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elenacasagrande-lw · 1 year
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🔺🔺️ARTISTI🔺🔺️ (for Eng version link in bio) Annuncio @mefu_official ! REGOLAMENTARE LE AI SI PUÒ. SOSTIENI LA BATTAGLIA LEGALE INSIEME A NOI! "Se siete entrati su qualunque social network, non può esservi sfuggito il dibattito che ruota intorno alle AI text-to-image, come Midjourney, Stable diffusion e DALL-E e la crescente preoccupazione che ha generato in tutto il settore creativo. Queste AI possono ottenere gli (a volte) straordinari risultati che vediamo online grazie a dataset composti da miliardi di immagini, inclusi foto private, dati sensibili e immagini coperte da copyright. Queste immagini sono state raccolte attraverso pratiche poco trasparenti e senza alcun consenso da parte dei legittimi proprietari. La nostra creatività e professionalità non può essere utilizzata per creare immagini o prodotti che hanno il solo scopo di arricchire una manciata di società con una simile politica predatoria. Consapevoli dell’enorme potenziale di queste tecnologie, crediamo sia però necessario andare a regolamentare queste società, in modo che l’utilizzo delle AI rispetti i diritti umani che regolano la nostra comunità. È una battaglia per tutelare noi creativi, ma è anche una battaglia per garantire il rispetto del diritto alla privacy di tutti. Come sapete, noi crediamo nel rimboccarsi le maniche e nel lavoro pratico e in questi mesi abbiamo collaborato con il nostro socio fondatore @lrnzlrnzlrnzlrnzlrnzlrnzlrnzlr e Vera, agenzia specializzata in copyright, diritti civili e comunicazione massmediale. Il nostro obbiettivo è lavorare con le istituzioni europee per far passare una serie di norme che vadano a colmare i vuoti legislativi in cui si muovono ora le società di AI. Per fare questo abbiamo però bisogno di voi: servono infatti almeno 70.000€ (circa 3.000 al mese per due anni) per finanziare queste attività e pagare gli esperti che ci affiancheranno e serve che questa raccolta fondi esca dalla bolla del fumetto e arrivi a tuttə lə creativə europeə. Per cui, aiutateci! Donate e condividete con tuttə lə vostrə colleghə, italianə e stranierə e facciamo la differenza tuttə insieme!" Link alla campagna in bio! Immagine manifesto by LRNZ https://www.instagram.com/p/CmTq3t7sGG2/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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Bruno Ballardini: Sun Tzu, l'arte della guerra nella vita quotidiana
Bruno Ballardini: Sun Tzu, l’arte della guerra nella vita quotidiana
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persinsala · 3 years
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Sanremo 2021: il trionfo del neo-glam e del GucciRock
Sanremo 2021: il trionfo del neo-glam e del GucciRock
Il più convenzionale degli eventi della tradizione culturale italiana, sinonimo di gusto nazionalpopolare per eccellenza ed evento di contaminazione reciproca di musica e ambito televisivo e massmediale, si è concluso con diversi colpi di scena, ma senza niente di autenticamente rivoluzionario, come normale che fosse. Continue reading
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giorgiodecesario · 2 years
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La Cronaca trasfigurata dall’arte Di Carmelo Cipriani De Cesario recupera fatti e protagonisti di scottante attualità calandoli in un’atmosfera da sogno. Sottratta al consueto linguaggio massmediale e depauperata delle connotazioni più turpi, la cronaca è riproposta sulla tela in termini plastico-pittorici. Designer, pittore, scultore, il poliedrico artista è artefice di un linguaggio singolare, sospeso tra aspirazioni astratte e figurazione naif. Tela e argilla i medium privilegiati, utilizzati non in contrapposizione o secondo scelte aprioristiche, ma integrati sino a potenziare reciprocamente superficie e volume. Da sfondi bidimensionali popolati da figure arabescate, emergono ieratici volti in argilla, archetipo dell’uomo contemporaneo, reso inespressivo e insensibile dall’incipiente omologazione. La traslazione in un mondo fantastico conferisce allo spettatore un punto di vista distaccato, obbligandolo a riflettere sulle aberrazioni del mondo odierno, sulle tragedie quotidianamente procurate da inettitudine, disagio sociale e ignoranza. BAGNANTE A GALLIPOLI, tecnica mista con volto in rilievo in argilla sulla tela cm 70X100 Visit my site www.giorgiodecesario.it (presso La Casa Degli Artisti) https://www.instagram.com/p/CYo9P5JKYTF/?utm_medium=tumblr
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shift1997 · 4 years
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La Rete che non c'è - #2 In Italia
Nello scorso articolo ho parlato di come il dibattito sul diritto d'autore e quello sulla privacy siano collegabili osservando le potenzialità creative della Rete. In questo articolo proporrò un punto di vista sul perché entrambi i dibattiti sono stati poco sentiti in Italia e non abbiano contribuito a dare forma all'opinione pubblica riguardo la Rete come strumento creativo e portatore di nuove istanze culturali.
