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#foreste erranti
sono-solo-un-riflesso · 7 months
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La storia di Seltar - Capitolo 1 (seconda parte)
Il fuoco scoppiettava nel camino, mentre Seltar si accingeva a preparare un po' di selvaggina cacciata durante le prime ore dell'alba.
Nonostante avesse dormito per svariate ore, si sentiva stanco e appesantito, il suo sonno era pesante ma al tempo stesso vigile.
La notte era troppo pericolosa per potersi riposare, le creature che popolavano quelle foreste, cacciando di notte, venivano chiamate Erranti.
Erano creature un tempo umane dall'aspetto grottesco, il loro corpo era magro e pallido con una totale assenza di peli, mentre le loro unghie erano lunghe e affilate, nere come la pece. I loro denti non sembravano più umani, come fossero una lunga fila di canini, progettati solo ed unicamente per divorare le carni. Camminavano sfruttando la punta dei piedi e le nocche e il più delle volte sapevano essere più silenziosi dell'aria che ti entrava nei polmoni.
Vivevano per lo più nelle grotte e in branco erano in grado di abbattere anche una delle creature più forti della foresta, l'Arctosimus, un orso che poteva raggiungere i 3,5 metri di altezza e con una mascella in grado di frantumare le ossa.
In molte aree del continente si riteneva che fosse esistito, ma in quell'area c'era come una barriera che impediva agli agenti patogeni esterni di interferire con l'ecosistema, mantenendo quel posto ad uno stadio quasi primordiale.
Gli erranti cacciavano prevalentemente di notte ed erano organizzati in branco. Avevano perso l'uso della parola, ciò li costringeva a comunicare tramite dei suoni gutturali che sembravano come unghie sul vetro. Nella loro specie c'erano delle varianti, come delle mutazioni. Alcuni erranti erano più magri e slanciati ed erano in grado di arrampicarsi sugli alberi a mani nude, venivano chiamati Esploratori ed erano quella parte del branco che veniva impiegata per mantenere il controllo dell'area di caccia e per accertarsi dell'eventuale presenza di carne umana, di cui erano ossessionati.
Seltar mise la carne ad abbrustolire sul fuoco, sfruttando una griglia creata intrecciando vecchie spade ormai spuntate e logorate dalle dure battaglie che lo avevano portato fin sulla cima di quel monte.
Mentre la carne si preparava, Seltar udì un suono provenire dall'esterno, un suono leggero, come di un ramoscello spezzato dal peso di un animale. Era da molto che Seltar abitava in quel luogo e ormai aveva allenato il suo udito a percepire ogni minimo suono e a restare sempre all'erta.
Con un movimento rapido ma deciso afferrò l'accetta appesa per un cordino al porta utensili accanto al camino e si accucciò ai piedi di un giaciglio che aveva creato di fronte al camino.
C'erano una pila di coperte ricavate dalla pelliccia degli animali che lo nascondevano, mise la schiena contro il suo zaino, uno zaino pesante, reso più pesante dell'imbottitura di metallo che gli aveva applicato e che gli serviva per tenere costantemente sotto allenamento il suo fisico.
Fu allora che sentì delle unghie grattare contro la porta...
Iridium94
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thebeautycove · 2 years
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MEMO PARIS - RUSSIAN LEATHER - Collezione CUIRS NOMADES - Eau de Parfum -
Frozen cuir. Majesty of Nature.  Memories as consolation and soul nourishment.  Fragrance is a compass, paves the way, path within the paths, device for wanderers with pockets full of hopes and dreams. •••••
Luoghi Memoria Natura.  La fragranza come avventura umana tra esplorazione e scoperta.  Nomadi nel mondo, erranti dell’universo anche da fermi, stanziali osservatori dediti al vagabondaggio della mente.  Siamo in viaggio, da sempre, la fragranza è una bussola che spinge in ogni direzione, medium e interprete di fughe ed eclissi. Nel viaggio scopri il vero senso della vita, apertura, conoscenza, consapevolezza, senza limite e conclusione. La meta non conta, non è che il riverbero di un’illusione. Trovata. Scompare.
