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#filosofia del XXI secolo
fioregraecia · 11 months
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Socrate, 26: Ciao, caro Fedro, appari sul mio schermo e non posso resistere a sentirmi attratto da te, dai tuoi bellissimi occhi marroni e dai tuoi capelli che sembrano scolpiti in una scultura del Partenone. Dove sei stato tutto questo tempo, mentre cercavo tra tutte le muse e la conoscenza qualcosa che potesse riempirmi?
Fedro, 19: Ciao?
Socrate, 26: Che vergogna! Non ti ho spiegato, sono un anziano filosofo greco, sono stato costretto a morire per la cicuta e l'ho presa. Pensavo che la mia anima sarebbe stata libera, ma devono passare 3000 anni per poterlo essere. Ora sono in un'altra prigione, nel corpo di un uomo colombiano di 26 anni. So che non suona credibile, credo che oggi si continui a parlare di me. Ma per fini pratici, cerca di seguirmi per vedere se possiamo generare qualche idea fruttuosa.
Fedro, 19: Sono disposto a intraprendere questo esercizio dialettico, se è questo che vuoi. Sono uno studente di filosofia all'Università Metropolitana e ho conoscenza di te, se sei lo stesso Socrate di cui sto parlando, quindi sarei più che felice di ascoltare ciò che hai da dirmi.
Socrate, 26: Innanzitutto, desidero comunicare il sentimento di trovare la bellezza guardando i tuoi occhi, che fa sì che le ali della mia anima cercino di uscire da questo corpo che mi trattiene in questo momento.
Fedro, 19: Grazie mille, oh, Socrate! Spero un giorno di poterti vedere sotto un albero di cipressi in una piovosa giornata, in modo da poter partorire le migliori idee e, se non ti dispiace, poterti baciare sotto la pioggia.
Socrate, 26: Per Zeus! Non sei greco?
Fedro, 19: No, non lo sono, sono di Sogamoso, ma continua, Socrate, cosa ti preoccupa oggi?
Socrate, 26: Vengo a parlare dell'amore, così come ho fatto con una persona che portava lo stesso nome tuo oltre 2000 anni fa. Vengo prima a raccontarti di un discorso che mi ha fatto uno chiamato Gerone, 23 anni. Mi ha sorpreso la concezione dell'amore che ha e mi intriga quanto possa essere distante, o vicina, alla verità.
Fedro, 19: Caro Socrate, non c'è bisogno di menzionare l'età delle persone insieme al loro nome; è qualcosa che l'applicazione fa automaticamente, ma non è necessario dirlo quando si parla di qualcuno che si trova al suo interno.
Socrate, 26: Capisco, tuttavia, se l'età è o meno rilevante, potrebbe aiutarci a definire la veridicità del discorso di questo Gerone. Mi scuso se sembro presuntuoso o parlo di lui con disprezzo, ma sono rimasto colpito dalla vivacità del suo discorso. Andava così:
Gerone, 23: Non sto cercando nulla di serio. Non cerco l'amore, cerco di sentirmi bene, cerco la felicità del momento. Qui la trovo attraverso il sesso, quindi no, non mi interessa parlare con te dell'amore, perché l'amore non esiste. Quale ruolo sei?
Socrate, 26: So che è così breve che potrebbe non essere considerato un discorso, ma mi ha colpito così tanto che sembravano mille parole. Tu, Fedro, credi in ciò che dice Gerone? È forse l'amore nella nostra società attuale così futile da poter essere considerato inesistente?
Fedro, 19: Oh, Socrate! In questa occasione mi sento io stesso come un filosofo. Tuttavia, risponderò come uno studente semplice e un esperto di Tinder. L'amore viene servito su misura oggigiorno e anche se posso pensare a mille ragioni per la decadenza del romanticismo, dell'amore cortese o dell'amore genuino.
Socrate, 26: Credi che la causa della decadenza sia la mancanza di spontaneità, Fedro? Credi che il fatto di avere un accesso molto più direttamente indiretto a una persona tramite app come questa riduca il flusso dei sentimenti? Mi sembra una teoria plausibile. Ma come spieghiamo che nell'antica Grecia vedevamo anche ogni tipo di infedeltà, orgie, eccessi nelle relazioni? Sarà che eravamo veramente così morali rispetto alla società attuale, o siamo forse ipocriti nel non riconoscere che i peccati morali attuali sono solo stati scoperti e non creati come tali dalla gioventù del XXI secolo?
Fedro, 19: Sento che, anche se è vero, quelle relazioni sembravano esperienze uniche o almeno non così ripetibili nella vita, lo stesso istinto riproduttivo che la biologia è riuscita a tracciare ci dimostra che siamo attratti da un istinto di sopravvivenza della specie e potrebbe essere che l'omosessualità sia anch'essa evolutiva. Ma la promiscuità è antinaturale? Sembra che il desiderio sessuale si rigeneri ad ogni momento, ma cosa significa tutto ciò?
Socrate, 26: In biologia e scienza sono sempre stato un po' ignorante, ma per quello che ho letto e quello che mi ha detto una volta il mio ex ragazzo, siamo come un filtro che evita l'estinzione. Inoltre, la promiscuità sicura non fa del male a nessuno, può anche regalare molteplici momenti di estasi alle persone. Ma, la mia domanda originale riguarda l'amore. È qualcosa che possiamo trovare, o siamo così desensibilizzati che diventa solo un ideale, come la democrazia, che ci aiuta a sopportare la vita?
Fedro, 19: Potrebbe essere, Socrate, ma non ti sembra qualcosa di tragico vederlo in quel modo? Qualcosa di esistenzialista, per parlarlo nei termini attuali.
Socrate, 26: Potrebbe esserlo, Fedro, e se così è, sembra che gli autori classici e quelli contemporanei abbiano molto più in comune di quanto vogliamo ammettere. Così come la società ateniese con quella di Bogotà. Non è forse Atene d'America?
Fedro, 19: Mi piacerebbe molto conoscerti, Socrate, in un caffè, mentre contengo il desiderio di fumare una sigaretta, mentre mi parli della tua vita in Grecia.
Socrate, 26: Mi piacerebbe anche vederti, Fedro, potrebbe essere che tu sia il giovane che devo amare per poter finalmente tornare al mondo delle Idee.
Le fote sono mie.
Juan
28/05/2023 Tunja
9:16 PM
FEDRO, 19
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gregor-samsung · 3 years
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“ La rivoluzione digitale ha radicalmente trasformato il potere del marketing e reso possibile il suo upgrading a forma politica, grazie al fatto che abbiamo oceani di dati personali, che miliardi di persone sono ora collegate e vivono onlife nell’infosfera, che gli algoritmi sono sempre più sofisticati, che il costo della potenza di elaborazione sta diventando trascurabile, che gli effetti di rete dominano la concorrenza e che le interazioni sociali sono sempre più mediate dalle tecnologie digitali. Tuttavia, concentrarsi esclusivamente su questi fattori tecnologici e sociali è insufficiente perché spiega solo alcune condizioni necessarie per comprendere la marketizzazione della politica e quindi la comunicazione politica come tecnica di marketing. Manca ancora un elemento essenziale, che è rappresentato dalla trasformazione più profonda nella nostra antropologia filosofica (la risposta che diamo oggi alla domanda ontologica sulla nostra natura). Abbiamo visto che la rivoluzione digitale ha cambiato la nostra auto-concezione, culturalmente e socialmente. Ha trasformato tutti noi, ontologicamente, in inforgs [=organismi informativi], e quindi, funzionalmente, in interfacce. Ciò è accaduto sia a livello concettuale (come vediamo noi stessi) sia a livello fattuale (come trattiamo noi stessi e interagiamo tra noi). È necessario capire questa trasformazione per spiegare l’upgrading fondamentale del marketing in politica, e la profonda influenza che le strategie di marketing hanno sul discorso politico attuale. Pertanto, è troppo semplicistico parlare di comunicazione post-verità. Dovremmo piuttosto parlare di successo e insuccesso della comunicazione: l’obiettivo è quello di digitare risposte sulle interfacce umane riuscendo a far sì che esse si comportino come desiderato e in questo modo ottenere la risorsa dall’altra parte dell’interfaccia. Il marketing è una forma di nudging (spintarella), e “premere il pulsante giusto” (push the right button) è sempre meno una metafora e sempre più una tecnica per descrivere le interazioni con gli individui ridotti a interfacce umane. La marketizzazione della politica significa che i messaggi politici sono come password: brevi, semplici da ricordare, sempre uguali e ripetuti ogni volta che si ha a che fare con le stesse interfacce umane ma, soprattutto, né veri né falsi, bensì funzionanti o no. “
Luciano Floridi, Il verde e il blu. Idee ingenue per migliorare la politica, Raffaello Cortina Editore, 2020. [Libro elettronico; corsivi dell’autore]
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blogdojuanesteves · 4 years
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MACHINA MUNDI Sub Specie Aeterni  > Claudio Edinger
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Há quase três anos escrevi sobre Machina Mundi as engrenagens do mundo ( Bazar do Tempo, 2017), livro do fotógrafo carioca Claudio Edinger, que as singularidades produzidas pelo autor apresentavam-se por uma estética peculiar, uma assinatura já amplamente reconhecida que distanciava de um mundo monitorado pelas visões pasteurizadas do planeta  bem como daqueles fotolivros pseudoconceituais que pululam à revelia de alguma virtude. Uma publicação com elementos intrínsecos que esperamos da boa arte, incluindo aqui a fundamental estese, que vem sendo apartada insistentemente por problematizações vazias de muitos autores.
 Machina Mundi Sub Specie Aeterni ( Ed.Vento Leste, 2020) último dos seus 20 livros  ( incluindo seu romance Um Swami no Rio ( Annablume, 2009) é uma espécie de segundo volume  Machina Mundi. Mostra, como este, alternadamente a proposta de se concentrar na visão urbana mais contraditória, na natureza como oposição a esta e na escala das inserções humanas. O título Machina Mundi, parece ser o epítome do conjunto, bem como a realização de experimentos que se iniciam como o formato 35mm, vão para o médio 6X6, desembocam no 4X5 polegadas e finalmente se firmam no digital.
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Sub Specie Aeterni significa "sob a forma do eterno"  termo usado pelo fotógrafo, professor de filosofia e pesquisador catarinense Guilherme Guisoni no livro anterior, extraído do texto Tractatus logico-philosophicus ( Kegan Paul, Trench, Trubner & co, 1922) do filósofo austríaco Ludwig Wittgenstein (1889-1951). “a compreensão do mundo que sobrepõe lógica e misticismo, permitindo ao leitor, através da análise do limites da lógica da linguagem, um acesso ao que há de mais elevado na forma de uma experiência indizível.” O título é inspirado em outro livro, Tractatus theologico-politicus publicado em 1670 (de forma anônima) pelo pensador holandês Baruch de Spinoza (1632-1677).
 No feliz encadeamento filosófico deste livro, nos entregamos a metafísica continuando nesta nova edição com o texto "O tempo estendido na fotografia de Claudio Edinger", da egípcia radicada no Brasil Daniela Bousso, curadora, crítica de artes visuais e doutora em Comunicação e Semiótica, que já trabalhou na Pinacoteca do Estado e dirigiu o Paço das Artes, além do texto do próprio autor que se dirige ao mesmo destino: "A maquete dialética do mundo".
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Para a curadora, as imagens de Edinger estão entre o fotográfico e a imagem da pintura abstrata, assinalando um lugar marcado por temporalidades complexas. "Esse lugar entre imagens expande o tempo do instantâneo e nos proporciona a oportunidade de uma prolongada, uma quase-imersão, que alcança o observador num passado quase-presente. Mas ele o faz repassando a história da arte moderna aos nossos olhos."
 Neste aspecto é interessante relembrar o artista paulista Vik Muniz, provocado pela curadora e professora paulistana de História da Arte Aracy Amaral no livro Ver para crer ( MAM, 2001)  para quem a ideia de criar layers de informação em suas fotografias faz com que o espectador se detenha diante de suas obras. Um enunciado igualmente proporcionado por Edinger e suas referências à arte mais ampla, no que nos parece ter o sentido de diferenciar-se do volume de informações visuais incoerentes ou sem significado impostas ao espectador contemporâneo.
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Machina Mundi nos remete também ao trabalho em foco seletivo (tilt-shift), uma técnica de separação da nitidez da imagem, do italiano Olivo Barbieri com sua série Site Specific, iniciada em 2004 e em outros projetos como o livro  The Waterfall Project (Damiani, 2008) nas quais, como o brasileiro, usava câmeras de grande formato na direção de tomadas aéreas, reduzindo as vastas metrópoles a uma espécie de maquetes. O posicionamento e o desfoque controlado afetam sensivelmente a compreensão da escala impondo uma diferente hierarquia do olhar.
 O crítico italiano Walter Guadagnini, autor do livro Una storia della fotografia del XX e del XXI secolo ( Zanichelli, 2010) escreve que "Existe um expediente técnico evidente nisso, e é a escolha por fotografar de cima, colocar-se em uma condição privilegiada e anômala. No passado, esse expediente já deu origem a numerosas leituras, que vão desde o reconhecimento das raízes históricas dessa perspectiva (a partir das fotografias de Nadar de um balão de ar quente) até as implicações sócio-políticas decorrentes do fatídico 11 de setembro. "
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Edinger conta que começou "sem saber" a pesquisar o foco seletivo já em 2001, quando voava de helicóptero sobre o Rio de Janeiro e depois que fez tomadas do alto de grandes edifícios paulistanos como o Circolo Italiano (conhecido como edifício Itália) um dos mais altos no centro da cidade. "Talvez até pela minha prática espiritual, meditando todos os dias,  eu caçava imagens aéreas, sob o ponto de vista do que é eterno." ( o fotógrafo é iogue e segue desde 1975 os ensinamentos do mestre indiano Paramahansa Yoganada (1893-1952).
