Tumgik
#con fermezza
falcemartello · 2 months
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Ipocrisia occidentale
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Certo che è strano.
Proprio coloro che sono costantemente impegnati ad agitare lo spettro del ritorno del fascismo organizzano una fiaccolata in memoria di un neonazista.
Proprio coloro che difendono la causa LGBT omaggiano colui che, prima di una improvvisa "redenzione", esprimeva idee marcatamente omofobe.
Proprio coloro che ci parlano di accoglienza ed abolizione dei confini, propongono di intitolare una via ad un fervente xenofobo che proponeva la deportazione (se non di peggio) per gli immigrati.
Proprio coloro che negli ultimi due anni hanno sacrificato il nostro Paese sull'altare della "democrazia e sovranità ucraina", ergono a eroe un personaggio per il quale l'Ucraina semplicemente non avrebbe nemmeno dovuto esistere in quanto russa.
Proprio coloro che "c'è un aggredito e un aggressore" eleggono ad esempio per tutti un signore che nel 2008 aveva appoggiato con fermezza la guerra in Georgia.
Proprio coloro che non hanno avuto nulla da ridire sul livello di democrazia di un Paese - l'Ucraina - dove, tra le altre cose, sono stati aboliti 14 partiti d'opposizione, oggi chiamano martire un soggetto che nel suo Paese era stimato ed appoggiato da percentuali della popolazione vicine allo zero e che era osannato soltanto dai media occidentali.
Nessuno di coloro che oggi si straccia le vesti per Naval’nyi ha speso una parola per Gonzalo Lira, Andrea Rocchelli o Julian Assange (solo per fare alcuni nomi).
Questo perché Naval’nyi è effettivamente il simbolo dell’Occidente. Il simbolo della sua ipocrisia.
(Giacomo Del Pio Luogo)
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fuoridalcloro · 7 months
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Non avere niente che ci infiammi e ci sproni, niente che metta alla prova la nostra fermezza d’animo con le sue minacce e i suoi assalti, ma giacere in una tranquillità imperturbata non è quiete: è apatia.
- Lucio Anneo Seneca -
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gregor-samsung · 1 month
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" Mentre gli oligarchi venivano costretti ad accettare le nuove regole del Cremlino, esistevano nel Paese altri boiari. Erano i governatori degli oblast e dei kraj, potenti notabili eletti localmente che avevano trasformato la loro provincia in un feudo personale e trattenevano per sé, con vari pretesti, il gettito delle imposte locali. Questo federalismo russo risaliva all'epoca di El’cin e Putin attendeva da tempo l’occasione per restaurare il potere centrale. Decise di agire dopo l’attentato alla scuola di Beslan in Ossezia. Fra i due problemi, quello del terrorismo ceceno e quello delle autonomie locali, non esisteva alcuna relazione, ma il presidente russo capì che l’eliminazione dei governatori sarebbe stata più facilmente accettata se decisa in un momento in cui la società russa si sentiva minacciata. Il potere dello Stato russo ha bisogno di un forte consenso popolare, ma il consenso è tanto più forte quanto più il leader, nei momenti cruciali, dimostra di sapere agire con autorità e fermezza. Da allora i governatori sono soltanto prefetti nominati dal governo e, beninteso, scelti dal Cremlino. L’opinione pubblica approvò la sua politica.
Quelli che rimpiangevano le garanzie del sistema sovietico assistettero con piacere alla decapitazione degli oligarchi e furono lieti di constatare che il governo faceva una politica sociale più generosa e attenta alle loro esigenze. Quelli che temevano il terrorismo islamista e la nuova criminalità videro in Putin un salutare ritorno all'ordine. Mentre la nuova intelligencija deplorava lo stile autoritario del presidente uscito dal Kgb e sognava una democrazia occidentale, la grande massa dei russi salutava con piacere il nuovo Cremlino. La Russia è troppo grande e troppo scarsamente popolata per adattarsi felicemente a un sistema in cui si discute, si litiga, si fanno battaglie civili per la conquista di nuovi diritti e si accetta volentieri, per il gusto della libertà, quel margine di litigiosità e instabilità che è quasi sempre il prezzo della democrazia. La Russia è troppo patriottica e sospettosa del mondo esterno per non apprezzare lo stile di un leader che vuole riconquistare il prestigio del suo Paese nel mondo. Si danno voti a Putin in Russia per la stessa ragione per cui Gorbacëv, il «distruttore dell'Urss», nelle elezioni presidenziali del 1996 ebbe lo 0,52% dei suffragi. "
Sergio Romano, Putin e la ricostruzione della grande Russia, Longanesi, 2016¹. [Libro elettronico]
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vanbasten · 5 months
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in realtà l’intervista di maldini arriva proprio al momento giusto perché molti avevano bisogno di ricordarsi cosa sia il milan e come si dovrebbe comportare una squadra di calcio con valori e principi, l’opposto di quello che sta facendo adesso. i momenti difficili ci sono sempre ma c’è una grande differenza tra esserci dentro e volerne uscire e esserci dentro e lasciarsi trasportare dal flusso degli eventi perché non si ha la fermezza e il coraggio di imporsi, cose che solo un approccio umano può fare risollevare.
