'europea" non è mai stata bendata: aveva gli occhi ben aperti, con una benda colorata sul capo, coi colori dei partiti dell'establishment dell'epoca.
La seconda ondata di nominati includeva anche un personaggio che, nelle parole di un ammiratore, era l'equivalente europeo di John Marshall, il patriarca della Corte suprema degli Stati Uniti, responsabile di garantire la autorità della corte in tutto il paese. Robert Lecourt era un politico di spicco della versione francese dei partiti cristiano-democratici di Italia e Germania, il Mouvement Républicain Populaire (MRP), che ha fatto parte di ogni governo della Quarta Repubblica, nel secondo e nel penultimo dei quali Lecourt occupava anche la poltrona di primo ministro. La differenza più significativa tra il MRP e i suoi equivalenti a Roma e Bonn era che la Francia possedeva un grande impero coloniale, di cui il partito era zelante difensore, molto risoluto nel portare avanti le guerre del paese in Indocina e Algeria. Entrando a far parte nel 1958 del governo De Gaulle, durante la Quinta Repubblica,  il MRP uscì dalla coalizione in seguito all'annuncio di un referendum sull'autodeterminazione dell’Algeria. Il leader di lunga data del partito, Georges Bidault, fece parte dell'OAS paramilitare che promosse la resistenza armata contro de Gaulle in nome dell'Algérie française e per poco non riuscì ad assassinarlo, mentre i suoi colleghi del partito si piegavano a De Gaulle. Lecourt, che come Bidault e altri membri del partito erano stati attivi nella Resistenza, aveva un dottorato in legge ed era stato ministro della giustizia nel 1948, 1949 e 1957. Sotto de Gaulle, aveva avuto l’incarico per le colonie francesi in Africa e altrove. Nel maggio 1962 fu nominato alla Corte di giustizia europea.
Lecourt arrivò in Lussemburgo con un particolare insieme di appartenenze e convinzioni. Oltre al suo ruolo di deputato e ministro per l'MRP, era stato attivista dalla fine degli anni Quaranta nelle Nouvelles Équipes Internationales (NEI), l'internazionale non dichiarata della Democrazia Cristiana in Europa, partecipando a congressi annuali dedicati a temi come la ``fermezza della Democrazia cristiana di fronte alla crisi del comunismo”, e diventando in seguito capo della sezione francese. Continuò senza remore a dirigerla durante il congresso NEI del 1962 a Vienna, già dopo la sua nomina alla Corte di giustizia. Il NEI era a favore dell'unità europea, e Lecourt era egli stesso un membro del Comitato di azione di Monnet per gli Stati Uniti d'Europa, costituito nel 1955. Era un ardente federalista.
Con queste premesse, l'arrivo di Lecourt in Lussemburgo non avrebbe potuto essere più felicemente programmato. Perché sui registri della Corte giaceva il caso che avrebbe prodotto la sua prima decisione storica, Van Gend en Loos, una causa intentata da una piccola azienda di trasporti contro il governo olandese per aver imposto un dazio doganale sulla sua importazione di una vernice collante dalla Germania occidentale. In apparenza, una controversia di minore importanza. Nell'ombra, tuttavia, potenti forze si erano raccolte intorno ad essa. Una era la Commissione europea a Bruxelles. Là, a capo del suo servizio giuridico, c'era il francese Michel Gaudet. Già quando lavorava nella stessa veste per la CECA, prima del Trattato di Roma, era determinato a garantire che la futura Corte di giustizia europea non fosse un tribunale internazionale secondo linee convenzionali, ma una corte suprema federale sul modello americano. Nel 1957,  in una sua corrispondenza con Donald Swatland, un avvocato di Wall Street che era stato collaboratore di Monnet in tempo di guerra, Gaudet spiegava che "le idee federali sono ancora molto nuove nell'Europa continentale" e cercava una guida per promuoverle. Sviluppò anche uno stretto rapporto con lo studioso di diritto americano Eric Stein, la prima persona al mondo a salutarlo come promettente futuro giudice della corte lussemburghese. Nel 1959 Stein invitò Gaudet per un viaggio di sei settimane negli Stati Uniti per conoscere in prima persona il federalismo. In cambio, mentre nel 1962 Stein era in anno sabbatico, Gaudet lo inserì negli uffici del Servizio giuridico con una scrivania tutta sua, invitandolo a partecipare a riunioni informative con gli avvocati che preparavano per la Commissione il caso Van Gend en Loos presso la Corte di giustizia delle Comunità europee. Stein, fautore di una serie di assiomi fondamentali per un ordine costituzionale in Europa, potrebbe essere considerato un fanatico transatlantico del federalismo per il Vecchio Mondo.
Nel frattempo, in ciascuno dei paesi dei Sei erano sorte associazioni di giuristi impegnati a promuovere il diritto europeo, di cui la tedesca Wissenschaftliche Gesellschaft für Europarecht (WGE) era la più grande e importante, seguita dall'Association Française des Juristes Européens. In stretto contatto con queste organizzazioni, la Commissione fornì sostegno finanziario alle loro riunioni e nel 1961 Gaudet creò un gruppo di coordinamento, la Fédération Internationale pour le Droit Européen (FIDE), con l'obiettivo esplicito di facilitare gli scambi oltre confine tra politici, burocratici e accademici. Nelle parole del suo primo presidente, la FIDE agiva come "un esercito privato delle comunità europee". "In Europa intorno al 1950", ha ricordato un membro della sua filiale tedesca, "l'idea dell'unificazione europea era capace di suscitare un entusiasmo quasi religioso tra i giovani avvocati. Noi credevamo negli Stati Uniti d'Europa." La sezione olandese della FIDE era particolarmente attiva. Uno dei suoi membri agì come consulente legale per il caso Van Gend en Loos e si può supporre con una certa sicurezza che il caso sia stato avviato da questa lobby. Comunque sia, sostenuta dalla Commissione, ha trovato il relatore giusto in Lussemburgo, dove Lecourt, giunto in fretta e furia da Parigi, scrisse lo storico verdetto di ribaltamento di una legge nazionale.