Nel 2007, Lawrence Lessig tenne una TED talk in cui attirò l'attenzione del pubblico americano su due temi: le potenzialità creative della Rete di cui ho parlato, e la tendenza della giurisdizione di quegli anni a soffocare questa possibilità in nome della difesa del diritto d'autore. Lessig contrappone il Web ai mass media della sua generazione, in cui la trasmissione di contenuto è unidirezionale e la fruizione è passiva. Al contrario, egli fa notare, i ragazzi che usano la rete quotidianamente negli anni 00 sono abituati a manipolare, trasformare, parodiare e ri-creare i contenuti di cui fruiscono. Un punto di vista molto simile è sostenuto da David Gauntlett, che in Making is Connecting sottolinea la capacità del Web di supportare la creatività amatoriale (digitale e non), grazie alla capacità di connettere persone con interessi simili e facilitare l'accesso a conoscenze teoriche e pratiche utili a coltivare le proprie passioni. Egli sostiene che questo abbia anche un impatto positivo sulla vita delle persone e della loro comunità, poiché ciascuno entra naturalmente in relazione con gli altri attraverso ciò che crea in maniera amatoriale, ossia per il solo piacere della creazione. Gauntlett riporta poi che, al contrario, secondo Putnam, nessuna abitudine o condizione individuale è correlata al disimpegno civico e alla carenza di relazioni interpersonali quanto la dipendenza dalla televisione per svago.
Alessandro Baricco è, insolitamente, una delle voci distinguibili nel dibattito riguardante la Rete e le tecnologie digitali in Italia. Dal 2006, anno in cui ha scritto I Barbari, ha tentato - a suo modo - di portare elementi di riflessione sui cambiamenti culturali portati dalla Rete nel dibattitto pubblico italiano. Cercava di contrapporsi ad apocalittici che consideravano i nuovi strumenti digitali e le pratiche che da essi stavano nascendo portatori di una cultura degenere. Il suo sforzo, portato di recente a termine in The Game, fu invece quello di comprendere le ragioni dei cambiamenti che stavano avvenendo.
Il dibattito in merito alle potenzialità culturali della Rete non è mai stato fervente in Italia. Da una parte, le élite culturali hanno visto da subito con diffidenza i cambiamenti portati dalle tecnologie digitali, dall'altra la diffusione stessa delle tecnologie è stata lenta. Da statistiche Istat, risulta che nel 2006, anno in cui il dibattito entrava nel vivo, circa il 65% percento delle famiglie italiane non aveva accesso a Internet e circa il 40% percento di esse dichiarava di non avervi accesso per “scarso interesse”. (Il questionario originale dell'indagine si può consultare qui.) Le ragioni economiche o di possibilità di connessione sono sempre state, al contrario di quanto si potrebbe pensare, una motivazione relativamente poco frequente nella popolazione italiana.
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Con il passare del tempo, l'importanza della Rete nelle vite di tutti è cresciuta, e così anche l'interesse di chi non vi aveva accesso (punti blu nel grafico). Può essere interessante notare che, negli anni a venire, la motivazione di questa mancanza dichiarata più di frequente è stata la carenza di capacità tecniche - quantomeno percepita dal partecipante al sondaggio (punti rossi nel grafico).