 Discordando um pouco do crítico italiano por um certo reducionismo a algo técnico, o pensamento de Edinger expressa que a vista do céu transforma, exalta, coloca tudo em sua perspectiva natural. "A vista aérea com foco seletivo, pela tentativa de evocar intimidade, imitando nossa visão, aproxima, afasta, encanta, assusta." Ele se pergunta como tudo isso foi feito, prédios, carros, as ruas, cada um de nós, questões que deveriam nos espantar. Às imagens já citadas de Félix Nadar (Gaspard-Félix Tournachon (1820-1910) o fotógrafo acrescenta o genial ucraniano Kasimir Malevich (1879-1935), um dos ícones do Abstracionismo, que segundo ele, teria usado imagens aéreas para inventar a pintura abstrata.
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Lá se vão cerca de 160 anos do pioneiro vôo de Félix Nadar,  mas a fotografia nunca prescindiu de ângulos exóticos ou estranhos em contraponto à chamada "visão normal", celebrada pelos street photographers como o francês Henri Cartier-Bresson ( 1908-2004) ou o americano Garry Winogrand (1928-1984), com suas objetivas "normais" e imagens no plano do andar. Outro exemplo dessa ruptura são as imagens produzidas pelo francês Yann Arthus-Bertrand e seu famoso bestseller Earth from above (Abrams, 2002), que assim como o italiano Barbieri é contemporâneo de Edinger.
 "Ao pesquisar novas concepções de linguagem, Claudio adentra seus repertórios poéticos nas tangências das metrópoles. No silêncio e da solidão dos intervalos que os seus referentes evocam." escreve Daniela Bousso.  A descrição da curadora sacramenta uma carreira baseada em pesquisas e por consequência mutações, as quais o fotógrafo administra com folga. Seus primeiros livros Chelsea (Abeville Press, 1983)  e Venice Beach ( Abeville Press, 1985) trafegam pelo 35mm do fotojornalismo, cambiam para o formato médio em Loucura (DBA, 1997) e Cityscapes (DBA, 2001), entram pelo formato grande em De Bom Jesus a Milagres ( BEI, 2012) e Paradoxo do Olhar (Ed. Madalena e Terceiro Nome, 2015)  e desembocam no processo digital de Machina Mundi na fusão entre o documental e a arte. [ leia aqui review https://blogdojuanesteves.tumblr.com/post/116467019731/o-paradoxo-do-olhar-claudio-edinger ].
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A ideia da fotografia como forma de arte certamente eleva a subjetividade do meio. Já no tempo dos passeios aéreos de Nadar, o escritor, crítico de arte e seu amigo conterrâneo Charles Baudelaire (1821-1867) estranhava a produção de uma imagem por um aparato mecânico que oferecia certa fidelidade com o real, como levanta Adam Begley em seu The Great Nadar - The man behind the camera ( Tim Duggan Books, 2017). Para o também poeta, a fotografia era um avanço que punha em risco a pintura e que deveria ficar na seara do documental apenas. Este embate não teve fim, e ainda não assistimos a debacle dessa discussão. Daí parte do interesse de Machina Mundi em buscar os paralelos abstratos ao selecionar os elementos que irão polemizar entre a nitidez da realidade e aqueles mais nuviosos a nos lembrar da ruptura que também existiu quando os pintores resolveram abolir a "fidelidade" de suas telas como nos anos impressionistas.
 Machina Mundi Sub Specie Aeterni  também volta a ideia de Wittgenstein sobre estética, na qual ele afirma que estética e ética (como investigação dos princípios que disciplinam, distorcem ou motivam o comportamento humano) são uma coisa só. Certamente o caráter contemplativo das imagens nos direciona a pensar em que a questão filosófica ilumina a questão estética, ou seja, segundo ele, só podemos ver o mundo como uma forma de arte se ele for visto de uma maneira particular ( a tal sub specie aeterni ), assim Edinger subverte a questão espacial, no deslocamento focal, elimina a questão tempo e espaço em sua reflexão sobre a temporalidade ao selecionar os campos que não estarão visíveis, acentuando que o quesito estético é atingido pelo distanciamento entre câmera e objeto .
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Se no livro Paradoxo do Olhar, uma espécie de coletânea, o fotógrafo ainda mantinha a maioria dos planos no nível do chão, em Machina Mundi, seu campo se transfere definitivamente para um recorte de cima para baixo, ou melhor paisagens urbanas e naturais vistas do céu. As fotografias são tomadas de um pequeno helicóptero ou por um drone. O privilégio é da área urbana em contrapartida aquelas mais rurais, selecionando certos ícones da arquitetura como o edifício Flatiron, de Nova York; a Ponte Vecchio, de Firenze; a Catedral e o Congresso Nacional em Brasília; templos indianos em Nova Dheli e Varanasi contra os sinuosos caminhos da Toscana e de Alter do Chão, no Pará  entre outros.
 Embora com elementos reconhecíveis, em sua maioria, o fotógrafo desprende-se dessa limitação ao posicionar através de  novos ângulos redesenhando as cidades, ou melhor pontos quase irreconhecíveis, como grafites em empenas cegas no centro paulistano; o incomum posicionamento do Cristo Redentor no Rio de Janeiro ou da Torre Eiffel e Arco do Triunfo em Paris.  a badalada Igreja Matriz na Paróquia Nossa Senhora do Brasil, encrustada no Jardim América paulistano. E, talvez anunciando passos futuros, suas fusões de imagens que ganharam a importância da capa e a sobrecapa de Machina Mundi, escolhida por uma pesquisa através das redes sociais.
O livro tem direção de arte do próprio autor e arte final do designer Fernando Moser com tratamento de imagens do expert Eduardo Monesi da Ipsis, onde foi impresso em papel Euroart. Teve coordenação editorial de Monica Schalka , edição executiva de Heloisa Vasconcellos e apoio das Galerias Lume e Arte 57, além de vários apoiadores individuais.
 Imagens © Claudio Edinger     Texto: Juan Esteves
 * nestes tempos bicudos de pandemia e irresponsabilidade política vamos apoiar artistas, pesquisadores, editoras, gráficas e toda nossa cultura. A contribuição deles é essencial para além da nossa existência e conforto doméstico nesta quarentena *
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Raoul Vaneigem - Coronavirus
Contestare il grado di pericolo del coronavirus ha sicuramente a che fare con l'assurdità. Di contro, non è altrettanto assurdo che una perturbazione del corso abituale delle malattie sia oggetto di un tale sfruttamento emotivo e faccia riaffiorare quell'arrogante incompetenza che un tempo pretese di tenere fuori dalla Francia la nube di Chernobyl? Certo, sappiamo con quanta facilità lo spettro dell'apocalisse esce dalla sua scatoletta per impadronirsi del primo cataclisma che passa, rimestare l'immaginario del diluvio universale e affondare il vomere della colpa nel suolo sterile di Sodoma e Gomorra.
La maledizione divina ha assecondato utilmente il potere. Almeno sin dal terremoto di Lisbona nel 1755, quando il marchese di Pombal, amico di Voltaire, approfittò del sisma per massacrare i gesuiti, ricostruire la città secondo le sue concezioni e liquidare allegramente i suoi rivali politici a colpi di processi "proto-staliniani". Non faremo a Pombal, oer quanto odioso possa essere, il torto di comparare il suo colpo di scena dittatoriale alle miserabili misure che il totalitarismo democratico applica mondialmente all'epidemia di coronavirus.
Che cinismo imputare alla propagazione del morbo la deplorevole insufficienza dei mezzi medici messi in opera! Sono decenni che il bene pubblico è messo a mal partito, che il settore ospedaliero paga lo scotto di una politica che favorisce gli interessi finanziari a danno della salute dei cittadini. C'è sempre più denaro per le banche e sempre meno letti e infermieri per gli ospedali. Quale fumisteria potrà ancora a lungo mascherare il fatto che questa gestione catastrofica del catastrofismo è inerente al capitalismo finanziario dominante a livello globale, e oggi a livello globale combattuto in nome della vita, del pianeta e delle specie da salvare.
Senza volere scivolare in quella rielaborazione della punizione divina che è l'idea di una Natura che si sbarazza dell'Uomo come di un parassita importuno e dannoso, non è tuttavia inutile ricordare che per millenni lo sfruttamento della natura umana e di quella terrestre ha imposto il dogma dell'anti-physis, dell’anti-natura. Il libro di Erix Postaire, Le epidemie del XXI secolo, pubblicato nel 1997, conferma gli effetti disastrosi della de-naturazione persistente, che denuncio da decenni. Evocando il dramma della "mucca pazza" (previsto da Rudolf Steiner fin dal 1920) l’autore ricorda che oltre a essere disarmati di fronte a certe malattie prendiamo coscienza che il progresso scientifico stesso può provocarle. Perorando la causa di un approccio responsabile alle epidemie e al loro trattamento, egli incrimina quella che Claude Gudin chiama "filosofia del fare cassa" nella sua prefazione: «A forza di subordinare la salute della popolazione alle leggi del profitto, fino a trasformare animali erbivori in carnivori, non rischiamo di provocare catastrofi fatali per la Natura e l'Umanità?». I governanti, lo sappiamo, hanno già risposto unanimemente SÌ. E che importa dal momento che il NO degli interessi finanziari continua a trionfare cinicamente?
Ci voleva il coronavirus per dimostrare ai più limitati che la de-naturazione per ragioni di convenienza economica ha conseguenze disastrose sulla salute generale - quella che continua a essere gestita imperturbabilmente da una OMS le cui preziose statistiche fungono da palliativo della sparizione degli ospedali pubblici? C'è una correlazione evidente tra il coronavirus e il collasso del capitalismo mondiale. Allo stesso tempo, appare non meno evidente che ciò che ricopre e sommerge l'epidemia del coronavirus è una peste emotiva, una paura nevrastenica, un panico che insieme dissimula le carenze terapeutiche e perpetua il male sconvolgendo il paziente. Durante le grandi pestilenze del passato, le popolazioni facevano penitenza e gridavano la loro colpa flagellandosi. I manager della disumanizzazione mondiale non hanno forse interesse a persuadere i popoli che non vi è scampo alla sorte miserabile che è loro riservata? Che non resta loro che la flagellazione della servitù volontaria? La formidabile macchina dei media non fa che rinverdire la vecchie menzogna del decreto celeste, impenetrabile, ineluttabile laddove il folle denaro ha soppiantato gli Dei sanguinari e capricciosi del passato.
Lo scatenamento della barbarie poliziesca contro i manifestanti pacifici ha ampliamento mostrato che la legge militare è la sola cosa che funziona efficacemente. Essa confina oggi donne, uomini e bambini in quarantena. Fuori, il cimitero, dentro la televisione, la finestra aperta su un mondo chiuso! È la messa in una condizione capace di aggravare il malessere esistenziale facendo leva sulle emozioni ferite dall'angoscia, esacerbando l'acciecamento della collera impotente.
Ma anche la menzogna cede al disastro generale. La cretinizzazione di stato e populista tocca i suoi limiti. Non può negare che una esperienza è in corso. La disobbedienza civile si propaga e sogna società radicalmente nuove perché radicalmente umane. La solidarietà libera dalla loro pelle di montone individualista individui che non temono più di pensare da sé.
Il coronavirus è divenuto il rivelatore del fallimento dello Stato. Ecco quanto meno un oggetto di riflessione per le vittime del confinamento forzato. All'epoca della pubblicazione delle mie Modeste proposte agli scioperanti, alcuni amici mi hanno illustrato la difficoltà di ricorrere al rifiuto collettivo, che suggerivo, di pagare le imposte, le tasse, i prelievi fiscali. Ora, ecco che il fallimento inverato dello Stato-canaglia attesta una disintegrazione economica e sociale che rende assolutamente insolvibili le piccole e medie imprese, il commercio locale, i redditi bassi, gli agricoltori familiari e persino le professioni cosiddette liberali. Il collasso del Leviatano è riuscito a convincere più rapidamente delle nostre risoluzioni ad abbatterlo.
Il coronavirus ha fatto ancora meglio. Il blocco delle emissioni produttiviste ha diminuito la polluzione globale, esso risparmia milioni di persone da una morte messa in programma, la natura respira i delfini tornano ad amoreggiare in Sardegna, i canali di Venezia depurati dal turismo di massa ritrovano un'acqua limpida, la borsa affonda. La Spagna si risolve a nazionalizzare gli ospedali privati, come se riscoprisse la sicurezza sociale, come se allo Stato sovvenisse lo Stato sociale che ha distrutto.
Niente è acquisito, tutto comincia. L'utopia cammina ancora carponi. Lasciamo alla loro vacuità celeste i miliardi di banconote e d'idee vuote che girano in tondo sopra le nostre teste. L'importante è "curare da noi i nostri affari" lasciando che la bolla affaristica si disfi e imploda. Guardiamoci dal mancare di audacia e di fiducia in noi stessi!
Il nostro presente non è il confinamento che la sopravvivenza c'impone, è l'apertura a tutti i possibili. È sotto l'effetto del panico che lo Stato oligarchico è costretto ad adottare misure che ancora ieri decretava impossibili. È all'appello della vita e della terra da riparare che vogliamo rispondere. La quarantena è propizia alla riflessione. Il confinamento non abolisce la presenza della strada, la reinventa. Lasciatemi pensare, cum grano salis, che l'insurrezione della vita quotidiana ha virtù terapeutiche inaspettate.
17 marzo 2020
Raoul Vaneigem
[Il pezzo "Coronavirus" datato 17 marzo e apparso il 19 marzo su Lundi Matin è, come dice la redazione stessa, un'anticipazione di una raccolta di scritti di Vaneigem in via di pubblicazione sotto il titolo "L'insurrezione della vita quotidiana" per Editions Grevis https://editionsgrevis.com/]
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Il Giudizio dell’Entità: Banana Fish
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✓ Banana Fish   [ バナナフィッシュ ] (24 episodi)
Sapevo già dell'esistenza di un manga chiamato Banana Fish: lo pubblicizzavano sul retrocopertina di manga che prendevo secoli fa e, ovviamente, con un titolo simile, non poteva che rimanermi impresso. 