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luluemarlene · 3 months
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Altamente trasgressiva la sborrata di Oreste nelle mutandine, sarebbe stato un talismano ed una compagnia o una punizione se lui si fosse avventurato con la lingua nelle zone intime? Intrigante situazione. Comunque si percepiva la tua fermezza nel non concedergli spazi …
Madonna. Ma quanto mi sarebbe piaciuto farglielo fare, combattuta se dirglielo o meno e lasciare che fosse lui a decidere se sentirsi punito o grato
Farmi levare via l'Oreste a colpi di lingua.. Cristomadonna
Mi hai infiammata! 🔥
Mi era già stato più o meno suggerito ieri da uno di voi.. Cazzo di depravati che non siete altro 😋😋
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perpassareiltempo · 2 months
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Avanti, baciami, baciami tantissimo, fino al dolore e al sangue. La fermezza non va d’accordo con l’onda effervescente del cuore.
Sergej Aleksandrovič Esenin
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sofysta · 2 months
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Avanti, baciami, baciami tantissimo/ Fino al dolore e al sangue/ La fermezza non va d’accordo con l’onda effervescente del cuore.
Sergéj Esénin
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dinonfissatoaffetto · 3 months
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Avanti, baciami, baciami tantissimo,
Fino al dolore e al sangue.
La fermezza non va d’accordo
Con l’onda effervescente del cuore.
- Sergéj Esénin
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Forough Farrokhzad (Teheran, 5 gennaio 1935 – Tafresh, 13 febbraio 1967), poetessa iraniana.
Sfidando le autorità religiose, espresse con fermezza sensazioni e sentimenti della situazione femminile nella società iraniana degli anni cinquanta-sessanta, contribuendo al rinnovamento della letteratura persiana del '900. Morì in un incidente stradale tornado da una visita alla madre. La sua poesia fu vietata dalla rivoluzione islamica del 1979.
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alessiamalfoyzabini · 11 months
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Sense and Sensibility
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↳ summary: Una notte in preda all'alcool e alla lussuria, dimenticando ogni cosa, tra cui la più importante.
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pairing: Park Jimin x f.OC
genre: angst, smut
word count: 2.928
warnings: menzioni di tradimento, sesso orale, sesso vaginale, amore non corrisposto
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Tutto ciò era sbagliato, Jimin ne era consapevole, ma non avrebbe smesso. Ci era voluto un po’ per decidersi, Alya era ferita dal comportamento scostante di Jungkook e lui ne stava approfittando.
Viscido.
Ma sentiva dentro di sé un forte ruggito che voleva essere liberato, nelle sue vene non scorreva più sangue, ma lava bollente. Tutto di lei lo attraeva, non riuscì a capire perché anni prima non aveva provato le stesse sensazioni, al momento non riusciva a ragionare lucidamente.
Forse perché il suo amico era riuscito a far breccia nel cuore della ragazza per primo. La Russia era un luogo freddo, il calore del Maknae aveva affascinato quella bellezza di ghiaccio, oscurando totalmente il resto delle persone intorno a sé. Per Jimin era stata una delusione? Certamente sì, ma per molto tempo riuscì a distrarsi, spesso cambiando fidanzata. Non riuscendo mai a trovare qualcosa di giusto in ognuna di loro, tutto stonava, sempre. E detestava le note imperfette, perché anche lui, di conseguenza, si sentiva imperfetto.
Tornò alla realtà, scoprendo quanto in verità fosse calda quella stessa donna che anni prima gli era parsa così fredda e distaccata, capace di sciogliersi solo in presenza di un buffo ragazzo con il sorriso da coniglietto. Lo stesso ragazzo che ora la guardava e non provava più l'intenso e struggente amore di un tempo, amore che lo aveva portato a innumerevoli discussioni con i suoi genitori.
Ricoprì il suo collo di baci febbrili, quella pelle chiara e morbida si stava rivelando dannatamente eccitante.
L’avrebbe ricoperta di marchi.
«Mmh» mugugnò la ragazza quando le labbra dell’uomo si fecero più insistenti in un punto specifico del collo, sopra la vena pulsante, le stesse labbra che mordicchiarono e succhiarono con sempre più forza, lasciando un enorme segno violaceo a testimoniare il suo passaggio e un velo di saliva a ricoprirlo simile ad una pellicola, come a voler calmare il bruciore causato dagli insistenti morsi.
I loro cuori battevano all'unisono, erano due anime sole e alla ricerca disperata di qualcuno capace di apprezzarli per davvero. Forse per i fumi dell’alcool, forse per l’emozione di essere stretta tra le braccia di un uomo dopo tanto tempo, lo sguardo di Alya si fece più languido, e leccandosi sensualmente le labbra aprì di poco le gambe, quel tanto che bastava per lasciar spazio a Jimin.
Il ragazzo non era ubriaco, riusciva ancora a capire gran parte della situazione. Quando l’aveva riportata a casa non credeva di poter davvero permettersi di andare oltre, ma lei era stata fin troppo chiara.
❝ Scopami, non mi importa come, tu fallo.❞
Forse proprio per fare un dispetto a Jungkook. Quel che non sapeva, è che a soffrire in quel momento era proprio Jimin, l’oggetto che anelava ad essere usato.
Con le mani sfiorò il suo corpo, soffermandosi sul seno, non era di chissà quale eclatante taglia, ma piccolo e sodo.
Grazioso. Fatto per le sue mani.