Si potrebbe dire che le motivazioni che hanno tenuto lontani molti italiani dalla Rete siano state culturali, seppur siano cambiate nel corso degli ultimi quindici anni. All'inizio, molti non erano attratti dalla Rete, ne erano diffidenti o non ne capivano il senso. In seguito, per necessità o per moda, l'interesse è cresciuto e il problema è diventato il come. Ciò a cui si era abituati, d'altronde, non era d'aiuto. Nel periodo in cui questo dibattito era in fervore, l'Italia versava in pieno berlusconismo, ben radicato nella cultura massmediale televisiva. A conferma della tendenza culturale degli italiani a prediligere il medium televisivo vi sono altri dati Istat che mostrano, per ogni fascia d'età, una stima dell'affezione e dell'abitudine ad essa. Come hanno osservato Gauntlett e Lessig, il Web e la televisione sono media opposti, in quanto l'uno presuppone un coinvolgimento dell'utente, mentre l'altro non ne presuppone alcuno. Non è molto difficile, quindi, sostenere la tesi per cui questo dibattito sia stato poco diffuso anche per ragioni culturali.
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Anche per questa ragione culturale, l'Italia è oggi una provincia nell'impero del Web. Vivere senza la Rete è diventato, per molti, impossibile. Tuttavia, il cambiamento nella cultura e nel modo di pensare innescato dalla Rete è stato lento e debole. Ciò rende più difficile riflettere sul nostro ruolo di utilizzatori fiduciosi nell'ecosistema della Rete e non crea spazi per immaginare alternative possibili che rendano un po' più nostro questo strumento di cui abbiamo così tanto bisogno.
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Rimettiamo in discussione il ruolo di Sua Maestà la televisione". Lei, l'imperatrice delle nostre case sempre più vuote di pensieri e parole e sempre più inzuppate di rumori. Lei, appollaiata sul trono delle nostre serate, lei divoratrice dei nostri attimi più privati, così ingorda di scandali, di pochezze e di immagini virtuali, con i suoi flash abbaglianti e le sue sequenze accelerate che inghiottono lo spazio e soffocano il tempo. Lei che non lascia via di scampo. Dalle sue frattaglie non si può sfuggire. Lei, che vomita pattume in quantità industriale, non accetta più di essere un vago sottofondo: ti penetra nell'iride sotto forma di stupefacenti videoclip, di pianti in diretta e altre amenità. Sua Maestà la tv ha decretato che il nostro cervello debba essere soltanto una discarica. E a noi, bravi e diligenti utenti, ha riservato una sola libertà: quella dello zapping da un cassonetto per la plastica ad un contenitore per rifiuti organici. Il saltapicchio da un canale all'altro non è più motivato dalla ricerca di ciò che potrebbe sollecitare maggiormente la nostra intelligenza, il nostro interesse. Quando brandiamo un telecomando, ci trasformiamo in un animalone tecnologico, un tutt'uno con l'apparecchio televisivo. Una schifezza massmediale rassegnata e inconsapevole. E quanto più ciò che vediamo è inquietante, tanto più le nostre facoltà inferiori si sentono gratificate.
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paoloxl · 7 years
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Su Bello Figo potremmo avanzare le peggiori interpretazioni sociologiche, filologiche o culturali. A prescindere dalla qualità della sua musica, i suoi versi smascherano (o vorrebbero smascherare) l’universo dei pregiudizi comuni sulla vita dei migranti in Italia: vengono spesati dallo Stato; non pagano l’affitto; vogliono il Wi-Fi gratis; eccetera. E’ uno svelamento spiazzante, per varie ragioni: perché avviene da un migrante, per giunta nero; perché procede per antifrasi, costringendo chi ascolta a chiedersi costantemente se ciò che sente ha un significato diretto o ironico; perché ribalta e demolisce il buonismo in cui sono confinati i migranti quando parlano della propria esperienza. Bello Figo ci dice invece che l’arma del cinismo e del sarcasmo caustico può essere impugnata anche dall’africano, dal migrante arrivato col barcone, dal nero. Che piangersi addosso non è l’unico linguaggio possibile per quelle popolazioni, anche loro alla ricerca di una lingua nuova per farsi riconoscere. Tutto ciò, converrete, è terrificante: tanto per il razzismo dominante quanto per la carità cristiana, le due forme ideologiche dell’accoglienza migrante. Ciò che però è evidente di tutta l’operazione di Bello Figo è la sua manifesta volontà di provocare denunciando una mentalità razzista trasversale e bigotta. Perché, allora, questa manifesta, lampante, diretta volontà di provocare non è stata immediatamente colta, e anzi ancora oggi le destre di tutto il paese (e quindi anche molta “sinistra”) si affannano ad insultarlo come se i