Complice il tratto non troppo di mio gusto e la trama à la thriller americano, non sono mai andata ad approfondire. Quando ne hanno annunciato l'anime, mi son detta: "Oh, era quello! Vabbè, leggo qualche recensione e vedo se darci un'occhiata.". La mia idea era vederlo una volta finito ma, come si saprà, è diventato abbastanza popolare dopo una manciata di puntate e mi sono ritrovata ad iniziarlo quando era intorno all'episodio tre o quattro. Dopo aver visto i primi episodi, sono scattata a vedere il successivo appena uscito - tranne l'ultimissimo arco, che mi sono vista in blocco. Un paio di giorni dopo averlo finito, ho fatto il rewatch. Sì, mi è molto piaciuto. 
La prima cosa di cui parlare è la modernizzazione di tipo tutto. 
Non mi è ben chiaro perché abbiano deciso di spostarlo dagli anni '80 al post 2010 - probabilmente per renderlo più appetibile al pubblico; sta di fatto che le uniche cose che testimoniano la sua ambientazione nel XXI secolo sono elementi di fondamentale importanza quali smartphone e tablet che appaiono solo ed esclusivamente quando suppongo ci fossero invece giornali o fotografie (e che poi non appaiono in scene in cui la comunicazione a distanza avrebbe evitato tanti problemi), computer sottili al posto di scatole da trasporto merci e che si parli dell'Iraq invece che del Vietnam. Leggendo in giro, sembra poi che si sia scelto di ricreare la New York moderna invece di ricostruire quella anni '80 (giustamente) e che abbiano aggiornato le mode in fatto di look. Grazie. 
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[Anche se un po’ mi dispiace che per forza di cose si siano dovute togliere scene simili.]
A proposito di quest'ultimo fatto, spicca il character design, più adatto ad un pubblico attuale. E, per questo, ringrazio in ginocchio lo Studio Mappa.  
Può sembrare una stupidaggine, ma influisce molto sulla percezione dei personaggi da parte dello spettatore: basti pensare a, non so, il live action de La Bella e la Bestia, che si apre con il protagonista imbellettato alla moda dell'epoca... per noi alquanto ridicola, ma per il 1700 assolutamente affascinante e indice di nobiltà. Oppure, come dicevo anche nel commento ad Escaflowne, negli anni '90 i bishounen erano donzelli dalla brillante chioma fluente (possibilmente chiara), elemento che oggi potrebbe far scappare un sorriso. Allo stesso modo, i capelli a nuvola erano molto in voga negli anni '80, ma non so quanto il pubblico attuale avrebbe potuto identificare Ash come lo gnoccone che dovrebbe essere - fatto che avrebbe persino portato qualche problema alla trama stessa dell'anime, dato che il suo aspetto è un elemento molto importante. Non che i personaggi siano diventati bishounen moderni - se si nota, le curve del viso rimangono abbastanza rotonde, come il tratto originale - ma grazie a questo cambio, quando Ash arriva vestito elegante e a tutti casca la mandibola, il pubblico annuisce interessato e non scappa inorridito come di fronte a quegli abomini che sono le fanciulle anni '90 """""""truccate""""""". 
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Seconda cosa. La componente omosessuale. 
Una cosa che sapevo vagamente è che BF viene considerato un ottimo esponente del genere shounen ai per il legame tra i due protagonisti, Ash ed Eiji. 
Ora che l'ho visto, posso parlare con cognizione di causa: BF ha una fortissima componente omosessuale, ma non credo lo si possa far rientrare né nello shounen ai né nello yaoi (per quanto l'autrice sia palesemente un'amante del genere). Il motivo è che la componente sessuale è oserei dire totalmente negativa: tratte di bambini, schiavi sessuali, victim-shaming, stupratori, stupri, traumi da stupro, persino accenni di incesto non consensuale. Per farvi capire: se Eiji fosse stato una donna, BF sarebbe stato un'opera omofoba di pessimo gusto. Ma anche se Eiji E Ash fossero state entrambe donne BF avrebbe perso la sua morale: la cosa vitale è che gli antagonisti ed Eiji siano dello stesso sesso. 
Dal lato psicologico, BF è molto, molto, molto più profondo di quanto si potrebbe pensare all'idea di vedere un thriller americano, con simbolismi non da poco. Eppure, alla base, c'è un cliché vecchio come la Pangea (e dunque da me amatissimo): un "mostro" ferito, un "diavolo" violento per difesa, che lascia avvicinare soltanto una persona buona, innocente, "pura", in grado di dargli un'altra possibilità nella vita, di ricominciare a vivere. 
Sarebbe riduttivo rinchiudere il rapporto di Ash ed Eiji in un discorso su come la loro fisicità sia fatta di sguardi e abbracci, "platonico" sarebbe un termine incorretto che potrebbe far pensare ad un'attrazione puramente mentale. È quell'amore "puro" non perché stilnovista o "che riporta sulla retta via", ma perché influisce su entrambi, perché porta ad accettare l'altro nella sua totalità e nel fargli realizzare "com'è davvero" senza la pretesa di "cambiarlo". Soprattutto, è bello vedere un amore così puro che si manifesta anche attraverso litigi brutali, il fare di testa propria anche quando forse non sarebbe il caso e qualche sana bastardata con tanto amore...
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[... perché se il tuo praticamente fidanzato ti dice che gli fanno impressione le zucche e quella stessa sera ti vesti da zucca e gli fai trovare la casa piena di decorazioni di Halloween, sei stronzo. Sì, pure se è davvero Halloween.]
Un'altra cosa bellissima è che il personaggio di Eiji non è un essere angelicato intoccabile cinnamon roll too pure for this world. 
Di certo vedere un ragazzo buono, cresciuto nella bambagia e che come unico problema nella vita ha il non poter più praticare il salto con l'asta a livello agonistico causa piede rotto e conseguente depressione in mezzo a sparatorie, traffici di droga e di ragazzini, complotti militari internazionali, droghe che controllano la mente, scontri tra gang e gente reduce da anni e anni di schiavitù e traumi assortiti potrebbe risultare giusto un pelino meno interessante e persino irritante. 
Inizialmente Eiji è un effettivo esserino innocente che (GIUSTAMENTE) quasi muore di terrore quando viene, nell'ordine, coinvolto in una sparatoria, rapito, menato, costretto a vedere gente morirgli a due centimetri e avere la consapevolezza di essere la causa di gran parte delle cose di cui sopra. Eiji non sa impugnare un'arma, non ha la volontà di sparare ma, con il passare degli episodi, si mostra ben poco incline ad ascoltare i consigli che gli vengono dati (in effetti, ha mai obbedito ad Ash/Ibe/Max UNA volta che sia UNA?), si dà al furto di auto, all'ostacolare la polizia, all'andare da solo a recapitare messaggi in luoghi malfamati, al fare maratone per mezza New York per recuperare Ash, all'evasione con tanto di boss mafioso come ostaggio, al fare irruzione in ville ultracontrollate e a sparare ad un boss della mafia. Di certo sfigura di fronte al protagonista Rambo/Rocky/Terminator, ma... non credo che molte persone vissute in pace&amore per quasi vent'anni sarebbero in grado di fare tutto questo (per salvare il più grande ricercato d'America da parte di quarantacinque mafie), sapere di essere il bersaglio principale delle sopracitate quarantacinque mafie, vedersi morire gente con cui si aveva in qualche modo legato, sapere di non essere Rambo/Rocky/Terminator e, nonostante tutto, conservare la propria sanità mentale e decisione. 
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[Ladro di auto, disobbediente, intralcio alla giustizia, rapitore, violatore di proprietà private, sfruttatore di punti deboli per puro scopo ludico... in effetti, Eiji non ha nulla di innocente ed è in realtà il vero Kattywoh.]
Eiji è il coprotagonista, ma ovviamente ci sono altri personaggi degni di nota: il povero Shorter, capo della gang cinese, amico leale, babysitter di Eiji per la prima parte della storia, bravo ragazzo che non meritava tutto quello che gli è successo; Max, giornalista ed ex soldato, amico del fratello di Ash, poi complice numero uno di quest'ultimo nonché essenzialmente suo padre adottivo; Ibe, un povero fotografo/giornalista che voleva solo fare un articolo sulle gang newyorkesi e tirare su di morale il suo assistente Eiji e che invece si ritrova invischiato nella trama; Sing, che appare come giovincello neanche troppo interessante e che finisce invece a dover fare da babysitter a mezzo cast, diventare un ottimo capo e partecipare persino alla Battaglia Finale; Blanca, colui che ha insegnato ad Ash tutto ciò che c'è da sapere per diventare Terminator, che non è mai stato un antagonista ma manco per sbaglio e che non si è mai dato pena neppure di fingere di esserlo, colui che porta con sé un po' di filosofia sul senso della vita - che in mezzo ai bang! bang! perché no? 
Una cosa positivissima del Team Buoni™ è che NON credono all'istante a presunti tradimenti da parte degli amici, anzi. Ad esempio, Ash ci mette tre secondi a capire che il "tradimento" di Shorter è avvenuto perché l'amico era stato ricattato con l’incolumità della sorella; allo stesso modo, Eiji non crede minimamente ad Arthur e chiede direttamente a Shorter, rendendosi subito conto della situazione di minacce e ricatti in cui si è trovato; Max, quando Ash lo minaccia per farsi consegnare tutti i documenti sulla Banana Fish, intuisce in 0,1 secondi che lo sta facendo perché Eiji è in pericolo; Sing, nonostante le apparenze e la sua venerazione per Shorter, per svariati episodi chiede all'incirca a Chiunque per fare chiarezza sulla morte del suo capo, perfettamente conscio del fatto che Ash non avrebbe mai ucciso il suo migliore amico perché gli girava. In modo simile, quando Yue Lung cerca di lavacervellare Eiji dicendogli che Ash non ha bisogno di lui, che lui è sempre stato solo un peso, il buon giapponese sbatte le palpebre e, con assoluto candore, gli risponde: "È la prima volta che qualcuno si mostra così apertamente ostile nei miei confronti.". Sempre Eiji, quando Ash si mostra cattivo con lui per allontanarlo e convincerlo a tornare in Giappone, non ci crede neppure per mezzo secondo, angustiandosi solo perché conscio di non essere un Rambo in grado di aiutarlo. È bello avere un Team Buoni™ che usa il cervello. 
Altro punto a favore è il fatto che "i segreti" rimangono segreti segretoni per qualcosa come tipo cinque secondi. Non bisogna far sapere ad Ash che il suo adorato fratellone è morto? Due minuti dopo, Max se lo lascia scappare proprio con Ash. Non bisogna far sapere alla gang cinese che Shorter è morto? Cinque minuti dopo, è di dominio pubblico. 
Ci sarebbe anche da nominare la polizia, in particolare Charlie e Jenkins, che pur essendo poliziotti si sono presi a cuore Ash. Appaiono poco, come da copione in questi casi la polizia è assolutamente inutile (credo che il loro effettivo apporto alla trama sia far incontrare Ash ed Eiji, tirare Ash fuori di prigione e dar modo a Max ed Ibe di introdursi al Centro di Igiene Mentale), però ho trovato in qualche modo tenero il fatto che ci siano questi due poliziotti che non solo non hanno problemi a dialogare civilmente con i ragazzi delle gang ma che si sono persino affezionati ad uno di loro, tanto da fare il possibile per difenderlo a livello legale - che in una serie come BF è alquanto inutile, ma apprezziamo il pensiero. 
Di fronte al Team Buoni™ provvisto di capacità cognitive funzionanti ed effettiva fiducia nei compagni, come risponde il Team Cattivi™? 
Il Team Cattivi™ è molto più variegato, passando da Emeriti Coglyony (che almeno si degnano di durare uno massimo due episodi), Falliti, Antagonisti Falliti, Antagonisti Ben Fatti e Antagonisti Funzionali. E un po' di Scienziati Pazzi e Politici/Poliziotti Corrotti a guarnire. 
L'Antagonista per antonomasia è, ovviamente, Dino Golzine. Che io ho capito solo al rewatch che lo chiamavano "Monsieur" perché boss corso e non italiano. Papà Dino è esattamente come uno si immaginerebbe un padrino: anziano, vestito elegante, con immancabile bastone da passeggio, pacato, che usa le armi in pochissime occasioni ma che fanno capire che ricorre alla violenza in prima persona solo quando è strettamente necessario - preferendo far fare qualcosa alle sue guardie, che sennò perché dovrebbe pagarle? E poi c'ha un'età, non è che può fare 'ste acrobazie però, con due pallottole nel petto, può arrivare in sala computer, pasticciarci, arrivare in cima ad un cantiere e uccidere l'Antagonista Funzionale. Golzine è la fiera causa principale del 90% dei traumi di Ash e il suo fine ultimo è o riaverlo forevAH&evAH per sé o catturarlo e ucciderlo con le sue mani, perché lui è la sua creazione migliore e solo a lui spetta il diritto di eliminarla. 
Su carta non è una cosa poi così incredibile ma, a vederla svolgersi, è più interessante del previsto: da un lato, Ash non manca di "fare i dispetti" a Golzine, tipo privarlo di un sacco di soldi perché il genio NON HA MAI CAMBIATO LA PASSWORD, di apparirgli davanti a sorpresa giusto per sfotterlo, di rispondergli male ad ogni suo approccio più fisico; dall'altro, nei momenti più tesi, è chiarissimo come Ash ricordi cosa Golzine gli ha fatto passare, che per lui è il Male Assoluto di cui doversi liberare, ciò che lo muove nell'odio e nella paura di quei traumi passati ma sempre fortissimi. 
