Tumgik
#che noia dover lavorare
shade-ici · 2 years
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Giovedì 19 maggio 2022
Oggi mi sono svegliata che stavo bene. Ho goduto appena, poi dopo mezz'ora, il tempo di fare colazione e già volevo morire per nessun motivo particolare, solo il fatto di esistere mi aveva già travolta. Mi sono messa a lavorare, si fa per dire, perchè non riuscivo a concentrarmi. Io non so cosa devo fare. Odio il mio lavoro, odio non avere un lavoro, odio qualsiasi altro lavoro. Devo fare qualcosa per sopportare le giornate, ma cosa? Io non sono fatta per lavorare. Odio dover stare agli ordini degli altri. Non sopporto la noia. Odio non essere indipendente economicamente. Non ne posso più. Non ne posso davvero più. E come se non bastasse, ogni tanto ho dei momenti in cui mi sento benissimo. Potente, bella, in grado di fare qualsiasi cosa. Ovunque io vada mi sento un dio, e questa illusione mi sta consumando. Solamente dopo qualche ora, quando torna la depressione mi ricordo la mia condanna. Stati misti, ridevo come un'ossessa mentre avevo la morte nel cuore. Orrore. Prigione di me stessa. In tutto questo ho avuto 3 crisi depressive intervallate da momenti di pura gioia e risate, poi un episodio misto, e ora di nuovo un pianto incontrollabile. Uccidetemi.
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enkeynetwork · 1 year
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demonecelestiale · 3 years
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bene amic☆ sanremesi vado a letto voglio tanti meme domani
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deeocan · 3 years
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15/O5 16/O5
Giornata da bollino rosso 🔴
Inizio la mia giornata come tutti i sabati. Con l’ansia, la rabbia e l’angoscia di dover andare al lavoro,tra l’altro prima del solito,per la mancanza di una persona essenziale in quel posto. Stress a parte faccio la mia solita colazione e alle 9 arrivo sul posto di lavoro. Il tempo non era dei migliori, infatti non è stata una giornata con molta gente. Dopo un ora dal mio arrivo avevo già i coglioni girati dalla noia, in più è arrivata la mia collega di banco. Una donna con il doppio della mia età, che spoiler, NON TOLLERO. Parla per un cazzo, non sta mai zitta, è lenta le ha tutte. Ho provato varie volte a smussare il mio odio nei suoi confronti ma con scarsi risultati a quanto vedo. Comunque fatto sta che ero al limite dello scoglionaggio, in più venerdì sera ho preso una bella lavata, causa pioggia improvvisa. Eh ieri avevo un mal di testa allucinante mi sentivo in una bolla. Non ci ho più visto tra star male e incazzatura e mi sono fatta mandare a casa (che anche qui dovrei aprire un altro capitolo ma vabbè) sono arrivata a casa alle 15.10 e da lì ascesa. Non vi dico cos’ho mangiato perché mi vergogno come una schifosa. La ciliegina sulla torta è stato il sushi come cena e mi fermo qua.
Ho fatto schifo, schifo,schifo avrò assunto per eccesso credo intorno alle 18OO/1900 Kcal forse 2OOO?! Non lo so
Non voglio andare più la a lavorare, ci sto male, sono stressata, lo associo ad un posto negativo che mi porta solo rabbia. Settimana scorsa sono arrivata a casa in una valle di lacrime ODIO QUEL POSTO. e non ci voglio andare nemmeno oggi,mi sento male
Non voglio avere altre crisi, o svegliarmi nel cuore della notte con un peso sul petto che non mi permette di respirare. Sono stanca ma nessuno mi aiuta
Vi chiedo scusa per aver ceduto ieri comunque... sono pessima
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ildapa · 4 years
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Relativamente Breve Bollettino Bioetico
Dal momento che ognuno deve mettere le proprie competenze a servizio della società, questo è un bollettino bioetico sulla questione COVID-19 in Italia. La lettura non è ostica ma potrebbe essere indigesta per chi lavora in ambito sanitario perché i benefici sanitari costituiranno solo alcuni dei ciottolini metafisici che gravano sull’ago della bilancia filosofica dei pro e dei contro.
Prima di concentrarci sul particolare diamo un rapido sguardo al generale: in Paesi in cui la popolazione conduce uno stile di vita che già include un distanziamento sociale innato e in cui indossare mascherine in pubblico non costituisce una novità - parliamo quindi delle aree orientali con un ottimo livello di sviluppo - la situazione sembra contenersi a prescindere dalla rigidità delle misure intraprese. In Europa, molti Paesi, pur avendo subìto il contagio successivamente all’Italia, sono già riusciti ad abbattere e mantenere il numero di nuovi casi giornalieri sotto al 20% rispetto al momento del picco, passando così con maggiore sicurezza alla sperimentazione della fase 2. In Italia, ieri abbiamo toccato per la prima volta un dato inferiore al 30%. Buona parte della differenza, come già si è visto, la fa la prevenzione, se non della malattia, del contagio. Chi più effettua tamponi, traccia ed isola i positivi (sintomatici o meno che siano) più ha capacità di gestire l’epidemia. Tenetene conto quando penserete di non scaricare un’app per timore di fornire i vostri dati, perché potreste perdere - e far perdere - libertà di gran lunga maggiori della privacy rimanendo passivi in un processo di tracciamento che, va detto, è già abbastanza in ritardo di suo. “Whatever works”, direbbe Woody Allen.
La questione ovviamente non è così semplice, il sistema sanitario italiano ha dimostrato i suoi limiti e ha dovuto sopperire a questi prima di potersi impegnare in una strategia di contenimento. Sarebbe stato come pensare ad un contrattacco mentre si batte ritirata, nessuno si aspetterebbe tanto da un governo che storicamente ha dimostrato la sua impreparazione anche in situazioni meno straordinarie. Questo passaggio però è venuto a mancare anche quando il quadro ha iniziato a stabilizzarsi: non si è mai passati realmente dalla fase in cui si dice alla popolazione cosa fare (e, soprattutto, cosa non fare) a quella in cui si annuncia invece cosa faranno le stesse istituzioni per consentire ciò che viene impropriamente chiamato “ripristino della normalità”. Semplicemente si stanno ridistribuendo diritti un po’ per volta ed indistintamente, lasciando alle regioni facoltà di moderare o irrigidire i decreti pur non essendo queste delle autorità scientifiche, quindi ci si può aspettare che regolino le proprie decisioni in base alla loro popolarità oltre che alle idee soggettive dei rispettivi presidenti, che mai prima di oggi avevano avuto un potere così esteso, e che soprattutto comportasse tanta responsabilità. L’eterogeneità delle misure a seconda delle peculiarità dei territori è una scelta doverosa proprio per garantire l’omogeneità dei risultati ed essere più stringenti laddove non si abbia scelta, ma così facendo si ha il risultato opposto.
Questo modo di scaricare le responsabilità prima sulle regioni, poi sui cittadini che non ottemperano ai divieti, ha creato un clima da guerriglia in cui chi esce si sente minacciato, e non raramente le persone si sono sentite autorizzate a sostituire la legge nel redarguire runner o semplici operatori sanitari che si trovavano a dover citofonare innescando i sospetti di chi per noia passa le sue giornate al balcone. La gravità della situazione ha innescato una diffidenza che non scomparirà alleggerendo la morsa del lockdown. Anche se oggi non lo percepiamo nel nostro tessuto sociale, sostanzialmente perché il nostro tessuto sociale è temporaneamente sospeso, sono già nati nuovi livelli d’emarginazione. Mentre in molti Paesi è stato raccomandato di uscire per prendere un po’ d’aria e fare esercizio all’aperto in Italia è stata imboccata la via più irta, e pur non essendo un dottore in medicina sono certo di ciò che asserisco quando scrivo che questo non è stato fatto tanto per il pericolo che rappresenta una passeggiata di un’oretta da soli, ma per la considerazione di cui, tristemente, gli italiani godono, ovvero quella di furbetti che spesso vantano anche questa nomea facendosi cattiva pubblicità e dimenticando come “farabutti” sia un sinonimo adeguato.
Inutile sottolineare come la maggior parte degli italiani stia seguendo i decreti e le raccomandazioni al massimo delle sue capacità umane ed intellettive, tuttavia questo passaggio rivela l’importanza del tema etico che ha portato alla vera discriminante tra la condotta politica italiana e quella internazionale, ovvero la predilezione al controllo dell’individuo che potrebbe trasgredire piuttosto che elaborare una strategia che non solo preveda ma includa l’eventuale trasgressore. La colpevolizzazione dei soggetti ha connaturato una regola biblica che vede tutti portatori di un peccato originale; quella che è stata chiamata “caccia all’untore” è in realtà una proiezione di chi vuole sentirsi parte della soluzione, e questa è l’unica soluzione che è stata fornita: l’autocontrollo, la censura della pubblica manifestazione fisica di sé stessi.
Tutti subiscono lo stress di questo comportamento appreso, che siano “guardie” o “ladri”, ma in questo trambusto c’è chi ha le capacità per gestire al meglio le ferree linee dettate dall’alto, perché ha i mezzi emotivi e culturali per farlo e i passatempi casalinghi costituiscono già buona parte della sua vita. I giovani di tutte le età, eppure bisogna considerare che a pagarne le conseguenze sono e saranno principalmente loro, non solo per la perdita di opportunità formative e professionali che vivono nel presente, ma perché questo è di fatto il loro sacrificio per salvaguardare le generazioni più deboli, che in questo momento storico di benessere diffuso costituiscono grandissima parte della popolazione. Secondo i dati a disposizione oggi il tasso di mortalità di chi ha meno di 30 anni è dello 0,1% e non si alza di molto anche arrivando ai 40 anni di età. Attenzione, questi numeri non dimostrano la poca pericolosità del virus, dimostrano che c’è una classe politica che appartiene alle generazioni più vulnerabili che prende decisioni per chi dovrà saldare il conto in un futuro molto prossimo.
Le facili previsioni di una profonda crisi economica che colpirà di più chi già è in difficoltà lasciano prospettare tre punti che andrebbero messi maggiormente in evidenza: chi dovrà ricostruire questo Paese dovrà farlo lavorando; l’accesso al mondo del lavoro sarà più difficile perché si dovranno ricreare posti di lavoro in una situazione economica a rischio per quelli già esistenti; l’Italia perderà molta forza lavoro (giovani in cui ha investito per l’educazione e la salute) perché molti, giustamente, non saranno disposti a questo sacrificio e cercheranno una vita migliore altrove.
Da questi tre fattori dipendono più vite di quante ne dipendono dall’epidemia, perché i “portatori sani” di una crisi del genere sarebbero pochissimi. Ed in questo purtroppo devo aprire un capitolo a parte perché c’è una criticità che già condiziona pesantemente l’Italia dal punto di vista culturale e sociale, andando poi a riflettersi, con risultati disastrosi, alle urne: il problema del Mezzogiorno. Le regioni del sud Italia ne uscirebbero devastate. Sappiamo che queste non sono previsioni catastrofiche perché abbiamo già visto avvenire tutte queste cose e molte persone - incluso chi scrive - non hanno mai avuto la reale possibilità di scegliere di costruire una vita professionale nel luogo in cui sono cresciute. Permettendomi di generalizzare per ragioni di sintesi, un nord Italia che lamenta di dover fornire sostentamento al sud Italia perché spesso dimentica che la propria forza lavoro è costituita da milioni di persone del sud Italia, e mentre l’iniziale indifferenza europea avrebbe dovuto far sviluppare una riflessione del genere in merito, è praticamente certo che, al contrario, la profonda spaccatura economica italiana che nascerà ne vedrà anche una sociale, alimentata dalle correnti populistiche che infamano gli ultimi additandoli come ladri e perdigiorno quando la differenza tra chi vive in un’area povera e chi in una ricca del mondo è, principalmente, che chi vive in quella povera deve lavorare dieci volte tanto per ottenere dieci volte meno, il tutto senza alcuna tutela per egli stesso e senza alcuna reintroduzione di liquidità nel sistema stato.
La povertà priva del lavoro, della salute, dell’istruzione e dell’integrazione, ed il primo compito di un governo dei giorni nostri è di combattere la povertà. Se può sembrare materialista scrivere queste parole in un momento d’emergenza pandemica, basti ricordare che un Paese povero non può avere i mezzi per combattere un’altra emergenza pandemica, quindi a volte ci si trova nella spiacevole situazione di dover fare un’amputazione per salvare un corpo.
La soluzione quindi è non correre ai ripari dalla pandemia? Tutt’altro, ma la scelta tra libertà e salute a favore della seconda deve essere solo iniziale, poiché rappresenta una precauzione essenziale per dare il tempo alle istituzioni di fronteggiare la pandemia in prima persona. Quando la seconda parte viene meno e ci si limita a chiedere a tutti di fare la propria parte, chiamando anche questa repressione “modello Italia”, raccontando come il mondo ci invidi questo modello che, in concreto, non ha ancora una sua struttura, la popolazione inizia a sospettare un bilancio infelice tra costi e benefici, e si chiede se non abbia solo rimandato l’inevitabile, perdendo così anche le capre insieme ai cavoli. Il peggior scenario che possa avvenire infatti è che le libertà inizino ad arrivare, seppure solo col contagocce, prima, e non dopo, una reale svolta nel controllo della pandemia.
In tutto questo dall’alto non ci si fa carico dell’andazzo claudicante della nostra macchina, così, per non ammettere che ci sia una gomma forata, nessuno ci mette una toppa. C’è una ragione se tra i meccanici non ci si avvale di esperti di comunicazione e tra politici sì, e questa ragione è che “il fare” rappresenta solo un terzo del lavoro di un politico, l’altro terzo è rappresentato dal “raccontare” (il primo terzo dal “promettere”, ma sono certo che questa parte sia già abbastanza nota), e in tutte queste dirette ridondanti su facebook e in tv chi ascolta è stato consolato in modo quasi lezioso, e sebbene vivendo una situazione di precarietà e disagio può trovare rassicurante sentire che andrà tutto bene se ci si comporta bene, questo modo infantile e paternalistico di gestire la faccenda non può trovare un accoglimento duraturo.
Chi si è ammalato (di qualsiasi malattia) sa bene che la paura più grande è generata dal non sapere perché non si sta bene, più che non dal non star bene in sé, che costituisce invece perlopiù un fastidio, come appunto lo stare in casa. In questo momento il Paese è ammalato, e sarebbe stato disposto ad accogliere esiti spietati se qualcuno gli avesse presentato un piano, oppure se non glielo avesse presentato e gli avesse spiegato come mai, ma palesando che un problema c’è. Non sono stati fatti tamponi, si faranno? Non si può? Perché, che problemi ci sono? È meglio di no perché l’ha suggerito una task force scientifica che se ne assume quindi la responsabilità? Ci sono problemi di personale? Stiamo facendo qualcosa per risolverli? Invece, persino nelle situazioni in cui le testate giornalistiche ponevano quesiti via etere, si è discusso quasi esclusivamente dei cittadini, dei loro diritti e doveri, spesso dando date a caso, perché alle date dovrebbero precedere i risultati. C’è uno smarrimento quotidiano che richiede energie, a chi cerca di capire le regole e a chi le fa, per stabilire dove e se si può correre o bere il caffè, con chi, a che distanza. Sarebbe auspicabile che le stesse energie - almeno le stesse - fossero indirizzate verso il problema in quanto tale. Al momento siamo a bordo di un’auto senza freni, e preoccuparsi della manutenzione equivale a preoccuparsi delle vittime che sicuramente mieteremo durante il percorso, dato che rallentare all’infinito non costituisce un’opzione sostenibile.
Mostrare un immediato interesse per le vittime e una preoccupazione per la tragedia che sta avvenendo intorno a tutti è una capacità umana di cui beneficiamo tutti. È richiesta qualche capacità in più, per far fronte non solo all’emergenza pandemica ma a tutte le prove che ne seguiranno, e queste capacità partono dal presupposto di essere umili ed ascoltare non solo il parere scientifico (e magari un giorno anche quello filosofico, chi può dirlo) dei consulenti, ma di seguire le nazioni meritorie, di informare con onestà e schiettezza, di prendere decisioni impopolari ed operare delle discriminazioni laddove ci siano discriminanti, di cambiare strategia in corso d’opera e non essere di coccio, il resto è mettere la propria immagine prima del proprio operato, per dirle con parole più forti, ma giuste: prima della vita di tutti gli altri. 
L’umiltà non è un’innata caratteristica umana, l’umiltà è solo coraggio. Coraggio di mostrarsi per come si è. Di essere onesti con sé stessi e quindi con gli altri. Se è proprio nei momenti di difficoltà che si può essere coraggiosi, mi rendo conto che non è facile, né è richiesto in grandissima parte delle mansioni umane. Stavolta sì, questo coraggio è parte integrante ed indispensabile del compito e vale più degli sforzi di tutti gli italiani insieme, per la semplice ragione che ne rafforzerebbe il senso e alimenterebbe la volontà.
Colgo l’occasione per mettere a segno una leggera e canzonatoria stoccata, invitando a maturare una riflessione introspettiva chi ci ha a sua volta invitati ad approfittare dell’occasione del lockdown, a vederlo come una possibilità per cercare una sorta di crescita spirituale, per ragionare sulle nostre vite. Ecco, piuttosto credo che questa emergenza sia un’opportunità per gli uomini politici di riflettere e adottare un modello comportamentale che non dovrebbe essere straordinario, ma quotidiano.