CUIRS | CAPITOLO VI
Dove cercare e comprendere la nota cuoio nella sua più ampia e coinvolgente declinazione se non da Memo Paris? Essenza di riferimento nelle composizioni della collezione Cuirs Nomades, le dieci fragranze sono affreschi olfattivi che intrecciano territori, esperienze, ricordo vivido del viaggio.
L'accordo cuoio diventa così sostegno per una descrizione più profonda e variegata del luogo, un percorso che spazia in differenti latitudini del globo, ne attraversa l'essenza catturandone la complessa fisionomia, per restituire e replicare all'infinito il suo carattere odoroso.
Il cuoio nomade di Memo Paris è vissuto, è una vecchia valigia compagna da sempre del tuo peregrinare, è un cuoio trasformista, velo o scudo, che racconta lealmente ciò che ha incontrato. Mettersi in cammino con Russian Leather è come inoltrarsi in un orizzonte onirico, un'avventura nella tundra piana e innevata, attraversare le foreste di conifere della taiga siberiana dove gelo e silenzio mordono l'aria. Alienor Massenet ha concertato un fougère sferzante di balsamico appeal, verde boschivo dei paesaggi nordici e spezie corroboranti, basilico, rosmarino, salvia sclarea, coriandolo, lavandino, noce moscata, menta, infondono energia e coraggio per affrontare temperature rigidissime. La nuance cuoio è appena percettibile, come di stivali affondati nella coltre nevosa, accentata dalla sfumatura resinosa degli aghi di pino e sospesa tra acuti sentori legnosi di cedro e guaiaco. Infine patchouli e tonka affiorano, come luce calda e improvvisa oltre la cortina gelida, forse la pace nella dacia di Pasternak, il suo samovar e fuori i lupi, ad ululare alla luna. Un cuoio selvatico e silvestre. Unico. Creata da Alienor Massenet. Splendidi come sempre i flaconi laccati con illustrazioni dedicate e finiture dorate. Eau de Parfum nel formato 75 ml. In profumerie selezionate e nelle boutique Campomarzio70 anche online
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©thebeautycove
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mediaviasetait · 3 years
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Cina. Il branco di elefanti erranti si sposta verso sud
24/06/2021
Prosegue la lunga marcia degli elefanti che hanno attratto l'attenzione dei media a livello globale 
Il branco di 14 elefanti asiatici selvatici erranti si è spostato verso sud, rientrando nella contea di Eshan, nella provincia dello Yunnan, nel sud-ovest della Cina, secondo quanto dichiarato ieri dalle autorità. Il branco si è diretto 11,2 km a sud tra le 18:00 di lunedì e la stessa ora di ieri. Secondo il quartier generale incaricato del monitoraggio della migrazione degli elefanti, il gruppo si trova a un'altitudine piuttosto elevata, dove il segnale delle telecomunicazioni è scarso, aggiungendo ulteriori disagi alla difficoltà di monitoraggio del branco. Un esemplare maschio, che si è allontanato 17 giorni fa, si trova ora a 30 km di distanza, nel distretto di Jinning, a Kunming, capoluogo della provincia.
WATCH: A herd of nomadic elephants were seen foraging for food in the forest near Eshan county in China. The drone footage showed the elephants making their way northwards in search of edible plants pic.twitter.com/oerAYBY7qV
Cinque nuovi esperti si sono uniti al team del quartier generale al fine di aiutare nel lavoro sui piani per guidare la migrazione degli elefanti. Ieri, un totale di 210 persone sono state mobilitate per il progetto e sono stati evacuati 4.774 residenti. Gli animali hanno viaggiato circa 500 km a nord dalla loro foresta nella prefettura autonoma di Xishuangbanna Dai, nello Yunnan meridionale, raggiungendo Kunming il 2 giugno. Per oltre un mese, le autorità hanno inviato la polizia per scortare il branco, evacuato strade per facilitare il loro passaggio, e usato il cibo per distrarli dall'entrare in aree densamente popolate. Gli elefanti asiatici si trovano principalmente nello Yunnan e sono sotto protezione statale di livello A, in Cina. grazie al maggiore impegno nella tutela degli animali, la popolazione di elefanti selvatici nella provincia è cresciuta fino a circa 300 esemplari, dai 193 degli anni '80. 