Un anno dopo, nel 1964, arrivò il secondo atto decisivo. In Italia, due avvocati ritenutisi offesi per la nazionalizzazione dell'industria elettrica, sollevarono una questione di costituzionalità sull’emissione di una bolletta di 1925 lire. Quando la Corte costituzionale italiana stabilì che la nazionalizzazione non era costituzionalmente illegittima e non poteva essere impugnata con riferimento al Trattato di Roma, in quanto approvata successivamente ad esso, essi fecero ricorso alla Corte europea. Due settimane dopo che il suo avvocato generale aveva sostenuto che il tribunale italiano non poteva essere ignorato, sebbene dovesse essere incoraggiato a trovare le modalità per integrare il diritto europeo nel diritto nazionale, la WGE tenne una riunione in Assia alla quale erano presenti tre giudici della Corte di giustizia. Lì, ha ricordato un partecipante, si sedettero con grande imbarazzo ad ascoltare una delle principali autorità del WGE, Hans Peter Ipsen, che li istruiva sulla supremazia del diritto europeo sul diritto nazionale di qualsiasi stato membro. L'opinione di Ipsen avrebbe prevalso: cinque giorni dopo Lecourt emise la sentenza della Corte di giustizia europea sul caso Costa contro Enel. La pietra angolare della giustizia europea era stata posta.
Chi era Ipsen? Un giurista di Amburgo entrato a far parte della SA nel 1933 e del Partito Nazionalsocialista Tedesco nel 1937, diventando professore ordinario all'età di 32 anni sulla base di un dottorato da cui scaturì un libro successivamente pubblicato dal titolo Politik und Justiz, che trattava di "atti sovrani" dallo Stato che in quanto tali non dovevano essere sottoposti a considerazioni di giustizia. Esaltandone la versione tedesca, basata sul 'Führergewalt' del potere nazista - che aveva trovato espressione dal 1933 con arresti, epurazioni, espropri, e la abolizione dei sindacati - in quanto superiore alla precedente legislazione meramente 'governativa' in Francia, e alla variante fascista italiana, che si basava sull'autorità legislativa in un sistema di divisione dei poteri, il libro aveva comprensibilmente attirato l'interesse della Cancelleria centrale del partito nazista. Durante la guerra, Ipsen prestò servizio come commissario di Hitler, occupandosi delle università del Belgio occupato. Lì nel 1943 esaltava "l'amministrazione esterna" del Terzo Reich, che ora copriva Norvegia, Belgio, Paesi Bassi, Francia, Ucraina, Stati baltici, governo generale della Polonia, aree occupate di Serbia e Grecia, per non parlare dell'Alsazia, della Lorena, del Lussemburgo, della Stiria meridionale e dei protettorati di Boemia e Moravia - un'area che comprende circa 2.865.000 chilometri quadrati e 154 milioni di abitanti, oltre ai quasi 700.000 chilometri quadrati e 90 milioni di abitanti dell'ampliato 'Reich interno', e ammontava in tutto al 46 per cento della popolazione del continente. Queste terre costituivano la promessa di una futura Grossraumordnung dell'Europa sotto il comando nazista. Prima che la guerra finisse, Ipsen divenne preside della facoltà di giurisprudenza presso l'Università di Amburgo e consigliere del Ministero della giustizia a Berlino. Nel 1945 fu privato per breve tempo dell’incarico, ma presto lo recuperò. Con una carriera nazista superiore alla media, nel dopoguerra fu ricoperto di onori divenendo il decano del diritto europeo, autore nel 1972 di una monumentale summa sull’argomento.  
Nel 1967 Lecourt divenne presidente della Corte. In questa posizione, corteggiava i giudici nazionali con regolari inviti a imparare dal Lussemburgo: una sistematica "campagna di seduzione" assortita con champagne brunch, volta a disarmare la resistenza alla supremazia rivendicata dalla Corte. Alla fine del suo mandato, circa 2500 magistrati di tutti gli Stati membri avevano goduto della sua ospitalità. Nella direzione opposta, i giudici della corte erano incoraggiati a fare visite cerimoniali ai governi della Comunità, dove solitamente venivano ricevuti, con le parole di un assistente, "come imperatori". Poiché molti di loro provenivano da ambienti politici, o erano rampolli di dinastie familiari ben posizionate, potevano prendere queste visite come opportunità per scambi di notizie e opinioni di tipo informale, oliando gli ingranaggi della presenza e dell'influenza della Corte di giustizia. Lecourt, con una lunga esperienza di giornalismo e politica, incoraggiò anche i suoi colleghi a tenere conferenze e scrivere articoli per diffondere la lieta parola della corte, cosa di cui dava egli stesso un energico esempio.
Dal 1967 in poi gli succedette nell’incarico Pierre Pescatore, altra nomina familista, cognato del primo ministro del Lussemburgo e schietto e prolifico campione del federalismo, anche più di Lecourt - le sue opinioni legali, nelle parole di un testimone, funzionavano come "truppe d'assalto" dell'avanzata sovranazionale. Insieme hanno spinto in avanti la giustizia europea in quella che in seguito sarebbe stata considerata la sua epoca eroica: un audace giudizio dopo l'altro che suggellavano l'autorità della corte su sempre nuovi aspetti della vita della Comunità. Il bilancio di Lecourt come presidente, ha dichiarato Pescatore dopo che il suo capo si era ritirato, è stato nientemeno che "un miracolo giurisprudenziale". Il  contributo di Pescatore è stato quello di sostenere ancora più saldamente una lettura "teleologica", piuttosto che semplicemente letterale, del Trattato di Roma. Qualunque cosa dicessero o meno le sue clausole, esso era ispirato dagli ideali insiti nelle "tradizioni liberali e democratiche comuni dei popoli dell'Europa occidentale", e questi avrebbero acquisito forza giuridica. Dopo che Lecourt se ne fu andato, fu Pescatore a emettere l'ultima cruciale sentenza della corte come motore dell'unità europea, il verdetto di livellamento del mercato di Cassis de Dijon nel 1979, stabilendo che qualsiasi prodotto legalmente in vendita in un paese della Comunità era vendibile in qualsiasi altro. La strategia di Lecourt era sempre stata quella di muoversi gradualmente, evitando qualsiasi sfacciata provocazione dei governi nazionali, distogliendo la loro attenzione da importanti dichiarazioni giuridiche collegandole a questioni di importanza commerciale apparentemente minima. In questo caso, la merce era un liquore al ribes nero.