Ma questo lo spiegherà meglio Adriano, mio amico di lunga data che oggi è un operaio non assicurato. Al giorno di paga Adriano si sentì dire di dover aspettare ancora un po’, di stare tranquillo e godersi la vita, di cui le cose importante sono altre: gli affetti, la salute, le passioni. Non certo cento euro arretrati di qualche mese. Adriano rispose: «Ma non ti preoccupare, a me è tutto a posto, tu fai il tuo». Ecco. Grazie del pensiero, noi stiamo bene.
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app-teatrodipisa · 4 years
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Un sogno con Stevenson — Roberto Scarpa
Quand’ero bambino una delle tante cose che desideravo era di essere originale. Ovviamente adesso so che già lo ero e non per merito mio ma dell’irripetibilità della natura, allora però credevo che avrei dovuto faticare molto per esserlo. Così osservavo con attenzione qualche compagno un po’ più grande e magari, violando la prima regola dell’originalità, mi sforzavo di imitarlo. Probabilmente, con tutti i miei sforzi, sono riuscito ad essere veramente originale soltanto nei miei pregiudizi, nelle mie ostinazioni, nei miei difetti.
Originale è una parola che probabilmente sarebbe piaciuta a Robert Louis Stevenson. Lui adorava esserlo e, diversamente da me, gli riusciva benissimo. Proprio questa sua caratteristica, l’originalità, è una delle ragioni per cui qualcuno ancora oggi non lo apprezza quanto merita. Ciò, secondo me, dipende dal fatto che, come in ogni parola, dentro la parola “originale” si nascondono significati molto diversi. Si può pensare, come suggerisce il dizionario dei sinonimi, che originale significhi bizzarro, strambo, unico, esotico, capriccioso, estroso, oppure, come suppongo pensasse Stevenson, che originale significhi “collegato con le proprie radici”, le proprie origini.
Ho appena detto che non tutti apprezzano Stevenson. Però fortunatamente esistono anche molte persone che lo considerano uno straordinario esemplare di umanità. Borges, per esempio, che lo venerava, ha scritto una poesia, I giusti, in cui ce ne spiega qualche motivo.
I giusti
Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire. Chi è contento che sulla terra esista la musica. Chi scopre con piacere una etimologia. Due impiegati che in un caffè del sud giocano in silenzio agli scacchi. Il ceramista che premedita un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace. Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto. Chi accarezza un animale addormentato. Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson. Chi preferisce che abbiano ragione gli altri. Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.
Questa poesia mi piace per molti motivi, fra cui per il fatto che fra le persone che stanno salvando il mondo cita anche me, anche se non dice il mio nome, poiché anch’io adoro tutto ciò che Borges cita, perfino il fatto che abbiano ragione gli altri. Che mondo sarebbe infatti quello in cui gli altri non avessero ragione? Un mondo di bruti. Molto meglio per tutti invece che gli altri abbiano ragione. Così magari possiamo provare a convincerli di ciò che riteniamo degno o, quando siamo di buonumore, ascoltarli.
Ma perché dovremmo adesso parlare di Stevenson? Perché è la persona adatta per toglierci qualche pregiudizio (con me ci è riuscito) e inoltre perché, siccome in questi strani giorni mi capita di fare molti sogni, ho avuto la fortuna che mi venisse a trovare mentre dormivo placido. Così abbiamo avuto una splendida conversazione e, se avrete la pazienza di seguirmi, ecco ciò che mi ha detto.
«Salve! La disturbo?» – così si è presentato. «Niente affatto. Non ho nulla da fare.» - gli ho risposto. «Benissimo, neanch’io.» «Ma, scusi, lei chi è? Il suo volto mi ricorda...» «Sono Robert Louis Stevenson. Forse ha visto qualche mia immagine.» «Ma certo! Adesso la riconosco. Buona sera Mr. Stevenson.» «Mi dispiace avere disturbato i suoi sogni, ho visto che ne stava facendo di bellissimi.» «Non si preoccupi, anzi, mi ha fatto una bella sorpresa.» «E poi, anch’io sono soltanto un sogno.» «Giusto. Quindi posso tranquillamente continuare a sognare.» «Esatto. Bravo.» «E quindi? Cosa facciamo adesso?» «Niente.» «Niente di niente?»
«Questa sarebbe la mia idea, sì. Al massimo continuare a fare quello che lei sta facendo adesso ed io ho sempre fatto.»
«Cioè?»
«Beh, fumare, leggere qualcosa che mi piace, scrivere a un amico, ogni tanto strimpellare qualche nota sul mio zufolo... Insomma, poltrire.»
«Ma lei non ha fatto soltanto questo.»
«Le garantisco che invece è proprio ciò a cui ho dedicato e tutt’ora dedico tutto il mio tempo. Mi creda.»
«E non ha mai avuto voglia, che so? Di lavorare. Insomma, di fare qualcosa di utile.» «Raramente. Non ho mai avuto quel vizio, per mia fortuna.» «Vizio? Lavorare?» «Certamente. Che altro?»
«E che mi dice allora del tempo che ha dedicato a scrivere? Anche quello era un vizio?»
«Touché. Effettivamente può diventarlo. Perché scrivere, penso lo sappia, è soltanto un pallido surrogato della vita. Ecco, quel vizio - scrivere - l’ho praticato, lo confesso. Comunque mi riferivo all’idea di dover fare qualcosa di utile.»
«Lei, Mr. Stevenson, vuol dire che non lo avrebbe mai fatto? Non avrebbe mai fatto niente di utile?»
«Oh, Dio! Spero proprio di no.»
«Ma se ha lavorato tutta la vita e scritto dei capolavori. Come ci sarebbe riuscito? Non facendo niente? Standosene tutto il giorno a poltrire?»
«Credo che lei, amico mio, abbia un’idea troppo negativa della pigrizia. Si sta annoiando?» «No. Anzi.» «Ecco, vede? Eppure stiamo oziando. Non lo può negare.»
«Non c’è niente di male, ogni tanto.»
«Anzi! Ed io penso che lei dovrebbe farlo più spesso e con più applicazione. Segua il mio consiglio. Se tutti fossimo pigri nessuno si annoierebbe. Mai.»
«Già, credo di capire. Dovremmo almeno farci compagnia? Vuol dire questo?»
«Esatto, invece ci sentiamo, come ha detto poco fa, obbligati a dedicarci a qualcosa di apparentemente utile. Di servire a qualcosa o a qualcuno.»
«Meglio ancora, poi, se ci fa guadagnare qualcosa.»
«Proprio così. Vedo che impara in fretta. Inoltre, e questo è veramente insopportabile, ci viene anche chiesto di farlo con un atteggiamento che non sia troppo lontano dall’entusiasmo. Chi, come me, come noi spero, si accontenta del necessario e preferisce divertirsi, conversare con gli amici, fare delle passeggiate infinite, viene considerato un provocatore, un guascone, uno snob. Eppure, le assicuro, non è così.»
«Secondo Lei, se ben comprendo, esser pigri quindi non significa non far nulla?»
«Esatto. Non far nulla del resto, mi creda, non è affatto facile. A dirla tutta credo che sia purtroppo impossibile.»
«Mi sembra di sentir parlare mio figlio.»
«Suo figlio, anche se non lo conosco, mi sembra un tipo simpatico. I giovani hanno il diritto di abbandonarsi alla pigrizia. Se ci riflette, come ho fatto io, converrà che non è certo un indice di salute essere ben inseriti in una società profondamente malata.»
«Ma così facendo i giovani non rischiano di perdere del tempo prezioso?»
«Questo è ciò che dicono quelli che hanno già una professione e disprezzano chi sta cercando il suo posto nell’universo. I giovani che si rifiutano di partecipare alla grande corsa a handicap per qualche scellino hanno tutto il mio appoggio. La maggior parte di loro paga cara la fretta di partecipare a quella gara. A molti capita di trovarsi a far ingresso nel mondo del lavoro già falliti.»
«Voi pigri invece?»
«Noi pigri, e guardi che io non sono neanche fra i migliori, abbiamo il tempo di prenderci cura della salute e dello spirito. Passiamo molto tempo all’aria aperta, il che è salutare sia per il corpo che per la mente. Inoltre, anche se non dovrei parlar bene di me, possediamo un’altra qualità importante: la saggezza.»
«Me lo dimostri. Sono curioso.»
«Ammetterà che è raro che un pigro si unisca al coro dei dogmatici. Siamo in genere, perché anche fra noi ci sono le eccezioni, dei tipi tranquilli, molto tolleranti nei confronti di tutti e di ogni opinione. Magari non scopriremo nuove verità, ma in compenso ci capita raramente di entusiasmarci per qualche sciocchezza o di abbracciare qualche teoria falsa. Crede che sia facile oziare?»
«Non lo so. A me purtroppo non riesce.»
«Male. Mi dispiace per lei. Non sa cosa si perde.»
«Provi ad aiutarmi. Forse potrei ancora imparare.»
«Per saper oziare ci vuole, tanto per cominciare, un grande appetito, una grande curiosità.»
«Bene, l’appetito non mi manca.»
«E poi una personalità forte.»
«Ecco, qui invece cominciano i guai.»
«I mediocri pensano di esistere solo se si dedicano a qualche occupazione convenzionale. E difatti parlare con loro è sempre di una noia mortale.»
«Perché sono incapaci di abbandonarsi all’ozio?»
«Bravo. Vedo che comincia a capire. Non ne sono capaci perché non sono abbastanza generosi. Così passano il tempo sempre in preda a qualche smania: molto spesso, come ha detto lei, la smania di arricchirsi. Quando non devono andare al lavoro il mondo per loro è solo un gran vuoto. Se hanno cinque minuti liberi, subito si attaccano al loro cellulare, in trance. Come se non ci fosse nulla da vedere e nessuno con cui valesse la pena parlare.»
«Purtroppo molti giovani fanno così oggi, non soltanto noi. Anzi, loro ne sono anche più schiavi.»
«Già. Ho fatto un giretto qua e là e l’ho visto. Lei ha ragione. Però, temo, la responsabilità è in gran parte vostra. State tutto il tempo a pensare solo ai vostri affari. Come se l’anima di un uomo non fosse già fin troppo piccola.»
«Secondo questa sua filosofia non dovremmo lavorare allora?»
«Non ho detto questo. Anch’io ho dovuto saltuariamente farlo. Certo. Ma se potevo, appena potevo, lo evitavo. No, guardi, non sono affatto certo che il lavoro sia la cosa più importante che un uomo abbia da fare.»
«E allora, quale sarebbe la cosa più importante per un uomo?»
«E me lo chiede?»
«Se lo sa me lo dica, la prego.»
«Ma la felicità, diamine! Non c’è dovere che sottovalutiamo di più del dovere di essere felici.»
«Già! Come se fosse facile!»
«Appunto per questo dobbiamo impegnarci, perché non è facile. Però quando ci riusciamo, quando per qualche motivo, o anche senza nessun motivo, ci sentiamo felici, allora ci capita di seminare intorno, inconsapevolmente...»
«Seminare?... Scusi l’ho interrotta.»
«Proprio così: seminare inconsapevolmente dei doni che restano il più delle volte sconosciuti anche a noi stessi. Non ce ne rendiamo conto, ma è così. Un giorno mi capitò di vedere un bambino cencioso, un monello, scalzo, che rincorreva per strada una biglia. Ebbene, aveva un’aria così allegra da mettere di buon umore chiunque lo vedesse.»
«I bambini... ma se non fanno altro che piangere e fare stupide bizze.»
«Sì, nella parte ricca del pianeta, la nostra, oggi è così. Ma se va in India o in Africa o nell’America del sud, ancora troverà bambini come quello che ho visto io. Questo dovrebbe farvi pensare.»
«A che cosa?»
«A incoraggiare i bambini a sorridere piuttosto che a piagnucolare.»
«Ma che c’entra questo con il nostro argomento?»
«Non lo so. Non sia pedante. Secondo me c’entra. Parlavamo del pregiudizio secondo cui la pigrizia è un grave vizio, da estirpare. E che per me non è così.»
«Ma le persone d’ingegno allora, quelle che fanno avanzare il progresso, secondo lei, prima di esserlo sono state pigre?»
«Se non lo fossero state almeno un po’, ci rifletta, come avrebbero fatto a difendersi dai dogmi? A non essere collusi e complici del loro tempo?»
«Ma difendersi dai dogmi non è pigrizia. Occorre una bella dose di energia.»
«Più che energia direi personalità. E la pigrizia, che ne è una diretta conseguenza, aiuta. Noi pigri abbiamo tanto tempo in più rispetto a voi indaffarati. E sappiamo come usarlo.»
«Quindi sareste felici soltanto voi pigri?»
«Non dico questo. Lei ha troppa fretta di tirare delle conclusioni addosso ai suoi interlocutori. Ma io mi scanso per non farmi colpire e poi le chiedo: osservi per un momento una di queste persone industriose che fanno avanzare il progresso. Lo ha mai fatto?»
«Tutti i giorni, purtroppo.»
«Allora converrà con me che non fanno altro che seminare fretta; hanno sempre qualche interesse, fanno affari, e cosa ne ricevono in cambio? Un bell’esaurimento nervoso.»
«Già. È capitato anche a me.»
«Se ne vanno in mezzo alla gente, tesi e acidi, con i nervi a fior di pelle, solo per scaricare un po’ di rabbia prima di tornare al lavoro. Non m’importa quanto o quanto bene lavori quest’uomo perché non è che una piaga nella vita degli altri.»
«Nella mia sicuramente.»
«Faremmo volentieri a meno dei suoi servizi piuttosto che sopportare il suo animo stizzoso. Sono quasi sempre uomini che avvelenano la vita alla sorgente. E «Un’anima triste – ha detto una volta Steinbeck, col quale adesso mi capita di conversare spesso – uccide velocemente, molto più velocemente di un germe». Lo tenga a mente.»
«In effetti ne conosco qualcuno e sono esattamente come li descrive.»
«Osservi invece un uomo o una donna felici...»
«Felici, lei dice, perché pigri.»
«Probabilmente. Ma non è quello che ho detto, non amo fare affermazioni così nette. Preferisco contraddirmi piuttosto.»
«E... quando si contraddice che fa?»
«Diamine! Mi congratulo con me stesso. È utile contraddirsi sa? Impedisce che lo faccia qualcun altro. E poi, soltanto gli sciocchi non cambiano opinione.»
«Beh, ma davanti a due opinioni, qualcuno avrà pure ragione, sarà nel giusto. O no?» «E se invece tutti avessimo ragione?» «Non credo sia possibile.»
«Invece è il mio parere. Quando mi trovo davanti a due ipotesi opposte, secondo me niente è più certo del fatto che entrambe siano giuste, eccetto forse che entrambe siano sbagliate.»
«Una teoria davvero strana. Però, mi scusi, l’ho interrotta ancora una volta. Prosegua, la prego.
«Osservi, dicevo, un uomo o una donna felici. Sono come fuochi che irradiano benessere. Il loro ingresso in una stanza sembra accendere una candela in più. E sa perché?»
«No. Perchè?»
«Perché dimostrano nella pratica il teorema più grande, il teorema della vivibilità della vita.»
«Ma allora, mi scusi Mr. Stevenson, mi pare di capire che secondo lei la pigrizia è un ingrediente necessario della creatività. O mi sbaglio?»
«Che strano termine: creatività. Cosa sarebbe?»
«È una parola giovane. Ai suoi tempi ancora non era in uso. Diciamo, la capacità di inventare qualcosa di nuovo, per esempio, nel suo campo, la capacità che ha avuto lei di scrivere dei capolavori.»
«Capolavori! Ma la sua è una fissazione. Al diavolo i capolavori. Compongano pure i miei amici scrittori i loro dannati capolavori, purché mi lascino in pace.»
«Ma lei come ha fatto? Avrà pure avuto un segreto, un suo metodo?»
«Metodo? Che noia. Ora che mi ci fa pensare però... forse sì, un metodo l’ho avuto: far felici i miei lettori. Volevo si sentissero, una volta dentro le storie che raccontavo, come maiali fra le ghiande.»
«Maiali... Fra le ghiande...»
«Esatto. Li ha mai osservati? Ha visto come sono felici? E poi ho sempre e soltanto seguito il mio naso. O meglio, ciò che mi suggeriva un mio amico.»
«Ah! E chi era? Il suo figlioccio Lloyd Osbourne?»
«No, parlo del mio compagno invisibile. L’ho anche scritto in una poesia. Ma siccome era una poesia per bambini nessuno mi ha voluto credere. Pensavano scherzassi. Come se io ai bambini potessi dir bugie.»
«Non la conosco. Me la potrebbe leggere?»
«When children are playing alone on the green, In comes the playmate that never was seen. When children are happy and lonely and good, The friend of the Children comes out of the wood.
Nobody heard him and nobody saw, His is a picture you never could draw, But he’s sure to be present, abroad or at home, When children are happy and playing alone.
He lies in the laurels, he runs on the grass, He sings when you tinkle the musical glass; Whene’er you are happy and cannot tell why, The Friend of the Children is sure to be by!
‘Tis he, when at night you go off to your bed, bids you go to your sleep and not trouble your head; for wherever they’re lying, in cupboard or shelf, ‘Tis he will take care of your playthings himself!»
«Potrebbe tradurla per favore.»
«In sintesi dice questo: Se vedi un bambino che gioca da solo, stai certo che accanto, in piedi o seduto, con lui c’è l’amico che mai fu veduto. Quando sei felice e non sai dir perché, l’amico invisibile è certo con te.»
«E dunque lei aveva questo amico invisibile.»
«Vedo che purtroppo anche lei appartiene alla triste schiera degli scettici. Sbaglia, mi creda. E poi non era soltanto uno. In realtà erano molti.»