Alya seguì le sue mosse con trepidazione, era da molto tempo che non aveva rapporti con il sesso opposto, si sentiva spaesata e insoddisfatta, però avrebbe seguito il gioco di Jimin se significava provare piacere. Tutte le ragazze andavano pazze di lui per le sue doti da amatore, e finalmente anche lei avrebbe gustato quelle piccole ed agili mani.
«Che ne dici se togliamo questo?» le sussurrò all’orecchio, strattonando con fermezza il bordo del suo abitino succinto, annuì ma Jimin in realtà non aveva bisogno di una sua risposta per continuare.
I suoi occhi non lasciarono le labbra succose di lei, il loro colore così rosso acceso era una tentazione per il biondo, ma non poteva. Si sentiva trattenuto da qualcosa.
Jungkook. Stava facendo del male a Jungkook, quella era ancora la sua ragazza.
Con una lentezza spropositata cominciò a far risalire il vestito lungo le cosce candide e toniche, gli piaceva la sensazione delle sue mani che toccavano quelle parti abbondanti di carne, era soddisfacente toccare e afferrare, stringere e palpare senza nessun imbarazzo.
Lei sbuffò contrariata e fece per toglierlo da sé, ma Jimin smise di farle sentire il suo tocco.
«No, amore. Devi fare ciò che ti dico io» le gambe tremarono al suono della sua voce, flautata e resa roca dal desiderio. Fece come le ordinò, si sollevò così da permettergli di sfilare quel capo e rimase in intimo, non voleva risultare sexy, ma il tessuto nero creava una divisione netta con la pelle chiara e Jimin baciò con adorazione quella zona, stringendo tra le mani la sottile vita della donna, la quale gli circondò il collo, tenendosi aggrappata a lui.
Jimin aveva un profumo così buono, non poté farne a meno, gli lasciò una scia umida di baci lungo il pomo d'Adamo, l’azione fece scattare il ragazzo, che in un impeto di passione la riportò ancora una volta con la schiena contro il materasso.
Con una calma che Alya definì straziante, Jimin introdusse le mani sotto le coppe del reggiseno, saggiando la morbidezza della sua carne candida.
La donna strinse le gambe, poteva sentire la sua intimità bagnarsi dei suoi umori. Jimin non la stava neanche toccando in quel punto, però avvertiva chiaramente tutta la prestanza fisica che il ragazzo possedeva. E quando finalmente le tolse l’indumento superiore, ormai inutile, l’eccitazione si fece più persistente.
Il biondo prese a sfregare le labbra contro uno dei capezzoli, soffiandoci sopra con il suo fiato caldo, mandando piccoli brividi su per la schiena della ragazza. Quando lo prese in bocca Alya si lasciò sfuggire un ansito.
Mentre si divertiva a schiacciare quella perla rosea contro la lingua, rigirandola e modellandola a suo piacimento dentro la bocca le sue mani presero a scendere verso l’ultimo ostacolo rimasto, Alya gli strinse i soffici capelli chiari, pregustando già le dita del maschio contro la sua femminilità.
«Jimin…» sospirò.
Il ragazzo si staccò, aveva le labbra gonfie e rosse a causa della saliva che le bagnava e del continuo sfregamento contro la sua pelle.
«Cosa?».
Cielo, si vergognava così tanto a dirglielo, perciò spinse i fianchi contro la sua mano, sperando che capisse da solo. Lui ghignò.
Senza toglierle le mutandine, iniziò a muovere le punte delle dita sopra il sottile tessuto, già umido, proprio nell’esatto punto dove si trovava il clitoride.
Portò le labbra vicino al suo orecchio.
«Ti da fastidio se faccio così? … o così?» simulò l’atto di penetrarla con le dita, atto ostacolato dal tessuto che ricopriva le parti intime. Alya singhiozzò per l’esasperazione.
Lo colse di sorpresa quando gli strinse le spalle e lo rigirò.
Ora lei era sopra e lui sotto. Uno spettacolo magnifico agli occhi del giovane.
I capelli in disordine e il seno scoperto le davano un’aria da amazzone, per non parlare delle splendide gambe che lo cingevano per tenerlo fermo. Jimin sorrise e aprì le braccia.
«Sono tuo~» miagolò, arrendendosi al desiderio di quella vipera, che non si lasciò sfuggire l’occasione.
In verità anche lui la stava usando, così come stava usando a suo favore quella relazione ormai in declino.
E con mani leggere e tremanti, lei cominciò a sbottonargli la camicia scura, vederlo ancora vestito le dava ai nervi e man mano che la pelle chiara veniva fuori il suo cuore batteva sempre più forte. Concentrata com’era nel suo lavoro non si accorse della sofferenza interiore del ragazzo, ogni tanto muoveva le natiche che andavano a scontrarsi contro il rigonfiamento in mezzo alle gambe, causando piacere misto a dolore nel biondo, il quale però non disse nulla, voleva far partecipare anche lei con i suoi tempi.
Alya guardò con desiderio il petto glabro del ragazzo, non ci pensò molto prima di cominciare a stuzzicare quella pelle di luna, graffiandola con i suoi denti e succhiando, ascoltando estasiata i piccoli sospiri che Jimin si lasciava sfuggire, scendendo arrivò al suo ombelico, dove si prolungò a leccare sapientemente l’intera zona, rendendo ancor più difficile la respirazione a Jimin che già immaginava quelle labbra attorno al suo membro pulsante.