Dopo Cassis de Dijon, l'iniziativa strategica passò al Consiglio europeo, che aveva gradualmente preso forma dopo la sua creazione da parte di Giscard d'Estaing, a metà degli anni '70, e alla Commissione, passata sotto la direzione di Jacques Delors, a metà degli anni '80. La Corte gestiva un numero crescente di casi e il suo attivismo giudiziario non diminuiva. Ma ora rafforzava, piuttosto che guidare, la svolta hayekiana della Comunità, che si era già concretizzata nell'Atto unico europeo, entrato in vigore nel 1987.  Nel nuovo secolo, con l'arrivo in Lussemburgo dall'Europa orientale di nuovi membri convertiti ai principi del libero mercato, ha poi goduto di una dose extra di adrenalina neoliberista, che portò a due sentenze - Viking e Laval del 2007, che contrapponevano i corsari baltici ai sindacati nordici - che minarono i diritti dei lavoratori. Si trattava di un allontanamento dai precetti tattici di Lecourt, in quanto si suscitava un'attenzione sfavorevole da parte dell’opione pubblica del tipo che la corte aveva sempre cercato di evitare, ma non seguirono ulteriori passi evidenti. Dopo Maastricht un compito importante sarebbe ancora spettato alla corte, ma di carattere diverso. La sua opera pionieristica - celebrata da van Middelaar come il colpo di stato su cui si fonda essenzialmente l'Unione di oggi - era stata compiuta.
Di quale compito si trattava? I due giuristi che l'hanno enunciato con la massima chiarezza sono Dieter Grimm, per dodici anni giudice della corte costituzionale tedesca, e Thomas Horsley, di due generazioni più giovane, docente senior all'Università di Liverpool. Le decisioni della Corte negli anni '60, ha osservato Grimm, erano "rivoluzionarie, perché i principi che annunciavano non erano concordati nei trattati'' che avevano creato la CECA e la CEE, e  "quasi certamente non sarebbero stati concordati se le questioni fossero state sollevate"'. La Corte era un tribunale con un'agenda che non corrispondeva alle intenzioni dei suoi fondatori, non considerandosi "né come il guardiano dei diritti degli Stati firmatari, né come un arbitro neutrale tra gli Stati e la Comunità, ma piuttosto comela forza trainante dell'integrazione". La sua affermazione della supremazia della Comunità sulle leggi nazionali, per non parlare delle leggi costituzionali, osserva Horsley, non aveva alcun fondamento nel Trattato di Roma, che le concedeva solo diritti di controllo giurisdizionale "rispetto agli atti delle istituzioni dell'Unione, non rispetto agli atti degli stati membri". "Eppure, in effetti, questo è esattamente quello che ora la corte intraprende regolarmente", procedendo come se "il quadro del trattato, pietra miliare della costituzionalità interna di tutta l'attività istituzionale dell'UE, non abbia mai effettivamente significato ciò invece vi è chiaramente affermato" .
Ma c'è qualcosa di particolarmente insolito in questo? L'interpretazione creativa delle leggi da parte dei giudici non è abituale quasi quanto l’interpretazione creativa delle cifre da parte dei contabili? Da un punto di vista alternativo e meno cinico, non è il risultato ciò che conta? Ankersmit o van Middelaar lo vedrebbero come un esempio del carattere sublime dell’opera giuridica. Senza andare così lontano, è ragionevole chiedersi cosa c'è che non va nel risultato. La risposta sta a livello sia dei principi che delle conseguenze. Per quanto riguarda i principi, Horsley apre il suo studio con la seguente grave affermazione: “Tra le istituzioni dell'UE, la Corte resta un attore unico nel processo di integrazione. È l'unica istituzione dell'Unione le cui attività non sono regolarmente sottoposte a controllo (dalla stessa istituzione o da altri) sul rispetto dei trattati dell'UE.  Tuttavia il quadro del trattato non fornisce alcuna base per giustificare la differenziazione tra la Corte e le altre istituzioni riguardo al rispetto delle regole. La Corte è formalmente designata come istituzione dell'Unione ai sensi dell'articolo 13 TUE. In quanto tale, insieme alle istituzioni politiche dell'Unione, è irrefutabilmente soggetta al rispetto dei trattati dell'UE.'' Ma una volta che la Corte, dal momento del colpo di stato, si era autorizzata da sé stessa ad essere custode di una costituzione, cosa che non aveva alcun fondamento nei trattati, ma presumibilmente corrispondeva al loro "scopo ultimo", quale altra istituzione avrebbe potuto richiamarla all’ordine? La sua auto-convalida circolare escludeva qualsiasi sfida del genere.
La Corte divenne così non solo un'istituzione unica all'interno della Comunità, ma unica tra le corti supreme o costituzionali, dotata di poteri che non hanno mai avuto pari in nessuna democrazia. In tutti gli altri casi, le sentenze di tali tribunali sono soggette a modifica o abrogazione da parte di legislatori eletti. Quelle della Corte di giustizia non lo sono. Sono irreversibili. A parte la modifica dei trattati stessi, che richiede l'accordo unanime di tutti gli Stati membri, "che, come tutti sanno, è del tutto fuori questione", come scrive Grimm, non si può ricorrere contro le sentenze della CGUE. Non sono scolpite nella pietra, ma nel granito, e hanno un effetto tutt'altro che neutro. Scritte in "un linguaggio tecnico spesso opaco", le decisioni della corte spesso mascherano questioni altamente politiche in modo apolitico; cadono “al di sotto della soglia dell'attenzione pubblica”, rendendo i loro effetti difficili da percepire ex ante; ma se successivamente dovessero essere contestate, vengono considerate come fatti compiuti per i quali ai cittadini viene detto che è troppo tardi per fare qualcosa - "ora non c'è alternativa". Poiché queste sentenze hanno forza costituzionale, gran parte di quella che sarebbe la legislazione ordinaria a livello nazionale è stata integrata nelle versioni successive del Trattato di Roma originale – Maastricht, Amsterdam, Nizza, Lisbona - risultando in documenti di tale "epica lunghezza'' che il commissario irlandese dell'UE ha dichiarato, a proposito dell'ultima versione, che “nessuna persona sana e ragionevole'' poteva leggerla, e il suo stesso primo ministro ha ammesso, dopo averlo firmato, di non averlo fatto: si tratta, in effetti, di enormi crittogrammi al di là della pazienza o della comprensione di qualsiasi pubblico democratico.