«E... che cosa facevano?» «È una lunga storia... Sicuro di volerla ascoltare?» «Con il più grande piacere.» «Il fatto è che io, fin da bambino, ero un sognatore irriducibile. Facevo sogni alle volte
assai strani. Ero perseguitato, ad esempio, da una certa sfumatura di bruno che temevo moltissimo. A quel tempo mi sarei separato assai volentieri da quei sogni opprimenti. Ma poi, a mano a mano che crescevo, gli incubi cessarono e vennero sostituiti da lunghi viaggi piacevoli in cui, senza bisogno di alzarmi dal letto, visitavo strane città e luoghi bellissimi.»
«In compagnia di questo amico invisibile?»
«Non riesce proprio a togliersi il vizio di interrompere, vedo. Non le hanno insegnato le regole della conversazione? Abbia pazienza e mi faccia finire. Se faccio una lunga pausa, allora significa che desidero intervenga. È semplice.»
«Sì. Mi scusi, a volte è più forte di me. Prosegua.»
«In seguito, mentre ero studente, cominciai a sognare con regolarità e a condurre una doppia vita, una di giorno e una di notte.»
«E quale rapporto c’era fra queste due esistenze?»
«Dell’una avevo tutte le ragioni di credere fosse vera, dell’altra non avevo nessun mezzo per provare che fosse falsa.»
«Un bel pasticcio!» «Può dirlo forte. Fu a questo punto che entrò in scena questo mio compagno invisibile.» «E la salvò? Vorrei tanto che me lo descrivesse.» «Ah! Era un amico perfetto, allegro, burlone... Quanto ci siamo divertiti assieme.» «E che fece quest’amico invisibile per salvarla?»
«Mi presentò, dato che non è un tipo geloso, dei nuovi compagni di giochi che io chiamavo gli Omini. Furono proprio loro, gli Omini, a prendersi cura del piccolo teatro che nel mio cervello stava acceso tutta la notte.»
«In sogno?»
«Sì, in sogno o in dormiveglia... Conoscerà quella sensazione: metà svegli e metà addormentati. Che fa quando ci si trova?»
«In genere mi costringo a svegliarmi.»
«Perché? Che peccato! È una sensazione bellissima, di grande libertà. Provi a rimanerci invece.»
«Mi sembra di perdere del tempo.»
«Che strano! È esattamente il contrario: un modo per trovare un’altra dimensione del tempo. Potessi vivrei soltanto così.»
«Perché non mi racconta che cosa le capitava quand’era in questo stato?»
«All’inizio questi Omini tenevano il palcoscenico in modo un po’ confuso, come bambini entrati in teatro di soppiatto che non sanno bene che fare. Col tempo però le cose si sono fatte più precise. Mi sono esercitato insieme a loro, ho imparato a sognare storie complete e perfino a tornare sullo stesso sogno per più notti. Facevo sogni assai strani... Si figuri che una volta ho sognato di dover inghiottire il mondo intero e tutti i suoi abitanti.»
«Che incubo tremendo!» «Può dirlo forte. Mi svegliai terrorizzato, urlando.» «Lo credo bene.»
«In seguito però, quando cominciai a condurre quella doppia vita, una di giorno e una di notte, di cui le dicevo, i patti tra me e gli Omini cambiarono radicalmente. Iniziarono a mettermi davanti, sul loro palcoscenico ben illuminato, interi brani di splendidi racconti.»
«Insomma, un po’ come a teatro?»
«Precisamente. Me ne stavo tranquillamente seduto in un palco e questi instancabili folletti mi presentavano racconti migliori di quanto io stesso avrei potuto inventare! Non era mio il racconto ma degli Omini.»
«Ma... Chi sono gli Omini?»
«Sono degli Gnomi, ovvio, e facevano metà del mio lavoro mentre ero profondamente addormentato e probabilmente il resto quando ero ben sveglio e credevo ingenuamente di essere io a svolgerlo.»
«Mi faccia un esempio.»
«Una notte gli Omini allestirono per me un sogno molto particolare. Da tempo volevo scrivere una storia sulla doppiezza dell'uomo e mi arrovellavo la mente per scovare un intreccio di qualche tipo. Finalmente arrivò la notte giusta e il sogno che tanto aspettavo. Così al mattino, al risveglio, dissi a tutti: “Non disturbatemi per nessun motivo, neanche se la casa prende fuoco. Devo scrivere.”»
«E che cosa scrisse?»
«Furono tre giorni di clausura fantastici al termine dei quali, non ci crederà, chiamai mia moglie Fanny e il mio figlioccio Lloyd. Tutto emozionato gli lessi a voce alta quello che avevo scritto. Lloyd ne fu rapito.»
«E Fanny?» «Mi criticò aspramente. Potrebbe essere un capolavoro, mi disse, ma non com’è adesso. «E allora lei che fece?»
«Mi infuriai, ovvio, e uscii di casa. Vagabondai per qualche ora e quando tornai avevo la febbre alta. Così mi misi a letto, termometro in bocca, e poi chiamai quel terremoto di mia moglie. Avevo molto riflettuto e dovevo proprio dirglielo.»
«Che cosa?»
«Così la guardai dritto negli occhi, perché sapevo che lei mi temeva quando facevo così. Feci una lunga, terribile, pausa e poi d’un fiato le dissi: «Fanny... hai ragione te».
«Le sarà costato ammetterlo.» «Moltissimo.» «E quindi?» «Quindi - al diavolo la febbre! -, mi rimisi al lavoro.» «Ah! Ecco! Qui la volevo. Alla fine dovette lavorare.»
«Purtroppo. Come le ho detto non sempre ho potuto farne a meno. Comunque, com’è come non è, magicamente guarii. Non mi ero mai sentito meglio. Dopo altri tre giorni uscii dal mio studio con il manoscritto de Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mister Hyde.»
«Gli Omini... non ci posso credere... le avevano raccontato loro quella storia?»
«Oh, non soltanto quella. Me ne hanno raccontate tante. Purtroppo non ho avuto il tempo per scriverle tutte.»
«Una bella fortuna la sua. Anche se poi dovette lavorarci su un bel po’.»
«Sì, ma il nocciolo della storia non avevo dovuto inventarlo io. Io dovetti solo fare il lavoro dell’artigiano: piallare un po’, mettere un po’ di colla, lucidare. Cose così.»
«E poi che successe?» «Il successo fu immediato. In sei mesi ne furono vendute, pensi, quarantamila copie.» «Sarà stato un record per quei tempi.»
«Lo fu. La storia contagiò come un virus, i sacerdoti la citavano nei sermoni, se ne fecero traduzioni, versioni teatrali, uscirono decine di articoli. Tutti volevano saperne di più su quella strana coppia. I nomi di Jekyll e Hyde diventarono sinonimi di bene e male in tutto il mondo e io una celebrità.»
«Non lo era già dopo L’isola del tesoro?»
«Quel libro! Lo amo come un figlio ma mi aveva reso famoso soprattutto in Inghilterra. E non credo fosse stato capito fino in fondo. Pensi che era stato considerato un racconto per ragazzi! Jekyll e Hyde invece mi resero famoso dappertutto.»
«E quindi finalmente si sentì capito?»
«Niente affatto. Anzi, pensai che dovevo aver fatto qualcosa di sbagliato, altrimenti non sarei diventato così popolare. E difatti quanti equivoci dovetti ascoltare!»
«Equivoci, Mr. Stevenson? Perché?»
«Perché? Rifletta. Dov’è il Bene in Jekyll e Hyde? Nessuno ma proprio nessuno sembrò notare il fatto che Hyde era stato creato da Jekyll. Hyde è soltanto il sicario ma il mandante è Jekyll. Quindi sono colpevoli entrambi e Jekyll in misura maggiore.»
«Un’incomprensione che dev’essere stata davvero fastidiosa.»
«Ma non creda che oggi sia diverso, che voi ve la passiate meglio. Ipocriti e Puritani secondo lei sono stati sconfitti? Avreste fatto progressi?»
«Temo di no... La ringrazio del racconto degli Omini. Ci rifletterò.» «E rifletta pure sulla pigrizia, mi dia retta.» «Lo farò. Però avrei ancora un’ultima domanda.» «Se posso le risponderò volentieri.»
«Secondo lei c’è speranza per l’umanità?» «Speranza di riuscire a raggiungere qualche risultato?» «Sì. Non ci dispiacerebbe.» «Lei, se capisco bene, mi sta chiedendo se è lecito attendersi un premio per i nostri sforzi? «Credo sia un desiderio naturale.»
«Mi dispiace dirglielo, resterà deluso. Non il successo, non la felicità, neanche la tranquillità della coscienza, niente di tutto questo arriva a premiare i nostri inutili tentativi di fare il bene. Perché ho l’impressione che lei stia parlando di questo.»
«Certo. Ma, inutili perché?» «Perché quelle che pomposamente chiamiamo “le nostre virtù” sono sterili.» «Cioè secondo lei non c’è differenza fra avere ragione o avere torto.»
«Lasci che siano il moralista e l’ipocrita a parlare della ragione e del torto. Se al contrario riuscirà ad osservare con sguardo puro il volto della nostra piccola terra, scoprirà che
ragione e torto cambiano al cambiar del clima, che una certa azione in un luogo è onorata come virtuosa in un’altro bollata come depravata.»
«È un pensiero che davvero toglie il respiro. Come sarebbe bello un luogo dove tutto fosse pulito.»
«Purtroppo sulla terra niente è pulito: la sorgente incontaminata, già quando sgorga dalla montagna, è tutta un pullulare di vermi in lotta per la sopravvivenza. La continua lotta per la vita di ogni creatura è un pensiero insopportabile al nostro cuore e così cerchiamo di nasconderlo. Invece dappertutto le vite fanno a pezzi altre vite, se ne ingozzano e ingrassano: il vegetariano, la balena, forse l’albero, non meno di quanto faccia il leone del deserto; perché il vegetariano in fondo è soltanto uno che mangia il muto.»
«Sa, questa cosa, l’ipocrisia del vegetariano, l’ho sempre pensata anch’io.»
«Nel frattempo la nostra isola ruotante, appesantita da tutte queste vite di rapina, inzuppata di sangue, sia animale che vegetale, più di un vascello ammutinato, fende lo spazio a velocità inimmaginabile e porge ora una ora l’altra guancia al riverbero di un mondo fiammeggiante lontano nove milioni di miglia. No, non è davvero strano, mi creda, se siamo tentati a disperare del bene.»
«Vuole dire che chiediamo troppo?»
«Voglio dire che la domanda che ci facciamo – la domanda di aver successo nella lotta per il Bene, la domanda di avere una ricompensa – è una domanda sbagliata.
«E la domanda giusta qual è?»
«Perché il Male esista. Perché Dio lo permette? Questa è stata la domanda della mia vita. Ma non ho trovato risposta. Non posso aiutarla. Posso soltanto dirle che l’uomo è tante cose e che di tutto ciò che siamo non si può rinunciare a niente.»
«Proprio a niente? Io a qualcosa rinuncerei volentieri.»
«Non può. Deve prenderlo tutto l’uomo. Se lo guarda con attenzione vedrà uno spettro mostruoso; una cosa che a vederla i bambini piangono.»
«Appunto.»
«Tuttavia, se lo guarderà più da vicino, vedrà anche come sono sorprendenti i nostri attributi! Povere anime, viviamo così poco, gettati in mezzo a tante difficoltà, riempiti di desideri smisurati e contraddittori, smisuratamente infantili, talvolta valorosi, spesso gentili in modo commovente; capaci di sedere, nel mezzo delle nostre vite passeggere, a dibattere sul diritto e sul torto e sugli attributi della divinità; di dar battaglia per un uovo o morire per un’idea; di partorire con dolore e educare con cura e pazienza i nostri piccoli.»
«Insomma, un mistero.»
«Per quanto mi riguarda, quando mi sono sforzato di arrivare al nocciolo di questo mistero ho scoperto un pensiero strano, che rasenta la follia.»
«Quale?»
«Il senso del dovere; il senso di qualcosa che sarebbe, chissà mai perché, dovuta a noi, al nostro prossimo, al nostro Dio.»
«Forse era così ai suoi tempi. Oggi non sono sicuro che il senso del dovere sia ancora al centro dei nostri pensieri.»
«Impossibile. È sempre stato, le assicuro, e sarà sempre così.»
«Così? Per tutti?»
«Anche se il progetto nella maggior parte degli uomini è di essere conformisti, mi creda, in tutti, con varie sfumature, c’è un senso radicato del dovere. L’uomo ne è influenzato in modo così totale che le cose semplicemente egoistiche finiscono in secondo piano anche per gli egoisti: che perfino il più insensibile indietreggia al rimprovero di uno sguardo, fosse anche quello di un bambino.»
«Mi dispiace insistere e doverla contraddire. A me non pare proprio che quel che dice sia valido ancora oggi.»
«Lei intende parlare della tragedia di malintesi e pessimi comportamenti che l’uomo mostra generalmente: ingiustizia organizzata, violenza vigliacca, perfida criminalità; per non parlare delle schiaccianti imperfezioni che si trovano perfino nei migliori.»
«Già. Del resto lei ce le ha mostrate in modo magistrale nei suoi romanzi.»
«Non ne sono sicuro. Non c’è modo che sia capace di rappresentarle per come sono, cioè sufficientemente squallide.»
«Ma allora, se siamo destinati a fallire nei nostri sforzi di fare il bene, agitarsi tanto, darsi da fare, sarebbe inutile. Tanto varrebbe alzare bandiera bianca.»
«No, questo mai. Se anche i migliori deludono regolarmente, quanto è più importante, dieci volte più importante, che tutti continuiamo a lottare.»
«Ma non capisco. A che pro?»
«Non per un premio ma perché è il nostro compito. E comunque vi troverà una fonte di commozione e di ispirazione.»
«Quale? Cosa troverò?»
«Potrà constatare che, anche se il successo resterà in esilio per sempre, la nostra razza non cesserà la sua lotta faticosa mai. Non importa in quale clima lo osserviamo, in quale stadio della società, caricato da chissà quale erronea moralità. Ah! Fossi stato capace di mostrarvi tutto ciò! Capace di raccontarvi, voi uomini e donne, in balia di ogni tipo di oltraggio e di errore, di ogni tipo di fallimento, senza più speranza, senza aiuto, senza ringraziamenti, che pure ancora combattete in silenzio la battaglia perduta della virtù! Perché questo - il desiderio del bene - non è soltanto il nostro privilegio e la nostra gloria, bensì il nostro destino.»
«Ma lei ce lo ha mostrato.» «Non quanto e come avrei voluto.» «Non vorrei sembrarle accondiscendente, però mi sembra troppo severo con se stesso.»
«Dio solo lo sa. E comunque Dio non voglia che sia l’uomo, l’eretto, il ragionatore, il saggio, Dio non voglia che sia l’uomo a stancarsi di ben operare, a disperare per i suoi sforzi non ricompensati o a parlare la lingua noiosa del lamento.»
«Ammetterà che ci vuole una grande fede per non arrendersi.»
«Sia sufficiente alla sua fede constatare che il creato tutto geme per la sua fragilità mortale e tuttavia non smette di lottare con costanza indomabile.»
«E se, nonostante ciò, fosse tutto vano?»
«No! Non dica questo!»
«Non lo dirò. Si calmi.»
«Le dirò un’ultima cosa, l’unica forse di cui sono testardamente certo: Sicuramente non sarà tutto invano.»
«Sono contento che lo dica. Ma...» «Lo tenga bene a mente.» «Lo farò.» «Purtroppo adesso devo andare.» «Mi dispiace. Ozierei con lei ancora molto a lungo. Avrei ancora tante domande.» «Addio, amico.»
«Addio.»
Ed è stato così che Stevenson mi ha lasciato ed io mi sono svegliato, con quelle cinque parole che mi frullavano in testa: sicuramente non sarà tutto invano. Che sogno! Avevo bisogno di respirare ma non volevo dimenticare ciò che mi aveva detto. Chi avrebbe mai immaginato di poterlo ascoltare. Adesso avevo capito perché Borges ha messo Stevenson fra i Giusti.
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Quanto resta di te?
Lavoro, ore piene di corsa, susseguirsi di azioni da portare a termine per guadagnare, pezzi di carta alla fin fine, ma a quanto pare indispensabili se vuoi campare ...quanto resta di te? In quello che fai per ottenerli, alle persone con cui ti rapporti e condividi la maggior parte del tempo del lavorare per campare più che del lavorare perché lo ami fare?