Una delle scene che più mi ha colpita di tutta la serie, se non quella che mi è arrivata come un pugno allo stomaco, è quando Golzine annuncia ad Ash di volerlo ufficialmente adottare e Ash, giustamente, esce di testa. E lo fa ridendo, sbeffeggiandolo e descrivendo con dovizia di particolari, il più volgari possibili, le torture a cui lui e i suoi accoliti lo hanno sottoposto, il tutto chiamandolo "papà". È una scena che mi ha fatto gelare, fino a farmi venire i brividi. Oltre a farmi rigirare lo stomaco. È nella seconda parte della serie e ha un effetto mostruoso anche se Ash e Golzine si affrontano dal primo episodio, anche se il fatto che Ash sia stato il suo giocattolo viene detto da tipo subito e si sappia benissimo quale sia il rapporto che li lega. 
A Dino Golzine si accompagnano i Corrotti, i Coglyony e i Falliti. Gli Antagonisti Funzionali si affrettano ad andarsene in proprio, il che fa ben capire che forse Golzine dovrebbe scegliersi meglio i tirapiedi. Almeno gli Scienziati Pazzi fanno il loro disonesto lavoro. 
Gli Altri Antagonisti sono Arthur, Yue Lung e Fox, appartenenti rispettivamente alle classi Fallito, Antagonista Fallito e Antagonista Funzionale. 
Arthur è probabilmente il personaggio più fallito che abbia mai visto in una serie: per non ben esplorate ragioni, è seriamente convinto che aver letto la Guida del Cattivo e ripeterne le Frasi ad Effetto faccia di lui un Kattywoh dal carisma schiacciante, che siccome rompe le balle ad Ash da anni quest'ultimo lo veda come una rispettabilissima nemesi e che il suo essere uno spudorato arrampicatore sociale lo renda un astuto boss ambizioso. Non sto esagerando. Fino alla fine, Arthur rimane convinto di essere carismatico, astuto e principale nemesi di Ash, nonostante Chiunque, pure i passanti, lo detestino e perculino. I suoi Piani Geniali vanno in fumo nel giro di due inquadrature, nessuno lo ascolta, riesce persino a fregarsi da solo! Tutto questo perché Ash ha fatto una cosa orribile: gli ha ferito le dita in modo da renderlo incapace di premere un grilletto... dopo aver vinto lealmente uno scontro coi coltelli, aver miracolosamente evitato un colpo di pistola che Arthur gli aveva sparato alle spalle a tradimento e averlo disarmato per difendersi. Che stronzo, Ash, che non si è fatto ammazzare! Arthur deve proprio vendicare l'onta subita! 
Non fa simpatia. Non è nemmeno irritante. Semplicemente, si alzano gli occhi al cielo e viene spontaneo dire: "Sì, okay, ora levati che voglio la roba più interessante". Per fortuna, Ash lo leverà di torno a metà serie, quindi non ce lo si trascinerà per 24 episodi. 
Di tutt'altro livello è Yue Lung, Fallito solo in quanto Antagonista e giusto da metà serie in poi. 
Per svariati episodi, l'interesse dello spettatore verso Yue Lung è dovuto al fatto che non si capisce da che parte stia: prima rapisce Eiji, poi però aiuta Ash a fuggire e gli offre l'assassino di suo fratello su un piatto d'argento, però poi si proclama suo nemico e intenzionatissimo ad uccidere Eiji. La risposta è molto semplice: è dalla sua parte, perso in un mondo mentale al tempo stesso triste e checcazzo. Yue Lung è un altro che ha fatto la collezione di traumi e ama/odia Ash perché lo sente affine ma, a causa della presenza benefica di Eiji, non diventa una bestia spietata come Yue Lung stesso vorrebbe essere; al tempo stesso, odia Eiji perché offre ad Ash un amore puro e disinteressato, mentre lui è abbandonato e circondato solo da stronzi approfittatori. Sì, essenzialmente è mosso dalla gelosia folle e dal pensiero che Ash non sia come lui vorrebbe essere. Dallo sclero che ha negli ultimi episodi, credo sia effettivamente un po' fuori di testa. 
Ciò che rende Yue Lung un Antagonista Fallito è principalmente il fatto che, dopo essere riuscito a far quasi ammazzare Eiji, si penta e borbotti cose per aiutare Blanca a (più o meno) risolvere la situazione. E, dopo questo, Blanca riesce a farsi licenziare perché gli fa un toccante discorso sulla Forza dell’Amore, da cui Yue Lung quasi scappa schifato. Sono seria. Ma si possono ammirare fallimenti plateali anche quando cerca di manipolare Ash per poi essere ovviamente mandato a quel paese, quando istiga Eiji al suicidio beccandosi un altro (comprensibile) fancuBo, o il classico veder fallire i suoi piani e reagire in modo... piuttosto... inaspettato per uno che era stato presentato come yandere.
Questo perché sì, Yue Lung viene presentato come yandere ma poi rivela una certa tendenza allo sbattimento. No, non nel senso di impegno e no, neanche in senso sessuale - per quanto suo fratello maggiore e Golzine se lo farebbero volentieri: fin dalla sua apparizione, Yue Lung viene sbattuto su qualsiasi superficie, non necessariamente piana, da tipo Tutti; una volta morti i Tutti che lo sbattevano ovunque e diventato capo lui stesso, Yue Lung porta avanti questa sua attrazione per lo sbattimento in prima persona: sbatte i piedi perché le cose non vanno come vuole lui, sbatte i bicchieri sul tavolo perché le cose non vanno come vuole lui, sbatte oggetti sulle porte dopo un breve percorso aereo perché le cose non vanno come vuole lui, sbatte le suddette porte perché le cose non vanno come vuole lui, il tutto preferibilmente condito di urla isteriche e forse un paio di "BAKA!!111". Non è esattamente quel tipo di antagonista che prenderesti sul serio - ma neppure lo odii. Epica la scena nell'ultimo episodio tra lui e Sing: Yue Lung gli molla un ceffone e l'altro, ovviamente, risponde con un altro ceffone, che lo sbatte a terra. Così, per chiudere in bellezza e nel WTF?. Tranquilli, la scena non è del tutto seria e prosegue su questa linea. 
So che molti odiano Yue Lung perché è un fallitissimo terzo incomodo e perché dal serpente yandere si aspettavano, tipo, uno yandere, ma io fatico a farmi stare sulle balle un Antagonista Fallito tsundere isterico che si pseudoredime perché la sua guardia del corpo l’ha rincoglionito a suon di discorsi sui Buonyh Sentymentyh. 
A chiudere il trio, Fox, un mercenario che appare negli ultimi quattro episodi. 
Alla prima visione, gli ultimi quattro episodi mi hanno dato l’impressione di essere un po' rushati, mentre al rewatch non più di tanto. Cioè, gli episodi sono fatti bene, inseriscono tutte le informazioni di cui la storia ha bisogno (hanno pure usato i minuti della ending - difatti i credits appaiono in sovrimpressione - e l’ultimo episodio dura 30 minuti invece di 24), ma a volte mi è parso che gli stacchi scena fossero troppo repentini e dessero l'idea di qualcosa di troppo veloce. 
Fox arriva a chiudere il cerchio dei traumi di Ash: rievoca il suo passato, lo costringe ad affrontarlo. Dice pure quelle frasi creepyssime che rendono quel Famoso Pezzo di M&rda in Wadanohara and the Great Blue Sea un antagonista in grado di far venire i brividi ogni volta che si gioca, eppure mi ha dato l'impressione di uno che arriva e si crede più importante di quanto non sia - ma, a differenza di Arthur, ha delle basi per poterlo fare. Non ne sono sicura, ma forse mi ha fatto meno effetto del previsto perché già nei primi episodi Ash viene stuprato in prigione, ma la prende con, ehm, meno trauma del previsto - mentre qui reagisce come ci si aspetterebbe e la cosa viene trattata con la giusta gravità, con tanto di Jessica, moglie di Max, anche lei vittima di violenza, che cerca di parlargli. È strano perché, anche quando il Poliziotto Corrotto usa dei video per infodumpare il passato da prostituto di Ash, quest'ultimo è giustamente traumatizzato e lo rimane anche per qualche tempo dopo aver rivisto i video. Forse lo stupro in prigione era risparmiabile, sia per la reazione che per come intacca poi la figura di Fox. 
Ben inteso: non che Fox sia questo Antagonista Carismaticissimo, tutt'altro. È un Antagonista Funzionale, un antagonista decente che, a livello simbolico, incarna il passato traumatico di Ash. Di suo è un... cattivo perché sì, ecco. Sadico, dicono. Ma stare in scena quattro episodi (e solo ogni tanto) in un thriller e fare solo l'incarnazione di qualcosa non ti rende un personaggio interessante. 
E dopo tutta questa manfrina, lui, il Protagonista Indiscusso della serie (che metto dopo tutti gli altri perché sennò rubava la scena, e si sarà notato dalla frequenza con cui il suo nome compare in questo commento) (tra l’altro, al rewatch mi sono resa conto di quante volte venga fatto il suo nome, qualcosa come una volta ogni dieci secondi): Ash Lynx, a cui tutti si riferiscono come "lince", che in realtà si chiama Aslan come il leone di Narnia e che di suo si vede come il leopardo de Le nevi del Kilimangiaro. C'è un po' di confusione felina, ma sono tutti d'accordo sia un grosso gatto. 
Ash è un Gary Stu di tutto punto: è bellissimo, è carismaticissimo, è un capo perfettissimo, è temutissimo e rispettatissimo, ha una mira eccezionalissima, sa usare benissimo qualsiasi arma, è acculturatissimo e può essere raffinatissimo, è un genio dal QI di oltre 200, sa hackerare, mostra una forza sovraumana, una resistenza assurda, capacità atletiche da Olimpiadi, percepisce la presenza altrui che manco in Dragon Ball e, soprattutto, è perseguitato dalla sfiga, tanto che se arrivano Candy, Georgie, Remì e Oliver Twist li manda a FancuBo al grido di: "Viziati di m£rda!". 
Da bravo protagonista anni '80, le sfighe di Ash sono talmente tante che mi stupisce siano riusciti a dedicarci circa 3 episodi e non 30. Nell'ordine: - la madre, seconda moglie di suo padre, molla tutti e se ne va con un altro; deve accudirlo il suo fratellastro Griffin, perché il padre è diversamente affettuoso; - a 7 anni, un rispettabilissimo veterano lo violenta; siccome è rispettabilissimo e abitano in un paesino, la gente va di victim-shaming e il padre ha la brillante idea di dirgli di lasciarsi fare tutto ma di farsi pagare; - a 8 anni, dopo un anno di torture dal rispettabilissimo veterano, prende la pistola del padre e lo uccide; - a seguito di quanto sopra, per quanto si sia scoperto che il rispettabilissimo veterano era pure un serial killer, la gente continua a sparlare e il padre decide di spedire Ash dalla zia in città; Ash fugge durante il viaggio, ma finisce nelle mani di Golzine; - nonostante il suo aspetto da tubero, Golzine intuisce che tempo pochi anni e diverrà gnocco e geniale e decide di farne essenzialmente il suo erede, ma nel mentre può prostituirsi per la gente che conta e ha gusti malati - ma soprattutto con Golzine; - passa circa dieci anni tra violenze di ogni tipo; - diventa capo delle gang di New York (dall'anime mi sembra si sia ribellato a Golzine e ci mantenga rapporti relativamente pacifici solo per questioni di potere, ma altrove ho letto che è stato Golzine ad indirizzarlo) e vive tra sparatorie, morti e giochi di potere; - il suo adorato fratellone torna dalla guerra lobotomizzato e non si sa cosa gli sia successo. 
Dal primo episodio si susseguono altri regali da parte della Sfiga: - una ragazza che gli piaceva da adolescente viene scambiata per la sua fidanzata effettiva e muore male; - Skip, bambino sotto la sua ala protettiva, muore male; - Griffin muore male; - Jennifer, la terza moglie di suo padre e unica persona decente da lui conosciuta nell'infanzia, muore male; - Shorter, il suo migliore amico, muore malissimo: per la precisione, è costretto ad ucciderlo perché gli hanno iniettato la Banana Fish e lo costringono a cercare di uccidere Eiji sotto gli occhi di Ash e Shorter stesso gli chiede di ucciderlo; - viene arrestato e stuprato in prigione; - viene stuprato di nuovo da un mercenario sadico; - quasi ammazzano Eiji sotto i suoi occhi; - è costretto a separarsi da Eiji; - MUORE. 
Quando, dopo aver visto i primi episodi, mi sono ricordata che la storia è degli anni '80, sono andata a spoilerarmi il finale. L'unico dubbio che avevo era se morisse Ash, Eiji o tutti e due. (Prima degli anni '90, tra i protagonisti c'era una tragica tendenza alla morte compulsiva.) 
Ash è di quei Gary Stu che non danno fastidio - anche se dopo un po' si passa al facepalm quando si scopre che oooh, sa pure hackerare o ooooh, è pure un genio genialissimo certificato! - grazie a due ottimi espedienti: il primo è che gli altri personaggi principali, pur riconoscendo le sue oggettive capacità e temendole/ammirandole, NON sono convinti che tutto ciò che faccia sia giusto, anzi, non mancano di sgridarlo e di non approvare; il secondo è che lo stesso Ash si prodighi a ripetere: "Non l'ho voluto io!" e "Lasciatemi in pace!" e a mandare a fancuBo chi gli chiede come mai non sia rimasto con Golzine che, voglio dire, è così bellissimo, bravissimo e levissimo, perché scappare da assassini e stupratori e cercare la libertà? 
Un punto che potrebbe essere a favore o meno, a seconda dei punti di vista, è il fatto che Ash sia un rompipalle riconosciuto come tale da Chiunque e che Tutti si lamentano del suo plateale voler provocare solo per dare fastidio.
Assolutamente milioni di punti in più, invece, per il fatto che sia causa/vittima di scene dementissime con tanto di deformed e vocina. Sono tipo dieci in tutta la serie, ma ci stanno bene e mi hanno fatta cappottare. 