L'effetto di 'costituzionalizzare' (le virgolette sono necessarie, perché i trattati rimangono patti internazionali, non carte federali) questioni come l'ammissibilità degli aiuti di Stato alle industrie, o dei sussidi ai servizi pubblici, è di immunizzare gli ukase giudiziari contro qualsiasi esercizio ordinario della volontà popolare. Come scrive Grimm, "più forte è il contenuto sostanziale della costituzione, più stretto è il margine di manovra per la politica". Generalmente, "tutto ciò che è regolamentato nella costituzione viene rimosso dal regno del processo decisionale politico". Non è più un oggetto, ma una premessa della politica. Nell'UE  non può essere influenzato nemmeno dal risultato di un'elezione. "Il fatto che i giudici che emettono le decisioni della Corte di giustizia europea siano essi stessi non eletti è, ovviamente, pratica comune anche se non invariabile delle corti costituzionali. Ciò che non lo è, è "l'insaziabile appetito giurisdizionale" della Corte europea. Il suo attuale presidente, il belga Koen Lenaerts, ha spiegato la portata di quella fame. Nelle sue parole: "Non c'è semplicemente nessun nucleo fondamentale di sovranità che gli Stati membri possano invocare, in quanto tale, contro la Comunità". La Corte mira a "lo stesso risultato pratico che si otterrebbe attraverso una diretta invalidazione della legge dello Stato membro'.
A tale presunzione autoesaltante non corrisponde nessuna competenza, né giudiziaria, né politica. Anche mettendo da parte il suo sistematico disprezzo per i limiti al suo campo di applicazione nei trattati, scrive Horsley, "la corte se la cava male, rispetto alle sue controparti, sulle misure classiche dell'analisi istituzionale comparativa: legittimità democratica e competenza tecnica. I suoi giudici non sono eletti, le sue deliberazioni sono segrete e, in quanto tribunale di giurisdizione generale, non gode di alcuna competenza speciale nella vasta gamma di settori politici sui quali interviene per giudicare. "Ma se non ha competenze speciali, ha avuto sin dall'inizio un particolare orientamento, una politica costante e coerente di promozione del federalismo europeo", e dopo la fine degli anni Ottanta, una decisa inclinazione sociale, che ha perseguito, secondo Grimm, con "zelo missionario". Interpretando i "divieti di discriminazione nei confronti delle società straniere in modo così ampio" che "quasi ogni normativa nazionale potrebbe essere intesa come un ostacolo all'accesso al mercato" e spingendo la "privatizzazione a prescindere dalle ragioni di affidare determinati compiti ai servizi pubblici", la Corte ha effettivamente privato gli Stati membri del "potere di determinare il confine tra settore pubblico e privato, Stato e mercato".
Tali giudizi non derivano da un punto di vista euroscettico, ma da autorità fedeli a ciò che vedono essere i risultati dell'integrazione europea. Per Grimm, ciò che è necessario per ripristinare la legittimità del processo è essenzialmente la decostituzionalizzazione delle decisioni politiche, per consentire la loro discussione da parte degli elettori e la revisione da parte dei legislatori. Horsley, dopo aver spiegato quelli che a suo avviso sono stati i benefici dell'intervento giudiziario insieme ai suoi costi, rassicura i lettori di non voler minare la Corte di giustizia, tanto meno aggiungersi alla 'denigrazione dell'Unione', ma al contrario accrescere la legittimità della sua legislazione. Eppure, se i loro resoconti sulla Corte di giustizia sono resoconti da amici della corte, non è chiaro cosa resterebbe da dire ai suoi nemici. La verità è che, secondo ogni ragionevole stima, sarebbe difficile concepire un'istituzione giudiziaria occidentale che, sin dalle sue tenebrose origini, sia stata altrettanto priva di una qualsiasi traccia di responsabilità democratica.
Carmenthesister a 03:23
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1 commento:
Mauro2 gen 2021, 11:51:00
Analisi eccellente. Difficile riformare questa UE elitaria ed antipopolare
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robertomastroianni · 4 years
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Lotte Laserstein. Girl Lying on Blue, c1931. Oil on paper, 69 × 93 cm. Private collection, Courtesy Das Verborgene Museum, Berlin. Photo: Das Verborgene Museum, Berlin. ©VG Bild-Kunst, Bonn 2018. Lotte Laserstein (November 28, 1898 – January 21, 1993) was a German-Swedish painter. She was an important artist of figurative paintings in Germany's Weimar Republic. The National Socialist regime and its anti-Semitism forced her to leave Germany in 1937 and to emigrate to Sweden. In Sweden, she continued to work as a portraitist and painter of landscapes until her death. The art works she created during the 1920s and 1930s in the context of New Objectivity in Germany constitute the highpoint of her career. Lotte Laserstein was one of the most sensitive portrait painters of the early Modernist period when tradition vied with innovation. Lotte Laserstein had a talent for combining two universes. She played with quotes from art history but also with hallmarks of Post-Impressionism – its flat forms and its brushwork. Laserstein was a gentle, empathetic chronicler of the 1920s and 1930s: she painted women and men of the new era and of every class as naturally as she found them. She used pictorial means to defy contemporary social norms about gender roles. Lotte Laserstein (28 novembre 1898 - 21 gennaio 1993) è stata una pittrice tedesco-svedese. È stata un'importante artista nella Repubblica di Weimar, in Germania. L’antisemitismo del regime nazionalsocialista la costrinsero a lasciare la Germania nel 1937 e ad emigrare in Svezia, dove continuò a lavorare come ritrattista e pittrice di paesaggi fino alla sua morte. Le opere d'arte da lei realizzate negli anni Venti e Trenta nel contesto della “Nuova Oggettività” in Germania costituiscono il punto culminante della sua carriera. #lottelasersteinexhibition #lottelarserstein #art #arte #modernart #artemoderna #postimpressionism #impressionism #genderequality #woman #womeninculture #women #womenempowerment #allartiscontemporary #painting #paintings #artlovers #artlover #resistencia @museodiffuso @ilpolodel900 @staedelmuseum (presso Museo Diffuso della Resistenza) https://www.instagram.com/p/CCX_4JzoVtR/?igshid=1saq822kqw7wz
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redazione-rosebud · 4 years
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Estratto
Trista gente è quella di un popolo che segue lo sbatter di bandere e stendardi piuttosto che le idee ben mastecate.
da Scritti di governo, Niccolò Machiavelli
Quei quattro gatti che mi seguono da trenta anni lo sanno bene: sono abituata a fare le mie dichiarazioni, scritte o orali, sempre in chiaro, presentandomi con il mio nome e cognome. Non uso nick, non li ho mai usati e non intendo cominciare a farlo da oggi in poi, men che meno in situazioni in cui debbo esprimere il mio parere sulla situazione politica, qualunque sia il contesto, nazionale o internazionale, di riferimento.