Aperitivi, cene , ascoltare , annuire, senza ascoltare davvero, perso in ogni tuo pensiero, facendo tanto per fare, parlando tanto per dire, dicendo "hai ragione, ti capisco" oppure "passerà", quando in realtà nn sai neanche di che si sta' parlando, nn hai idea perché nn stai davvero ascoltando, nn puoi davvero capire perché nn lo stai passando, ma intanto stai la', fingendo di esserci davvero, ma più con il corpo che con te stesso davvero...quanto resta di te? In quel momento che stai vivendo, nel bicchiere che bevendo butti giù come il vento, negli occhi e nel dentro di chi ti sta'parlando, in quella testa che parlando apre la bocca emettendo frasi che in realtà nn senti, come in un film muto, in una tua bolla personale, vedi il labbiale ma nn stai ad ascoltare, del tempo e di quell' istante, di quel "qui e ora" che stai vivendo, o meglio vivendo a stento? Quanto resta di te? Di tutti i "domani andrà meglio" dei "rimando a domani, oggi nn posso, nn voglio, nn ho tempo degli "scusa, ma ora e tardi" dei " ti faccio sapere" dei " ti richiamo domani" e poi nn richiami mai, degli " scusami, sono sempre di corsa" e poi nn è vero, e anche quando nn corri, lasci " correre" tu, rimandando a domani, e domani nn è mai oggi ma oggi e domani e poi dopodomani diventa mai più Quanto resta di te? Nei sorrisi di circostanza, nei regali per dovere o riconoscenza, nei pensieri condivisi per convenienza, piu che per vera coerenza e immedesimazione e realistica e vissuta esperienza? Quanto resta di te? Nei "si " che dici nn per vera volontà, piacere ed entusiasmo, ma per la paura della noia, del vuoto, del giudizio e dell ' incerto di quel o quei "no" che portano scompenso , per riempire di rumore quel silenzio del nn consenso, del nn sapere cosa fare, e piu che altro più di tutto e sopratutto di nn saper stare solo o sola con te, quindi pur sempre meglio partecipare anche se il gioco nn vale, anche senza il gusto e il piacere di " giocare" Quanto resta di te? Nei giudizi che dai ma nn ti giudichi mai, nel puntare il dito e disapprovare a prescindere, nel condannare quei sbagli che alla fine sono gli stessi tuoi, solo che " sbagliando si impara" ma mentre gli altri lo fanno pur di rischiare , tu sbagli e nn impari mai, nn accetti, non ti accetti e condanni per nn condannarti, nn approvi nn perdoni e nn accetti perché in realtà nn sai perdonarti, accertarti, "approvarti" Quanto resta di te? Nel tenerti per orgoglio per paura o vergogna quel "ti voglio bene" , " ti amo" , " ti volevo dire che, "ti odio" , " addio" "nn mi cercare più", " è finita" , "posso farne a meno", "fai come ti pare", "ora basta" , " vattene via", " nn ti aspetto piu" , "nn mi cercare", "nn provo niente o più niente" ma poi il tempo passa, nn ce' più tempo per quel " ti voglio bene" , quel "ti amo", quel" ti volevo dire" che nn potrai dire più, nn odiavi davvero ma eri solo ferito, e troppo orgoglioso per ammetterlo, quell " addio" era invece un "resta qui con me" , quel nn mi cercare era " cercami ancora, cercami sempre", "è finita" era invece un "ricominciamo", quel "vattene via " era un "ti prego resta", e quel " nn provo niente, più niente" in realtà era un " provo tutto, anzi troppo, così tutto e tanto che ho paura , paura di perderlo, così paura che non ne sopporto il peso,sopratutto il peso che avrà se lo perderò, quindi prima di rischiare anche solo di soffrire, meglio lasciare andare, mollare... Quanto resta di te? Di tutta quella vita che vivi e ti lasci vivere, scivolare addosso, quanto ti vivi davvero e ti lasci davvero vivere? Quanto resta di te ? Della vita , di tutta la vita vera o più o meno vera che ricevi , quanta vita dai?
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forgottenbones · 5 years
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Country House
Si sopravvaluta la solitudine. La si romanticizza. Si dice "Ah, se solo potessi stare lontano dalla routine della città e vivere in un luogo isolato, senza dover lavorare, né preoccuparmi di niente". Ma se non hai modo di riempire quel vuoto, è l'inferno.
Non ti resta nient'altro da fare, se non preparare la marmellata dei tuoi rimpianti, imbottigliare la conserva del senso di colpa, salare gli insaccati delle tue mancanze.
Puoi ridere alla stupidità di queste parole, ma è tutto ciò che ti offro.
E non le rende meno vere.
Rifuggire da questa sensazione di angoscia, da quest'horror vacui è ciò che veramente ci spinge a vivere. Basta vedere quante cose di dubbio gusto e moralità facciamo per combattere la noia. Per non udire più l'accordo minore che ci accompagna da sempre.
Se sei solo, invecchi prima. Diventi intollerante, per gradi. E prima che tu te ne accorga, sarà troppo tardi. Avvizzisci e poi muori. Respiri, ma sei morto. La solitudine ti ha portato via tutto ciò che avevi di buono, tutto ciò che ti rendeva te. Ti ha rubato la stima di te stesso, la dignità, l'empatia.
Questo senso di torpore, di atrofia, di annegamento. Di esistere rannicchiato e di non poter stendere le gambe.
È ciò che mi fa scrivere. Come scriverebbe qualcuno sulle pareti di un tunnel, parole che nessuno vedrà perché corrono tutti troppo veloci, tanto spasmodico è il loro bisogno di tornare alla luce.
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hug-kiss-and-smile · 5 years
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Ciao, ho 18 anni (quasi) e.... Ebbene sì lavoro, quell'azione banale che fanno tutti, che si vede nei film che non sorprende più nessuno e non sorprende neanche il fatto che alla mia età stia lavorando. A me invece mi sorprende molto parlare di lavoro, è una parola che è entrata effettivamente nella mia vita circa 2 settimane fa, non da molto insomma. Non faccio lavori straordinariamente interessanti la cui lettura attirerebbe chiunque come l'astronauta, il medico nucleare,l' archeologo.... Faccio l'animatrice... Lo so sembra molto banale e quasi difficile da definire lavoro ma lo è. Non racconterò dei giorni passati sarebbe solo difficile ricordare i miei stati d'animo vi basti sapere che è successo tutto in un giorno, mi sono alzata ho guardato la mia serie TV e in un momento di noia ho guardato su una pagina Facebook di offerte di lavoro, così per sfizio, senza sapere nemmeno cosa significasse lavorare.... Ho trovato un offerta allettante, ho messaggiato un po' e dopo 3 ore ho fatto il colloquio... Il giorno dopo ero già affiancata ad una per la formazione.
È interessante come nel giro di due settimane la mia vita sia mutata, il mio umore sia mutato.  Lavorare è difficile, lo dicono tutti. Lavorare a contatto con le persone lo è ancora di più. Io stessa ho sempre pensato al lavoro dell'animatrice come un non-lavoro, mi sbagliavo. Oggi ad esempio mi sono confrontata con una quindicina di bambini che volevano tutti far qualcosa, ho fatto preparare a ciascuno un cappello da cuoco per il gioco che faremo a pomeriggio ma una volta finito se ne andavano. Ecco le cose che ti deludono un po', far divertire è estremamente difficile così come intrattenere.
Sono sola, sola a dover parlare con bambini e mamme a fingere di interessarmi della loro vita, dei loro problemi, delle loro necessità.
Stamattina avrei anche dovuto fare il risveglio muscolare per la prima volta, ho appeso il cartellone del programma del giorno, ho chiesto a due persone, hanno rifiutato e a disagio ho riscritto il cartellone senza quell'attività, avevo paura, non sapevo come fare. L'unica consolazione è che è sabato e domani finalmente è giornata di riposo.
-scritto da me durante la pausa l'estate scorsa, che stress quel lavoro
Voi avete mai lavorato? E come animatori?
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engibae · 2 years
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30 day writing challenge
Non è la prima volta che cerco di fare questa cosa.
Non è neanche la prima volte che sono su questa piattaforma ma l'ho riscoperta per provare a staccarmi dal mondo Instagram un pochino, per quanto sia possibile.
Non so quanto durerà tutto questo, spero almeno per il tempo della durata di questa sfida che ho voluto iniziare proprio il primo di Dicembre. che eterna romantica che sono.
Allora, ciò che voglio fare è scrivere, miei pensieri, poesie, denunce sociali, frasi casuali, pensieri, avvenimento accaduti durante la giornata... qualsiasi cosa mi passi per la testa, per almeno un'ora della mia giornata. Scrivo male, mi sa, non lo so quanto corretta sia la mia grammatica scritta, ma ci voglio provare per il bene dell'anima. Povera anima poi, circondata da un corpo amato ma non abbastanza forse, non troppo curato, fumo e l'alcol nella mia vita è una costante presente da quando ho sedici anni. Ecco, una cosa che non mi piace sono i numeri scritti in cifre, non penso lo farò mai qui, sono un po' come la professoressa di italiano alle medie, "non scrivete sul tema i numeri scritti in cifra altrimenti vi metto meno".
Un po' ho sempre voluto fare la professoressa di italiano, da piccola, più giovane. Ci credevo ancora durante il primo periodo dell'adolescenza. Ho sempre pensato che scrittura e lettura fossero una cosa che mi appartenesse; ci credevo tanto e pensavo di aver ricevuto durante la mia vita i giusti segni per crederci: primo libro (Nemo) letto da sola all'età di tre anni (non una bambina prodigio, lo so ma è un vanto per me da sbandierare di fronte a gente che non apprezza la lettura, eresia per me grande scrittrice e lettrice d'altri tempi), le maestre, le professoresse mi prestavano sempre i loro libri. O tipo i libri che ti davano a scuola, alle elementari, da leggere durante l'estate, ce n'era circa quattro o cinque: io ne leggevo 10 e facevo anche tutte e dieci le recensioni. Anche se non andavo matta per le recensioni, perché era noioso dover seguire uno schema. Ecco io vorrei imparare a scrivere, poesie, testi narrativi, libri addirittura. Seconda parte della mia adolescenza passata a sperare che qualcuno leggesse le mie storie, ho meglio fan fiction, da bambina esaltata su Wattpad i cui protagonisti erano i miei idoli. Un sogno un po' alla Anne Todd (credo che si chiami così), sogno in cui qualcuno di rilevante nel mondo dell'editoria scoprisse il mio talento. Forse pensavo solo a fare soldi nel modo più figo possibile.
Ecco, scrivendo vorrei eliminare tutto questo slang, figo, ci sta. Si. ho ventidue anni ma non quattordici. Ho quasi ceduto a scrivere l'età in cifre.
Comunque ho sempre voluto indirettamente lavorare in quel mondo, ma suppongo serva seguire degli schemi e a me non piace. Se volevo seguire degli schemi lo facevo nelle materie scientifiche, o matematiche. Ma ci va la virgola prima della O?
Magari oltre a provare a scrivere potrei anche cercare di leggere di più.
Quando inizi a lavorare, vai a vivere con il tuo ragazzo, prendi un cane salgono tutte le responsabilità da adulta i meno di un anno e si, sono circa le tempistiche con cui ho fatto queste cose. E allora ho dimenticato per più di un anno cosa stessi facendo della mia esistenza, troppo occupata a lamentarmi del fatto che non riuscivo a tenere casa pulita. Ho dimenticato cosa vuol dire prendermi cura di me stessa, troppo intenta ad affogare in una fame nervosa da noia, Netflix e video Youtube sul letto, tutto il giorno, senza dare un senso alle mie giornate. Ho anche perso molto gusto per quanto riguarda la musica. Si potrebbe pensare che abbia aperto i miei orizzonti scoprendo nuovi generi grazie al mio amore, ma ho dimenticato i miei di generi forse. Non so, mi manca ascoltare una cosa che mi piace, non so più cosa mi piace.
Ammetto però che piccoli passi di miglioramento li sto facendo. Non ho mai avuto pazienza in vita mia, mai abbastanza per iniziare e finire una cosa in modo decente e soddisfacente, per me. Sto imparando anche quello.
Ho avuto mille passioni, la fotografia, lo sport, più sport, vari sport, mai decisa però. Mai decisa abbastanza a portare a termine tutto. Niente anzi.
Mi sono fermata a correggere tutti gli errori rileggendo quello che avevo appena scritto.
Voglio iniziare a vivere la mia vita come Main Character del mio film. Suona orribile, nulla di nuovo, una tendenza popolare ora, ma bella secondo me. Mi piace che molte tendenze dei giorni d'oggi riguardino cose positive sulla vita delle persone. Peccato che siano passeggere.
Comunque la trama (ecco devo imparare scrivere italiano senza buttare frasi o perle in inglese quando scrivo, non sono su una instagram stories) del mio film, quello sulla mia vita, è uno di quei film inizio anni 2000 (numeri) o 2010 circa, quando non erano poi così popolari i social media, forse twitter o facebook, non lo so. La protagonista, io, non usa instagram tutto il giorno, guarda film, quello si. O seri tv, meglio chiamate sit com, non c'era neanche Netflix ma ora lo sto pagando per quello perciò penso vada bene comunque (sia ok comunque era la versione originale che ho modificato, basta slang).
La protagonista fa qualcosa di interessante in ogni scena della sua vita, anche nella sua piccola quotidianità. Incontra gente nuova, chiacchera fa amicizie ovunque. Ecco le amicizie se le fa senza scambiarsi troppi messaggini, magari qualcuno giusto per mettersi d'accordo su un'uscita, una cena, un caffè o magari un thè, che renderebbe tutto molto inglese.
Vedo già troppe correzioni da fare, la riga rossa sotto le parole mi attacca in modo passivo aggressivo.
La protagonista non ha tanti amici, pochi ma buoni. Amici probabilmente sarà un tema che voglio decisamente affrontare.
Tra le varie cose che vorrei fare per assomigliare alla me protagonista è la passione per qualcosa. Ho sempre invidiato i talenti, qualcosa che una persona sa fare molto bene e di cui parla con occhi illuminati dalla gioia. Il mio ragazzo sa suonare molto bene il pianoforte, è una sua passione un suo talento. La musica è una sua passione. Pensavo fosse la mia, accanto alla lettura. Ma poi ho scoperto che leggere non è proprio un talento (ad oggi forse una realtà rara nella realtà in cui vivo),e per quanto riguarda la musica, non avevo una famiglia abbastanza aperta mentalmente da seguire i miei capricci.
Mi è sempre piaciuto cantare, pesavo fosse il mio talento.
Per Natale dell'anno scorso ci siamo regalati una bella chitarra con l'impegno che avremmo imparato a suonarla. Già solo durante le prime ore di tentativi sono stata assalita da uno sconforto nel vedere che il mio ragazzo aveva un talento, perché ha l'orecchio assoluto o una cosa del genere. Sapeva già suonare una canzone, quella che tutti imparano appena iniziano il corso di chitarra. Io non riuscivo minimante a ricordare le note, tutto troppo complesso per me che credo di avere un mente troppo semplice. O semplicemente "sono brava ma non mi applico". Frase clichè della mia vita. La gente ci scherza quando cresce ma è vero. Morale della favola non ho mai più ripreso in mano la chitarra mentre lui ogni tanto la alterna al pianoforte le volte in cui vuole dedicarsi alla sua passione, al suo talento.
Ancora oggi credo di non averne uno e lo cerco, potrebbe veramente bastarmene uno, nella mia quotidianità. Non mi basterebbe comunque perché vorrei qualcosa di unico. La voce di una cantante è unica, i modo di suonare sono anche unici, il modo di ballare o praticare un qualsiasi sport è unico e cambia in base alla persona che lo fa. Ma io non riesco, perdo pazienza velocemente, mi demoralizzo se non sono capace subito, se non vedo progressi immediati.
Penso dia ver già dato molto di me in questi 40 minuti di scrittura, ci vuole meno a leggere tutto quello che ho scritto, penso. Non so se vorrò aprirmi nei testi dei prossimi giorni, o forse si. Non devo decidere, altrimenti diventa un compito, in classe, un lavoro. e mi metterebbe pressione e andrei nel panico e lascerei perdere al giorno tre probabilmente (cifra scritta e cancellata, la forte tentazione dei numeri).
Non si cosa mi aspetto da questo percorso, vedrò succedere qualcosa probabilmente con l'avanzare del tempo.
Non è passata un ora, ora rileggo correggo e vedo cos'altro aggiungere.
Non mi viene in mente nulla se non che pasticcio di pensieri ho appena scritto? Piano piano verrà tutto meglio, ne sono sicura, voglio avere fiducia in me stessa e darmi tempo. Vorrei allegare un'immagine con frase motivazionale inerente al tema del brano scritto. Ma ora non avrebbe senso nulla, è tutto molto caotico.
Penso di aver finito per oggi.
Ora, tutto ciò non ha un vero e proprio scopo di condivisione, è più una cosa personale che ho deciso di condividere qui, ma sono aperta a confronti, critiche, consigli o nuove conoscenze, anche se la me protagonista del suo fil non approverebbe.
E
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LP - Life is a journey pt. 3
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Intervista Meltingpot 2017 di Petr Vizina (giornalista e batterista)
Hai mai avuto una canzone che ha cambiato il modo in senso profondo di guardare la realtà, sulle relazioni, sul sesso o il mondo? Hai una canzone che ascolti più e più volte, che ti ha cambiata?
Ahm...sai…
O anche un libro se vuoi...
Un libro? Ho letto il libro di James Baldwin “Another Country” [in Italia col titolo: “Un altro mondo”] e in un certo modo ha cambiato il modo di pensare su un sacco di cose, mi sento di essere cresciuta in un mondo che “non accettava molto”…
Puoi essere più specifica per noi?
Oh, mio padre aveva amici di ogni tipo, ma penso che avesse la sua opinione sul razzismo ed il sessismo…
Lo percepivi?
Sì immagino che stesse cercando di perpetuarlo attraverso di me ed io mi sentivo di dover combattere contro queste cose. Penso che gli artisti di cui ho letto i libri e gli artisti che ascoltavo hanno sicuramente cambiato sia questo tipo di cose per me, sia il riuscire ad esporre me stessa. Persino la scelta di ascoltare la black music e non ero per niente cresciuta con nessun tipo di black music in casa mia. Tutto si incentrava principalmente sui bianchi mentre quando ho scoperto l’origine di un sacco di musica americana ero tipo: “Ah!” felice di aver scoperto…
Come il Soul…
Esatto, ho decisamente allargato la mia visione del mondo e ho anche cambiato il modo in cui vedevo le persone. Sai, si cresce con il punto di vista dei propri genitori e credo che la musica abbia decisamente ampliato la mia visione del mondo, grazie a Dio!