La donna alzò gli occhi verso di lui, che trovò quest’ultima azione tremendamente accattivante.
Si sollevò e agganciò le dita al bordo dei suoi pantaloni, facendoli scendere lungo le muscolose gambe, perdendo tempo ad ammirarle.
«Vuoi che li tolga?» chiese, in tono mellifluo, mentre la sua mano accarezzava l’erezione coperta dai boxer.
«Ah! C-c’è bisogno che… te lo dica?» le rispose, con non poca difficoltà mentre premeva con la mano sulla punta «Alya… non scherzare».
«Poco fa avevi tu le redini del gioco…» mormorò piano, estasiata alla vista del ragazzo che mordicchiava le proprie labbra con forza, incapace di star fermo sotto quelle attenzioni.
Sorrise, perfida, nel ripensare a quel tono di voce così sofferente, abbassò i boxer lentamente. Una piccola rivincita per ciò che le aveva fatto lui poco prima. E Jimin chiuse gli occhi, finalmente la sua erezione era libera di mostrarsi interamente, rigida e già bagnata di liquido pre-eiaculatorio, quella ragazza era capace di farlo impazzire con poco, e quella notte finalmente glielo avrebbe dimostrato.
Alya riportò la mano sul membro, cominciando quel movimento ritmico e lento, che portò il ragazzo a strizzare gli occhi per trattenersi dal venire subito. Si puntellò con i gomiti per sollevare il busto e spalancò le gambe per farla stare più comoda in mezzo ad esse, Alya era rapita dall'espressione beata di Jimin, lo prese in bocca, combinando i movimenti della mano con quelli delle labbra, percorse tutta quella pelle sensibile e liscia, facendo roteare la lingua sulla punta più volte. A Jimin sfuggì un gemito strozzato, arricciò le labbra per trattenere i suoi versi che non vedevano l’ora di uscire dalla sua gola, ma Alya non gli rendeva quel compito facile. Lo prendeva tutto in bocca, mandando seriamente a puttane il suo autocontrollo. Quando si decise a succhiarlo, rilasciando strani suoni simili a schiocchi, l’uomo si permise di ansimare, davvero stavolta, senza più vergogna. Le afferrò i capelli, dettando un ritmo più veloce, si contorse sotto le sue carezze lascive.
«Sto per…» cercò di farla togliere, non voleva sporcarla, ma Alya ignorò le sue proteste, continuò il suo lavoro fino a quando l’erezione del giovane non si tese all’interno della sua cavità orale, rilasciando con immenso piacere il suo liquido biancastro, Alya lo inghiottì guardando Jimin dritto negli occhi. 
Occhi scuri, dolci e lussuriosi. Gli occhi di Jungkook.
“Cazzo” pensò, guardando quella gatta che si stirava sul suo corpo scosso ancora dai fremiti. Senza accorgersi che qualcosa era cambiato negli occhi verdi della donna. C’era affetto, forse anche speranza in quelle pozze smeraldine, ma nulla rivolto a lui.
Ne voleva ancora.
Con un colpo d'anca riuscì ancora una volta a riportarla alla posizione iniziale.
«Sembra un combattimento» ne rise la donna, ubriaca, prima che sentisse un violento suono. Jimin le aveva strappato violentemente le mutandine, senza pietà e con solo un velo di lussuria negli occhi scuri, poteva vederli brillare nel buio della stanza. Sussultò per quella serietà, capì che l’eccitazione non lo aveva abbandonato, il rapporto di pochi attimi prima lo aveva solo esaltato di più.
Quando sentì la soffice bocca posarsi sulle grandi labbra della sua intimità cominciò ad accarezzargli i capelli con dolcezza, bramando le sue carezze. Il ragazzo usò due dita per aprirla completamente, andando alla ricerca di quella piccola gemma nascosta tra le pieghe morbide e calde, quando la trovò usò la lingua per stuzzicarla con insistenza, seguendo i gemiti silenziosi della ragazza, man mano che andava avanti le gambe di Alya si fecero più cedevoli e molli, erano gelatina.
Provò a chiudere le gambe, ma in mezzo c’era proprio Jimin. Non le lasciava il tempo di riprendersi, la sua lingua la stuzzicava con insistenza, instancabile, voleva che quel piacere smettesse, era troppo intenso, ma allo stesso tempo lo agognava, non aveva pace. Il suo cuore tamburellava nel petto con violenza. Gli strattonò con forza i capelli, ma ciò non fece che aumentare la presa del ragazzo, e il suo andamento.
Le tempestò le dolci pieghe di baci rumorosi, bevendone gli umori e penetrandone ogni tanto l’apertura, succhiò con accuratezza il clitoride e la ragazza arcuò la schiena in modo innaturale, la stava mangiando.
“Mio… ah!”
«C-Chim!» urlò, pronta per arrivare all’orgasmo, ma proprio all’ultimo momento Jimin mollò la presa, facendola strillare per l'insoddisfazione «No! T-ti prego, continua».
«Ho di meglio per farti stare bene» disse, annaspando per riprendere lui stesso aria. La mora portò le mani alla bocca, tremando violentemente per la sensazione di insoddisfazione che si stava propagando per tutto il corpo.