Con il mio nome e cognome, armata solamente della mia datata idealità, mi sono quindi presentata anche sul sito dei Cinque Stelle, sul cosiddetto Blog delle Stelle (sic!), ma forse sarebbe meglio scrivere che mi sono presentata sulla prateria in stile far-west che era il sito dei Cinque Stelle[1] nel maggio del 2019.
Non furono pochi gli aspetti stonati che mi colpirono subito: mi colpì la leggerezza intellettuale dei pezzi postati, mi colpì il sito in completa balìa dei “trolls” internettiani, mi colpì l’utilizzo pressoché totale di nick da parte degli ossimorici utenti-rivoluzionari, mi colpì la completa apparente assenza nei commenti in calce dei leader di quel MoVimento, mi colpì la presenza infestante di diversi personaggi che spadroneggiavano su quel luogo virtuale in modalità childish, come se lo stesso fosse un blog privato e non l’organo ufficiale di un partito politico che incidentalmente in quello stesso periodo era al governo della nazione.
D’accordo, quando decisi di fare parte di quella comunità non pensavo che colà avrei trovato novelli Antonio Gramsci impegnati a dirimere di politica. Simili personaggi mancano nelle redazioni dei principali giornali italiani, difficile che potessero trovarsi lì! Tuttavia, mai avrei immaginato un tale stato di abbandono e di degrado etico e intellettuale di quella che gramscianiamente potrei definire la macchina della propaganda del Partito, ovvero di uno strumento di “lotta politica” la cui importanza era stata compresa in pieno dallo stesso grande pensatore sardo già agli inizi del XX secolo, prima che lo stesso fosse perfezionato, in modalità apocalittica, dal criminale nazionalsocialista Joseph Goebbels.
Non appartenendo alla categoria dei pensatori patinati, ma piuttosto degli spiriti che preferiscono vivere sulla pelle il loro impegno, non per questo ho pensato di recedere dal mio proposito! Pur con i tanti dubbi ho continuato a postare tra quelle pagine. L’esercizio mi serviva anche a comprendere le reali dinamiche che facevano vivere quell’angolo virtuale.
Col trascorrere dei mesi ho capito che il blog era frequentato da tante persone comuni molto per bene – non a caso erano le uniche che si presentavano con nome e cognome – cioè da persone che dieci anni prima avevano creduto e sostenuto convintamente il “messaggio” del duo Grillo-Casaleggio, ma che era anche luogo di ritrovo di tanti cosiddetti “big del Movimento”, giornalisti, addetti ai lavori, commentatori, avversari politici, tutti rigorosamente anonimi, che utilizzavano quelle pagine per i fini più disparati. In alcune situazioni, infatti, l’asse di comunicazione esterno agiva a più livelli, dunque convogliando messaggi decifrabili solo da un gruppo ristretto, in altri casi il fine, specialmente in presenza di quelli che venivano definiti “trolls piddini” (sic!), era quello dichiarato di deprimere il MoVimento e il suo organo di informazione in una.
Tutto questo è accaduto all along durante i quattro mesi della mia permanenza su quel blog, senza che mai si palesasse una figura credibile determinata a porre fine al deleterio status-quo.
  Le elezioni europee e la febbre da invio-CV
Forse fu un caso, forse una circostanza oggettivamente fortunata, ma destino volle che mi trovassi sul sito del Movimento anche nel periodo delle elezioni europee, il 26 maggio 2019. Si trattò infatti di un’occasione unica per testimoniare in diretta la ressa che improvvisamente si formava in quell’angolo digitale di mondo vinto dalla febbre da invio CV. L’Italia intera sembrava impegnata in tale imprescindibile attività: personaggi noti e sconosciuti, laureati e analfabeti, cani e gatti, nessuno sembrava voler mancare l’appuntamento, mentre contestualmente impegnato a commentare in maniera rigorosamente anonima: che coglioni!, (da intendersi nel senso di “che forza, che coraggio!”, s’intende!).
A quel momento fatidico seguì poi un periodo d’attesa spasmodica, durante il quale i poltronari papabili si mangiavano le mani nell’attesa del responso del capo (Di Maio), del garante (Grillo), dei probiviri (sic!), e di chiunque avesse titolo a parlare in quelle circostanze.
Tuttavia, una volta pubblicato il responso, le reazioni erano diverse. In qualche caso, cioè nel caso di militante trombato, non si facevano attendere sul sito commenti riversanti veleno e ogni ingiuria possibile e immaginabile contro la redazione e i capi politici. Ma questo ci stava; molto più sorprendente era la riverenza con cui si accettavano le decisioni e le figure imposte dall’alto, senza alcuna protesta, senza mai osare alzare la voce: alla faccia della “lotta politica” di tipo gramsciano e della capacità di impegno da mostrarsi in sede interna e internazionale!
Di che mi sorprendevo? La verità è che io ero nuova sul blog e a quel tempo non sapevo ancora che chi dissente in casa dei Cinque Stelle ha una sola strada davanti: sparire, prima che venga fatto sparire, cancellato all’istante!
[1] http://www.ilblogdellestelle.it
Tratto da BRUNDU R., Quando eravamo grillini. Il grande bluff a Cinque Stelle, Ipazia Books, 2019.
  SINOSSI EDITORIALE
“Vi parlo senza rimpianti – tuonava Beppe Grillo, moderno guru politico italiano, dalla sua catacomba-rifugio nella notte tra il 31 dicembre 2014 e il primo dell’anno 2015 – del resto cosa rimpiangeremo di questo 2014 che se ne va? Le balle di Renzi? Le balle del PD meno L? Di due partiti che si sono uniti per disfare la Costituzione e i cui padri costituenti sono in galera? La verità è che forse il 2014 ce lo ricorderemo solo perché sarà leggermente meglio del 2015. Tuttavia, non possiamo neppure negare che ormai ci stiamo abituando a questo marcio, alla sua percezione, ecco perché bisogna parlare sottovoce… Chissà? Forse l’ebetino si toglierà di torno, magari allo scopo di prepararsi per le Olimpiadi, allenandosi sui cento metri a ostacoli, nell’attesa del momento in cui verrà rincorso dalla popolazione…”.