Ti ho visto suonare al Roxy con la band e mi chiedevo se ti vedi più come solista, una donna con la chitarra e una compagnia di persone intorno oppure con una band, sai, c’è una cosa buffa sulle band, perché passi la maggior parte del tempo in un bus o sull’aereo, dipende se sei Bob Dylan oppure qualche altra band...Cosa ne pensi?
Ho sempre desiderato una band, ho sempre ammirato così tante band, come i Rolling Stones, continuo a guardare qualsiasi cosa che trovo su di loro, li amo veramente. Mi piacerebbe trovare lo stesso per me ma devo dire, per una cantante donna, non è così facile avere una band.
Dai…
Si perché sento che quando la band è di un ragazzo, si pensa di più a “un mucchio di ragazzi ed intorno un sacco di ragazze” mentre quando la cantante è una donna, è una band con una cantante.Ora mi trovo bene con la mia band, sono i miei compagni ed amo stare insieme a loro, ma se guardo indietro posso dire che non è stato facile. In passato ho avuto ogni tipo di problema anche quando ero sotto contratto con le major, finivo per scrivere pezzi che poi andavano ad altri produttori.
Giusto.
Quindi solo questo, è stato il mio percorso, ora la mia fidanzata ha una band e con la sua chitarrista il legame è solido. Loro stanno firmando un contratto insieme ed io le ho detto: “Se per te è ok, buona fortuna vai!” [RIDE]. Perché’ è dura. Se vai a vedere nella storia della musica, se leggi di alcune band, sembra che alcuni componenti hanno dato più dispiaceri degli amanti…
E’ vero, pensando ad una band di donne mi viene in mente k.d. Lang.
Mm?
Lei aveva una buona band, oppure Sonic Youth aveva una bassista.
Ma solitamente vedi la cantante donna e i ragazzi attorno a lei, non vedi proprio una band…
Sì e poi ci sono band tipo, per parlare dei Fleetwood Mac quando leggi la loro storia… Hai letto la loro storia? Su tutte le relazioni all’interno della band?
All’interno della band?
Quindi, dici, hai i fans, hai persone che ti amano ovunque guardi ed invece…
Sì, hai presente Stevie Nicks e il suo chitarrista…non mi viene il nome...
Il chitarrista dei Fleetwood Mac? [CHIEDE AL PUBBLICO]
Si..
Voce fuori campo: Lindsey Buckingham
Lindsay Buckingham, Gesù, ecco! Loro sono stati messi nei Fleetwood Mac come coppia, erano una coppia quando sono entrati nella band e poi, sai, le cose erano veramente difficili, lui era stufo di sfornare canzoni di Stevie Nicks e poi Stevie ha iniziato a fare casino col batterista che era Fleetwood, Mick Fleetwood, o una cosa del genere. Storie interminabili… e poi la donna che suonava il piano, Kristie…ehm…Gesù…OK [RIDE PERCHE’ NON RICORDA E INDICA IL PUBBLICO PER AVERE LA RISPOSTA COME PRIMA]
Tu sei l’uomo Fleetwood Mac [RIFERENDOSI A CHI HA AIUTATO A RICORDARE I NOMI]
Lei stava col bassista, erano una coppia ed è piuttosto strano in una band. Sei in viaggio tutto il tempo…ecco perché ho solo uomini attorno! “Niente donne nella band per me, mai! Sto scherzando… beh, più o meno…
Qual è la routine quotidiana di LP? Intendo quando viaggi, che cosa fai? Scrivi o fai qualcosa regolarmente?
Solitamente mi sento abbastanza creativa di mattina, raccolgo l’ispirazione dalle ore di sonno, ma non sono un tipo troppo salutista (e infatti sono qui a bere birra!).
E’ molto salutare comunque.
Esatto! E poi la birra ceca, oh mio Dio, la migliore!
Buona per la tua salute!
Poi faccio un po’ di Yoga, è la mia gioia, senza non sarei qui seduta a parlare,  è incredibile. È una delle cose migliori che abbia potuto fare per me a livello fisico. Poi mi bevo una birra e inizio gli esercizi per riscaldare la voce… [RIDE]
Oh sì, Rock and Roll!...Sei una persona alla quale si può parlare di mattino presto oppure no?
Ah, in genere mi sveglio abbastanza carica, verso…
Verso le 7, 8?
Verso le 8? Sei matto? Se sono da sola quando sono in tour, se non devo alzarmi non mi sveglio fino a mezzogiorno, ma quando sono a casa, ora ho questo piccolo adorabile cane che mi aspetta…
Porti a spasso il cane la mattina?
Sì, è la prima cosa che faccio.
Capisco, ed è la prima cosa che fai?
Sì, so che non stavamo parlando di quando sono a casa, ma sì…
E tornando a quando scrivi canzoni, devi stare tranquilla e da sola per stare concentrata sulle cose che fai? Come fai?
Al contrario, quando creo non lo faccio nella tranquillità.
No?
No, di solito scrivo nel bel mezzo del caos, spesso mi metto a scrivere sul cellulare oppure butto giù robe velocemente, ma essendo una compositrice, mi piacciono anche le strutture. Organizzo del tempo in studio e lo porto a termine e quel giorno non devo sentirmi necessariamente creativa, lo faccio e basta. Non mi metto a pensare “Vado in studio, sono pronta sono ispirata! Al contrario, di solito mi sento tipo “Cavolo, vorrei tanto mandare tutto a quel paese e non fare niente [RIDE]” e poi “No, spiacente, abbiamo lo studio!” e [IMITA NOIA] “Oooh, OK”. E poi ci vado e succede qualcosa di meraviglioso e mi dico “per fortuna che ci sono andata!”. Ecco perché anche quando sono molto vicina a cancellare la sessione in studio mi dico: “Sì, forse dovrei andarci”. Sai, Tightrope è stata proprio la canzone che quel giorno non mi sentivo di scrivere ed invece… io lo chiamo “scrivere su me stessa vedendola da fuori” e sono tipo [IMITA VOCE E SCRITTURA]: “Oh, questa è fantastica, Ok, sì, sì, sì, questa è buona!” e intanto me ne sto andando [RIDE]. Avevo la sensazione di non essere tanto ispirata, beh non intendo che non lo fossi, solo non mi sentivo di scrivere ed invece, ritornando sulla canzone mi son detta “Mmh, questa mi piace veramente!”.
Ho cercato, in tutte le mie interviste qui, che cosa le persone possono imparare e tenere per sè. Mi chiedevo se con te poteva essere il mantra “sei ad una canzone di distanza dal successo”…
Sì.
Io penso che sia un’idea magnifica. Pensi che la possiamo usare anche se non siamo musicisti né compositori di canzoni? Possiamo applicare il metodo LP nelle nostre vite?
Certo, potrebbe suonare come un vecchio ritornello, ma devi continuare a provare. Se scrivi una canzone e diventa un successo, tutti poi ne vorrebbero un'altra: i fans la vogliono, i tuoi manager la vogliono, tu stesso la vorresti! Ma se scrivi una canzone e non diventa un successo, tutti comunque ne vorrebbero un’altra! [RIDE] Quindi, per me è una delle cose più grandi come compositrice e, credo pure nella vita. Le prime volte che ho iniziato a scrivere canzoni, mi dicevo: “Questa è quella giusta…è questa…è questa…no è questa…no assolutamente è questa!” Ora non penso più in questo modo perché ti crea costantemente delle aspettative e non sono mai una cosa buona…
Delusione, forse, sì?
Esatto, scrivi una canzone e sì pensi che sia buona. Nel momento in cui “Lost on you” è stata notata, probabilmente avevo già scritto altre 50 canzoni e non avevo nessun pensiero che quella avrebbe potuto essere una canzone che mi avrebbe fatto sedere qui. Quindi, la risposta per me è semplicemente “lavorare, ancora e ancora”.
C’è una canzone di Lou Reed che dice: “Lavoro, lavoro, ci vuole lavoro”. Quindi questo è per noi [RIVOLTO AL PUBBLICO]: continuare a lavorare senza farsi grosse aspettative e se succederà, un giorno succederà!
Sì, perché riesci a sentirti sempre bene. È molto difficile, siamo tutti esperti nel rimandare le cose, ma se penso a quando lavoro per 6 ore e ho scritto tutta questa roba che non va bene e poi all’improvviso arriva qualcosa di veramente buono, mi rendo conto che non ci sarei mai arrivata senza quelle 6 ore. E’ molto bello. È molto difficile ricordarlo, ma è la cosa più grande che io abbia mai visto per me.
Questa è una lezione pratica, grazie!
[RIDE] Sì.
Ora, tu suonerai stasera qui in Ostrava.
Sì...
Hai una lista solita di brani, già stabilita, oppure no?
Sì, per questo tour ne abbiamo 3 diverse.
Ok.
Perché ci permette di ottenere movimenti più fluidi durante i set…
Quindi, andate a vederla! [RIVOLTO AL PUBBLICO]
Sì, per favore, grazie tante per essere venuti.
Grazie tante.
Lo apprezzo molto, grazie [SALUTA], grazie.
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Traduzione a cura di Sara Bonito e Cinzia Filipponi 
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gwamch · 4 years
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TRE PICCOLI IMPRENDITORI ITALIANI CHE AFFRONTANO LA SFIDA DEL POST COVID-19
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Oggi nel filone: LE INTERVISTE DI GWAM, vi vogliamo parlare della storia di tre amici: tre piccoli imprenditori italiani che di fronte al problema regionale, nazionale, mondiale del Coronavirus e del lockdown hanno reagito con lucidità e pragmatismo. LA STORIA DI TRE PICCOLI IMPRENDITORI ITALIANI CHE AFFRONTANO LA SFIDA DEL POST COVID-19 Gli imprenditori sono: Enzo, Augusto, Mimmo. Cosimo (Mimmo) Saracino, è il più giovane imprenditore del trio. 28 anni, di origine pugliese (Taranto) è il classico ragazzo del Sud che ha tentato la fortuna al di fuori dell'Italia. Tra Germania e Spagna ha cambiato qualcosa come 12 lavori e 20 dimore. Poi nel Saronnese ha concretizzato una sua folgorante ed innovativa ed emozionale idea: far provare a tutti l’ebbrezza di guidare una Super Car in pista. In meno di due anni la sua CarSchoolbox è diventata un riferimento nazionale; il suo parco auto dalle 2 auto iniziali è cresciuto fino ad avere oggi 9 auto; l’exploit della sua start-up è stato oggetto di studio nelle Università di Economia di Milano e Roma. Augusto Lotorto, 52 anni, di Saronno. Nel 1995 ha aperto la sua prima attività con un posteggio al Terminal 2 di Malpensa, attività che cederà nel 2003. Nel frattempo, nel 2001, a causa delle Torri Gemelle subisce una contrazione del lavoro e quindi attua una prima conversione della sua attività verso il servizio di NCC (Noleggio con conducente) e a seguire con la FlySafeBag entra nel settore della protezione ed avvolgimento valigie passando in 8 anni da 30 a 250 dipendenti e coprendo pressoché tutta l’Europa continentale. Nel 2008, decorsi i 5 anni di patto di non concorrenza cede l’attività di posteggio, crea la JetPark (che oggi conta 32 dipendenti) alla quale si dedicherà completamente dall'anno successivo perché, anche a seguito della nascita della sua quarta figlia, decide di vendere la FlySafeBag. Enzo Muscia è.…Enzo Muscia! È sicuramente il più famoso tra gli imprenditori dei tre. 50anni, ex dipendente, poi direttore commerciale, poi Titolare della A Novo Italia, specializzata nella assistenza post-vendita di prodotti elettronici. Qualsiasi cosa scriva qui su Enzo sarebbe fortemente riduttiva rispetto a tutto ciò che ha fatto e per come lo ha fatto, e che lo ha anche meritatamente portato ad essere nominato Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana. A lui e alla sua storia è stato dedicato anche il film TV “Il Mondo sulle spalle”, interpretato da Beppe Fiorello. Tre Amici, tre piccoli imprenditori, ognuno con la propria azienda ben avviata. Poi, improvvisamente e senza preavviso, arriva la mannaia del Coronavirus e del conseguente lockdown! L’attività di Mimmo si blocca, anzi, si azzera dalla sera alla mattina: piste chiuse; telefoni muti, prenotazioni rinviate. L’attività di Augusto, dopo qualche giorno dedicato alla restituzione della auto rimaste ferme nel posteggio - per es anche portandole fino al confine svizzero per consegnarle di persona ai legittimi proprietari - si blocca. Posteggi vuoti! L’attività di Enzo si è parzialmente bloccata: la Filiale di Torino chiusa, mentre la sede di Saronno, seppur con mille difficoltà ha continuato a lavorare. Che fare quindi come imprenditori? Disperarsi? Imprecare? Attendere passivamente i tanto sbandierati aiuti alle PMI? Nell'attesa di tutto ciò, ma consapevoli, per esperienze di vita, che i veri miracoli sono quelli che si compiono con le idee ed il lavoro, i tre piccoli imprenditori, Enzo ed Augusto dapprima, ma subito dopo i primi passi coinvolgendo anche Mimmo, si sono riuniti facendo il classico brainstorming e si sono chiesti: Cosa sta cambiando? Cosa c’é da fare in questo periodo di lockdown? Cosa cambierà per le aziende alla riapertura delle attività? Pensato...detto...fatto! Preso atto della nuova esigenza di dover proteggere i collaboratori in azienda è nata prima l’idea e poi la decisa volontà di mettere in contatto gli esperti necessari per risolvere questa nuova esigenza (i chimici; chi aveva già contatti con altre aziende; ecc..) e, in meno di una settimana il contorno dell’originaria idea è diventata una nuova srl: la NovOzone Srl, per la sanificazione ad ozono e la disinfestazione ambienti (aziende, scuole, uffici, capannoni) da virus, batteri, muffe. Pronta la società, pronta la sede, pronti i servizi, pronto il sito.