Jimin saggiò con le dita l’intimità, per vedere quanto fosse lubrificata, accorgendosi solo in quel momento che era fradicia. Mandò giù con forza la saliva.
La sua erezione desiderava entrare in contatto con la ragazza, chi era lui per proibirglielo?
Afferrandola con forza per le cosce, la portò ancora più vicina a sé, finché non avvicinò il membro alla sua apertura.
La penetrò con forza, riempendola fino in fondo con la sua presenza, senza darle più il tempo di dire qualcosa. Alya spalancò gli occhi, era così grosso e lei così stretta a causa dell’astinenza.
Non potevano più tornare indietro.
Strinse le mani ai lati del ragazzo, facendogli capire che era più che pronta, si stava abituando velocemente alle sue dimensioni, avvolgendolo come un guanto, desiderosa di capire cosa avrebbe provato insieme ad un ragazzo come Jimin, forse era l'alcool a farle prendere decisioni così affrettate, ma in quel momento era l’unica cosa di cui aveva bisogno per ritenersi soddisfatta. E anche Jimin.
Quando cominciò a spingere con tutta la sua lunghezza, deciso e duro, chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dai piccoli brividi al basso ventre, Jimin buttò la testa indietro. Si sentiva completo, tra la carne cedevole della ragazza che si stringeva ritmicamente attorno alla sua eccitazione, voleva annegare in quel corpo, fregandosene delle conseguenze al mattino dopo, gli altri lo avrebbero guardato con disgusto, Jungkook con odio malcelato, ma lui stava bene in quel momento.
Si sistemò una gamba della ragazza in spalla, quell'angolazione gli permetteva di andare più in profondità, e a giudicare dall’espressione sofferente e colma di piacere allo stesso tempo di Alya, ci stava riuscendo bene. Sentiva che dal loro punto di incontro il calore stava crescendo, afferrò con una mano un seno e lo torturò con forza, facendola scattare con il busto in alto, verso di lui, e finalmente la baciò.
Desiderava gustare quelle dolci labbra da molto tempo. Non poteva più aspettare, il loro sapore era dolce, un misto tra vodka alla fragola e liquirizia.
Finalmente poteva. E le morse con forza.
« Izverg*» ansimò in russo, quasi con disperazione implorante, schiacciandosi il peso del ragazzo ancora più addosso. Scacciando con forza il ricordo di Jungkook e dei suoi baci aggressivi, ripetendosi che era Jimin a toccarla e stringerla in quel momento, cosa non facile da fare. Stava usando un suo amico per dimenticare, ma ciò avrebbe causato solo altri danni nel gruppo.
Ormai le lenzuola erano sporche, i loro liquidi colavano tranquillamente dalle loro gambe, così come il sudore scendeva dalla pelle, i loro fiati si mischiavano con affanno. I fianchi battevano tra loro con forza, disordinatamente, Jimin era ormai quasi completamente seduto e teneva la ragazza a cavalcioni su di lui, spinse con più decisione il bacino in alto, arrivando a toccare un punto delicato e sensibile nella ragazza, a cui mancò il fiato per svariati secondi, conficcando con violenza le unghie sulle sue spalle e Jimin a causa di quella reazione andò più veloce, più violento.
Più potente.
E Alya finalmente raggiunse il suo apice mordendo la spalla all’altro, con un basso ringhio proveniente dalla sua gola, e schiacciando completamente il seno contro i pettorali dell’uomo.
Jimin raggiunse il suo orgasmo schioccando un forte bacio sul collo delicato della ragazza, ormai pieno di arrossamenti e succhiotti violacei.
Venne dentro di lei, riempiendola con il suo caldo seme.
Quella sensazione fu così piacevole che Alya ebbe un secondo orgasmo, che la fece crollare sfinita contro il cuscino, impossibilitata di regolarizzare il respiro.
Jimin uscì da lei, sfinito, piacevolmente sfinito.
Le cinse le spalle con dolcezza quando si stese accanto a lei, portandola vicina.
L’indomani avrebbero discusso seriamente sul da farsi, per il momento avrebbero semplicemente riposato in quel modo, stretti e comodi.
«Ti amo».
Ma Alya già dormiva, stanca di quella serata che doveva essere solo uno svago, ma si era trasformata in una delle più belle quanto sbagliate notti della sua vita, e Jimin le sorrise con tenerezza e dispiacere.
Consapevole che nulla sarebbe cambiato, lui era un oggetto. Un piacevole oggetto, ma nulla di più e lei… lei era ancora la donna del suo migliore amico.
La sofferente Dama di ghiaccio e il Cavaliere che l’avrebbe sempre aiutata a rialzarsi.
Ecco cos’erano e cosa sarebbero rimasti.
Avevano tradito tutto e tutti. La propria lealtà e dignità. Così come la persona che li univa, ma nulla sarebbe venuto a galla. Tutto nascosto dietro finti occhi innocenti.
Jimin riaprì gli occhi, quasi con violenza. Un sogno, un altro sogno riguardo la notte di tanti anni prima. Quanti ne erano passati? Troppi per poterne ricordare.
Lei non lo aveva più cercato e lui poteva vivere solo di quel magnifico ricordo. Magnifico e triste allo stesso tempo.