Così tanto deve essersi abituato al “marcio” prodotto, che alla fine Beppe Grillo – smettendo di sussurrare e muovendo dall’umile catacomba alla villa di Bibbona – avrebbe deciso di prenderle per buone le “balle” del “PD meno L”, nonché di fare da padrino alla nascita, il 5 settembre 2019, di uno dei governi meno amati dal popolo italiano, il Conte Bis.
Questo libretto vuole essere una attiva e personale testimonianza di uno dei periodi più cupi di emergenza mediatica e democratica vissuti dall’Italia in epoche recenti; un periodo in cui anche lo stesso concetto di onestà intellettuale ha semplicemente smesso di essere, ma che, contestualmente, ha riaffermato, con la potenza di un assioma, il principio in virtù del quale quando si tratta di comprendere e spiegare la natura umana Niccolò Machiavelli “ha SEMPRE ragione!”.
  Contenuti
Perché questo libretto? 1 Gennaio 2015 – Il discorso dalla catacomba Altro che catacombe: ladri di democrazia!
Capo 1 Sulla natura della nostra “democrazia” 1.1 Di una epifania ontologico-politica 1.2 Il caso Italia: cronica emergenza mediatica 1.3 Il caso Italia: emergenza democratica?
Capo 2 Sui fatti dell’agosto 2019 2.1 In morte del Salvimaio… 2.2 Follia balneare di Matteo Salvini e nascita del “governo delle poltrone viventi”. 2.3 L’era del grillorenzismo e la restaurazione dell’ancien-regime 2.4 Notte della Repubblica: a volte ritornano… 2.5 Il PD scopre l’antirenzismo (5 anni dopo!) 2.6 Intanto Salvini gode, l’Italia diventa leghista…
Capo 3 Moderne distopie e velleità dei guru dei tempi 3.1 Il caso Beppe Grillo in Rai (1986) e la nascita del M5S 3.2 Scritti di governo 3.3 Dal grillismo all’era del grillorenzismo!
Capo 4 Autoritarismo delle moderne distopie: il Caso del Blog delle Stelle 4.1 Sul senso per la “democrazia” nelle caste populiste 4.2 La censura usata come arma nella “lotta politica” 4.3 Della casta grillina, o di quando la serva diventa regina
Capo 5 Machiavelli ha SEMPRE ragione! 5.1 Il potere logora chi non ce l’ha! 5.2 Sul tradimento del mandato popolare del 4 marzo 2018 5.3 Munificenza del Conte Bis e il Caso Segre 5.4 Artisti dei tempi e l’odio viscerale verso l’avversario politico: momenti censurabili dall’era del grillorenzismo 5.5 Sull’illusione, la disillusione e l’impegno in politica 5.6 Machiavelli ha SEMPRE ragione! 5.7 Niccolò Machiavelli: liberiamo l’Italia dai barbari, profittatori e scialacquatori!
Appendici Notte della Repubblica (1) Notte della Repubblica (3) Notte della Repubblica (5) Notte della Repubblica (7) Notte della Repubblica (10) Notte della Repubblica (12) Della lotta democratica al tempo del grillorenzismo… Umbria 2019: cronaca di una sconfitta annunciata! Sui morti politici che parlano e sul capolavoro politico di Salvini: il machiavellismo imperat! Casi politici e plastici dei tempi…
Perché il dicembre 2019? Biografia Libri di Rina Brundu
Fonte: www.ipaziabooks.com
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Rina Brundu Scrittrice italiana, vive in Irlanda. Ha pubblicato i primi racconti nel periodo universitario. Il romanzo d’esordio, un giallo classico, è stato inserito nella lista dei 100 libri gialli italiani da leggere. Le sue regole per il giallo sono apparse in numerosi giornali, riviste, siti, e sono state tradotte in diverse lingue, così come i suoi saggi e gli articoli. In qualità di editrice ha coordinato convegni, organizzato premi letterari, ha pubblicato studi universitari, raccolte poetiche e l’opera omnia del linguista e glottologo Massimo Pittau (1921-2019), con cui ha stabilito un lungo sodalizio lavorativo e umano. Negli ultimi anni ha scritto saggi critici, ha sviluppato un forte interesse per le tematiche e le investigazioni filosofiche, e si è impegnata sul fronte politico soprattutto attraverso una forte attività di blogging. Anima il magazine multilingue www.rinabrundu.com.
Rina Brundu is an Italian writer and publisher who lives in Ireland. Author of several books and hundreds of articles and literary reviews, she has a keen interest in literary criticism, philosophy, e-writing and journalism.Website www.rinabrundu.com.
  QUANDO ERAVAMO GRILLINI. Come Antonio Gramsci… nel Far West e… la “febbre da invio CV”.
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marcoleopa · 7 years
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Fascio&Co
“Certamente il fascismo e’ stato già sconfitto una volta, ma siamo ben lungi dall’aver sradicato definitivamente questo male supremo del nostro tempo: le sue radici sono infatti profonde e si chiamano antisemitismo, razzismo, imperialismo.” Hannah Arendt
fonte:http://www.huffingtonpost.it/ivano-lusso/perche-la-legge-sul-fascismo-non-e-un-attacco-alla-liberta-di-pa_a_23024785/?utm_hp_ref=it-homepage
Da sei mesi a due anni di reclusione la pena per chi colloca in vetrina la corrusca calvizie del duce o afferma ammiccante che "si stava meglio quanto si stava peggio".
La proposta di legge A.c. 3343 che introduce l'art. 293 bis c.p. è pronta a sanzionare gli epigoni e gli estimatori del ventennio:
"Chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità è punito con la reclusione da sei mesi a due anni. La pena di cui al primo comma è aumentata di un terzo se il fatto è commesso attraverso strumenti telematici o informatici".
In verità, l'applicazione di tale norma potrebbe risultare indeterminata quanto curiosa nel punire la propaganda dei "contenuti propri" del fascismo.
A voler sanzionare, fra questi, la propaganda del culto del capo in politica, o il salvataggio di stato di banche e imprese (culminati con la costituzione dell'Iri nel 1933), si rischiano vittime illustri; i partiti facciano un esame di coscienza.