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WALTER VALLI Ragazzi, che dire? La vostra fantasia, vitalità, voglia di fare, fa restare senza parole! Quindi, dite voi! Chi vuole parlare per primo? ENZO Parlo io per primo per dire che sapevamo che dentro di noi c’era la volontà di fare qualcosa che potesse poi durare nel tempo. Ed è così che cogliendo il cambio di cultura nell'ambito del vivere quotidiano, soprattutto laddove si passa gran parte del tempo di una giornata, cioè, oltre alla casa, il luogo di lavoro, si è deciso di non accodarci ai tanti improvvisati semplici venditori di mascherine, ma di creare una nuova realtà aziendale, fondata su due principi fondamentali per noi: la serietà e la professionalità. AUGUSTO Tutti e tre siamo abbastanza vulcanici e con la voglia di fare. E, complice il lockdown, durante i primi 45 giorni di blocco in noi è stata chiara la presa di consapevolezza che il mondo stava cambiando; che un così minuscolo organismo ci stava mettendo tutti in ginocchio e che quindi avremmo dovuto da imprenditori cambiare le nostre e abitudini e stili di vita, mettendo come priorità la necessità di tutelare i nostri cari e i nostri luoghi di vita e lavoro. Peraltro, l’ozono e la sanificazione non sono presidi medici che abbiamo inventato noi; noi abbiamo solo colto da imprenditori la necessità di portare la consapevolezza e l’utilità della sanificazione a chi ne ignora l’importanza. MIMMO Io posso solo dire che in Enzo e Augusto ho trovato non solo due “amici veri” ma anche due imprenditori “soci veri”. Perché forse per via delle nostre esperienze di vita o forse perché la vita ti fa sempre incontrare chi la pensa come te - e in quel caso devi capirlo subito - so che gli approcci alla vita in generale ed al lavoro in particolare, quali il sognare, il guardare in avanti, il crederci, il perseverare, sono sempre stati sia per me che per loro il vero motore del nostro agire. WALTER VALLI Si può quindi dire che tra di voi non c’è una mente e un braccio, siete tutti allineati, che avete tutti, dentro di voi, il “sacro fuoco degli imprenditori” e, quello che c’è da fare, si fa?? ENZO Si, sì, è così. Siamo tutti d’accordo nel vedere il famoso bicchiere sempre mezzo pieno e nel cogliere da un disastro generale come quello del Covid le nuove opportunità e poi farle, realizzarle. AUGUSTO Io vado oltre... ottimismo totale... e vedo l’acqua che tracima dal bicchiere e io la sto asciugando sul piano del tavolo. MIMMO Questo è il nostro spirito: non fermarsi a lamentarsi, ma rimboccarsi le maniche e fare. Nel nostro caso, tra di noi, abbiamo capito che l’unione fa davvero la forza; e come nuova opportunità di attività abbiamo cercato di capire cosa sarebbe servito, si ora subito ma poi anche per sempre, a noi stessi, cioè al comune cittadino come noi. WALTER VALLI Ma, ognuno di voi, prima o poi (ovviamente, si spera il più presto possibile!!) dovrà ri-occuparsi della propria attività originaria. Cosa e come avete pensato in merito? ENZO Questa nuova attività rimarrà x me, ma son sicuro di parlare anche per i miei due amici e soci, una “culla” che seguirò comunque in prima persona perché nelle cose che faccio mi piace sempre metterci la faccia al fine di garantire la continuità e la professionalità che mi ha sempre contraddistinto. AUGUSTO NovOzone rimarrà un’ottima ed autonoma struttura con compiti e ruoli ben definiti e con persone, che abbiamo già individuato, che saranno preposte nei ruoli chiave, perfettamente preparate e formate con specifici corsi adeguati al loro ruolo. MIMMO Anche io continuerò a seguire in prima persona NovOzone soprattutto perché questa nuova cultura impone che anche dopo questo virus si continui a sanificare gli ambienti in cui viviamo e lavoriamo. WALTER VALLI Siete giovani e pieni di energia e pienamente lanciati. Vi fermerete qui, o avete già altre idee e progetti nel cassetto? ENZO Certamente ne abbiamo altri. Questa situazione e questa nuova attività hanno già scatenato altre idee e progetti complementari a questo. Ma ciò che abbiano in testa è per ora è un “segreto industriale”. Te lo faremo sapere tra un po’.... AUGUSTO I veri imprenditori non trovano mai definitivo appagamento. Non appena un’attività è avviata, subentra la noia e si deve per forza intraprendere un altro percorso. Per questo so già che non mi fermerò qui. MIMMO Oramai il settore ambientale ci ha presi. Sappiamo già cosa altro fare. Vedrai.... WALTER VALLI Alla luce delle vostre esperienze di vita e professionali, secondo voi, IMPRENDITORI si nasce o si diventa? ENZO Si nasce. All 80% lo spirito imprenditoriale ce l’hai dentro dalla nascita. Poi è solo questione di tempo nel sapere individuare e cogliere l’occasione giusta. AUGUSTO Si nasce assolutamente. Se nasci tondo non puoi morire quadrato o viceversa. Io sono imprenditore da 25 anni (Mimmo allora aveva 3 anni). In ogni caso, per fare l’imprenditore devi essere un supereroe perché gli ostacoli sono tali e tanti, ma tu lo sai che sei un supereroe e che lo devi fare. Chi molla alla prima crisi vuol dire che era un imprenditore per caso. Il vero imprenditore è chi non molla mai e sa reinventarsi, soprattutto se è partito “senza soldi” o comunque senza un sostanzioso aiuto familiare dietro. MIMMO Concordo anche io: si nasce. E posso dire, per esperienza diretta, che si può essere anche dei dipendenti stipendiati ma con dentro lo spirito imprenditoriale che è quello che ti fa vivere il posto di lavoro con una pro attività di cui non puoi e non riesci a fare a meno. Poi, quando ti senti davvero pronto, un’ulteriore energia interna ti fa capire che “è il momento” di fare il salto, di mettersi in proprio! WALTER VALLI Ragazzi, che dire per finire? Non siamo ancora fuori dal lockdown. Alcune categorie forse non si riprenderanno più. Altre dovranno ridimensionarsi sensibilmente. Gli aiuti “pubblici” stentano e/o tardano ad arrivare. Ma voi avete non solo resistito, ma avete rilanciato! Qual’è il vostro slogan o messaggio a tutti i piccoli imprenditori? ENZO Riuscire a vedere “sempre” il bicchiere mezzo-pieno; sforzarsi di guardare così la vita. Lamentarsi, è veramente meno faticoso e più comodo, ma è completamente inutile. Prendeteci come esempio. Non corsi di magia, ma esempi concreti. Noi lo siamo. Una parola molto usata è: Resilienza. Ma non solo teorica, ma pratica. Giorno per giorno. Essere pratici, pragmatici, concreti, attivi, presenti sempre, e resilienti...tutti i giorni sul campo! AUGUSTO Diciamoci le cose come stanno: ogni piccolo imprenditore, se non ha soldi di famiglia propria non può stare a sperare negli aiuti delle banche e/o pubblici, quindi ci si deve “aiutare tra di noi”. Inoltre, bisogna avere un approccio molto diretto e pragmatico: definizione del problema, breve analisi, soluzione. Fondamentale in tutto questo processo è l’intuito personale, che è una cosa inconscia che la si ha o non la si ha; poi la caparbietà e l’esperienza fanno il resto. MIMMO Perseverare. Non abbattersi. Mai abbattersi. Rimboccarsi le maniche. C’è e ci sarà sempre un lavoro da fare. C’è sempre una luce in fondo al tunnel.
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WALTER VALLI Ragazzi, è spettacolare ascoltarvi. Trasmettete un’energia incredibile. E, a sentirvi, sembra tutto facile. Ma in realtà so che non è assolutamente così. In ogni caso incarnate perfettamente lo spirito del fare italiano. So che ci sono tante belle parole in lingua inglese per descrivere tutto ciò che siete e fate ma qui voglio terminare con alcuni “slogan” in italiano che ben vi descrivono: in ogni attività imprenditoriale, ma soprattutto nelle PMI, il Capitale Umano è proprio al centro di tutto; per gli imprenditori non è importante solo il punto di partenza e di arrivo ma lo è soprattutto il Cammino, il Percorso! Read the full article
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Il senso di colpa
In psicologia il senso di colpa è un sentimento umano che, collegato alla colpa, intesa come il risultato di un'azione o di un'omissione che identifica chi è colpevole, reale o presunto, di trasgressioni a regole morali, religiose o giuridiche, si manifesta a chi lo prova come una riprovazione verso sé stessi.
Il senso di colpa conscio
Il colpevole delle trasgressioni cioè spesso prova quel senso di colpa che può considerarsi un aspetto imprescindibile della costituzione umana nel suo progresso evolutivo che si manifesta con il senso di responsabilità che accompagna la libera scelta delle nostre azioni. La psicoanalisi sostiene che nel corso dell'età evolutiva, prima si obbedisce alle regole per la paura di essere puniti o di perdere l'affetto delle persone da cui si dipende poi, crescendo, aumenta la consapevolezza e il dispiacere di aver fatto del male agli altri o a sé stessi e nasce il sentimento di responsabilità e il desiderio di riparare al danno causato.
« Senso di responsabilità o senso del dovere significa essere consapevole del male compiuto e/o del proprio essere in quanto segnato da questo male. Questo senso di colpa nasce di solito attraverso il "sentirsi" colpevole...provare un sentimento di colpa. Più precisamente si tratta non di un sentimento, ma di diversi sentimenti ed emozioni spiacevoli, come, per esempio, inquietudine, angoscia, tristezza, sconforto, dolore. Per questa ragione si suole anche parlare di «sensi di colpa»
Il senso di colpa, cioè, quando è conscio e motivato da azioni ritenute malvagie, realmente compiute, è riferibile a un meccanismo della coscienza evoluta che, se non è deformato, ci avverte di un disagio per aver infranto delle regole e ci stimola dunque a porre rimedio alle conseguenze dannose dei nostri atti.
Il senso di colpa inconscio
Vi è anche un senso di colpa inconscio se determinato da sconosciute motivazioni irrazionali o fantasie che differisce dal significato precedente assumendo quello di un'emozione che inficia la nostra autostima e la sicurezza in se stessi al punto di generare alcune patologie psichiche come ansia e depressione. Un comportamento patologico si rinviene anche in coloro che non provano alcun senso di colpa come effetto delle loro trasgressioni.
Secondo Freud questo fenomeno psichico risale a un momento dello sviluppo mentale nel quale non si percepisce una netta distinzione tra l'interiorità e il mondo esterno, tra pensiero e realtà per cui egli notava il comportamento di «delinquenti per senso di colpa» che compiono delitti per ricevere quel castigo dovuto per le loro colpe immaginarie ed inesistenti.  L'origine più profonda del senso di colpa, secondo l'analisi freudiana, è nel complesso di Edipo «in quanto da esso deriva la possibilità di distinguere tra "buono" e "cattivo", e soprattutto tra "buono" e "bene". Infatti, in seguito alla proibizione di possedere il corpo del genitore amato, quello che è "buono", quindi gradevole, diviene "male" , ossia cattivo» In quel desiderio proibito è la nascita del senso di colpa e di ogni nevrosi.
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Athena (Bennet)
Di due sorelle, ce n’è sempre una che osserva e l’altra che danza.
@12 february, Philly, PGH.
Mezzanotte spaccate, le iridi ambrate che fissano il display accesso del computer. La luce del monitor che si riflette contro le lenti degli occhiali, il volto tirato, probabilmente affaticato mentalmente per la noia di dover stare qualche ora a svolgere qualche compito al computer: qualche pratica, cartelle cliniche da aggiornare, controllare, sistemare. È nella sua scrivania, nel suo ufficio, quello ampio da Primario al PGH. Davanti a lei, collocate letteralmente sulla sinistra, tutta una serie di voli che la fissano. Qualche foto sfila in rapida successione: una sua e di Jordan sul quale si sofferma per un lungo periodo, sbattendo appena le palpebre e increspando la bocca in un sorriso caldo, poi una dei nonni assieme alla madre, il sorriso permane e per ultimo lei e Athena, strette in un abbraccio. Il sorriso si spegne. Spinge la testa contro la poltroncina, con un fare stanco e svogliato ma non torna indietro, non con lo sguardo, rimane calamitato proprio sopra quella. Pensa. Affronta quel volto, cerca di debellare le immagini mentali che le passano per la testa. La mancina slitta contro il bottone della camicia bianca, il primo bottone viene quasi sradicato in un gesto ampiamente impaziente, il secondo segue lo stesso e così il terzo. Fa lo stesso con la giacca della Thorne Suite, quel completo la soffoca, ogni millimetro di stoffa vorrebbe strapparselo di dosso e così anche l’epidermide se fosse possibile. La mancina si solleva, i polpastrelli eliminano anche gli occhiali che posa con una delicatezza innaturale contro la base liscia della scrivania. La stanza è avvolta nel silenzio più innaturale, però può sentire chiaramente il ritmo veloce del respiro, il battere potente del cuore, la sensazione di vita che scorre dentro a quel corpo di donna. Sente nulla o quasi, si aggiunge il battere della pioggia contro la grossa vetrata. Realizza solamente adesso, che piove, piove forte e che la città sta prendendo ad addormentarsi poco alla volta. Il profilo si staglia contro di essa, poi fa ruotare la seduta e il corpo si alza senza nemmeno che lei se ne renda contro quasi. Avanza, i piedi avvolti dalle stupide babbucce a forma di coniglio che la tengono al caldo. Tira un lungo sospiro, osserva il volto riflesso, ma non sta davvero guardando, sta ricordando.
“Davvero da piccola volevi fare la ballerina?”, Athena domanda, poco dopo si stringe in quel suo vestito floreale, l’estate è in pieno vigore e non vuole assolutamente perdersi la Notte di San Lorenzo. E’ stesa assieme a sua sorella maggiore sopra una grande coperta, nel mezzo del nulla, sopra un grande prato verde, alla periferia della città. Hanno un cesto pieno di cose buone preparata dalla dottoressa, per lo più tramezzini, stuzzichini e ogni ben di Dio possibile. Quando ama una persona, Callie, la riempie di cibo, è il suo modo per prendersi cura di lei.
“Sì. Tra le altre cose si intende. Ma ho avuto la mia fase da ballerina dopo aver visto uno spettacolo itinerante… “ lo dice catturando con la mancina una fragola, una di quelle piccole, selvatiche, mentre lo sguardo è rivolto verso la cupola celeste alla ricerca di qualche stella cadente. Sua sorella ne ha già visto tante, lei una o due, sarà che è più impegnata ad osservare il musetto carino della sorella, i suoi capelli mossi e biondi, gli occhi verdi, e poi il sorriso, hanno lo stesso sorriso. Identico. “Insomma, questa era bravissima, ballava divinamente e a casa provai ad imitarla ma ero rigida come un tronco. Non sono molto brava a ballare. Colpì un vaso con l’anca, la nonna andò su tutte le furie e io mi nascosi in mezzo al campo di girasoli”
Ride la biondina, prende goffamente una fragola fin troppo grande per la sua bocca, si sporca appena, tossisce ogni tanto “E’ vero, non sai ballare, schiappa”, Calliope viene presa bellamente in giro da una bambina di undici anni. L’altra scatta, il Primario almeno per muovere le manine contro i suoi fianchi con il chiaro intento di farle il solletico lungo i fianchi. Non ci mette molto, per ottenere quello che vuole, fino a quando, entrambe non riescono a vedere chiaramente una stella cadente che si lascia alle spalle una grande scia luminosa. Entrambe rimangono meravigliate, con il volto indirizzato verso l’alto, i grandi occhi che risplendono e si riflettono del sorriso della luna e delle lentiggini delle stelle.
“L’hai vista?” fanno eco, in contemporanea. Insieme poi scoppiano a ridere, anche quella identica, ridono alla stessa maniera, di cuore.
“Hai espresso un desiderio?” è Calliope stavolta a tornare al posto e ad afferrare un tramezzino con la mancina, ha una certa fame, come al solito del resto.
Athena pare pensarci un po' e poi annuisce “Quello di riportarmi qui tante altre volte”
“Ma è un segreto, non dovresti rivelarmi il tuo desiderio… Perché poi non si avvera”, la blandisce in questa maniera sorridendo e poi accarezzandole la fronte con gentilezza, quasi con fare materno. L’altra pare mettere il broncio, fintamente, da brava attrice provetta”.
“Quindi non mi porterai più?”
“Ti porterò qui tutte le volte che vorrai, Athena”.
Calliope torna al presente di forza, sbattendo le palpebre lentamente, massaggiandosi poi gli occhi chiudendoli dopo un attimo. Non c’è l’aveva più portata, quella era stata l’ultima volta, ma era un bel ricordo, uno di quelli a cui si aggrappa e che vorrebbe rivivere sempre e poi per sempre. Poi come di puro istinto, quella voglia l’assale, quella di cercarla, di sentirla vicina, ancora e ancora. Perciò, come mossa da puro istinto, in balia di mille emozioni ma fin troppo lucida, recupera rapidamente i suoi oggetti personali, chiavi, cellulari, cappotto e soprattutto le scarpe. Deve andare al suo posto, al LORO posto. Adesso. Dovrebbe lavorare ma è una notte tranquilla e ha praticamente svolto il lavoro di tutta una notte in poche ore. Non ci mette molto a prendere l’ascensore, a raggiungere i parcheggi sotterranei per prendere la Jeep. Il resto, è tutta una corsa in macchina ad una velocità ragionata. Presto, l’asfalto se lo lascia alle spalle, prendendo vie poco frequentante e quasi deserte. La luce dei lampioni che si alterna a zone di puro buio che sembrano un po' ricordare gli umori e gli sbalzi di questo periodo. Ha mille voci dentro la testa, mille volti che sono marchiati a fuoco dento il suo cuore. Poi eccola, la stradina di campagna, non troppo frequentata. Ci è stata qui non troppo tempo fa. Era stata una bella notte, priva di pensieri cattivi. Rallenta, la pioggia batte contro il vetro, i tergicristalli ondeggiano freneticamente in avanti, non si vede molto, se non a qualche metro in avanti. Strizza gli occhi, becca qualche buca, dondola, ma la radio è muta, non ha messo la musica, vuole stare concentrata. Ci mette una decina di minuti ad arrivare a destinazione, a raggiungere il punto designato per questo. Tira un grosso respiro, ferma la macchina ma non spegne i motori. Tira indietro la schiena, osserva il prato erboso davanti a lei, stringe meglio il cappotto, poi si allunga il capo verso sinistra, oltre il vetro della portiera, il suo respiro caldo forma una condensa appannandolo. Vuole vedere il cielo ma con la pioggia è impossibile. Oggi niente stelle. Il desiderio di vita, con la voce della sorella che batte contro la tempia è pressante, quasi bruciante, solo l’acqua potrebbe spegnerla al momento. Apre la portiera, la gamba sinistra scivola per prima contro la stradina, poi spetta anche all’altra. L’acqua la colpisce in pieno, così come il freddo seppur non faccia freddo come gli altri giorno. Si alza, praticamente scende dalla macchina, chiude la portiera e si avvicina al cofano. Poggia il corpo contro di esso, le mani che affondano dentro le tasche: in cui è possibile trovare le chiavi di casa e il cellulare. Non fa nulla. Punta i piedi per terra, rimane sotto la pioggia. Chiude gli occhi, gli strizza e solamente, prova a respirare.
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#andratuttobene Domeniche alternative di quarantena 😭 Ovunque vedo persone che non sanno più in che modo occupare il loro tempo. Viviamo in una tale frenesia che si è persa la capacità di godersi il proprio tempo, semplicemente non facendo nulla. Meditare🧘, leggere📖, ascoltare musica🎵🎶. Invece vedo ovunque noia, ansia di dover per forza trovare qualcosa da fare. Io, che sono maestra del non fare nulla😴, che amo follemente starmene a casa🏡 a prendermi cura di me, passo la domenica a lavorare, oltretutto a fare qualcosa che odio🙈 ma che purtroppo è necessario. 😒 Ecco se qualcuna di quelle persone che devono disperatamente trovare come occupare la giornata vuole venire ad aiutarmi, o meglio a fare il lavoro al mio posto... 🤣🤣🤣🤣 (presso Paradiso) https://www.instagram.com/p/B9wA-Orh1Qm/?igshid=g99q7p6l2ion
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rifiutimentali · 4 years
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Fanfiction excerpt #2: Che odore ha una rosa che arde?
Warning: nsfw content.
Dafne uscì dall’ascensore appena le porte le si aprirono davanti: era di ottimo umore, e la giornata soleggiata sembrava rispecchiare il suo stato d’animo.
Il penultimo piano della Rose Tower era l’unico con una sola entrata, difatti ospitava soltanto due uffici: quello di Olive a destra e quello di Rose a sinistra.
La bionda segretaria era appena uscita dalla stanza del suo capo con un grosso fascicolo in mano, indossando la sua solita espressione neutra. Era difficile decodificare i suoi pensieri, ma Dafne non se ne era mai preoccupata più di tanto.