Jungkook era tornato lo stesso ragazzo affettuoso, Alya si era ripromessa di non cercare più supporto da esterni, e così aveva catalogato Jimin come “Pericoloso”. Perché nonostante tutto l’amore che provava verso il suo fidanzato, Jimin era stato capace di farla sentire amata dopo un periodo buio. Così si era allontanata sempre più, fino a rendersi una sconosciuta agli occhi del biondo.
Ma era giusto così. Jimin non gliene faceva una colpa, perché la amava e anche troppo.
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- Nonna, non riesco a lasciar andare...
- Non ci riesci perché pensi che lasciare andare vuol dire morire. E invece vuol dire nascere. Ad una vita nuova. Pensa alla donna che sta per partorire: per far nascere suo figlio lo deve lasciare andare. Deve guidarlo fuori di sé e donarlo al mondo. Altrimenti muore.
- Come si fa a lasciar andare?
- Impara dalla donna che sta dando alla luce la sua creazione: apri il tuo corpo, la tua bocca e soprattutto il tuo cuore. E fatti strumento di questo lasciar andare. Con fermezza, determinazione e forza d'animo. Non resistere a questo richiamo, non chiudere il tuo corpo, non fuggire da questo compito. Non trattenere ciò che è giusto si allontani da te. Morirebbe. E non si creerebbe dentro di te lo spazio necessario per una vita nuova.
- Non è facile nonna...
- Perché ti ostini a pesare il tuo valore in base a quanto riesci a trattenere. Quando invece è il contrario. Più sei leggera, libera e vuota, più la tua luce interiore ha lo spazio per poter espandersi e avvolgerti. E allora capirai che lasciare andare è un dono. Che stai facendo a te stessa.
Elena Bernabè
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artide · 1 year
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Siamo in queste situazioni paradossali che ad un tavolo, mentre scambi due parole con una commensale, ti chieda, col cellulare in mano: dove posso trovare dove suoni? Le ho risposto: non hai nulla da trovare mi hai già qui davanti, possiamo parlare e puoi chiedermi cosa vuoi. Non ho IG.
Siamo a livelli dissociativi tali che con una persona davanti in carne ed ossa si voglia vedere la sua immagine digitale e sociale.
Comprendo che questa persona sia rimasta spiazzata dalla mia uscita, un po' tranchant, io stesso mi sono sorpreso molto e non so da dove abbia avuto, io che di solito sono molto timido, la fermezza per una tale risposta, ma sono contento. L'estate scorsa senza smartphone è stata davvero significativa e me la porta dentro ancora.
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susieporta · 1 month
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NECESSITÀ DEL SILENZIO
«Per ottenere l’intelligenza luminosa, calma e benevola della saggezza che ascolta la paura e che guida il coraggio, è necessario il silenzio. Il silenzio interiore. Calmare il mare spesso agitato delle nostre acque interiori. Zittire le chiacchiere e i pensieri degli altri che troppo spesso si aggirano dentro di noi, anche quando siamo soli. Dire loro con gentilezza ma con altrettanta fermezza: «Adesso basta, pensieri invasori, andate a casa vostra, qui mi serve serenità». Entrare nella propria camera, chiudere la porta e pregare nel silenzio. Si può pregare Dio, certamente, ma non solo; si può pregare anche senza credere in un Dio personale, pregare qualcos’altro, la Vita, come più avanti approfondirò con l’aiuto di Wittgenstein. L’importante, anzi l’essenziale, è il silenzio della mente. Liberare la mente dai pensieri e dalle parole degli altri. Ed entrare nelle proprie acque interiori e così, a poco a poco, imparare a nuotare dentro se stessi».
Vito Mancuso
#VitoMancuso #IlCoraggioelaPaura #garzanti
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gregor-samsung · 4 months
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" L’impegno in difesa di paesi inermi corrispondeva all’immagine degli Stati Uniti propagandata dai manuali di storia delle scuole superiori, ma non all’operato reale dell’America nel mondo. Gli Stati Uniti avevano provocato una guerra con il Messico e si erano annessi metà del paese. Avevano finto di aiutare Cuba a liberarsi dalla Spagna, poi si erano insediati sull’isola con una base militare, investimenti economici e un diritto di intervento riconosciuto. Si erano impadroniti delle Hawaii, di Puerto Rico, di Guam e avevano combattuto una guerra feroce per sottomettere i filippini. Avevano “aperto” il Giappone al loro commercio con l’intimidazione e le cannoniere. Avevano proclamato la politica della “porta aperta” verso la Cina, per poterla sfruttare come stavano facendo le altre potenze imperiali; insieme ad altre nazioni avevano inviato truppe a Pechino per affermare la supremazia occidentale nel paese, e ve le avevano tenute per più di trent’anni. Pur esigendo la porta aperta in Cina, gli Stati Uniti avevano ribadito con fermezza (con la dottrina Monroe* e molti interventi militari) che in America Latina la porta era chiusa: ovviamente chiusa per tutti salvo che per gli stessi Stati Uniti.