 Fonte: rainews
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cassius-writer · 4 years
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Strane foreste mille foglie disperse intorno a noi, attese sbagliate queste anime erranti sono eroi e vogliamo poi esserci anche noi, tra i vincenti ed i sogni di chi ha perso la vita e i fatti suoi. Restiamo fermi ci saranno futuri e voli, treni fermi e passaggi soli ma domani ci crederó di più. Daniele Scopigno Foto di: Francesca Piccardi #foto_italiane #viaggi #lettura #poesie #scrittore #vita #scelte #errori #volgotoscana (presso Giardino dei Tarocchi) https://www.instagram.com/p/B6S82QqI1ma/?igshid=a15d3ca69w8e
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Nuovo post su https://is.gd/efwWmz
Gli Arcadi di Terra d'Otranto (13/x): Domenico De Angelis di Lecce (1675-1718)
di Armando Polito
Dato il taglio documentario di questa raccolta relativo ai componimenti sparsi in raccolte altrui1, per la vita ed altri dati rinvio alla biografia scritta dal tarantino Francesco Maria Dell’Antoglietta (anche lui arcade col nome pastorale di Sorasto Trisio2) ed inserita in Notizie istoriche degli Arcadi Morti , Antonio de’ Rossi, Roma, 1720, tomo II, pp. 94-100 ed a quella scritta dal gallipolino G. B. De Tommasi ed inserita in Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, Gervasi, Napoli, 1818, tomo V, s. pp. Da quest’ultimo volume riproduco il ritratto che segue.
Arato Alalcomenio era il suo nome pastorale. Se Arato fa pensare al poeta greco Arato di Soli (IV-III secolo a. C.) certamente Alalcomenio contiene un riferimento ad Ἀλαλκομένιον (leggi Alalcomènion), antica città della Beozia. Risulta iscritto all’Arcadia il 3 agosto 16983.
Un madrigale è in I giuochi olimpici celebrati dagli Arcadi nell’Olimpiade DCXX in lode della Santità di N. S. Papa Clemente XI e pubblicati da Giovanni Mario de’ Crescimbeni Custode d’Arcadia, Monaldi, Roma, 1701, p. 80:
Ghirlanda di Gigli, e di Viole. Madrigale d’Arato Alalcomenio
Di bei candidi Gigli, e rugiadosi
colti dal verde piano,
e di vaghe Viole
colte dal vicin Fonte
priaa che nascesse il Sole,
del glorioso ALNANOb
circonderei la sacra augusta Fronte,
per adornar dell’immortal Pastore
con sì leggiadri Fiori, et odorosi
dell’Animo il candore,
e l’umiltà del Core.
__________ 
a prima
b Alnano Melleo era il nome pastorale di Clemente XI (Francesco Albani) arcade acclamato nel 1695, prima che nel 1700 fosse eletto papa.
  Un sonetto è in Rime e prose di Francesco Maria Tresca in lode dell’Invittissimo edAugustissimo Imperadore Carlo VI e redelle Spagne, consacrate all’Augustissima Maria Elisabetta di Volfenputel  Imperadrice regnante da Fra’ Berardino Tresca Cavaliere Gerosolimitano fratello dell’auttore, Mazzei, Lecce, 1717, p. 276.
Del Canonico Domenico De Angelis Accademico degli Spioni4
O beati quei tempi, in cui l’alloro
passò de’ vati a coronar Regnantia
e con bel cambio si rendean tra loro
e questi e quelli eternità di vanti.
Servia di tromba allor plettro canoro
a rendere immortali i trionfanti,
ma del trionfo poi l’alto lavoro
tornava ai vatib, e fea felici i canti.
Per te eccelso cantor bram’io, che riedac
del’aurea etate il Secolo vetustod
e che al tuo mertoe egual mercèf conceda.