suoi versi volessero davvero affermare ciò che dicono direttamente? Possibile che nel vasto corpo della cultura massmediatica italiana, dopo decenni di studi – senza stare qui a scomodare Eco e certa semiologia – ancora si possa cadere nel tranello di scambiare un messaggio ironico per reale presa di posizione? Sembra incredibile, ma è proprio così: gli analfabeti massmediali, in uno dei paesi (una volta) all’avanguardia nella decostruzione semiologica e politica della comunicazione di massa, sono ancora la maggioranza della popolazione. Di più: sono ancora la maggioranza nel mondo della cultura. Ancora peggio: sono la maggioranza nel mondo della stessa informazione di massa, nel giornalismo, nella televisione. In Rai, su Repubblica o sul Corriere della Sera capita ancora di trovare qualcuno che non capisce un linguaggio retorico antifrastico. Nel 2017. Perché? Per due ragioni, almeno ci sembra. La prima: il razzismo. Sembra scontato ma è così. Perché se Antonio Albanese interpreta Cetto Laqualunque, riconvertendo un tipico e realistico linguaggio politico, cogliamo immediatamente l’ironia sottointesa, mentre se lo fa Bello Figo ci chiediamo cosa voglia davvero dire? Perché non siamo abituati, perché quel livello di denuncia lo possiamo consentire solo da qualche “connazionale”, ma non da un immigrato che prende per il culo degli “italiani”. Destabilizza un frame in cui proviamo a incasellare quello che ci aspettiamo dalle persone-ruoli: il nero può al massimo piangere sulla sua condizione, non prendere – e prendersi, attenzione – per il culo. La seconda: il razzismo, nuovamente. Al migrante è concesso, e unicamente per volontà istituzionale, il raggiungimento dei bisogni primari (casa e cibo, quando va di lusso); ma l’universo dei bisogni secondari? E l’universo dei bisogni superflui? Anche qui, ad uscirne demolito è certo razzismo buonista per cui il migrante ci sta simpatico se ha perso moglie e figli, viene da qualche territorio martoriato dalla guerra e chiede solo un luogo dove vivere. Se invece le sue richieste si avvicinano pericolosamente a quelle che potrebbe avere un “italiano”, ecco scattare il riflesso pavloviano: ma come si permette! Gli diamo cibo e un tetto e quello vuole pure magari una donna (o un uomo); vuole la connessione internet, il negro; non gli basta avercelo lungo e la musica nel sangue? Vorrebbe uscire la sera, magari ubriacarsi, la scimmia? A lavorare. Il problema è che quei migranti non chiedono altro: un lavoro. Ma in sua assenza, non si accontentano di una vita di privazioni. D’altronde, ancora non si è visto un “italiano” disoccupato che si priva della sua uscita con gli amici, bevendo, magari drogandosi, solo perché senza lavoro. Ci si arrangia. Ma se ad arrangiarsi è il negro, crolla tutto lo schema culturale che abbiamo stabilito nella testa. E allora ce la prendiamo con le canzoni volgari(!), con gli atteggiamenti sessuali(!!), con la strizzatina d’occhio alla criminalità(!!!). Queste sono cose da Fedez, non da migrante. Non capovolgiamo i ruoli sociali, per favore. Ma questo analfabetismo massmediale assume dimensioni astronomiche nel caso delle destre scese in campo contro i concerti di Bello Figo. Che fino a ieri era un anonimo youtubers cliccato migliaia di volte nel sottobosco virtuale della rete dove nascono, prosperano e muoiono nel giro di pochi mesi i più improbabili personaggi in cerca di visibilità. E invece, nella più classica eterogenesi dei fini, la mobilitazione delle destre ha reso Bello Figo non solo un simbolo dell’antirazzismo e addirittura dell’antifascismo (questione, la seconda, a lui probabilmente ignota), ma un fenomeno mediatico di massa, invitato in televisione, nei concerti, intervistato e ascoltato. Hanno fatto di Bello Figo un simbolo, e coi simboli bisogna andarci cauti. Ogni concerto impedito moltiplica la popolarità del cantante ghanese, rendendo macchiettistico e anacronistico ogni tentativo reazionario di silenziarlo. Nell’epoca della viralità massmediale l’unico strumento possibile per censurare un dato contenuto è spezzarne la viralità, appunto. Non moltiplicarla, riempiendola addirittura di significati mitopoietici. Ma tutto questo, il razzismo sottoculturale del paese ancora non riesce a capirlo. Stupefacente. E’ un analfabetismo funzionale che innalza un muro di incomprensibilità tra una generazione ormai avvezza a certe forme comunicative (che investono sia il contenuto che il mezzo attraverso cui viene veicolato un messaggio) e un elefantiaco apparato politico e mediatico ancorato a forme ormai preistoriche della comunicazione di massa. Soprassediamo sulla natura artistica di Bello Figo. Ma in quanto alla politicità, il rapper ha vinto la partita, trasformandosi in un simbolo.