-Bella, Liv.
Olive rispose con un grugnito. La pupilla di Rose non le era mai andata a genio, nonostante rendesse il suo capo stranamente felice. E ciò che rendeva felice Rose, rendeva felice lei.
Dafne le sorrise maliziosamente, sapeva benissimo di risultarle antipatica e spesso la punzecchiava per cercare di testare i suoi limiti; nonostante ciò non era ancora riuscita ad infrangere quella facciata indecifrabile.
Bussò alla porta dell’ufficio del presidente, dopo essersi specchiata velocemente nella targhetta placcata d’oro posta alla sinistra della porta.
“Presidente Rose
Macro Cosmos”
Il suo nome completo non era presente da nessuna parte, né nei suoi documenti, né nel suo ufficio, né nei fascicoli ufficiali della Macro Cosmos. Rose riteneva che il suo nome non fosse importante: le sue azioni parlavano al posto suo e il popolo necessitava di un suono dolce e semplice da pronunciare. Quindi “Rose” andava più che bene.
Il presidente aprì la porta mentre stava chiacchierando al telefono, sembrava una conversazione importante, ma nonostante ciò sorrise alla giovane. Invitò Dafne all’interno mentre si portò un dito alla bocca chiedendole di far silenzio per qualche minuto. Lei sorrise ed entrò, seguì l’uomo fino alla scrivania, e infine lui si sedette sulla sua morbida poltrona di pelle bordeaux, mentre lei si appoggiò al bordo del tavolo con le braccia incrociate, proprio affianco a lui. Lo guardava divertita mentre lui cercava di darsi un tono durante la conversazione; notò che non indossava la cravatta, e la camicia non era stata chiusa fino in cima. Bizzarro. Si accorse che la temperatura nella stanza era abbastanza elevata, quindi alzò lo sguardo verso il condizionatore e lo trovò spento.
Nell’attesa, mosse lo sguardo lungo le pareti dell’ufficio, e non potè fare a meno di ripetersi per l’ennesima volta quanto fosse brutta quella carta da parati. Un’infinita serie di rose dorate intrecciate tra loro si stendevano su uno sfondo rosso porpora fino a coprire l’intera superficie. Almeno il bagno è piastrellato di bianco. Quanto tempo può passare un uomo a lavorare se ha richiesto la costruzione di un intero bagno nel suo ufficio?
-D’accordo. Sì, 16.30. Sì, sì, ci si vede lì, portate il materiale. Perfetto. A dopo, buona continuazione. Arrivederci. - Rose posò finalmente il rotophone sulla scrivania e si accasciò sulla poltrona, lasciandosi andare in un sospiro.
-Perdonami per l’attesa cara, ho un’importante riunione questo pomeriggio e volevo ritoccare gli ultimi dettagli. Inoltre questo dannatissimo affare non dà segni di vita e sono un po’ nervoso.
Indicò il condizionatore.
Si alzò, si sistemò i capelli passandoci le dita all’interno e sorrise caldamente alla ragazza.
-Come stai?- Aprì le braccia.
-Alla grande! Che è successo al condizionatore?
-Ma che diavolo ne so… - La mancanza di eleganza di Rose nel parlare indicava un alto grado di stress. -Il reparto elettrico mi ha detto che non mi avrebbero mandato un Rotom Vortice a ripararlo prima di domani. - Sbuffò. Poi sorrise. -Credo di dovermi rassegnare!
Dafne ridacchiò: -Tanto a breve ti tocca uscire no?
-Sì, esatto, tempo un’ora e mezza e sono in riunione. Ed è proprio di questo che volevo parlarti!
La ragazza si sedette sulla scrivania poggiandoci su la coscia destra e ruotò la testa mostrandosi interessata.
-Ho un nuovo progetto per lo Yondlands Rose. Già quest’anno abbiamo avuto difficoltà a gestire i clienti, con la nuova campagna promozionale che ho intenzione di lanciare per il prossimo anno, non immagino la marea di turisti che Galar potrebbe dover accogliere. Perciò questo pomeriggio discuterò con gli addetti al reparto immobiliare riguardo l’ampliamento dell’hotel. Potremmo aprire una succursale a Goalwick est, ma ho paura che il caos proveniente dallo stadio possa dar noia ai residenti… Ho migliaia di idee, devo solo sviluppare la migliore.
Rose appoggiò il fianco sinistro alla scrivania e incrociò le braccia specchiando la ragazza, così potette guardarla negli occhi.
-Mi sembra una bellissima idea, Rose! Ho notato anche io molta calca al ristorante, forse abbiamo davvero bisogno di una mano!
Dafne rise. Era ormai passato un mese intero da quando aveva iniziato a lavorare come capo cameriera al ristorante a cinque stelle dello Yondlands Rose, l’hotel più rinomato dell’intera regione. I clienti di tutto il mondo adoravano alloggiare nelle sontuose camere durante il torneo delle palestre, e l’affluenza raggiungeva picchi elevatissimi durante la Coppa Campione. Mancava ancora qualche settimana alla fine del torneo e nonostante ciò tutte le camere erano state prenotate, perciò le preoccupazioni di Rose erano comprensibili; inoltre la vita al ristorante era parecchio frenetica, ma nonostante ciò Dafne riusciva a gestire il caos in maniera impeccabile. Era per questo che Rose la volle posizionare fin da subito così in alto. Notò in lei un potenziale spaventoso.
-Hai ragione, avete bisogno di una mano. Siete diventati pochi, sia voi camerieri che i cuochi e l’intero personale. Mi chiedevo se fosse il caso di riservare un intero piano al ristorante, l’ala ovest comincia a farsi un po’ stretta. Facendo un veloce calcolo sui posti letto e sui tavoli a disposizione trovo che le proporzioni siano troppo sbilanciate, credo quindi di doverlo fare. Ciò significa che dovrò assumere altri camerieri, mi chiedo se sarai in grado di gestire il tutto!
Dafne gettò gli occhi al cielo. -Diavolo, mi vuoi proprio male! - prese in giro il presidente scoppiando a ridere.
Rose alzò un sopracciglio e fece un enorme sorriso: -Al contrario! E’ proprio per questo che voglio farti una proposta. Ti ho osservata continuamente in quest’ultimo mese, ho notato la cura minuziosa che hai impiegato nelle tue pianificazioni, e nonostante la grandissima affluenza di questo periodo niente è andato storto. Ho notato alcuni giovani sbagliare le comande, imbarazzati nello scusarsi con i clienti, alcuni di questi davvero esigenti, lo ammetto, ma tu sei riuscita a riprendere in mano la situazione in un lampo. Hai il dono della diplomazia e del problem solving, mi hai evitato parecchie grane devo dire!
La ragazza abbassò il capo sorridendo, nascondendo lo sguardo imbarazzato e lusingato allo stesso tempo.
-E’ per questo che ho pensato di darti in mano l’intera gestione del ristorante, e non solo del servizio ai tavoli. Ti occuperesti dell’intera struttura, tra estetica, cucina, personale e pulizie.
Dafne sgranò gli occhi e sbiancò. Rose immaginava questa reazione perciò si affrettò ad aggiungere: -Chiaramente ti affiancherò esperti del settore, che potranno guidarti e insegnarti le basi di economia. Il direttore attuale è ormai anziano, ma è pieno di consigli! Sarà il tuo mentore. Io sono certo che te la caverai.
Rose abbassò il tono di voce. -Puoi fare tutto se lo desideri.
Tutte queste lusinghe ebbero l’unico effetto di accelerare il battito cardiaco di Dafne. Si sentì come ai piedi un’enorme montagna che aspettava di essere scalata. La pervase un brivido d’ansia. Non era pronta. Non poteva farlo. Troppe responsabilità in troppo poco tempo. Stava correndo troppo. Non poteva! Non poteva.
Non ebbe bisogno di proferire alcuna parola, perchè Rose le prese la mano. Riuscì a leggere le sue preoccupazioni e poteva comprenderla. Lui stesso scalò la sua montagna in pochissimi anni, e fu grazie alle sue brillanti idee che a soli 42 anni poteva vantarsi di avere in controllo un’intera regione. Vedeva nella giovane e bella Dafne lo stesso potenziale, e non aveva intenzione di lasciarlo nascosto.
Lei lo guardò, gli strinse la mano per far smettere di tremare la propria ed espirò pesantemente. Piccole gocce di sudore si formarono sul suo collo.
-Non so cosa risponderti Rose… Sono onorata dalle tue parole ma ho la sensazione che tu mi stia sopravvalutando. Ok, concordo sul fatto che possa essermela cavata in varie situazioni difficili, ma qui siamo ad altri livelli. Non ho tutta questa esperienza.
-La creiamo! Quale migliore modo di imparare se non sul campo?
-Se dovessi fare disastri non so se potrei risollevare la situazione…
-Ma se è la tua specialità! Sbrogliare le matasse, risolvere guai…
Dafne sospirò a fondo e guardò gli occhi dolci di Rose. C’era tanto affetto nello sguardo di lui; era capace di infondere sicurezza senza proferir parola, era un potere che la lasciava continuamente senza fiato. Una parte di lei odiava cedere così facilmente a quel fascino, il suo orgoglio cercava di imporle di resistere, di riflettere, di non essere avventata; ma l’altra parte le sussurrava di lasciarsi andare, di provare questa nuova esperienza. Quando mi ricapita un’occasione così? Ha ragione, sono dannatamente brava in quello che faccio. Se dovesse andar male, fanculo. Ho le spalle coperte. Con Rose si cade sempre in piedi. Ahahah, diavolo se sono debole.
Ma come poteva resistergli? Fin dal primo giorno Rose aveva imposto la sua dominanza su di lei, soltanto guardandola. Mai nessuna cattiveria, mai nessuna forzatura. Solo bei gesti e begli sguardi. Ciò che Rose vuole, Rose ottiene. Nessuna eccezione. In fondo, le stava bene così.
Dafne annuì chiudendo gli occhi.
-Sai che ti dico? Hai ragione. Quando inizio? - Lo guardò maliziosa.
Rose rispose con lo stesso sguardo. -Dopo oggi pomeriggio saprò darti più dettagli. Sempre se saprai aspettare!
La ragazza sbuffò giocosamente. -Mh, d’accordo. Farò uno sforzo! - Fece un occhiolino.
Scese dalla scrivania e allungò le braccia al collo del suo capo. -Grazie.- sussurrò con voce calda.
Rose ricambiò il suo abbraccio e le accarezzò i lunghi capelli corvini. Si staccò da lei, tenendole le mani intorno al viso le disse: -Grazie a te. Hai portato una brezza fresca in questa società.
-In realtà è proprio quello che ci vorrebbe in questa stanza.
-Perdonami, hai ragione! - I due risero per un po’.
Calò il silenzio.
La tensione di Dafne era drasticamente calata dopo questa risata, ma il calore accumulato l’aveva ormai pervasa. Quella stanza era decisamente troppo calda.
Rose notò che sul collo della ragazza stava scendendo una piccola goccia di sudore. Senza neanche riflettere sulle conseguenze del suo gesto, portò istintivamente il pollice sinistro sulla zona per asciugarla.
Lei trasalì, stringendo le labbra. L’uomo realizzò che questa azione poteva essere facilmente fraintesa, così ispirò per poter scusarsi con la ragazza.
Ma non riuscì. Fu rapito dai profondi occhi blu di lei e, come un naufrago nella tempesta, si perse.
Spostò la sua mano destra sulla guancia di Dafne, la accarezzò con dolcezza, muovendo in cerchio il pollice. Lei si sciolse. Chiuse leggermente gli occhi, abbandonandosi a questa coccola, e rilassò la schiena.
Rose ingoiò con difficoltà. Il suo sguardo si fece più cupo e le sue sopracciglia si incurvarono. Lanciò una sfida alla ragazza. Portò il pollice sulle sue labbra e spinse.
Dafne accettò la provocazione. Aprì la bocca e lasciò entrare il dito, per poi avvolgerlo con le labbra e la lingua. Il suo sguardo si riempì di lussuria e ciò fece rabbrividire l’uomo.
Rose trascinò verso di sé la ragazza tirandola con delicatezza per il collo, e sfiorò il suo naso con il suo. Dopo aver ritratto il pollice, prese il viso di lei con entrambe le mani e la baciò, muovendosi ritmicamente per assaporare ogni millimetro delle sue labbra.
Le braccia della ragazza chiusero i fianchi dell’uomo in una feroce morsa, e rispose al bacio con violenza, mordendo il suo labbro inferiore e spingendogli la lingua dentro la bocca.
I loro respiri si fecero pesanti, irregolari, e pregni di eccitazione.
Rose spinse violentemente Dafne contro il muro facendola trasalire, spostò velocemente i suoi baci lungo il collo vellutato della giovane, muovendo le mani lungo il suo corpo, le strinse i fianchi ed esplorò la sua pelle, che ardeva come il sole di mezzogiorno.
Dafne sentì il sangue abbandonare velocemente il suo cervello, non ci vedeva più, sospirava rumorosamente e faceva fatica a tenersi sulle sue gambe; affondò le unghie nella schiena dell’uomo, che grugnì in segno di approvazione.
Lei lo spinse via. Tirò via la giacca grigia di Rose e la lanciò sulla sedia lì accanto, sbottonò di fretta il gilet e lasciò che cadesse sul pavimento. Mentre gli apriva velocemente la camicia, l’uomo la osservò nei minimi movimenti e appena lei ebbe finito, le ricambiò il favore: in un lampo la sottile camicetta della ragazza si ritrovò arrotolata in un angolo della stanza e, dopo averlo slacciato, Rose le prese con i denti il reggiseno e lo lanciò alla sua destra. Spinse il viso contro il suo seno, e la annusò a pieni polmoni. Dafne aveva il respiro corto, giocherellava con i capelli dell’uomo passandoci nel mezzo le sottili dita, apprezzandone la morbidezza.
Rose tornò a focalizzarsi sul collo di lei, poteva sentire chiaramente con le labbra la sua giugulare pulsare veloce, così decise di morderla. Dafne si lasciò sfuggire un gemito. I peli della barba di lui la pungevano, elettrizzandola ancora di più.
Strinse le cosce della ragazza e le piegò le gambe, tenendola in equilibrio contro il muro. La spinse col suo corpo in modo da bloccarla in sicurezza, e lei alzò gli occhi al cielo quando poté apprezzare la possente erezione dell’uomo premere attraverso i pantaloni contro il suo inguine.
Facendosi leva con le caviglie incrociate dietro la schiena di Rose, e spingendo i talloni, riuscì ad ondeggiare lievemente verso l’alto, strofinando il corpo su quello dell’amante.
L’uomo non ci vide più. Ogni scintilla residua di lucidità abbandonò i suoi occhi. Le fece poggiare i piedi a terra, e mentre le sorrideva minacciosamente, le slacciò i pantaloni e li fece scivolare sul pavimento. Le sue morbide mani si insinuarono sotto l’intimo della ragazza. Cominciò ad accarezzarla, e lei mostrò la sua gratitudine baciandolo con foga. La sua voce lottò così prepotentemente per uscire dalla sua gola che lei dovette fermarsi, liberando un sonoro gemito.
Rose amava il potere, in ogni sua forma. Vedere la bellissima Dafne così debole e succube delle sue provocazioni non faceva altro che accrescere la sua eccitazione. Sfilò la mano destra, e costrinse due sue dita dentro la bocca di lei. Voleva farle capire quanto grande fosse il potere che esercitava, quanto potesse controllarla a suo piacimento. E a Dafne tutto ciò stava bene. Chiuse gli occhi e arrotolò la calda lingua attorno alle sue dita, gustandole con piacere.
Rose strinse con la mano sinistra il fondoschiena della ragazza e, dopo aver slacciato la sua cintura di pelle e liberato il suo membro dalla prigione di vestiti, si insinuò dentro di lei, tirandole i capelli.
Dafne singhiozzò. Sentì crescere un fuoco imperioso nelle viscere, il cuore le pompava il sangue così violentemente che ogni battito le faceva male al petto. Avvicinò il viso di Rose al suo, sentì i loro respiri pesanti avvinghiarsi, insieme dettavano il ritmo delle spinte. Singhiozzava ad ogni colpo, se non si fosse aggrappata alle spalle dell’uomo le avrebbero ceduto le ginocchia. Sentiva il sudore colarle lungo tutto il corpo, e poteva notarlo anche sul viso del suo amante, che non smetteva di guardarla. La ammirava, la venerava, la scrutava nel profondo.
Con tutta la forza che aveva in corpo, Dafne spinse via Rose e lo allontanò. Si guardarono intensamente per un breve momento, poi lui la tirò verso sé e la girò di 180 gradi, per poi spingerla verso la scrivania. Si sporse sul lato destro e con violenza scostò tutti gli oggetti presenti, in questo modo potè farla stendere supina. Lei scivolò all’indietro facendo penzolare la testa oltre la scrivania mentre l’uomo si chinò a baciarle l’addome e a sfilarle definitivamente le mutandine. Rose allungò le sue braccia lungo il corpo bollente di Dafne, fino a che i suoi polpastrelli premettero contro i capezzoli turgidi di lei.
Avendo il collo così piegato, le veniva difficile respirare: ciò che uscì dalla sua gola erano lievi gridolini strozzati.
Rose ritirò le mani che strinse attorno ai fianchi di Dafne, passò la lingua lungo le proprie labbra, e le poggiò dolcemente sul suo clitoride. La leccò a lungo, esplorò ogni più piccola parte dell’intimo della giovane, come se ne volesse scoprire i segreti, come se volesse rubarle l’anima. Dafne batteva i pugni sul tavolo, ogni movimento che percepiva era come un fulmine che trapassava il suo corpo. Alzando la testa riusciva a scorgere gli occhi verdi di Rose che la osservavano affamati.