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[Se proprio serve che il vostro protagonista sia un Gary Stu, premuratevi di far sì che NON sia sempre serissimo, fighissimo e imperturbabilissimo.
BTW, sì, Eiji ha appena accettato una pseudoproposta indecente fatta per scherzo, sempre perché Eiji in realtà non ha nulla di innocente.]
Allungare il paragrafo su Ash è piuttosto inutile, sia perché alla fin fine si è infilato pure nei paragrafi altrui sia perché tanto dovrò riparlarne dopo, quindi tanto vale passare all'altra cosa importante di una storia, oltre ai suoi personaggi: la trama. 
In teoria, la trama ruota attorno alla Banana Fish, una droga che dà la possibilità di controllare mentalmente una persona. Per la precisione, se somministrata a persone con precario equilibrio psicologico o anche solo spaventate, acutizza tutte le loro emozioni negative, fino a farli vivere in una dolorosa paranoia; a quel punto, le si convince che la causa di tutto è Una Determinata Persona e che sarebbe il caso di eliminarla, per stare meglio, eh! Non mi è ben chiaro se i graziosi effetti della Banana Fish siano irreversibili o se la persona impazzisca fino a diventare un quasi vegetale. 
In pratica, la trama ruota attorno ad Ash che vuole distruggere Golzine e il suo impero. Una volta scoperto che la Banana Fish, comunque opera degli scienziati di Golzine, è alla base di ciò che è successo a Griffin, lui e Max si impegnano per far sì che la sua esistenza e il complotto internazionale che ne segue diventino di dominio pubblico. L'unicissima cosa un po' dafaq? è il fatto che personaggi intelligenti, addirittura geni dal QI 200+, capiscono che la Banana Fish è un ca$$o di droga intorno all'episodio 7, dopo aver pensato che fosse una persona o un luogo (???). Giusto un pelino forzato, soprattutto perché io che sono scema l'avevo capito dal titolo - ma, non avendo il titolo davanti agli occhi, l'avrei capito quando nel primo episodio fa la sua entrata in scena un flaconcino di sembra talco ma non è. 
In quanto thriller, la suddetta trama si svolge in luoghi diversi, tra nemici diversi con tante sparatorie, esplosioni e botte; il tutto è intervallato da momenti di riflessione, spesso con citazioni colte a Salinger ed Hemingway. Per fortuna, per quanto un thriller ben fatto possa catturare l'attenzione dello spettatore e sia molto difficilmente fonte di noia, dopo un arco particolarmente estenuate ci sono episodi più leggeri. Menzione speciale alla fuga dal Centro di Igiene Mentale: onde evitare un clone della fuga dalla villa di Golzine e viste le vicende più pesanti degli episodi precedenti, l'autrice ha l'ottima idea di rendere la fuga... particolarmente... bizzarra. Di certo il suo lato fangirl aveva preso il sopravvento. 
(Per un’esperienza mistica, andate su Google Immagini e cercate “banana fish barbara”.)
Come detto sopra, gli archi mi sono strapiaciuti tutti, giusto quello finale ( = gli ultimi quattro episodi, a conti fatti anche il più breve) l'ho trovato un po' rushato e minato da fatti precedenti. Forse sarebbe stato meglio fare una serie da 25 o 26 episodi. 
Il finale. 
Non sapevo se il Mappa avrebbe scelto di modificare il finale del manga o di trasporlo fedelmente. Dato che il Mappa fa le cose per bene, ha scelto la seconda - ma, per stavolta, non mi sarebbe dispiaciuta la prima opzione. Questo perché sì, negli ultimi tre minuti dell'ultimo episodio, Ash muore, pugnalato da un Personaggio Terziario, e sceglie di lasciarsi morire mentre legge la lettera di Eiji, che proprio in quel momento sta tornando in Giappone. 
Comprendo benissimo il significato: grazie ad Eiji, ora Ash è davvero "libero", ha compiuto la sua vendetta, ha vendicato i suoi cari e ha conosciuto qualcuno in grado di amarlo sul serio, senza aver paura di lui e senza secondi fini. Inoltre, quando Eiji era in punto di morte, per la prima volta Ash prega, supplicando Dio di prendere lui al suo posto: per questo motivo, la sua scelta di non chiamare aiuto o andare in ospedale è comprensibilissima, data la sua probabile idea di aver, in questo modo, tenuto fede al patto. 
Oltre al fatto che la morte di Ash e/o Eiji era una delle cose più hintate dell'universo e la ending te la schiaffava in faccia con dolorosa grazia. 
Quello che contesto è la dinamica. 
La dinamica della morte di Ash è talmente ridicola, assurda, OOC e incoerente che, se fosse scivolato su una buccia di banana e si fosse poi infilzato con un Miracle Blade messo in verticale a terra da qualche gran burlone, avrebbe avuto più senso. 
Per 24 episodi vediamo che Ash si prende botte, pugnalate, proiettili, ma continua a fare il tiro al bersaglio e a mettere a soqquadro quartier generali. Un proiettile nella spalla, suvvia, basta un'operazioncina in casa ed è messo a nuovo, ma non prima di aver inseguito chi ha sparato! Una pugnalata in piena pancia, ma vabbè, prima di crollare facciamo tutto uno scontro a mani nude! Qualche ora dopo la rischiosa operazione per la pugnalata, combatte e atterra un'assassina. Due giorni dopo, fugge portandosi in spalla un uomo, si regge con una mano sola all'esterno di un ascensore e con l'altra tira su l'uomo, con la fisica che va a farsi benedire. Si sta riprendendo da uno stupro, dal quasi omicidio del suo praticamente fidanzato, è stato narcotizzato cinque minuti prima e uno-due giorni prima si era preso una pallottola nella spalla, si prende una pugnalata sempre nella spalla, MA LA BATTAGLIA FINALE IN CIMA A UN CANTIERE LA FA LO STESSO, E POI TIRA PURE SU UN RAGAZZO CHE STAVA VOLANDO DI SOTTO! Insomma, per 24 episodi, la storia ha reso chiarissima una cosa: Ash è fatto d'acciaio e non muore neanche se l'ammazzi. Sul finale, però, muore per una pugnalata a caso nella pancia. Non nel petto, non in testa, non nella gola: nella pancia, dove dovrebbe ormai avere i muscoli antiproiettile. 
Il Personaggio Terziario, Lao, è fatto apposta per essere odiato ha un serio problema in testa, oppure è successo qualcosa che non è stato detto. Tecnicamente, Lao appare insieme a Sing, quindi intorno a poco meno di metà serie; fino a circa il ventesimo episodio, dice due battute in croce tanto per pagare il doppiatore. Di suo, detesta Ash perché ha ucciso Shorter e perché vuole che sia Sing, suo cugino/fratellastro/qualcosa, a dominare i bassifondi, invece di sottomettersi a lui (e qui spero che la deficienza sia di caratterizzazione, dato che sia Sing che Cain, capo delle gang di Harlem, non si sono mai sottomessi ad Ash, ma collaborano con lui per salvare i compagni e buttare giù l’impero di Golzine, lasciandogli il comando generale in quanto oggettivamente il migliore in fatto di organizzazione e in possesso di maggiori informazioni sul nemico comune) (ovviamente Sing NON vuole diventare il capo dei bassifondi e si prodiga a ripeterglielo spesso).  Approfittando di ciò, Yue Lung lo usa essenzialmente come spia, come seminatore di zizzania e per uccidere Eiji - anche se non sarà lui l'autore manuale. Dopo il tentativo di omicidio, di fronte alle conseguenze apocalittiche, Lao va a confessare tutto a Sing, di fatto ammettendo di essere stato un imbecille a seguire le direttive di Yue Lung, che ora ha messo Sing in pericolo in quanto capo che deve prendersi le responsabilità dei suoi sottoposti, e che invece dovrebbero tutti collaborare per salvare il resto del cast prigioniero del Team Cattivi™. Sing chiede dunque a Lao di fidarsi di lui, di lasciargli in qualche modo risolvere la situazione. Lao accetta, distrutto da ciò che ha fatto. Due minuti dopo, quando Sing chiede ad Ash di combattere con lui per lavare l'offesa, Lao esplode, insulta Ash, cerca di seminare di nuovo discordia in quel che è rimasto del Team Buoni™ e, quando viene infine cacciato da Sing, se ne va promettendo vendetta tremenda vendetta. Ma che cazzo...? Da qui sparirà e lo si rivedrà giusto in tempo per pugnalare Ash. Forse sono tarda, ma a me pare ci sia un grosso buco di logica, nonché un OOC schizofrenico non da poco. 
Infine, lo stesso Ash mostra un cambio d'idea a mio parere un po' poco credibile. Una volta risolta tutta la storia nel migliore dei modi, Ash sceglie di lasciar andare Eiji in Giappone, di tenerlo lontano, perché non è riuscito a proteggerlo e rischierebbe di metterlo di nuovo in pericolo. Non va neppure a salutarlo all'aeroporto. Sing, che da babysitter è diventato pure postino, gli dà una lettera di Eiji, ovviamente brokoro e piena d'amore, che riepiloga tutte le cose che hanno passato insieme; con la lettera, c'è anche un biglietto aereo per il Giappone, a nome di Ash. A questo punto, si vede chiaramente che Ash manda a fancuBo la sua idea iniziale, che vuole stare con Eiji, e quindi corre verso il Good End... peccato ci siano un Personaggio Terziario e la Sfiga che approfittano del suo aver abbassato la guardia per FAR FINIRE TUTTO IN TRAGEDIAH. Ash, dopo essersi premurato di abbattere il Personaggio Terziario, se ne va nella vicina biblioteca (luogo importante prima per lui, poi per lui ed Eiji) e si lascia morire mentre rilegge la lettera. Caso vuole che in biblioteca ci siano solo persone gravemente miopi e con il naso tappato, perché altrimenti non si spiega come non abbiano notato la scia di sangue che questo tizio si lascia dietro (il Mappa si è premurato di NON metterla, che tanto la fisica l'avevamo già buttata giù una volta dall'ascensore del Centro di Igiene Mentale) né il pestilenziale odore di ferro che doveva per forza accompagnarlo. Avrei visto molto, molto, ma molto più sensato che Ash, dopo la pugnalata, si facesse una maratona Olimpionica fino all'aeroporto, salutasse Eiji (che non vedeva la sua ferita perché boh, magari troppo lontano) e solo allora morisse per ovvio dissanguamento. Sì, anche lasciandosi dietro la scia e l'odore di ferro. Stupido, ma l'avrei trovato più in linea con i personaggi. 
In realtà, avrei trovato immensamente più sensato che Ash partisse per il Giappone e si facesse una nuova vita con Eiji, un po' per karma un po' perché la rinascita e la libertà sono tipo la morale della storia, però vabbè, negli anni '80 c'era un alto tasso di mortalità tra i personaggi, soprattutto se principali - e senza rinascite, che la libertà si otteneva morendo male. 
Questo finale mi ha lasciata talmente dafaq? che non mi ha minimamente colpita. Non mi ha fatto neppure venire gli occhi lucidi, e io piango per qualsiasi roba. 
In compenso, la seconda ending mi ha distrutta. Ecco, se penso al fatto che Ash sia morto (................ con tutto che già una volta Ash è stato dato per morto, per quanto mostrato nella storia potrebbe benissimo essere solo svenuto per poi essersi salvato-) e sento Red, implodo nel brokoro. Red mi ha affascinata già dal primissimo ascolto, ma ho letto bene il testo solo dopo aver finito la serie. Leggetevelo anche voi, per favore. Tra l'altro, trovo che "If I decide to burn instead of fading out" sia una frase bellissima. Dannata Red, tu, il tuo testo meraviglioso e il ca$$o di video con le ca$$o di spighe di grano che portano sfiga già dai tempi del Gladiatore. Con tanto di spudoratissimo simbolismo quale Eiji controsole che tende la mano ad Ash. *Segna tra le ending più belle con video drammaticamente bello*
Credo che Red e la prima opening, found & lost, entrambe dei Survive Said The Prophet, siano state scritte appositamente per l'anime. È bello quand'è così. 
Ah, found & lost è entrata all'istante nella rosa delle mie opening preferitissime in assoluto. Quando è partita durante la Battaglia Finale, in puro stile Railgun, sono andata in hypissimo. Da questa e Red, credo proprio andrò a sentirmi tutto il canale dei Survive Said The Prophet. 
Quanto alle altre due sigle, la prima ending, Prayer X, è piuttosto adatta come sigla di chiusura di BF, anche se non mi ha colpita più di tanto; FREEDOM, seconda opening, è orecchiabile e ottima per l'anime. 
Il lato tecnico. 
La regia è di quella brava signora che è Hiroko Utsumi, che già creò quella cosa bellissima che è Free! e che con BF si è confermata una regista più che bravissima. La qualità di storia, personaggi e animazione si mantiene alta per tutta la durata della serie, con rari cali grafici - rari ma che purtroppo persistono per gran parte dell'episodio in questione. Non è nulla di osceno ed è guardabilissimo, è solo che salta all'occhio quand'è tutto così curato - e, in 24 episodi, mi sarei profondamente stupita se non ci fosse stato neppure un calo. In compenso, hanno realizzato quella che è probabilmente la migliore animazione di un bacio da diversi anni a questa parte (peccato non sia inteso come bacio effettivo). 
Come tocco di classe, gli episodi s'intitolano come i libri di scrittori quali Salinger, Hemingway e i coniugi Fitzgerald; l'idea è stata ottima, sia perché rimane in linea con le continue citazioni durante la storia, sia soprattutto perché lo stesso titolo dell'anime si rifà ad una storia breve di Salinger, Un giorno ideale per i pescibanana - che, ovviamente, è anche il titolo del primo episodio.