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pangeanews · 4 years
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“Il Signore degli Anelli”: una guerra politica ai danni del lettore. La vecchia traduzione – ritirata dal mercato – torna tra noi grazie ad Adolfo Morganti. Intervista
Lo sfregio, piuttosto, è stato fatto al lettore. Il resto sono polemiche. Alcune sterili – altre insane, ma insanabili. Siamo tutti cresciuti discepoli di Gandalf, inseguendo Aragorn – vi consiglio di accedere agli Annali dei Re e Governatori, “Appendice A”, in fondo al librone, dove si racconta, con tenore struggente, “una parte della storia di Aragorn e Arwen” –, interpretando Frodo, dando luce alla notte, passando ore, giorni, leggendo Il Signore degli Anelli nell’edizione Rusconi. Ognuno ha i propri sortilegi: io immaginavo che il frugale pacco di cracker fosse “pan di via”, e gli occhi scattavano come lupi sul corpo di quel romanzo. Ora. Come si sa, dall’anno scorso, Bompiani ha deciso di cestinare l’antica traduzione. Un errore (per altro, con svariate complicanze legali). La traduzione di Vicky Alliata di Villafranca, all’epoca giovanissima, realizzata per Astrolabio, è stata rivista, nel 1970 (edizione Rusconi), da Quirino Principe (che qui racconta i fatti, con una scrittura di rara delizia, compresa la fatidica scrivania rovesciata in faccia a Livio Garzanti) e ‘ingentilita’, come si dice, da una introduzione di Elémire Zolla (che parlava di Robert Graves, di George Mac Donald, di John Cowper Powys, ricordandoci che “Le fiabe parlano di cose permanenti: non di lampadine elettriche, ma di fulmini”). Avremmo dovuto festeggiare i primi cinquant’anni di quella impresa. Ne siamo invece orfani. Per il momento, Bompiani ha stampato i primi due tomi della ‘versione Fatica’, La compagnia dell’Anello e Le due torri, che a molti non piace e ad alcuni sì, rendendo così impossibile, per il lettore comune, leggere il capolavoro di Tolkien integrale. Il buon senso, a volte, imporrebbe di parlare di “tradizione della traduzione”, cioè di traduzioni consolidate nell’immaginario e perfino nel destino dei lettori, che varrebbe la pena mantenere come sono (Vincenzo Latronico, per dire di uno scrittore/traduttore Bompiani, ha avuto la furtiva idea di tradurre Il ritratto di Dorian Gray come “L’immagine di Dorian Gray”, ma ha poi desistito, giustamente…). Al lettore comune, che non sa nulla di Campi Hobbit, di Associazione Italiana Studi Tolkieniani (che ha aiutato Fatica nell’ardua impresa) e di Società Tolkieniana Italiana (che ha rivisto e aggiornato l’edizione Bompiani 2003, con i disegni di Alan Lee), l’antica traduzione, sobria e epica insieme, andava benissimo. Invece niente. Dalla spirale politica – non certo letteraria, tantomeno culturale – della vicenda ne viene sconfitto il lettore. Sfregiato, ecco. Così, ci si è messo Adolfo Morganti, fautore della casa editrice Il Cerchio – che quest’anno compie 40 anni di attività, iniziata proprio con un saggio su Tolkien, firmato da Mario Polia – che, insieme a un gruppo di tolkieniani di platino, ha fatto razzia delle residue edizioni Bompiani del Signore degli Anelli rinvenibili nel mercato secondario. La trilogia – ora introvabile – è distribuita a 20 euro; i singoli volumi a 8 euro (le informazioni al sito della casa editrice o scrivendo a [email protected]). Pura, sana ‘controcultura’, in favore del lettore. Sul punto, ho contattato Morganti. (d.b.)