Con una forza che neanche lei credeva di avere, inarcò di scatto la schiena, il piacere diventava insostenibile, la sua pelle era diventata troppo sensibile.
Rose colse il messaggio. Si fermò e tornò in posizione eretta, sollevò per i fianchi la ragazza che, seduta sul bordo della scrivania, si accasciò contro il petto del suo amante. Lui le alzò il viso in modo da poterla guardare negli occhi e lei in risposta gli rivolse uno sguardo assetato. Si avvicinò alle labbra di lei e sussurrò: -Sei il fiore più profumato che io abbia mai annusato.
Dafne saltò giù. Strinse forte tra le mani il colletto della camicia di Rose, ormai totalmente intrisa di sudore. In silenzio lo spinse verso il divano posto all’altro capo della stanza e lo forzò a sedere. L’uomo potè osservare dal basso ogni curva che delineava il corpo della sua donna; la luce calda del pomeriggio illuminava la pelle pallida di Dafne che scintillava, imperlata dal sudore, e rifletteva mille sfumature di colori. In quel momento gli sembrò di essere al cospetto di una dea: quasi come se fosse un miraggio, strizzò gli occhi per spremere l’essenza di quella visione per poterla stampare per sempre nella sua mente.
Dopo essersi portata i lunghi capelli neri sul lato destro della testa, e averli appoggiati sulla sua spalla, Dafne si sedette in grembo a Rose. Avvolse le sue tremolanti dita attorno al viso dell’uomo: seguì ogni curva, ogni incavatura, ne assaporò ogni minimo dettaglio.
Fin dal primo giorno Dafne fu rapita dal fascino del presidente della Macro Cosmos. Che sia stato il suo raffinato gusto nel vestirsi, il suo viso perfettamente curato, la sua innata e infinita filantropia… Oppure più semplicemente furono i dolci sguardi di lui a soggiogarla, le sue decise strette di mano, quel suo modo di sistemarsi i capelli, la sua tipica alzata di sopracciglia beffarda…
Dafne si svincolò da questi pensieri e cominciò ad ondeggiare le anche. Rose si lasciò sfuggire un ruggito, reclinando all’indietro la testa. La aiutò nei movimenti prendendole i fianchi: li strinse forte, affondò le sue dita nella morbida carne. Senza rendersene conto, dopo poco la stava imitando muovendo a sua volta i fianchi, con ritmo lento e ipnotico. Dafne fissò le ginocchia sul divano e incurvò la schiena, in modo da dare a Rose libertà di movimento. Sentiva il turgido membro dell’uomo bruciarle le interiora, ogni spinta le faceva vedere le stelle. Non trovava quella posizione particolarmente comoda, ma era una delle più piacevoli: con un po’ di fatica, poteva muovere i suoi muscoli come desiderava, e stringere dentro sé il suo uomo, in una letale morsa.
La resistenza di Rose cominciava ad indebolirsi sempre di più. Finalmente faceva sentire la sua voce, espirava con stanchezza e i suoi gemiti risultano incredibilmente piacevoli all’orecchio di Dafne. Sentire il suo partner godere grazie a lei la mandava velocemente su di giri.
Rose sfiorò le labbra socchiuse della ragazza, giocherellava con le dita, lasciandosele leccare e succhiare. Si fermò all’improvviso, per rilassare un attimo i suoi muscoli. Fece un profondo respiro, e dopo essersi sistemato meglio sul divano, tornò a imporre il suo ritmo alla ragazza. Solo che questa volta ci mise più forza.
Dafne si sentì strozzare. Si mantenne salda alle spalle larghe di Rose, i suoi muscoli contratti tremavano a causa dello sforzo, si piegò in avanti per non perdere l’equilibrio. L’uomo avvertì che la sua partner era quasi al capolinea, dal momento che i suoi gemiti si trasformarono in veri e propri urli man mano che tentava di velocizzare il suo passo. Volle stringerla, volle sentire sotto le dita i brividi che avrebbero percorso il suo sistema nervoso quando lei avrebbe finalmente raggiunto l’orgasmo. Volle captare ogni minimo movimento della sua pelle, muoveva lentamente e con forza le dita dentro la carne di lei e sperava che ciò l’avrebbe marchiata rendendola ufficialmente sua.
Con le ultime forze rimaste nelle sue gambe, Rose si spinse ancora più velocemente e a fondo all’interno della giovane. Tanto bastò.
Dafne cacciò un urlo intriso di piacere e sollievo, lasciò che le convulsioni pervasero il suo corpo e si abbandonò a dei potenti spasmi. Spasmi talmente potenti che permisero a Rose di raggiungere l’apice del piacere a sua volta. L’uomo ruggì spalancando gli occhi, graffiando a sangue la schiena della ragazza, che tremò come una foglia. Un coro di gemiti riempì la stanza a lungo, fin quando gli amanti smisero di muoversi, entrambi sudati e stanchi. Rimasero solo i loro respiri affannati e il battito veloce dei loro cuori.
Con le mani tremolanti Rose prese le testa di Dafne e l’avvicinò al suo petto, in modo che lei potesse sentire la voce del suo cuore cantare per lei.
La guardò per qualche istante negli occhi, lo sguardo era stanco, ma incredibilmente felice, carico di dolcezza. Con un filo di voce riuscì a dirle: -Sei il tesoro più prezioso che io abbia mai scoperto.
Una gocciolina di sudore corse veloce lungo la fronte di Dafne, le solleticò il naso per poi cadere sul petto dell’uomo.
Lei sorrise piano, raccolse le forze e gli rispose: -Sei meraviglioso. - Si accasciò infine sulla sua spalla, lasciandosi avvolgere nell’abbraccio più caldo che avesse mai provato.
Rose, guardando il vuoto, capì che qualcosa cambiò in quella stanza, quel giorno. Qualcosa prese fuoco dentro di lui, e sapeva esattamente cosa fosse. Si abbandonò al dolce profumo emanato dai capelli della giovane ragazza, prima di chiudere gli occhi e godersi il momento.
Dopo qualche minuto, Dafne aveva ritrovato le forze, così si tirò su e si mise a sedere composta.
-Ho bisogno di una doccia.
Rose le sorrise e annuì lentamente, tenendo gli occhi chiusi.
-Fa’ come se fossi a casa tua!
La giovane si alzò in piedi, e si avviò lentamente verso la porta del bagno, posta in fondo alla stanza, vicino alle grandi porte-finestre che davano sul balcone. Si fermò qualche secondo a guardare il panorama vastissimo, completamente illuminato dalla calda luce gialla del pomeriggio. La vetrate degli edifici sottostanti le risposero riflettendole la luce sugli occhi.
Voltò lo sguardo verso Rose, ancora seduto sul divano, e gli sorrise dolcemente. Poi girò a destra ed entrò in bagno, chiudendosi la porta alle spalle.
Sospirando, Rose si piegò in avanti poggiando gli avambracci sulle cosce e si passò una mano sul viso, pettinandosi la corta barba. Il rumore dell’acqua scrosciante proveniente dalla stanza alle sue spalle fungeva da sottofondo ai suoi pensieri. Il suo sguardo era cupo, teso, e in pochi istanti la preoccupazione lo pervase.
No… Rifletté a lungo, finché si accorse che il rumore della doccia era cessato. Non glielo dirò.
Si alzò e raggiunse la ragazza in bagno. Lei si stava spazzolando i capelli bagnati guardandosi allo specchio quando incrociò lo sguardo dell’amante: gli sorrise. Lui le rispose sorridendole a sua volta, guardandola attraverso lo specchio, ma aggiunse un pizzico di malizia. Senza spostare lo sguardo, le stampò un bacio nell’incavo tra il collo e la spalla.
Continuando a pettinarsi, Dafne gli chiese: -A che ora avevi la tua riunione?
Lui guardò il suo orologio da polso d’oro e tornò a guardarla. -Venti minuti fa.
Entrambi scoppiarono a ridere.
-Faccio una veloce doccia anche io e mi avvio. Spero che il mio capo non mi sgridi! - disse con ironia.
-Hey, non approfittartene, sai? Senza di te, questa baracca cadrebbe al suolo. - lo punzecchiò Dafne.
-E’ proprio per questo che faccio un po’ quello che mi pare!
Dafne inalò un sospiro di finta indignazione mentre l’uomo si eclissò nel box doccia facendole l’occhiolino. Scosse la testa divertita, poi procedette ad asciugarsi i capelli.
Non appena ebbe finito lasciò la stanza, fece un giro lungo l’ufficio e raccolse i suoi vestiti, per poi indossarli. Aprì la sua tracolla ed estrasse il suo fidato pacchetto di sigarette, ne scelse una e la portò alla bocca. Quando fu sul balcone, investita da una lievissima brezza fresca, accese la sua sigaretta e attese che Rose finisse di prepararsi. Adorava guardare i piccoli palazzi che si stendevano verso l’alto, nel tentativo invano di raggiungere la magnificenza della Rose Tower. E’ così che deve sentirsi Rose. Potente. Sorrise. Le piaceva quella sensazione, e si beò al pensiero della sua attuale posizione, lasciando che i raggi del sole le accarezzassero il viso.
Immersa in questi pensieri, sobbalzò spaventata quando Rose le cinse la vita con le sue braccia. Strofinò il suo viso contro quello della ragazza e le annusò i capelli.
-Voglio rivederti stasera. - sussurrò.
-Quando vuoi.
Ridacchiarono entrambi.
-Ora vado, Olive mi mangerà.
Dafne si lasciò sfuggire un verso carico di sarcasmo.
-Ciao. - Rose le diede un fugace bacio sulla guancia e le schiaffeggiò il sedere.
Tornò dentro, prese di fretta il suo rotom phone, e uscì dal suo ufficio, dove vide Olive appoggiata sulla parete di fianco la porta, con addosso un’espressione più fredda della testa di un Eiscue.
-Olive, sei ancora qui? Forza, su, siamo in ritardo! - la prese in giro Rose accingendosi a premere il pulsante di chiamata dell’ascensore.
Si sistemò la cravatta attraversando la minimale entrata in acciaio dell’ascensore e lasciò che un sorriso pervase il suo volto, ripensando ai trascorsi dell’ultima ora, mentre le porte gli si chiusero davanti.
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nooradeservedbetter · 7 years
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Come sarebbe la versione italiana di Skam, se fosse diretta da te?
KSDFHGKJSDHGDK ANON PREPARATI
ALLORA
VERGOGNA: UN TELEFILM AMBIENTATO NEL LICEO CLASSICO TERENZIO MAMIANI
Sotto il readmore che è diventato lunghissimo
I PERSONAGGI PRINCIPALI:
YONAH VASQUEZ: in realtà non gli interessa neanche fare il classico, ma c’è andato perché il Mamiani ha avuto grande rilevanza durante i moti sessantottini, quindi è meglio andare in un posto del genere che in uno da fasci, capì. Comunque lui dopo il liceo vuole fare scienze politiche e relazioni internazionali, quindi anche il classico va bene. Si candida a rappresentante d’istituto nella lista fumatori, e nonostante tutto vince le elezioni perché promette di occupare la scuola per due settimane.
IGOR DE ROSA (ti prego non posso chiamarlo Isacco): è andato al classico per seguire Yonah, ma dopo vuole fare medicina; comunque, il classico va bene per medicina quindi non si lamenta. Certo, se ci fosse meno greco si lamenterebbe ancora meno, ma comunque che dobbiamo farci. Fa coming out in prima liceo--il terzo anno--e da lì smolla tutto e comincia ad andare al mucca ogni settimana.
EVA MANNI: napoletana, è stata la ragazza di Yonah, ma al liceo si sono mollati, quindi non sa neanche perché ha fatto il classico. Non sa neanche perché ha fatto il liceo. Madonna, sicuramente lei non voleva fare l’università, e invece si ritrova a doverla fare grazie al classico. Medita il trasferimento all’isit, ma poi decide di no anche perché conosce nuove persone e si adatta meglio.(Il latino e il greco continuano a farle schifo al cazzo.)
ELEONORA SARRI: ha passato l’ultimo anno in Spagna, i suoi sono imprenditori brianzoli quindi non sono neanche lì, è l’unica che vive più o meno da sola e questo la fa essere automaticamente la ragazza più figa della scuola. Ha un rapporto di amore-odio con Yonah perché lei ancora non ha raggiunto lo stadio di fattona politica del liceo. Alla fine diventano amici perché si candida a vice-rappresentante d’istituto, perché, a parole sue, altrimenti Yonah non combinerebbe un cazzo.
SANA BAKKOUSH: viene trascinata anche lei a candidarsi nella lista di Yonah, perché Nora non vuole andare da sola, e lei sembra l’unica con la testa sulle spalle. Probabilmente l’unica che si trova davvero bene al classico, anche se vuole fare medicina. Ha scelto il Mamiani per la sua reputazione di sinistra, anche se poi si ritrova a dover fare i conti col fatto che esistono piccoli forzanuovisti anche lì. Non le danno più fastidio dopo che ha preso a pugno Guglielmo Magni alla fermata dell’autobus.
VIVIANA LINONE: ogni mattina fa un viaggio assurdo dalle periferie per arrivare a scuola, ma non la cambierebbe per nulla al mondo. Ci tiene all’apparenza, e ci tiene a vestirsi bene, e all’inizio ha vuto screzi con le sue compagne per questo motivo. Fa coming out un po’ dopo Igor, e si infila nella lista da rappresentante d’istituto perché altrimenti che noia, almeno così faccio qualcosa. E’ sempre super indaffarata con progetti PON di ogni genere.
CRISTINA BERTI: amica di Viviana, è approdata al Mamiani perché vuole fare l’archeologa, ma tanto a nessuno frega nulla perché e la funny fat friend, vero?
EVASIO NICOSIA: si trasferisce al Mamiani dal Lucrezio Caro, dice a tutti che è perché era troppo difficile per via dell’insegnante che ha 18 ore la settimana. Il suo sogno è fare il DAMS, ma non se la fida perché sa che non troverà mai lavoro. In alternativa, propende per l’accademia di doppiaggio o quella di sottotitolazione, in modo da poter poi comunque lavorare coi film.
GUGLIELMO MAGNI: voleva fare il Tacito perché è quello della gente bene, ma non è riuscito ad entrare, quindi ha ripiegato sul Mamiani. Figlio di papà, qvando ciera lvi, ci ha provato con Nora per un po’ ma quando lei ha iniziato a frequentare il giro di Yonah si è schifato e l’ha smollata.
MARIO FOSSA: l’amico scemo di Yonah e Igor. Ha una particolare abilità nel dire sempre la cosa sbagliata al momento sbagliato, ma tutto sommato gli si vuol bene.
MAHDI DISI: L’unico che probabilmente ha una testa pensante nel gruppo, o almeno così lui dice. Coltiva erba biologica che piace persino a Nora, quindi di lui ci si può fidare.
Ovviamente ci sarebbero dieci stagioni, quindi...
STAGIONE 1 - EVA: arrivano tutti al liceo. Eva non si ambienta e molla Yonah che inizia a farsi i cannoni, ma conosce altre ragazze molto simpatiche e si fa una nuova vita.
STAGIONE 2 - NORA: Nora ha problemi a vivere da sola senza i genitori, e a conciliare la sua sessualità con quello che dovrebbe essere. Prova a stare con Guglielmo, ma lui le fa troppo schifo. Lo smolla e diventa amica di Yonah tramite Eva. Fine stagione con Eva e Nora che forse si piacciono.
STAGIONE 3 - YONAH: stagione molto politica, incentrata sulle attività extrascolastiche di Yonah che vuole diventare rappresentante d’istituto e coinvolge varie persone nella missione. Diventa rappresentante del ginnasio, ma punta più in alto l’anno prossimo.
STAGIONE 4 - SANA: incentrata sullo schifo che succede in italia coi migranti, e su quello che deve sopportare. Scena centrale quella in cui picchia Guglielmo, seconda solo a quella in cui gli fa un culo così perché è uno di quelli che dice “Palestina libera” perché odia gli ebrei.
STAGIONE 5 - IGOR: Igor incontra Evasio e si decide a fare coming out. Scena bellissima notturna in cui tentano di andare in bicicletta fino al Pincio ma la devono spingere a mano perché la salita è troppo ripida. (Però vuoi mettere la vista di Roma?)
STAGIONE 6 - EVASIO: affronta i problemi di Evasio col disordine bipolare, e l’assestamento con la relazione con Igor. Si parla tanto di salute mentale, e dello stato della sanità pubblica (lmao).
STAGIONE 7 - VIVIANA: si vengono a scoprire sia la situazione familiare che quella della crisi sessuale di Viviana, e i segreti vengono fuori per sbaglio, e lei va in crisi. Finisce tutto bene con lei che impara ad accettarsi e trova una ragazza.
STAGIONE 8 - CRISTINA: a nessuno frega niente di lei e si vede poco rappresentata nei media, stagione che prende per il culo tantissimo il concetto del personaggio originale di Chris.
STAGIONE 9 - MAHDI: anche questa incentrata tantissimo sul mare nostrum e su quello che lui è costretto a sopportare in quanto afroitaliano, giusto così per non fare in modo che le esperienze siano solo quelle dei merregani.
STAGIONE 10 - TUTTI: una puntata a testa, stile skins, per far vedere lo sviluppo compiuto dai personaggi man mano. Siamo tutti felici e contenti, e tutto il mondo impara lo slang romano.
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