Quanto al doppiaggio c'è poco da dire: ottimi doppiatori e voci perfettamente calzanti. Spiccano, ovviamente, i due protagonisti. Kenji Nojima (Eiji) usa una voce incredibilmente morbida, che riesce a rendere benissimo l'idea di "tranquillità" che Eiji è in grado di suscitare. Sono divertitamente inquieta all'idea che sia lo stesso doppiatore di quell'allegra baldracca di Natsuya Kirishima. Yuuma Uchida (Ash), al contrario, ha una voce più aspra, a volte più calda, un'ottima scelta per esaltare il contrasto tra i due... tuttavia, la sua vocina scema è bellissima e rimane assurdamente impressa. Voglio un anime in cui usa solo quella. (!?) Ah, doppiava Sonic in Kekkai Sensen. Sto ancora elaborando. C'è pure Jun Fukuyama a fare Yue Lung, che in un episodio si esibisce in una Risata Malvagia un po' discutibile che mi ha fatto capire che a volte anche agli Dei del Doppiaggio non riesce qualcosa. (Solo quella, perché per il resto si rimane Dei del Doppiaggio.)
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[Un esempio del rinnovo del character design mantenendosi in qualche modo fedeli all’originale.]
In conclusione, Banana Fish è probabilmente l'anime migliore che ho visto nel 2018. 
Ne sono felice, sia perché è stato un po' un "Ma guarda chi si rivede", sia perché sarei stata molto triste se un titolo meraviglioso come "banana pesce" fosse stato dato ad un'opera brutta. 
Non si può certo dire che non abbia difetti ma, a parte la dubbia dinamica del finale, mi sembrano cose alquanto stupide e su cui si può passare sopra senza problemi. 
L'unicissima cosa è che non è un anime per tutti. 
È un anime da bollino rosso carminio e, per quanto Ash ed Eiji siano tanto bellini e ci siano scene di fanservice maschile, lo sconsiglio ampiamente alle fangirls giovanissime che vogliono solo un po' di yaoi brutale. Ci sono yaoi brutali fieri di esserlo e di manifestarlo, questo vedetevelo quando sarete un po' più grandi - e, con tutto il bene, trovo che vedersi una roba come Banana Fish solo per la componente omosessuale sia abbastanza triste. In modo simile, evitarlo solo perché "ci sono i ghei e la fanservis coi maschi!11!" è semplicemente ridicolo. Poi fate come vi pare, ognuno è libero di (non) vedersi quello che gli pare per il motivo che gli pare. 
Soprattutto, mi rendo conto che "thriller americano palesemente anni '80" non è una definizione molto attraente per qualcuno appassionato di animazione giapponese moderna - senza considerare che il thriller stesso è un genere specifico che può piacere come non piacere. Ed è pure molto drammatico, per quanto ci siano scene dafaq? e io abbia farcito questo commento di boiate. 
Se però non ve ne frega niente del genere e vi incuriosisce, dateci un'occhiata. Se invece non ve ne frega niente- aspe', ma allora perché sei arrivato fin qui?
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[Manco jousei. Shoujo. Io ci rinuncio a capire la catalogazione dei manga giapponesi.]
P.S.: Ho appena pensato che, se Mai faranno un'edizione italiana dell’anime, potrebbero tradurre il nome della droga. Pescebanana. Oppure, ancora meglio, Bananapesce. Ho pensato a tutte le scene drammaticissime e/o tesissime in cui i personaggi nominano la Bananapesce e rido tantissimo. (Ignoratemi.)
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retegenova · 3 years
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Progetto di Filosofia
Istruzione Liguria: Progetto di Filosofia (1 marzo 2021) ‘Il proprio tempo appreso nel pensiero. Percorsi didattici per l’insegnamento/apprendimento della Filosofia del XX e XXI secolo’ Fonte: Istruzione Liguria
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daraprispumanti · 4 years
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AIS TARANTO PRESENTA “D’ARAPRÌ:
L’ARTE E LA PASSIONE, DOVE IL TEMPO È UNA COSTANTE VERSO LA QUALITÀ” VENERDÌ 31 LUGLIO ORE 20,30 TENUTA MONTEFUSCO - SAN GIORGIO JONICO (TA)
Carissimi,
Ais Puglia Delegazione di Taranto presenta “D’Araprì: L’Arte e la Passione, dove il tempo è una costante verso la qualità” che si pone l’intento di far scoprire, nel corso di una degustazione dell’intera gamma, la migliore espressione del Metodo Classico pugliese.
Luogo dell’evento, che si terrà il prossimo 31 Luglio alle ore 20.30 sarà la Tenuta Montefusco, S.S. 7 Taranto /San Giorgio Jonico (Ta).
Sarà il Dottor Giuseppe Baldassarre, noto saggista e relatore Ais, commissario d’esame e membro del Consiglio Nazionale, a condurre il wine tasting.
L’incontro vedrà la partecipazione del Presidente regionale Ais Vito Sante Cecere e di un rappresentante dell’ Azienda ospite che potrà narrare la storia della Cantina e la filosofia produttiva che ha ispirato l’opera pionieristica di produrre Metodo Classico in Puglia più di 40 anni fa.
IN DEGUSTAZIONE:
D’Araprì Brut;
D’Araprì Pas dosè;
D’Araprì Brut rosé;
D’Araprì Rosé Millesimato Sansevieria 2015;
D’Araprì RN 2016;
D’Araprì Gran Cuvee XXI secolo 2014;
D’Araprì La Dama Forestiera 2015 in versione Magnum.
In abbinamento preparazioni della Tenuta Montefusco: Barchetta di frittura (verdurine pastellate, pettoline, crocchette); Tranci di pizze gourmet (4 quarti gusti vari da formare una pizza).
La degustazione sarà preceduta, alle ore 20:00, dalla consegna dei diplomi AIS agli oltre 35 neosommelier della Delegazione di Taranto.
Contributo per la partecipazione:
€ 35,00 soci in regola con il tesseramento 2020 – € 40,00 Non soci.
Solamente 60 i posti disponibili
Informazioni e prenotazioni
Tel. 346 3011674 – [email protected]
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mi-manifesto · 4 years
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Lettura de 'La società della stanchezza': eccesso di rendimento e depressione, fino all'immunità
Nel libro The Fatigue Society, il filosofo e professore dell'Università di Berlino Byung - Chul Han riflette sull'argomento contemporaneo, il cittadino del XXI secolo, violento e costantemente in guerra con se stesso. Attraverso l'auto-sfruttamento del lavoro, inquadrato nell'eccesso di positività che caratterizza la società post moderna e condiziona il nostro comportamento.
Nel 2018 Byung - Chul Han è apparso su tutti i giornali e i social in Europa come trendic topic, in parte perché una sua frase è stata condivisa da molte persone, una frase che molti di noi hanno immediatamente interiorizzato. Abbiamo dovuto condividerlo con i nostri contatti come stessimo chiedendo aiuto: nella società di oggi, le persone credono che si autorealizzano quando in realtà si auto sfruttano. Byung - Chul Han è diventata una delle voci più influenti nel campo della filosofia contemporanea. 
È stato quel messaggio, così tangibile, che mi ha invitato a conoscere il suo libro The Society of Tiredness. Il titolo sembra già dire tutto chiaramente. Originariamente pubblicato in tedesco con il titolo Die Müdigkeitsgesellshaft, The Fatigue Society afferma che la società del XXI secolo, il mondo post guerra fredda, è una società in cui la depressione e la sindrome del lavoratore bruciato, il 'burn out', assumono dimensioni pandemiche. Dichiara all'inizio del libro che "Prometeo, come soggetto di auto-sfruttamento, diventa preda della stanchezza infinita". 
La bella mostra che Byung - Chul Han fa in questo saggio, ricca di acuti riferimenti filosofici, richiede una lettura attenta. Ma la sua trama e le sue idee fanno molta strada, quindi vale la pena di leggerlo attentamente. Come chiavi di lettura, vengono evidenziati i concetti di: prestazioni, positività in eccesso, autorealizzazione, auto-sfruttamento, autoreferenzialità, sindrome del lavoratore esausto, depressione, soggetto VS progetto.
La società occidentale sta subendo un cambiamento di paradigma, un cambiamento di modello caratterizzato da positività in eccesso, prestazioni in eccesso, efficacia in eccesso e produttività che sta portando a una grande stanchezza. La società del soggetto disciplinato si sta muovendo verso la società del soggetto altamente performante. Attraverso la ricerca di produttività, lavoro e prestazioni sociali, vediamo che il soggetto ad alte prestazioni è una versione sofisticata del soggetto disciplinato. Un soggetto che dà tutto se stesso fino a bruciarsi, fino all'estremo sfinimento o suicidio. Un esempio di ciò è il lungo orario di lavoro e il multi-impiego negli Stati Uniti e in Giappone o il suicidio dei lavoratori nelle compagnie di telefonia mobile. La costante pubblicazione di contenuti sui social network e il consumo di impatti mediatici costanti è una forma di produzione sociale, anche basata su aumento, prestazioni, non stop. Il soggetto che è costretto ad arrendersi sfrutta se stesso "con la massima efficienza quando rimane aperto a tutto, quando è flessibile" (P. 92). 
Byung - Chul Han spiega che il XX secolo era un'era immunologica, in cui combattere ed eliminare l'altro, l'esterno era la norma. Un paradigma virale - batterico, che è stato pacificato con lo sviluppo di antibiotici. La logica della società della Guerra Fredda era incentrata sul confronto tra interno ed esterno, il proprio contro il nemico esterno. In un modo diverso, la società del XXI secolo andrebbe verso un altro paradigma, in cui lo strano è sostituito dall'esotico, rendendolo un oggetto degno di essere fotografato o materiale per notizie sensazionali. Un esempio di ciò è che rifugiati e migranti non sono visti tanto come una minaccia sennó come un peso. Il filosofo italiano Roberto Esposito difenderebbe che siamo ancora in una società caratterizzata dalle immunità, ma Byung - Chul Han osserva che la svolta verso la globalizzazione mondiale non è compatibile con il paradigma immunologico, che è un discorso del passato e non del presente. L'immunizzazione è l'opposto dell'attuale ibridazione, afferma. Nel XX secolo possiamo parlare di immunità, mentre nel XXI secolo possiamo porre l'accento sull'eccesso di positività. 
Secondo lui, la società effettua questo transito:
1. Dal modello immunitario al modello di positività in eccesso
2. Dalla società disciplinata alla società del rendimento
3. Dalla società disciplinata e repressiva studiata da Freud, alla società del rendimento che si maschera da società della libertà
4. Dalla società del verbo DOVERE, alla società del verbo POTERE 
5. Dal tema dell'obbedienza al tema del rendimento
6. Dalla società della negatività alla società della depressione
Qui è necessario chiedersi fino a che punto questo cambio di paradigma è vero? 