A me liceg sperarlo, e troppo è giusto,
che tua mercedef il Mondo ammiri, e veda
rinnovellatoh il secolo d’Augusto.
  Non è raro in pubblicazioni del genere che ad un componimento encomiastico segua la risposta del celebrato. Così successe per il De Angelis e, se a rispondere era un papa, l’onore diventava doppio.5 
______
a passò dai poeti a incoronare i re
b poeti
c ritorni
d il secolo antico dell’età dell’oro
e merito
f conceda pari ricompensa
g è lecito
h rinnovato
  Un sonetto è in Corona poetica rinterzata in lode della Santità di N. S. Papa Clemente XI da Giovanni Mario de’ Crescimbeni Custode d’Arcadia, Chracas, Roma, 1701, p. 30:
  D’Arato Alalcomenio. Uno de’ XII Colleghi.
Di tua mente uno sguardo almoa, e giocondo
render può sol felice, anzi beato
il nostro Pastoral ruvido stato,
ch’era a noi di gravoso inutil pondob.
L’umìl zampogna esiliar dal Mondo
volean l’Invidia, e ‘l fiero avverso Fato,
né più sentiasic il cantar dolce usato
(e s’ei fiad spento, qual sarà il secondo?).
Ma tosto si vedran d’Invidia a scorno
scortie da saggia, e gloriosa guida
far nel Parrasio Boscof al fin ritorno
dolce cantar, santa Amicizia,e fida,
di tuo splendore un gentil raggio adorno
se alle nostre Foreste avvien che arrida.
  _______
a nobile
b peso
c si sentiva
d sarà
e scortati
f Così gli Arcadi chiamavano il luogo scelto per le loro adunanze prima che tale nome venisse assunto dalla suggestiva villa che si fecero costruire su progetto dell’architetto arcade Antonio Canevari (nome pastorale: Elbasco Agroterico) e dell’allievo Nicola Salvi (nome pastorale: Lindreno Issuntino), inaugurata il 9 settembre 1926. Parrasio è dal greco Παρράσιος (leggi Parràsios), che significa di Parrasia, regione della Grecia antica nella parte meridionale dell’Arcadia.
(CONTINUA)
  Per la prima parte (premessa)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/08/gli-arcadi-di-terra-dotranto-premessa-1-x/      
Per la seconda parte (Francesco Maria dell’Antoglietta di Taranto):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/15/gli-arcadi-di-terra-dotranto-2-x-francesco-maria-dellantoglietta-di-taranto/  
Per la terza parte (Tommaso Niccolò d’Aquino di Taranto)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/23/gli-arcadi-di-terra-dotranto-3-x-tommaso-niccolo-daquino-di-taranto-1665-1721/  
Per la quarta parte (Gaetano Romano Maffei di Grottaglie)
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/31/gli-arcadi-di-terra-dotranto-4-x-gaetano-romano-maffei-di-grottaglie/     
Per la quinta parte (Tommaso Maria Ferrari (1647-1716) di Casalnuovo): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/16/gli-arcadi-di-terra-dotranto-5-x-tommaso-maria-ferrari-1647-1716-di-casalnuovo/ 
Per la sesta parte (Oronzo Guglielmo Arnò di Manduria,  Giovanni Battista Gagliardo, Antonio Galeota e Francesco Carducci di Taranto) : http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/08/26/gli-arcadi-di-terra-dotranto-6-x-oronzo-guglielmo-arno-di-manduria-giovanni-battista-gagliardo-antonio-galeota-e-francesco-carducci-di-taranto/
Per la settima parte (Antonio Caraccio di Nardò): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/17/gli-arcadi-di-terra-dotranto-7-x-antonio-caraccio-di-nardo/ 
Per l’ottava parte (Donato Capece Zurlo di Copertino): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/21/gli-arcadi-di-terra-dotranto-8-x-donato-maria-capece-zurlo-di-copertino/ 
Per la nona parte (Giulio Mattei di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/09/28/gli-arcadi-di-terra-dotranto-9-x-giulio-mattei-di-lecce/ 
Per la decima parte (Tommaso Perrone di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/03/gli-arcadi-di-terra-dotranto-10-x-tommaso-perrone-di-lecce/ 