Avevano organizzato una rivoluzione contro la Colombia e creato lo stato “indipendente” di Panamá per costruire e controllare il canale. Avevano inviato cinquemila marines in Nicaragua nel 1926 per contrastare una rivoluzione, ed erano rimasti nel paese con una forza militare per sette anni. Nel 1916 erano intervenuti nella Repubblica Dominicana per la quarta volta, mantenendovi poi le truppe per otto anni. Erano entrati ad Haiti per la seconda volta nel 1915, lasciandovi i soldati per diciannove anni. Tra il 1900 e il 1933 gli Stati Uniti erano intervenuti a Cuba quattro volte, in Nicaragua due, a Panamá sei, in Guatemala una volta, in Honduras sette. Nel 1924 la finanza di metà dei venti stati dell’America Latina era diretta almeno in parte dagli Stati Uniti. Nel 1935 più della metà delle esportazioni di acciaio e di cotone degli Stati Uniti era diretta al mercato latinoamericano. Alla vigilia della conclusione della Prima guerra mondiale, nel 1918, una forza americana di settemila uomini sbarcò a Vladivostok nel quadro di un intervento alleato in Russia e vi rimase fino all’inizio del 1920. Altri cinquemila soldati furono sbarcati ad Arcangelo, un altro porto russo, sempre come parte di un corpo di spedizione alleato, e si fermarono per quasi un anno. Il dipartimento di Stato riferì al Congresso: «Tutte queste operazioni mirano a controbilanciare gli effetti della rivoluzione bolscevica in Russia». In breve, se l’entrata degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale mirava a difendere (come credettero molti americani, di fronte alle invasioni naziste) il principio del non intervento negli affari di altri paesi, il passato della nazione gettava dubbi sulla sua capacità di sostenere quel principio. "
*Proclamata il 2 dicembre 1823 (Nota del trascrittore).
Howard Zinn, Storia del popolo americano. Dal 1492 ad oggi, traduzione di Erica Mannucci, Il Saggiatore, 2018 [Libro elettronico]
[Edizione originale: A People's History of the United States, Harper & Row Publishing, 1980]
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sciatu · 1 year
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PANTELLERIA
Hai mai visto le scogliere di lava di Pantelleria? Alte sul mare hanno un colore scuro cangiante, ora nero e tenebroso quando le nuvole coprono il sole, ora di un marrone rossiccio, quasi rosato, quando ad est il sole rotola oltre l’orizzonte come un rosso melograno caduto dall’albero e colora il cielo di mille sfumature rosa ed arancio prima che la notte arrivi vestita di stelle infinite. Il mare a volte è quieto, immobile e pigro, culla i grandi pesci nel grembo di piccole baie o stretti fiordi colorandosi di un blu zaffiro intenso e seducente. Altre volte il vento gonfia le onde, le inquieta rendendole enormi come se negli abissi del mare enormi mostri lottassero rabbiosi tra loro e le onde fossero l’immenso effetto della loro infinita forza. Allora le onde partono da lontano, alte, immense e dalla chiara cresta e dopo una corsa che pare il respiro del mare, con fragore urtano le nere scogliere con una forza che le spinge in alto sui pendii scoscesi. Tanta è la loro rabbia che cambiano colore e ora da profondo blu diventano una schiuma di un bianco luminoso, rabbioso e ritirandosi graffiando la lava, scavandola con unghie invisibili, mutandosi in un verde delicato e fragile stretto tra la luce brillante della schiuma e il cupo colore blu notte del resto del mare. Nell’aria senti l’urlo che le onde fanno infrangendosi contro le scure scogliere figlie dell’antico fuoco e nell’urlo trasformato in fragore, respiri le infinite gocce che dallo scontro titanico sono nate, ne senti il sapore salato e l’intenso profumo di mare. La tua mente, abituata a cercare nel visibile, quella invisibile parte che Dio vi pone per parlarci, paragona quell’urto liquido e distruttivo contro un corpo invincibile e indifferente, a quelle che sono le parti della vita, come l’amore, la gioia, la vita stessa, come se ogni amore, ogni gioia, ogni vita, nulla possa contro il tempo, l’egoismo, l’indifferenza e sia destinato ad esserne vinto e domato. Eppure, il gioco d’azzardo della ragione, portato ai suoi estremi, rivela l’ambiguità del suo senso, ne definisce i limiti, perché cambiando la prospettiva ti chiedi invece, se amore e solitudine, se onestà e verità o ogni altro senso tu consideri dell’animo umano, non siano quella roccia immobile e invincibile e in questo tuo diverso pensare, arrivi a credere che nel difendere con fermezza i pilastri della tua anima, definisci chi sei, riassumi te stesso nella lotta contro il mare degli egoismi e delle falsità, contro le onde dei silenzi e dei tradimenti e nella forza della scogliera, anche se erosa e provata, motivi il tuo essere e dai una forza universale a tutti i tuoi giorni.