Articolo intero su Lectura Abierta
Foto luisv18
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L’ultimo autunno del secondo decennio del XXI secolo ci sta per salutare: si entra così nella prima stagione invernale del nuovo decennio ma al tempo stesso comincia ancora una volta, come ogni anno, la lenta ma inesorabile e speranzosa risalita dal buio verso la luce; è una risalita astronomica ma simbolicamente rappresenta anche molto altro, è una ripresa in cui dobbiamo e possiamo credere perché è l’universo che in silenzio ci insegna come fare. Al di là di ogni religione e di ogni filosofia, al di là di ogni inutile separazione tra pagano e cristiano. Dal giorno meno luminoso dell’anno, dal punto più oscuro del nostro cammino terreno alla luce della prossima primavera esistenziale: non esiste una sconfitta permanente ma solo discese e salite… Non esistono punti fermi e morti irreversibili ma solo un eterno movimento che è vita. Buon solstizio! tratta da “Nessuno nasce pulito” (ed. nugae 2.0 – 2016) #solstiziodinverno #poesia #solinvictus #sole #luce #astronomia #inverno #poetry https://www.instagram.com/p/B6WSRPnIzta/?igshid=5kdjcwqpfeto
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marcoleopa · 6 years
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Fonte: https://www.google.it/amp/s/eidoteca.net/2014/03/28/il-senso-della-filosofia-oggi-intervista-al-filosofo-gianfranco-dalmasso/amp/ Di fronte alla Crisi economica epocale che stiamo vivendo agli occhi di molti la filosofia può apparire come un’inutile perdita di tempo o un esercizio intellettuale sterile. I filosofi possono apparire sempre di più come figure bizzarre e anacronistiche, buone nel migliore dei casi per eleganti dibattiti ristretti e autoreferenziali interni a un’ élite accademica slegata dalle urgenze del presente. Professor Dalmasso, cosa può dare la filosofia all’uomo d’oggi? E come cambia la filosofia di fronte alla Crisi? Rovescerei la domanda: che cosa l’uomo di oggi può dare alla filosofia? La filosofia è nata comel’inquietudine senza della quale l’uomo è già morto. Senza della quale, anche se ancora respirasse, sarebbe comunque già morto. Tale inquietudine probabilmente ha inaugurato l’avventura del piccolo d’uomo, una delle razze discendenti da un certo primate. Dal grido articolato, ai graffiti nelle caverne, fino al riso, al pianto, alla festa. Gli antichi Greci chiamarono il pensiero, e il sentimento insieme, filo-sofia, amore della saggezza. La saggezza (sofia) è per i greci infatti sollevarsi dalla soddisfazione e dallo scacco immediati per accogliere l’unità del diverso, l’unità del molteplice. La forza per cui il protozoo si è differenziato, per cui il pesce è diventato anfibio, per cui le pinne sono diventate braccia e la pancia della femmina prima casa per l’individuo: questa forza è la stessa forza per cui si è generata e sta insieme la Messa da requiem di Mozart, le ouvertures di Rossini. C’è della filosofia –una grande filosofia- in questi musicisti. Ed è il loro soggiacere e acconsentire, il loro dire di sì a tale sovrumana forza unitiva per cui l’essere umano, in una bellezza esaltante, è sequestrato e restituito a se stesso . La filosofia oggi? il problema non è l’oggi, ma che gli esseri umani cessino di guardarsi l’ombelico o di perdersi ascoltando il canto delle sirene. Che cioè siano all’altezza della loro inquietudine. Cartesio, all’inizio del Discorso sul metodo, parla del buon senso, o ragione, come la capacità di discernere il vero dal falso, di giudicare rettamente. Imparare a riconoscere “Il metodo” adatto per raggiungere la verità, evitando falsità. Può, la filosofia, aiutare nella ricerca del metodo corretto? Questa domanda è mozzafiato. Si tratterebbe infatti di distinguere il vero dal falso, il bene dal male. Impresa a prima vista difficilissima per l’essere umano. Che cosa è il vero? Definiamolo provvisoriamente: l’incontro con le cose. Che cosa è il bene? Definiamolo, anche qui provvisoriamente, come lo definisce Platone: il bene è ciò che si conosce della unità (Filebo). Ma come é possibile conseguire il vero e il bene? Nella domanda si adombra il problema del metodo, cioè di una via, concettuale e pratica. Si può imparare il metodo per conoscere la verità? Si può imparare la virtù per raggiungere la saggezza? Descartes indica una strada per orientarsi nel problema. Distingue la rappresentazione dalla verità. Il soggetto conosce le sue rappresentazioni della realtà, non la realtà stessa che è strutturalmente al di là di sé. Se la realtà supera l’uomo allora la verità (l’incontro dell’uomo con la realtà) non può essere un possesso controllo razionale e cosciente. Il soggetto contemporaneo, succeduto al soggetto cartesiano, è un soggetto che è dis–locato rispetto alla verità, un soggetto che può incontrarla nella forma della domanda e/o di una alterità che si dona. Oscar Wilde ha scritto: “A dar risposte son capaci tutti, ma è a porre le vere domande che ci vuole un genio”. E’ ancora importante, al giorno d’oggi, porsi delle domande quando, ovunque ti giri, puoi entrare in contatto con infinite risposte, efficaci o meno che siano? La domanda è effettivamente una struttura fondamentale del pensiero. Nella prima pagina del dialogo De magistro Sant’Agostino afferma che “chi domanda veramente insegna e chi insegna veramente domanda”. Questa proposizione è incomprensibile per la mentalità odierna. Se uno è in grado di insegnare, perché dovrebbe domandare? Domandare implica un non sapere e se uno non sa non può insegnare. Agostino, da filosofo neo-platonico ed anche da credente, ritiene che ilsapere non sia un possesso da parte di un soggetto. Il problema che ho davanti a me, il mio simile che ho davanti a me, non sono oggetto di un mio dominio: mi suscitano al tempo stesso che io li suscito. Il senso, la “verità” stessa di ciò che dico è più grande di me, mi precede ed io posso rapportarmi ad essa come un “non mio”. Perciò chi insegna, il “maestro” dà ciò che non ha. Inversamente chi domanda, il “discepolo”, anche lui, non avendo “in proprio” il sapere, non sapendo, obbliga il maestro a collocarsi nel punto sorgivo del sapere, che è un non proprio per entrambi. Questa dinamica vale ancor più potentemente oggi, in una società che cerca certezze, cioè risposte, rassicuranti, più che domande. Ma è la domanda che genera, che è attiva e feconda, proprio nel suo esporsi, accettarsi “spiazzati” rispetto ad un ideale di controllo e di dominio. Quali sono i filosofi viventi e in attività che rimarranno nella storia della filosofia e quali i nodi filosofici fondamentali che saranno ricordati nel dibattito filosofico del XXI secolo? In una società di fine millennio in cui tutto è detto e al tempo stesso niente si dice, l’impresa, alla lettera,memorabile è pensare l’ordine del linguaggio. Per ordine non intendo solo classificazione, sistema, ma intendo il senso latino, che è anche quello italiano, di ordo. Ordo in latino significa filare di alberi, gruppo, spiegamento di truppe, ma ancheingiunzione, minaccia, appello. Sono stati filosofi radicalmente tali coloro che hanno tentato di pensare il legame tra queste due accezioni del termine ordine. Ritengo che la “verità” del discorso non risieda in ciò che si dice, neldetto, ma nel luogo in cui si dice. Luogo del discorso significa movente, origine, causa , ma anche destinatario. I grandi filosofi nell’ora presente ritengo siano coloro che sono in grado di mettere a fuoco e lavorare sulle dinamiche di questo luogo, cioè dare strumenti per accedere ad un nozione di razionalità e di discorso che non sia mera astratta e controllabile procedura. Razionalità e discorso sono un atto che include, strutturalmente, il suo movente e il suo destinatario. In questo stile di pensiero è possibile identificare l’essere umano come strutturato attorno a un sì, o a un no, ingredienti essenziali di una parola non autoreferenziale, che possa ospitare l’altro, la alterità. Dei nomi? Adorno, Levinas, Bachelard, De Certeau, Derrida, e forse anche altri che potranno essere riconosciuti nel tempo di una lettura.
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gregor-samsung · 3 years
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“ Agli inizi del Novecento in Nicaragua non esisteva una lingua dei segni nazionale. Le lingue dei segni sono lingue a tutti gli effetti, come quelle vocali. Ogni comunità di parlanti ha la propria. Le persone sorde nate in Nicaragua, isolate l’una dall’altra, erano spesso considerate alla stregua di ritardati mentali. Quando nel 1979 il governo istituí le prime scuole per sordi, si cercò di insegnare la lettura delle labbra ai bambini, ma senza alcuna efficacia. Steven Pinker, un grande scienziato cognitivo del nostro tempo, afferma però che, nonostante gli scarsi risultati ottenuti dagli insegnanti, i bambini riuscirono a cavarsela da soli: «Sui campi da gioco e sui pullman scolastici, i bambini inventarono un proprio linguaggio dei segni, ricavandolo dai gesti in parte improvvisati che usavano a casa con le loro famiglie. Dopo poco tempo, il sistema si stabilizzò in quello che oggi si chiama Lenguaje de Signos Nicaraguense (LSN). Attualmente l’LSN è usato, con diversi gradi di scorrevolezza, dai giovani adulti sordi di età compresa tra i diciassette e i venticinque anni, che lo crearono quando avevano dieci anni o piú» (S. Pinker, The Language Instinct, 1994). Che cosa ci racconta questa storia? Che la natura vince sull’ambiente. Anche se stimolati scorrettamente, i bambini avevano il lusso della socialità [...]. Grazie alla loro reciproca interazione, hanno sviluppato un linguaggio che «veniva dall’interno». La natura umana, la regina tra le entità teoriche indagate dalla filosofia, si stava facendo sentire. Oggi i linguisti sono sostanzialmente d’accordo nel ritenere l’LSN una sorta di Pidgin. L’LSN sarebbe una «lingua di contatto» nata spontaneamente per rimediare a una situazione di emergenza in cui un gruppo di bambini socializzanti tra loro era sprovvisto di qualsiasi sistema di comunicazione. Sorprendentemente, i bambini esposti all’LSN hanno ampliato la sua struttura grammaticale e l’hanno resa una lingua equiparabile a tutte le altre lingue del mondo (segniche e non segniche). In relazione a questa seconda fase di ampliamento, Bickerton ha lanciato la sua vera e propria sfida a Noam Chomsky. L’evoluzione del Lenguaje de Signos Nicaraguense si chiama ISN, cioè Idioma de Signos Nicaraguense, ed è a pieno titolo una forma di Creolo creato dai bambini che sono venuti in contatto con il Pidgin (LSN) durante il periodo in cui normalmente si impara la propria lingua madre. Creolizzare significa assegnare all’ambiente un ruolo nello sviluppo autonomo, diciamo «emergente», della natura umana – in questo caso della sua componente linguistica. Infatti, la creolizzazione è il fenomeno di sviluppo autonomo di un linguaggio semplice in uno complesso. Questo fenomeno sembra confermare una delle principali tesi di Bickerton, secondo la quale i bambini hanno la totalità del merito nella creazione della lingua ISN. I piccoli, infatti, non hanno avuto la possibilità di sentire o vedere altre lingue naturali umane da cui trarre gli elementi grammaticali necessari per la creolizzazione. Non esistevano comunità sorde che parlassero altre lingue rispetto alla LSN, che ha una struttura simile a quella di un Pidgin gergale e non contiene nessuno degli elementi lessicali, grammaticali e fonologici presenti in ISN. Il Creolo segnico del Nicaragua ha implicazioni filosofiche decisive, perché sembra impossibile che i bambini abbiano imparato da altre lingue umane ciò che «hanno innestato» nella nuova lingua. Nati e cresciuti sordi, sono sempre stati esposti soltanto alla LSN e alla sua povertà espressiva. La tesi rivoluzionaria di Bickerton è che il Creolo, con la sua struttura astratta, sia in qualche modo la lingua originaria della specie umana. “
Leonardo Caffo, La vita di ogni giorno. Cinque lezioni di filosofia per imparare a stare al mondo, Einaudi (collana Super ET - Opera Viva); 2016. [ Libro elettronico ]
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aitan · 7 years
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Ma chi l’ha detto che le competenze prescindono dalle conoscenze? La didattica per competenze correttamente intesa è un approccio che tiene conto dei mutamenti della società del XXI secolo, ma non pretende di formare le nuove generazioni senza trasmettere conoscenze e senza offrire agli alunni coordinate per orientarsi nel mondo. Il presupposto è far acquisire conoscenze permanenti e incrementare le competenze degli alunni attraverso una didattica improntata sul fare. Non so se davvero la scuola italiana (elitaria, classista) sia stata mai la migliore del mondo, ma di certo quella scuola là non può essere la scuola del terzo millennio. Per molti versi (pur essendo diventata pubblica e di massa) la nostra è ancora una scuola del XIX secolo in cui insegnanti del XX secolo si affannano a formare le nuove generazioni del XXI secolo usando metodi che risalgono al 1700. Ma lei si affiderebbe a un dentista che la ospitasse in uno studio ottocentesco, con attrezzi antiquati e sanguisughe per tirarle il sangue dalle vene? Farebbe nascere suo figlio in casa tirato su col forcipe? Li laverebbe i panni con la cenere? Ecco la scuola italiana del terzo millennio fa questo, opera in ambienti antiquati, con banchi che qualche volta hanno ancora il buco per il calamaio, sedioline traballanti, lavagne in ardesia e insegnanti che entrano in classe senza una formazione specifica e ripetono ad libitum i metodi e i sistemi di insegnamento e valutazione che hanno visto usare dai loro vecchi professori, i quali li avevano visti usare dai loro vecchi professori, i quali li avevano visti usare dai loro professori, i quali… Poi ogni tanto qualcuno si sveglia o viene a sapere di cose che succedono in mondi freddi e lontani e comincia a parlare, così per sentito dire, di competenze, coding, compiti di realtà… E allora è chiaro che, senza una formazione specifica, pare tutta una moda. Fare in modo che gli alunni sappiano fare un’analisi testuale, per esempio, non può prescindere dal far acquisire loro la conoscenza dei generi letterari, delle figure retoriche, della metrica, delle coordinate culturali che ti permettono di riconoscere l’appartenenza di un autore a una determinata corrente letteraria… Ci sono prerequisiti che sono imprescindibili (il problema è studiare come far acquisire questi prerequisiti; il che non vuol dire far memorizzare nozioni, ma far incrementare l’enciclopedia personale di ogni alunno, quella che ha disponibile per sempre, e non solo per affrontare un’interrogazione orale). Peraltro, è una competenza (e non una conoscenza) anche la capacità di saper leggere le lancette di un orologio, come ci insegnavano alle gloriose scuole elementari del tempo che fu; il che dimostra che anche la vecchia scuola italiana non era tutta basata sulle conoscenze. Soprattutto il vecchio liceo classico (quello che formava la classe dirigente), non insegnava solo le declinazioni greche e latine e la vita e le opere di Cicerone e Demostene, ma soprattutto offriva agli alunni le competenze per leggere un testo in lingua latina o greca, ragionare sulla sua struttura e tradurlo in buon italiano. E anche lo studio della filosofia e della letteratura non si basava su semplici nozioni da imparare a memoria, ma tendeva a fornire capacità di ragionare sui sistemi, operare confronti, esprimere giudizi critici… Infine, non è affatto vero che “i nativi digitali sono così bravi con la tecnologia”… Dall'avvento dei social network, il più delle volte, l'uso che fa un ragazzo dell'informatica si limita alla lettura e al copia e incolla di stati su Facebook oppure a fare clic in modo più o meno indiscriminato sul tastino del “like”. Inoltre, i cosiddetti nativi digitali sono spesso incapaci di fare una seria ricerca in internet o anche di inviare una semplice mail o formattare un testo in modo chiaro ed adeguato. Usare le nuove tecnologie in ambito scolastico deve servire anche a insegnare a distinguere il grano dal loglio, a dare gli strumenti per discriminare e mettere in connessione dati ed eventi, a far capire agli alunni quanto possa essere inefficace e perfino ambiguo un linguaggio impoverito anche quando si comunica attraverso una chat, un SMS o altri servizi di messaggistica istantanea. Lo stesso coding non si limita a trovare soluzioni secondo quanto predeterminato da un programma informatico, ma implica lo sviluppo di una creatività e di una capacità personale di risolvere problemi. La tecnologia, se ben insegnata, non punta a produrre meri esecutori di programmi scritti da altri, ma a formare creatori di algoritmi che necessitano, appunto, di creatività per trovare soluzioni molteplici e diverse ai problemi che vengono via via sottoposti. Insomma, sono anch’io consapevole della crisi del nostro attuale sistema formativo. Ma credo che l’introduzione di una didattica per competenze, insieme con un uso critico e consapevole delle nuove tecnologie, serva proprio a limitare i danni. Altrimenti rischiamo di lasciare i ragazzi soli davanti a Facebook, nelle loro camere, e di fare della scuola una parallela che non si incontra con la realtà delle vite delle nuove generazioni.