Nella sostanza, tuttavia, nonostante la formulazione dell'articolo, non si può non condividere la necessità di un argine alla corriva esaltazione del fascismo, che non è un illiberale attacco alla libertà di parola, com'è stato scritto.
La libertà deve, in primo luogo, difendere se stessa: la mistificazione che deborda in un proselitismo per soluzioni autoritarie, deve trovare degli anticorpi nella società civile e, in assenza, un vaccino.
Il revisionismo storico, molto spesso, è facilitato dall'approccio superficiale dei più ai cosiddetti "social" che raggiungono risultati paradossali, contro cui non ci sono anticorpi: questi dovrebbero essere la scuola e l'istruzione, il senso critico e il controllo delle fonti, soprattutto su Internet (problema che avvertì per primo Umberto Eco).
In difetto, purtroppo occorre il vaccino: la normativa penale, il deterrente rappresentato dalla pena, il mala quia vetitum, se non viene percepito dalla società come mala in se.
Fra le diverse pagine inneggianti al Duce (anche con decine di migliaia di membri) su Facebook ve n'è una in cui la portata "revisionistica" del mezzo diviene evidente, al pari della necessità dell'aggravante prevista dal nuovo articolo.
Su Facebook le leggi razziali del 1938, questo sì "contenuto proprio" del regime mussoliniano, vengono non solo dimenticate ma assimilate.
Si giunge al paradosso allorché fra saluti romani e romantici "a noi!" nel post "solo se saremo uniti riusciremo a sconfiggere il sinistro male" si cita, con tanto di foto, Albert Einstein, ebreo: "il mondo è un posto pericoloso non a causa di quelli che fanno del male ma a causa di coloro che guardano senza fare niente" aggiungendo.
Più opportunamente, citerei Primo Levi ne "I Sommersi e i Salvati": "È avvenuto quindi può accadere di nuovo questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire".
Sarà vero che il male è banale, come scrisse la Arendt, ma molto più spesso è ignorante.
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eventiarmonici · 4 years
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Pasquale Di Matteo presenta: George Grosz
Quando George Grosz scappò negli Stati Uniti, era più deluso dai Tedeschi che dalla follia nazista; analista del suo tempo, l’artista è stato una delle testimonianze più importanti della degenerazione sociale che può sfociare in una  dittatura.
di Pasquale Di Matteo
George Grosz nasce il 26 luglio 1893, a Berlino.
Il suo primo approccio con la pittura avviene da bambino, al circolo ufficiali gestito da sua madre. Le uniformi, le rappresentazioni di battaglie storiche, i racconti degli anziani, stimolano la fantasia del ragazzo, facendo nascere in sé il desiderio di cimentarsi nel disegno.
Ma ben presto i disegni di Grosz si rivolgono a una feroce denuncia di orge erotiche e di crimini, evidenziando la deriva della società, che cattura sempre più l’attenzione dell’artista.
Opera di George Grosz – Immagine di Proprietà del Web
Opera di George Grosz – Immagine di Proprietà del Web
Opera di George Grosz – Immagine di Proprietà del Web
Dalla prima guerra mondiale, Georg Grosz viene congedato nel 1915, per malattia, tuttavia il breve periodo bellico è sufficiente a fargli cogliere l’orrore della carneficina che si sta consumando sui campi di battaglia in tutta Europa.
Milioni di proletari muoiono nel fango, mentre latifondisti e industriali continuano le loro vite ricche.
Con tali tormenti interiori, Grosz aderisce al movimento Dadaista, che era stato introdotto a Berlino da Zurigo nel 1918, e si iscrive al Partito Comunista, di cui ottiene la tessera dalle mani di Rosa Luxemburg.
Grosz è convinto che l’Arte debba avere uno scopo e il suo lo trova nel dar voce ai rivoluzionari e alla denuncia del decadimento sociale e dell’appiattimento dei valori.
Nel 1920 Grosz, insieme agli amici Hausmann e Heartfeld, organizza la prima mostra Dada nella galleria di Otto Burchard a Berlino, dove figurano anche lavori di Max Ernst e Otto Dix.
Durante l’evento, Grosz e Heartfel vengono multati e segnalati per aver appeso al soffitto la raffigurazione satirica di un pupazzo con sembianze di soldato tedesco e con la testa di maiale.
Grosz fonda le riviste satiriche a sfondo politico Die Pleite e Der blutige Ernst, tutte in ambito dadaista, curandone personalmente le illustrazioni.
Dopo la sconfitta della Germania nella Grande Guerra, la miseria che ne consegue accentua la povertà e la distinzione tra le classi sociali nel Paese.
Di conseguenza, aumenta l’impegno artistico in chiave sociale di Grosz, al quale si affiancano altri artisti, tra i quali: Max Beckmann, Otto Dix, Otto Griebel.
L’artista si cimenta in quel Verismo Sociale che auspica possa spingere la popolazione a una rivoluzione che ristabilisca la giustizia.
In questi anni viene più volte condannato per vilipendio delle forze armate e della morale pubblica. Viene denunciato anche per blasfemia, in particolare per il disegno Cristo con la maschera antigas del 1927, che inizialmente aveva intitolato Tenere la bocca chiusa e continuare a servire.
Opera di George Grosz – Immagine di Proprietà del Web
Con l’avvento di Hitler, il Dadaismo viene considerato Arte degenerata.
Lo stesso Grosze è considerato blasfemo e socialmente pericoloso, perciò lascia l’Europa per trasferirsi in America, deluso più dai Tedeschi che osannano Hitler, che dallo stesso dittatore.
Comunque, anche negli Stati Uniti conserva lo sguardo sprezzante e la capacità di denunciare le storture della società anche nella nuova patria.
Dopo la guerra, mescola forme espressive del dadaismo e collages, avvicinandosi alla pop art.
I Pilastri della Società
Nella sua I Pilastri della Società, Grosz pone sotto i riflettori sia i delusi, sia gli intellettuali corrotti dall’ideologia nazista, cioè tutta quella parte di popolazione che aveva tifato per la guerra civile in Germania e per l’affermazione di Hitler.
Opera di George Grosz – Immagine di Proprietà del Web
Opera di George Grosz – Immagine di Proprietà del Web
Sullo sfondo dell’opera, si notano un edificio in fiamme, degli operai che avanzano verso sinistra e militari verso destra.