Per l’undicesima parte (Ignazio Viva di Lecce): http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/11/gli-arcadi-di-terra-dotranto-ignazio-viva-di-lecce-11-x/
Per la dodicesima parte (Giovanni Battista Carro di Lecce):
http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/10/18/gli-arcadi-di-terra-dotranto-12-x-giovanni-battista-carro-di-lecce/
_____________
1 Sue opere “autonome” furono: Della patria d’Ennio, Monaldi, Roma, 1701 e s. n., Firenze, 1702; Le vite dei letterati salentini, s. n., Firenze, 1710 (v. I) e Napoli, Raillart, 1713 (v. II); Orazione in morte dell’augustissimo imperadore Gioseppe Primo d’Austria, recitata nel duomo della città di Gallipoli, s. n., Gallipoli, 1711; Lettere apologetiche istorico-legali, nelle quali rispondendosi ad alcune scritture pubbliche in nome del Governatore di Lecce, scritte intorno alle differenze, che versano tra l’illustrissimo Monsignore Vescovo, e la medesima illustrissima Città di Lecce per la giurisdizione del Casale di S. Pietro di Lama, e di S. Pietro Venotico, si dimostrano vane le pretensioni della Città, e si stabiliscono le ragioni della Vescovil Chiesa di Lecce, s. n., s. l. s. d.
2 http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/07/15/gli-arcadi-di-terra-dotranto-2-x-francesco-maria-dellantoglietta-di-taranto/  
3 Giovanni Mario Crescimbeni, L’Arcadia, Antonio de’ Rossi, Roma, 1711, p. 348.
4 Per l’Accademia degli Spioni vedi in Archivio storico per le province napoletane, Giannini, Napoli, 1878, anno III, fascicolo I, pp. 150-153.
5 Clemente XI gli rispose con questo sonetto: Trattai con dubia man plettro sonoro/strade tentando inusitate avanti/,ma quando alfin credea l’alto lavoro/conobbi i miei pensieri andar erranti./Felice te, che delle muse il coro/colmi di tutti i preggi onesti, e santi,/tal che eccelso cantor fusti per loro/e scrittor d’alme di virtuti amanti./Godi, che il tuo gran merto altro non chieda/,di pura lode e di due palme onusto/in ben sicura parte alberghi, e sieda./Ch’io se del calle faticoso e angusto/uscirò mai, dritto è che ognun ben creda/che il Real suo splendor mio stil fè augusto.
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pangeanews · 4 years
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Dove l’essere umano non ha mai messo piede. Viaggiamo perché non possiamo farne a meno e le foreste hanno una magnificenza più profonda di un monumento. “Into the Okavango”, un capolavoro
“Sono convinto che esistano al mondo persone nate in una patria che non è la loro e che soffrono di nostalgia per una terra che non hanno conosciuto. La casa dove vissero bambini, le strade dove giocarono, non hanno fascino per loro. Forse si tratta di un bizzarro fenomeno di atavismo che spinge alcuni individui, pellegrini erranti, verso i luoghi che i loro antenati abitarono secoli e secoli prima”, Aldous Huxley
*
Perché l’uomo viaggia?
Come mai la chiusura dei confini è stata un’enorme limitazione alla libertà che non si può liquidare con “L’Italia è il paese più bello del mondo, che ci frega di andare all’estero”? Il viaggiatore non è un turista, c’è una spinta, un’indole innata che porta l’essere umano ad andare alla scoperta di qualcosa di nuovo fin dall’inizio dei tempi. L’uomo è un esploratore, e prova ne è che non gli basta la Terra, vuole arrivare nello spazio, e ci è arrivato, e s’inoltrerà fino su Marte prima di quanto pensiamo, anche grazie allo storico lancio di SpaceX dei giorni scorsi.
Ma restando dentro i confini terrestri, basta guardare il film pluripremiato Into the Okavango: l’ultimo paradiso, per assaporare cosa porta l’uomo a viaggiare.