La mia risposta, un po' lunga, in verità, a una lettera del prof. Girolamo su alcune delle innovazioni didattiche che si stanno introducendo nella scuola italiana. (via OrizzonteScuola.it)
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Nuovo post su http://www.fondazioneterradotranto.it/2019/01/12/libri-quannu-te-cunta-u-core/
Libri| Quannu te cunta ‘u core
Sabato 12 gennaio 2019, alle ore 18.00, a Lecce, presso la sede dell’associazione Cecyntè (Piazza Duca d’Atene, 6), si terrà la prima presentazione di “Quannu te cunta ‘u core”, la nuova raccolta poetica di Ada Garofalo, edita da Musicaos Editore.
Interverranno il dott. Ilio Torre, psicologo e esperto di Psicologia Quantistica e l’editore, Luciano Pagano, che dialogheranno con l’autrice. Un inedito connubio inedito di “dialetto e jazz”, nel quale i versi letti dall’autrice e da Franco Manni (attore, autore e regista), si uniranno alla musica del sassofono di Fulvio Palese.
L’evento inaugura gli incontri de “Il Salotto di Cecyntè” dove gli artisti, nello spirito proprio del luogo, avranno modo di incontrarsi, arricchirsi, scambiare e nutrire esperienze. La lingua dialettale è materna, identitaria, ricchezza di suoni che nascono dall’anima, con lo stesso spirito con cui nasce la musica jazz; da qui l’incontro, anzi, gli incontri con il sassofono di Fulvio Palese e con le letture di Franco Manni, scrittore e regista di opere in vernacolo, attore e collaboratore storico di Ada Garofalo, sul palcoscenico. Parte del ricavato sarà destinata al Progetto Shala-tribalosophy in Kenya.
La poesia di Ada Garofalo dipinge con il dialetto salentino ciò che accade nel mondo, in una trasposizione fedele dei paesaggi e dei luoghi del ricordo. La realtà che l’autrice racconta è tangibile, e racchiude un invito a riconoscersi per fare ritorno a sé. Il dettato del cuore, che erompe senza avviso, non può esprimersi senza che prima non si sia creato, in noi, il silenzio. È il silenzio di una notte scura, rischiarato dalla luce della luna, capace di descrivere il momento in cui le forze sembrano mancare, svanito il desiderio stesso di raccontare; un viaggio, quello del lettore, che al suo terrmine lo ritroverà mutato, faccia a faccia con la propria anima, “cu’ l’anima/ ca chiama,/ ca sta tantu vicina/ … e me parìa luntana” (E me parìa luntana). Il punto di partenza e quello di arrivo coincidono, per chi avrà la consapevolezza che tutto è vita, il principio e la fine, lo spazio e il tempo, i ricordi, la tenebra del buio e la luce fioca, gli affetti più cari e i legami che si frantumano. L’autrice ci avrà dimostrato che il silenzio, anche quello più sottile e prezioso, non merita di essere scalfito, a meno che le parole non provengano dall’intimità del proprio cuore.
“Cecyntè” è una Dimensione fatta di accudimento, gentilezza, inclusione, assenza di giudizio, espansione, amore nelle piccole cose (prima che nelle grandi) e che pertanto potrebbe avere sede ‘reale’ nello Spazio del Cuore. “Cecyntè”, attraverso le sue attività, vuole semplicemente diffondere un messaggio ai suoi compagni di viaggio: l’augurio che ognuno di noi possa riscoprire dentro di sé, per poi condividerla con il resto dei mondi, questa Dimensione (Ceci-in-te).
Fulvio Palese è saxofonista, compositore, arrangiatore. Musicista poliedrico, ha studiato saxofono presso il Conservatorio di Lecce ed è dottore di ricerca in filosofia presso l’Università del Salento. Suona indifferentemente tutti i saxofoni dal sopranino al basso ed il clarinetto basso.
Ha approfondito lo studio del jazz fra gli altri con Roberto Ottaviano, Jimmy Owens, George Cables, Cameron Brown, Javier Girotto ed ha seguito masterclass di saxofono classico con Federico Mondelci, Antonio Jimenez Alba, Maurice Moretti, Mario Marzi.
Organizzatore e direttore artistico del festival “Il Jazz Sale” (Torre Suda – LE). Direttore artistico per la parte musicale del Mercatino del Gusto dal 2002 al 2007. Attualmente è ideatore e direttore artistico dell’Hypogeum Jazz Festival. Ha svolto e svolge un’intensa attività orchestrale in veste di sax solista con l’Orchestra Sinfonica di Lecce, l’Orchestra di Terra d’Otranto, l’Orchestra della Magna Grecia (Taranto), l’Orchestra Nazionale dei Conservatori, l’Orchestra Filarmonica “Nino Rota”, l’Orchestra fiati del Conservatorio di Lecce, la Swing Orchestra del Conservatorio di Lecce, la Small Jazz Orchestra del Conservatorio di Lecce. Molte le collaborazioni cinematografiche e teatrali in veste di compositore ed esecutore, fra cui: Cristina Comencini “Liberate i pesci”, Giovanni Veronesi “Manuale d’amore 2”, Andrea Coppola “2×2”, Michele Placido “Salento viaggio di poesia”, Vincenzo Bocciarelli “Mozart cocholate” e “Volo fra musica e parole”, Astragali Teatro, “Le vie dei canti”, Nanni Moretti,”Concerto Moretti”.
Attualmente è docente di saxofono jazz presso il Conservatorio “T. Schipa” di Lecce, docente di saxofono presso il Liceo Musicale “G. Palmieri” di Lecce, docente di saxofono presso l’Accademia DAMUS di Lecce e l’Istituto comprensivo “I. Calvino” di Alliste e docente di Improvvisazione e musica d’insieme jazz presso l’Associazione “Amici della musica” di Presicce. Tiene regolarmente seminari e masterclass di armonia e improvvisazione jazz.
L’autrice.
Ada Garofalo nasce il 18 maggio 1955 a Racale, in provincia di Lecce, dove attualmente vive. Dopo gli studi classici frequenta la Facoltà di Farmacia a Napoli, percorso che nel ’78 interrompe, sposandosi e trasferendosi a Milano, e laureandosi poi in Servizio Sociale presso l’Università degli Studi di Trieste. È madre di tre figli. Dipendente dell’Azienda Sanitaria Locale di Lecce, lavora da sempre nel campo della neuropsichiatria infantile.
Nel privato, fin dai primi anni novanta, si occupa di teatro e si appassiona alla lingua salentina, ricoprendo attualmente, e ormai da tempo, il ruolo di Presidente dell’Associazione Teatrale “Sinonimi e Contrarie” (ex Teatr’Insieme di Racale). È interprete e coautrice, insieme ai suoi storici compagni di viaggio (Maristella Gaetani, Gerardo De Marco, Franco Manni e, fino al 1996, Francesco Causo e Giampaolo Viva) di eccellenti lavori teatrali in vernacolo (a volte inediti, a volte liberissimi riadattamenti di opere già note), lavori rappresentati, con grande successo di pubblico e di critica, nei migliori teatri salentini: ‘A lingua t’‘a gente (1993); A ci tantu… a ci nenzi (1995); Gelosia … cci malatia (1996); Cchiù niuru te cusì… nu’ putia vanire (1998); T’aggiu spusata, sì… ma sapia ca eri murire (2000); Pelo e contropelo… e permanente per signora (2003); Quannu ‘u tiaulu ‘mpizza ‘a cuta (2004); Salvatore e i suoi fratelli. Lecce, Charleroi, Parigi, Toronto e ritorno (2010).
L’Associazione “Teatr’Insieme”, poi “Sinonimi e… contrarie”, dal 1996 fa parte e partecipa alle iniziative organizzate dal “Centro Studi R. Protopapa per la difesa e la promozione del Teatro e della Cultura popolare Salentina”.
Nel 2004, come componente del Centro Studi, Ada Garofalo partecipa insieme a Maristella Gaetani, ai lavori teatrali allestiti e rappresentati dai detenuti nella Casa Circondariale Borgo San Nicola di Lecce (“Pe’ nu piezzu te pane” e “Il figlio dell’Altissimo” di Giacomo Profilo); successivamente è tra gli interpreti, con alcuni detenuti, del lavoro “Secondo Qoèlet, dialogo tra gli uomini e Dio”, di Luciano Violante, per la regia di Giacomo Profilo, rappresentato nel Comune di Campi Salentino e al Teatro Politeama Greco di Lecce.
Nel 2005 partecipa al lavoro teatrale “Quannu foi ca muriu lu Pietru Lau”, liberamente tratto dai “Canti te l’autra vita” di G. De Dominicis, rappresentato al Teatro Politeama Greco di Lecce.
Nel 2014 pubblica, per i tipi di Grauseditore, “Gallinelle e nodi. Sabbia e poesia”, una raccolta di testi in versi e prosa, definita come “un viaggio che si snoda tra le pagine per esplorare la vita” (Valeria Naviglio), o come “un volo pindarico… un viaggio tra i pensieri… particolarmente intenso e profondo… uno stile letterario raro e prezioso” (Paola Bisconti), o ancora “La rivoluzione della semplicità… una raccolta di liriche che trasudano vita… anche quando dall’italiano si passa a quel sanguigno pugliese, ritmato al punto da ricordare i grandi maestri greci” (Sabatino Di Maio), o infine “Una preghiera laica, insonne, sommessa, moderna, di una donna del XXI secolo… un libro che si regge sulla parola… delicato, intimista… intrigante” (Francesco Greco).
Informazioni: Cecyntè, 3381218128 [email protected]
Musicaos Editore [email protected] www.musicaos.org tel. 0836.618232 / 3288258358
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erik595 · 6 years
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Pubblicato per la prima volta nel 1651, il #leviatano definisce tutte le logiche e le categorie della modernità, inclusa la loro duplicità e contraddittorietà. Superare la firma di Stato descritta in queste #pagine resta una delle grandi sfide del XXI secolo. #thomashobbes #hobbes #libro #libri #libros #book #books #filosofia #filosofiapolitica #author #autore #libriclassici #classicbooks #writer #escritor #scrittore #bookstagram #bookish #bookporn #bookworms #instabooks #instalibri #pages #paginas #library #libreria #consiglidilettura #libriconsigliati https://www.instagram.com/p/Bo1lxkwFzwU/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=1v7i2mk55koah
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coachcountilfour · 6 years
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Non hai la minima idea di quello che hai perso
Io non sono una persona usuale
Hai vissuto di me una scintilla
Una misera e labile scintilla
È così fragile il mondo che ti sei costruito, sei in una immensa torre d'ambra
È tutto perfetto, devo ammetterlo
Hai fatto incastrare tutto alla perfezione e sono sicura che ad un certo punto ti autoconvincerai che la vittoria è esattamente quella, ti guarderai intorno e sarai soddisfatto, fiero di non aver ceduto alla verità, contento di non aver rischiato mai niente, perfettamente in armonia con il non provare emozioni e il non riuscire nemmeno più a comprendere che la materialità di una vita così è quanto ci sia di più degradante per la vita umana
Sai, da secoli l'uomo vive e va avanti cercando di raggiungere l'oltre, ci prova, insiste, è tutto ciò a cui naturalmente tende, distaccarsi dal concetto di spazio e tempo è tutto quello che cerca quando vive qualcosa, attimi di felicità no?
Penso che non ci sia niente di più diverso della materia e della felicità, due stati così opposti da rendere quasi ridicola l'affermazione 'Oggi ho comprato questo nuovo vestito, sono felice.'
È questo il livello a cui ci diamo abbassati? Platone ci riderebbe in faccia, gli verrebbe da vomitare, anni e anni di filosofia in questo cazzo di XXI secolo li stiamo buttando nel cesso, completamente assorti dal crearci una vita esattamente cubica, simmetrica, precisa, linee geometriche ferme nello spazio, senza direzioni, senza cognizioni di causa, tac tac e facciamo tutto
Ci troviamo un lavoro rispettabile magari senza nemmeno sforzarci troppo, qualcosa di buono per gli altri magari così ci convinciamo che almeno dedicare tutta la nostra vita al lavoro possa renderci utili e non per fare del bene a qualcun'altro ma per sentirci meno falliti noi
Ci fidanziamo con una persona quanto più simile a noi, in modo da non avere chissà quali problemi di analisi dell'altro, si dovesse cadere troppo alla ricerca dell'anima di un'altra persona, ci si vuole bene, ci si stima, una persona che sia in grado di badare a noi, che sia lì ferma come un bel quadro su di un comodino, come un elettrodomestico a cui ci siamo particolarmente affezionati perché senza ci dovremmo anche alzare per pulirci il fondoschiena
Ci creiamo un'immagine niente male, capelli apposto, corpo in forma, mangiamo tofu e avocado
E tac eccola la vita perfetta, la grande felicità che tutti gli uomini cercano
Come?
È triste?
Non vi sembra niente di bello?
Platone, mio caro Platone, si sono dimenticati cosa significhi vivere e amare davvero, non rischiano, non cadono, non cercano niente, niente...
Poveri greci, quanto inorridirebbero di fronte alle vite che cerchiamo strenuamente di costruirci
A me tutto questo fa voglia di avere una vita quanto più imperfetta possibile
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redazionecultura · 6 years
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Dialoghi tra filosofia e scienza: incontro con Massimo Cacciari e Mario Rasetti
Dialoghi tra filosofia e scienza: incontro con Massimo Cacciari e Mario Rasetti
Ancora un incontro speciale per approfondire i temi della mostra Gravity. Immaginare l’Universo dopo Einstein, nata dalla inedita collaborazione tra MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo, ASI Agenzia Spaziale Italiana e INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.
Questa volta saranno un filosofo, Massimo Cacciari, e un fisico e matematico, Mario Rasetti, a confrontarsi su temi etici,…
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