Il Signore degli Anelli su cui abbiamo sognato, giocato, amato, è ritirato dal commercio. Resta soltanto la ‘versione Fatica’. Perché un gesto del genere?
Ricostruiamo i fatti sulle fonti, e le fonti che abbiamo sono la ricostruzione della principessa Vittoria Alliata di Villafranca – d’altronde mai contestata pubblicamente dalla controparte – ed alcuni scritti di Vu’Aist [qui leggete uno dei testi Aist sulla traduzione di Fatica, ndr]. Anche grazie ad un poco di esperienza nel settore mi sono costruito un’idea piuttosto precisa: un tentativo di fare pressione sulla Alliata per mezzo della minaccia di ritiro dal commercio della sua traduzione (poi concretizzatasi) per chiudere una partita legale che vede l’editore in una posizione ben difficilmente difendibile; nel contempo lo sfruttamento di questa circostanza da parte dei Vu’Aist. Ciò che ha fatto partire l’operazione Fatica (che personalmente ritengo in sé del tutto inutile) è, se non un concreto coordinamento, il combinato disposto di queste due strategie.
Lei suppone, in un suo testo, che sia in atto una operazione ‘politica’, una ‘ripulitura’ ideologica dietro la revisione del capolavoro di Tolkien: è così?
Più che ‘supporre’ un tentativo di rilettura ideologica dell’opera di Tolkien basta leggerla nelle fonti sopra indicate. Ogni 10 anni circa una parte dell’estrema sinistra italiana si imbarca in un tentativo di colonizzazione neogramsciana, progressista, modernista del fantastico: dall’Ambigua Utopia a Valerio Evangelisti, agli odierni Vu’Aist. I risultati sono ciclicamente risibili, a dispetto del kombinat (post)comunista di potere massmediale, romano per quanto concerne la RAI, milanese per l’editoria cartacea, che foraggia e sorregge questi tentativi.
Poi ci sono i fatti, ben più frugali, dei diritti sulla traduzione compiuta dalla Alliata… Ci spiega sommariamente?
Su questi aspetti, ripeto, la fonte primaria è proprio la Principessa Alliata, che ha espresso pubblicamente ed a più riprese una serie di vere e proprie accuse nei confronti della nuova proprietà di Bompiani addirittura imbarazzanti [leggere qui], senza d’altronde suscitare – cosa ancora più strana – alcuna replica da parte dell’editore. Personalmente mi sono chiesto, anche per iscritto e pubblicamente, per quale motivo un editore di lunga esperienza (di sinistra, ma certamente non improvvisato) come Giunti abbia accettato di andare in tribunale inoltrandosi in un vicolo che più si procede nel tempo più gli si stringe addosso, e credo proprio gli costerà molto caro. Il non poter rinnegare l’azione del Kombinat di cui sopra è l’unica risposta che sono riuscito a darmi. Ma in questo caso, anche fra alcuni anni, credo che una prima chiarificazione dei fatti l’avremo dalla sentenza di primo grado.
E ora. Cosa accade? Ha deciso di stampare l’antica edizione del Signore degli Anelli?
Ovviamente no. Sarebbe stato un ben gradito regalo al settarismo ideologico di una sinistra che non è capace di crescere ed è rimasta ai tempi di Giovannino Guareschi, oltre che agli acuminati avvocati della Bompiani. Abbiamo riportato alla luce un folto giacimento di copie del Signore degli Anelli editi proprio da Bompiani e dall’editore ceduti al secondo mercato, con la storica traduzione di Vittoria Alliata, e li abbiamo messi a disposizione dei lettori a prezzi bassi. Bene: in 48 ore abbiamo finito le scorte che dovevano bastarci per una settimana; e abbiam dovuto anticipare di tre giorni la fase 2 del nostro progetto di controterrorismo culturale, ‘liberando’ i singoli volumi del Signore degli Anelli per tutti gli interessati. Abbiamo avuto solo oggi, 2 giugno, svariate centinaia di mail, contatti sui social e telefonate da parte di appassionati di Tolkien che continuano a cercare la versione di Vittoria Alliata, magari senza nemmeno sapere che questa fu la versione rivista personalmente da Tolkien. Il nostro utile consiste nell’attivazione di un fondo per le traduzioni tolkieniane da cui trarremo nei prossimi anni tesori nuovi e tesori antichi, in collaborazione con una nuova generazione di esperti italiani dell’opera tolkieniana, il cui capofila è certamente Oronzo Cilli. La soddisfazione morale è, parimenti, impagabile.