*
Mi spiace, ma l’Italia non è l’unico bel paese del mondo. È bello, nessuno lo mette in dubbio, ma ci sono paesaggi, ecosistemi, territori che toccano le vette del sublime, e che l’Italia non ha e non può avere perché non ha l’immensità e la maestosità per esempio dell’Africa e neanche dell’America e dei deserti del mondo arabo. E soprattutto, il turismo in Italia è un turismo spesso antropocentrico. Si viene in Italia anche per il suo mare e le sue montagne e campagne, certo, ma soprattutto per l’arte, i monumenti, che ci ricordano la grandezza dell’uomo, ma ne determinano anche i limiti nel confronto con la magnificenza della natura. L’uomo, con i suoi monumenti, le sue chiese, i suoi monasteri, prova da sempre a imitare e raggiungere il divino, a cercare risposte, ma spesso è quando arriviamo in paesaggi incontaminati, sulle cime delle montagne, nelle savane o ancor più nei deserti, dove per alcuni apparentemente “non c’è nulla da vedere”, che i viaggiatori o gli eremiti trovano quel contatto con un possibile creatore o con il vuoto, con quel tutto o nulla da cui veniamo, che potrà essere anche frutto del caso, chi lo sa, ma questo non toglie fascino al mistero.
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Il film Into the Okavango: l’ultimo paradiso ci pone di fronte ai grandi dilemmi dell’esistenza ma è come se ci aiutasse a trovare anche delle risposte: siamo qui, non sappiamo come e perché, né da dove veniamo, né se qualcuno o qualcosa ci ha creato, ma quello che possiamo fare è essere grati di tanta bellezza e non smettere mai di cercare, di esplorare, di conoscere, d’imparare.
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Into the Okavango è un documentario avvincente del National Geographic, acclamato dalla critica, uscito nel 2018 – visibile su Disney Plus, Amazon e altri canali – scritto, diretto e prodotto dal regista Neil Gelinas, con musiche toccanti del compositore di colonne sonore Sven Faulconer, decisamente influenzato dai Sigur Ros. Non è un documentario solo naturalistico ma è soprattutto una storia: un gruppo di esploratori – capitanati dal sudafricano Steve Boyes, biologo della conservazione – decide di recarsi alla foce dell’Okavango, in Angola, una zona denominata ‘il buco nero’, e navigare il fiume Cuito per quattro mesi su canoe scavate nel legno, per scoprire lo stato di salute dell’Okavango, attraverso Angola, Namibia e Botswana. Nessuno è mai stato da quelle parti, anche a causa della guerra e delle mine antiuomo ancora molto presenti in Angola.
*
Steve è in compagnia di altre persone, tra cui Maans Booysen, Paul Skelton, Bill Branch, Gotz Neef, Tumeletso Setlabosha, detto ‘Water’, amico di Steve, nato in Botswana, nel cuore del Delta dell’Okavango (Patrimonio dell’Unesco), appartenente alla tribù ba’Yei, e Adjany Costa, giovane biologa che oggi è ministro dell’Ambiente, del Turismo e della Cultura del suo paese, l’Angola.
Adjany, all’inizio del film, racconta quanto sia stato difficile crescere in un paese in guerra e ci dà subito un grande insegnamento: imparare a vivere il momento presente e non guardare troppo al futuro né al passato, perché come la guerra insegna, ogni momento potrebbe essere l’ultimo e quindi non bisognerebbe fare progetti a lungo termine. Come dice lei stessa: “Sei vivo adesso? Puoi guadagnare dei soldi? Riesci a mantenerti? Puoi fare dei figli? Quindi fallo adesso”, perché in fondo non possiamo avere il controllo su nulla. Dobbiamo imparare a vivere il qui e ora per avere una vita quantomeno soddisfacente.