I volti dei protagonisti, invece, sono raffigurati in chiave satirica, in perfetto stile grosziano, e abbracciano i pilastri del consenso hitleriano.
Scendendo, si incontra il faccione di un prete, intento a benedire il regime nazista; più sotto, si nota un grasso politico, icona dei traditori della rivoluzione social democratica, dal cui cranio fumano escrementi.
La categoria dei giornalisti è rappresentata da un uomo ben vestito, con dei quotidiani tenuti in mano come carta straccia e un vaso da notte per cappello.
In primo piano, un borghese ultranazionalista, raffigurato con una sciabola nella mano destra e un boccale di birra nella sinistra, la svastica appuntata sul nodo della cravatta e le idee di vanagloria che fuoriescono dal cranio, capitanate da un cavaliere con la bandiera nazionalsocialista sulla lancia.
Con quest’opera, George Grosz stigmatizza classi e categorie di una società complice di uno dei regimi più violenti della storia, dimostrando come le dittature si fondino sempre sull’esaltazione di un pensiero dominante e ampiamente condiviso da una larga fetta della popolazione.
Quando George Grosz scappò negli Stati Uniti, era più deluso dai Tedeschi che dalla follia nazista; analista del suo tempo, l'artista è stato una delle testimonianze più importanti della degenerazione sociale che può sfociare in una  dittatura. Pasquale Di Matteo presenta: George Grosz Quando George Grosz scappò negli Stati Uniti, era più deluso dai Tedeschi che dalla follia nazista; analista del suo tempo, l'artista è stato una delle testimonianze più importanti della degenerazione sociale che può sfociare in una  dittatura.
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franco-senestro · 4 years
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L’ignoranza e il populismo, ci portano ad uno degli errori storici più grossolani nella vita del nostro paese degli ultimi cento anni. Spesso, troppo spesso dopo la tipica frase: “ ci vorrebbe uno come lui” seguono le parole: “… ha sbagliato ad allearsi con Hitler…”.
In verità erano alleati perché erano uguali, Hitler inizialmente aveva una grande ammirazione per Mussolini, lo considerava il suo maestro politico, maestro di dittatura, tanto da copiarne le idee, il regime fascista si impose nel 1922, quello nazionalsocialista di Hitler ben undici anni dopo, ma già nel 1923 a capo del partito nazionalsocialista di Baviera, Hitler tentò un colpo di stato, poi fallito (il famoso Putsch di Monaco) emulando così la marcia su Roma. In un intervista rilasciata al giornalista di regime Leo Negrelli, nel 1925, Hitler riferendosi alla dittatura instaurata da Mussolini in Italia, la definiva: “modello da imitare in tutto e per tutto”.
Non si può quindi licenziare Benito Mussolini con l’unico errore di essersi alleato col Fuhrer e del resto, sarebbe una banalità considerare errori gli atti precedentemente compiuti dal Duce fin dal suo insediamento avvenuto con la marcia su Roma il 28 ottobre 1922 che trasformò l’Italia da stato democratico a regime totalitario.
“In tutte le dittature, la cosa più pericolosa sono le masse, perché danno ai loro idoli la pericolosa illusione di essere come Dio..                                                                                            … ma il popolo capisce sempre troppo tardi di aver preso una strada senza ritorno..”.
Credo che sia nella storia, il fascino dell’uomo forte, del condottiero che ti porta alla vittoria, dai tempi di Alessandro Magno fino a Napoleone, ma l’uomo solo al comando, ha un difetto: vuole rimanere solo al comando e per fare questo, ha bisogno di due cose: ottenere sempre più consenso e nel frattempo, combattere ogni forma di dissenso, a volte anche con l’eliminazione fisica dei dissidenti. Così accadde che Mussolini, insediatosi al governo nell’ottobre del 1922, iniziò con una serie di leggi adatte a tutelare sempre di più il fascismo, e contemporaneamente ad eliminare chi e cosa si opponevano a questo progetto. Nei Consigli Comunali, le figure del Sindaco, degli assessori e dei consiglieri, vennero sostituite con la figura del Podestà solitamente un notabile del posto, legato al regime fascista, non c’erano più voci e proposte diverse, ma dettava legge il Podestà.
Successivamente con l’abolizione della Camera dei Deputati e l’istituzione della Camera dei fasci e delle corporazioni risolveva definitivamente il problema della rappresentanza popolare, abolendola. In seguito, vennero messi fuori legge i partiti, i giornali e i sindacati di opposizione, era ammesso il solo sindacato fascista, venne vietato il diritto di sciopero e badate bene che il non rispettare queste leggi, voleva dire la galera o a volte persino il confino.
In mezzo a tutto questo, le continue guerre; l’appoggio ai golpisti durante la guerra di Spagna e poi le nuove campagne di colonizzazione che altro non erano che guerre di conquista, lasciavano sul terreno morte e distruzione, l’esempio più lampante quella che ancora viene ricordata come una grande vittoria del regime fascista: la conquista dell’Etiopia, erano i tempi in cui il fascismo rivendicava presso la Società delle Nazioni il famoso posto al sole. Bene in quella occasione, Mussolini non esitò, malgrado fosse sicuro della vittoria, ad autorizzare l’utilizzo delle armi chimiche, vennero sganciate 2.500 bombe caricate a Iprite, un gas letale che produceva vapori mortali e una pioggia di goccioline corrosive, che penetravano attraverso pelli e vestiti producendo piaghe e lesioni interne gravissime, questo attacco, per anni smentito, venne confermato nel 1996 dal ministro della Difesa Gen. Domenico Corcione, sbugiardando il gionalista Indro Montanelli, al tempo ufficiale in Etiopia, che dovette ammettere la verità. Per questo motivo l’aggressione dell’Italia all’Etiopia ebbe notevoli ripercussioni diplomatiche, la Comunità Internazionale decise di imporre sanzioni economiche alla nostra nazione, fu in questa fase che l’Italia si avvicinò alla Germania, diventata ormai una potenza tale che fece riconoscere a Mussolini che l’allievo aveva superato il maestro, legandolo a questo punto, indissolubilmente al destino del regime Nazista.
Mussolini e Hitler, quella strana amicizia L’ignoranza e il populismo, ci portano ad uno degli errori storici più grossolani nella vita del nostro paese degli ultimi cento anni.
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