Have you ever seen the lava cliffs of Pantelleria? High above the sea they have an iridescent dark colour, now black when the clouds cover the sun, now a reddish brown, almost pinkish, when in the east the sun rolls over the horizon like a red pomegranate fallen from the tree and colors the sky of a thousand shades of pink and orange before the night arrives dressed in infinite stars. The sea is sometimes calm, still and lazy, cradling the big fish in the lap of small bays or narrow fjords, coloring itself in an intense and seductive sapphire blue. Other times the wind swells the waves, disturbs them making them enormous as if in the abyss of the sea enormous monsters were fighting each other angrily and the waves were the immense effect of their infinite strength. Then the waves start from afar, high, immense and with a clear crest and after a rush that seems like the breath of the sea, they crash against the black cliffs with a force that pushes them up the steep slopes. Such is their anger that they change color and now from deep blue they become a foam of a luminous white, angry and retreating scratching the lava, digging it with invisible nails, changing into a delicate and fragile green squeezed between the brilliant light of the foam and the gloomy midnight blue color of the rest of the sea. In the air you hear the scream that the waves make as they break against the dark cliffs daughters of the ancient fire and in the scream transformed into a roar, you breathe the infinite drops that were born from the titanic clash, you feel the salty taste and the intense perfume of sea. Your mind, accustomed to seeking in the visible, that invisible part that God places in it to speak to us, compares that liquid and destructive impact against an invincible and indifferent body to those which are the parts of life, such as love, joy , life itself, as if every love, every joy, every life, can do nothing against time, selfishness, indifference and is destined to be won and tamed. Yet, the gamble of reason, taken to its extremes, reveals the ambiguity of its meaning, defines its limits, because by changing the perspective you ask yourself instead, if love and loneliness, if honesty and truth or any other sense you consider the human soul, are they not that immobile and invincible rock and in this different thinking of yours, you come to believe that in firmly defending the pillars of your soul, you define who you are, you summarize yourself in the fight against the sea of selfishness and falsehood, against the waves of silences and betrayals and in the strength of the cliff, even if eroded and tested, motivate your being and give a universal strength to all your days.
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kon-igi · 1 year
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Ciao Kon, ti ho letto per anni e oggi sono tornata qui, senza nemmeno sapere se rispondi ancora a questi messaggi, perché ho perso mio papà. Se n’è andato dopo una battaglia contro un male che l’ha avuta vinta nel giro di poche settimane. Non so cosa spero che tu mi dica, so solo che non sono credente (come del resto nemmeno lui) e che continuo a sbattere contro questa contraddizione: la speranza che il suo essere sia ancora da qualche parte e che un giorno ci rincontreremo nella radura in fondo al sentiero, perché un amore così grande per me e per la vita e un sorriso così aperto non possono essere svaniti nel nulla, e l’intima certezza razionale che oltre non ci sia nulla. Un caro saluto da una figlia con il cuore spezzato.
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Certo che rispondo ancora a questo tipo di messaggi e questa sera lo farò di getto, senza nemmeno rileggere.
Qualche tempo fa ho scritto qua su tumblr di un sogno in cui celebravo il funerale di mio padre e una volta conclusa la cerimonia, mi allontanavo sulla cima di una collina per rievocare i momenti passati insieme a lui.
Come succede nei sogni, non solo potevo rievocare l'immagine davanti ai miei occhi ma sentire il profumo, la musica, il freddo, il calore e la luce che facevano da contorno a tutte le esperienze che avevamo condiviso.
Poi, improvvisamente
...sento qualcuno che mi tocca sulla spalla e dietro di me c’è lui, mio padre.
Lo abbraccio fortissimo, avvolgendolo con il mio doppio del suo peso - Ma tu eri morto! - gli dico nell’orecchio.
Sì - mi risponde - ma sono anche qua.
Papà, ti volevo dire tante cose e ho avuto paura che non ci sarei riuscito… - e ripercorro con la mente del sogno a tutta la fatica che lui e mia madre hanno fatto per farmi crescere sereno e amato, ai cubi di legno tagliati e dipinti a mano perché un solo stipendio non bastava, alla pazzia di negarsi il quasi indispensabile per mettere da parte i soldi e comprare una videocamera da 8mm per farmi i filmini mentre dormivo nella culla, alla 500 e alla 126 rattoppate fino quasi a cadere in frantumi, alle pezze bagnate sulla fronte con la febbre a 40, a tutti i NO! urlati con fermezza perché a quei tempi l’alternativa educativa disponibile era o prendermi a cinghiate in faccia o lasciarmi fare tutto quello che mi pareva, a tutti i tentativi di mostrare una finta serenità nell’accettare che io, figlio unico, me ne andassi di casa per costruirmi una famiglia mia, lasciandoli soli. A tutte queste cose ho pensato in un onirico attimo e poi ho deciso di dirgli l’unica che contasse veramente, anche se io sapevo che lui già la conosceva. -Ti voglio bene, papà.
Vedi, da come parli di tuo padre io credo che non solo tu gliel'abbia detto e ridetto ma che l'amore fra voi due fosse così forte e luminoso da rendere superflue le parole.
Tuo padre ti manca ma tu non hai bisogno di doverlo rincontrare.
Così come nel giardino fiorito vive per sempre l'amore del giardiniere che lo ha accudito e protetto, così il figlio sopravvive al genitore per farlo rivivere eternamente.
Tu sei perché lui è stato ma tu sei felice perché lui ha coltivato e fatto crescere la felicità in te.
Questo era tuo padre... e questo è ORA tuo padre.
Non un ricordo da piangere ma una presenza intensa che prende vita in ogni tuo atto di gentilezza e amore verso chi è rimasto.
Io lo so dove si trova adesso e da padre posso dirti che niente mi riempirebbe di gioia più grande del sapere che le mie figlie condividono il loro amor di vivere con chi potrebbe averla perso.
Non sono tuo padre ma ti mando l'abbraccio forte di un papà.
E scrivimi su telegram a kon_igi, se ti va <3
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