L'articolo “Il Signore degli Anelli”: una guerra politica ai danni del lettore. La vecchia traduzione – ritirata dal mercato – torna tra noi grazie ad Adolfo Morganti. Intervista proviene da Pangea.
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2017/12/12/rocco-de-vitis-ventanni-dalla-scomparsa/
Rocco De Vitis a vent’anni dalla scomparsa
Rocco De Vitis a vent’anni dalla scomparsa
Il medico, l’uomo del popolo, l’umanista
  di Luigi Montonato
Ci sono date che restano memorabili nella memoria collettiva di un paese, sì da segnare nelle conversazioni future un riferimento comune, che fanno appartenenza e identità.
La sera di sabato, 21 ottobre 2017, a Supersano, è una di queste date. Il teatro dell’oratorio “Mons. Antonio De Vitis” era piccolo per contenere tanta gente. Persone di tutte le età. Si era lì convenuti per celebrare un uomo di cui ancora gran parte dei supersanesi ha memoria: il medico Rocco De Vitis, scomparso nel 1997, a 86 anni.
Era, questi, uno di quei personaggi come nei nostri paesi se ne vedevano in passato; un medico taumaturgico, un uomo autorevole e carismatico, in cui la gente riponeva fiducia in tutto e per tutto; benestante quanto bastava per non aver bisogno di nulla; generoso e altruista, tanto da poter dare del suo ai singoli e al paese. Il suo nome, don Rocco, non aveva bisogno d’altro per sapere chi fosse.
Chi lo conobbe, tutto questo lo sa. Per chi non lo conobbe, valgono le sue opere e i ricordi-testimonianza degli altri.
La sua figura di medico, di uomo e di letterato è stata rievocata quest’anno nella ricorrenza del ventennale della sua morte, con due volumi collettanei e due manifestazioni pubbliche; promosse dai famigliari sotto l’egida della Sezione leccese della Società di Storia Patria per la Puglia, di cui è presidente il prof. Mario Spedicato, curatore anche dei due volumi insieme coi professori Franco De Paola e Maria Antonietta Bondanese e conduttore delle due manifestazioni.
La serata di sabato, per presentare il secondo dei due volumi, Rocco De Vitis medico umanista di Supersano, a cura di Maria Antonietta Bondanese e Mario Spedicato (Giorgiani, 2017), non avrebbe potuto iniziare in modo migliore per far passare il messaggio immediatamente comprensivo della ragione celebrativa. I bambini della Classe IV B della Scuola Primaria, uno accanto all’altro sul palco, si passavano il microfono per declamare in maniera stentorea frasi semplici e significare lo scorrere del tempo, il rapporto fra generazioni, l’importanza della memoria: io i nonni ce l’ho…io non ce l’ho…io ho perfino i bisnonni. I nonni, dunque, come veicoli di memoria collettiva. I nipoti come loro continuatori. La manifestazione come tappa memoriale, a segnare un approdo e, augurabilmente, una ripartenza.
Due volumi, due cerimonie; due, perché Rocco De Vitis non è stato solo un medico rispettato e amato dalla sua gente, ma anche un letterato, un uomo di cultura, forse non sufficientemente considerato in vita per i suoi meriti, che furono notevoli, a detta degli studiosi che della sua opera si sono occupati per la circostanza e non solo.