*
Ma perché questi giovani esploratori intraprendono un simile viaggio? Se lo chiedono anche loro durante le riprese, soprattutto all’inizio, quando scoprono che la parte iniziale del fiume Cuito ‘non esiste’, non è navigabile, perché ricoperto da un fitto strato di torba che ha l’effetto di una spugna, e per dieci giorni sono costretti a trascinare queste canoe di quasi 400 chili. Non sanno se l’acqua comparirà di nuovo e quando lo farà, ma non si arrendono. Vivono dei momenti difficili, Adjany si chiede davvero chi glielo ha fatto fare, e la risposta è perché sì, perché il desiderio di scoperta è più forte, perché nessuno lo ha mai fatto prima, perché si trovano in luoghi dove l’essere umano non ha mai messo piede e questo non solo è eccitante ma dà un senso all’esistenza. E allora si lasciano a casa i figli, non ci si lava, si dorme in tenda per mesi, si mangia riso e piselli, riso e fagioli, si rischia la vita tra mine antiuomo e ippopotami che ti mordono la canoa, tra incendi che devastano le foreste e che arrivano fino all’acqua ma che sono causati da popolazioni indigene che usano questa tecnica per cacciare, e quindi c’è poco da arrabbiarsi perché è il loro unico sostentamento. Si entra in contatto con popolazioni che non vedevano altri esseri umani da quarant’anni, con bambini, ragazzi e adulti che non sono mai andati a scuola. Si giunge su una riva che odora di morte e si scopre che quella zona è una riserva di caccia piena di pelli e di teste di elefanti uccisi dai turisti, perché lì è legale, si può fare. Ognuno cerca di sopravvivere come può.
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Perché viaggiare? Perché fare un viaggio simile? Perché vivere vuol dire anche rischiare di morire. Perché una vita senza rischio è schiavitù. Steve Boyes è una specie di Fitzcarraldo che trasporta una canoa anziché una nave e che ci ricorda che Chi sogna può muovere le montagne.
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Into the Okavango: l’ultimo paradiso è un documentario con immagini degne di Terrence Malick, un’impresa che ha permesso di geolocalizzare oltre 30.000 specie naturali, scoprendo 38 specie mai viste prima in Angola e 24 forse mai viste prima dall’uomo. Inoltre il governo angolano ha firmato un impegno di assistenza e, assieme alla Namibia e al Botswana, lavora con il team per creare un’area protetta che comprenda tutte le aeree naturali dell’Okavango. Un documentario che ci ricorda il rispetto che dobbiamo avere nei confronti degli esseri umani, della natura e degli animali e che tutto è interconnesso.
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Alla fine Steve dice: “Tutto il mondo è tenuto insieme da legami vitali. Il legame e la diversità sono i due pilastri che mantengono vivo il nostro mondo. Ora abbiamo un pianeta vivente, interconnesso e diversificato, per produrre l’aria che respiriamo e per purificare l’acqua che beviamo. È questo che ci rende diversi. È una caratteristica unica e speciale che ci contraddistingue nel cosmo”.
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Un film commovente ed emozionante, che alla fine ti fa piangere nell’esatto istante in cui cominciano a farlo anche Steve e di Adjany, quando capiscono di avercela fatta e che il viaggio purtroppo è terminato. Un film che ti ricorda che non si può mai rinunciare alla libertà, che viaggiare vuol dire anche andare in cerca della propria vera casa e soprattutto di qualcosa per cui valga la pena vivere.
Dejanira Bada
*In copertina: Una immagine dal film documentario “Into the Okavango”
  L'articolo Dove l’essere umano non ha mai messo piede. Viaggiamo perché non possiamo farne a meno e le foreste hanno una magnificenza più profonda di un monumento. “Into the Okavango”, un capolavoro proviene da Pangea.
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gaetaniu · 6 years
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Secondo le ultime ricerche, gli alberi hanno una vita sociale, parlano e si aiutano tra loro
Le foreste giocano un ruolo essenziale nell’immaginario collettivo tedesco: teatri di fiabe come Hansel e Gretel, o della letteratura romantica, accolgono gli erranti visitatori nostalgici all’ombra delle loro chiome. Peter Wohlleben non è un poeta, è una guardia forestale che vive a Hummel, a un’ora di strada da Colonia, e ha la capacità di affascinare il pubblico. A 51 anni questo ranger è in…
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