Fra le altre opere ha lasciato un diario di guerra, testimonianza della sua esperienza bellica come ufficiale medico sul fronte albanese nel corso della seconda guerra mondiale, di cui ha parlato sia nel primo che nel secondo volume Remigio Morelli, professore di Storia e Filosofia. Ma il suo impegno letterario maggiore, che ne fa un personaggio di ampiezza assai più grande di quanto non si possa scorgere da un campanile, è la traduzione delle opere di Virgilio: l’Eneide, le Bucoliche e le Georgiche, di cui hanno parlato autorevoli latinisti, fra cui la prof.ssa Maria Elvira Consoli di Unisalento. Un autentico monumento salentino al grande poeta mantovano. Un’opera imponente che sancisce la sua vocazione poetica, il suo grande amore per la classicità, la solida tenuta linguistica e letteraria.
Già prima dell’estate, all’Università, c’era stata la presentazione del primo dei due volumi, Quando Ippocrate corteggia la Musa. A Rocco De Vitis medico e umanista, a cura di Francesco De Paola e Maria Antonietta Bondanese (Grifo, 2017).
I due volumi non si sovrappongono, uno è complemento dell’altro; ma variamente destinati e perciò anche variamente impostati; fanno parte di un unico progetto. Più orientato sui contenuti letterari, pur nel contesto biografico e ambientale, il primo volume raccoglie interventi sull’opera letteraria di De Vitis, scritti da uomini di scuola e di studio, per proporre il personaggio al mondo della scuola e delle lettere, secondo la regola aurea della comunicazione di adeguare temi e linguaggio al destinatario, in questo caso di settore.
Così il secondo volume, Rocco De Vitis medico umanista di Supersano, raccoglie altri contributi, che insistono sulle stesse tematiche ma più brevi e occasionali rispetto a quelli del precedente, e comprendono anche testimonianze famigliari e paesane, dei nipoti e degli alunni della scuola locale, che conferiscono carattere più massmediale. Il volume si salda tematicamente al primo anche perché riprende i testi dei relatori della sua presentazione, come spiegato in apertura da Mario Spedicato.
Più decisamente popolare è stata la manifestazione supersanese perché, rispetto a quella leccese, rivolta ad un pubblico per certi aspetti più virtuale e lontano, ha coinvolto tutto l’universo del De Vitis, usando temi appropriati e toccando corde sentimentali per raggiungere il pubblico reale, vivo e partecipe. Non solo la drammatizzazione iniziale dei ragazzini della scuola elementare, ma anche la testimonianza del Sen. Luigi Pepe, presidente dell’Ordine dei Medici di Lecce; l’intervento del Sindaco di Supersano, dr. Bruno Corrado, medico anche lui; della rappresentante del Comitato salentino della Dante prof.ssa Francesca Giordano e soprattutto di Maria Rosaria De Vitis, figlia del Nostro, che con piglio accattivante ha ricreato atmosfere paesane e famigliari in gustosa affabulazione. Il mondo di Rocco De Vitis era tutto lì, riproposto nel video “Rocco De Vitis medico e umanista di Supersano”, proiettato nella circostanza. C’erano don Oronzo Cosi e Gino De Vitis, il direttore de “Il nostro Giornale”; i ragazzi del laboratorio teatrale “Colpo di scena” di Supersano, diretto da Giuliana De Iaco, e gli alunni dell’Istituto Comprensivo.
Libro e serata leccesi avevano aperto un percorso celebrativo, completato a Supersano, con due formidabili guide: il prof. Mario Spedicato e la prof.ssa Maria Antonietta Bondanese, col concorso della Banca Popolare Pugliese, della federazione leccese dell’Ordine dei Medici, del Dipartimento dei Beni Culturali di Unisalento, della Società di Storia Patria di Lecce, dell’Associazione “Salute Donna” e del Comitato salentino della “Dante Alighieri”.
  manifesto libri M
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persinsala · 3 years
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L'arte senza l'arte. Mutamenti nella realtà analogicodigitale
L’arte senza l’arte. Mutamenti nella realtà analogicodigitale
La nostra è una cultura ossimorica. Soprattutto se rivolgiamo la nostra attenzione all’ambito massmediale e a quello artistico, appare evidente che spesso il “paradosso”, piuttosto che ridursi a sinonimo di contraddizione logica, diventa un elemento dialettico di comprensione del mondo e delle sue tante e confuse manifestazioni. Raffaele Gavarro, storico dell’arte dalla lunga e consolidata…
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