È assurdo come io possa trovare stabilità in un mare di incertezze e cattive notizie, di problemi e difficoltà, con piccole cose come uno smalto carino.
È una cosa così stupida e superficiale che a stento riesco a dirla a me stessa, di solito. Solo che a volte poi ci penso e mi rendo conto che la vita è così:
Corri, vai, lavori, fai servizi... Non pensi a nulla, non ti soffermi sulle piccole cose. Poi succede qualcosa di negativo ed all'improvviso ti senti come ancorata a terra. All'improvviso ricominci a valutare, a cercare di gestire il tuo tempo, magari donando più attenzione alle persone ed alle cose che sono per te contano davvero.
Siamo fatti male.
Sappiamo apprezzare le cose solo quando stiamo per perderle.
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Mi sento come schiacciata a volte.
Le gambe pesanti, le braccia doloranti per lo sforzo di spingere, la testa che rimbomba, le forze esigue.
Aspetto che si abbatta su di me un peso senza forma, senza nome.
È come camminare con un macigni sulle spalle e nello stomaco, giorno e notte.
Lavoro, lavoro e non serve mai a nulla.
Fa male, e mi manca il respiro. Ma devo continuare e non perché lo voglia, solo perché non mi è consentito fermarmi.
E cammino, ripiegata su me stessa. Un piede davanti all'altro e le orme che pesanti vengono risucchiate dal terreno instabile. Sabbie mobili che inghiottiscono i miei sacrifici e le mie azioni e ne cancellano le tracce.
E cammino, col cuore pesante e la testa in subbuglio.
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È che a volte mi si annebbia il cervello. Vedo nero, non riesco a non rispondere. Devo parlare, tirar fuori tutto, urlare.
Altre volte, invece, non riesco ad esprimere le mie emozioni. Mi chiudo in un bozzolo, impermeabile a tutti. Solo poche persone sulla terra saprebbero dire che c'è qualcosa che non va in me. E di questo, ringrazio mille volte il cielo.
Ovviamente, sapevo perché ero lì, davanti ad uno sconosciuto che avrebbe voluto che gli leggessi i registri di 25 anni di pensieri e sentimenti provati. Sapevo cosa avevo fatto, ma non sapevo come. Non sapevo esattamente cosa fosse quella cosa.
Era stato molto difficile per me rielaborare il tutto, dare un senso a ciò che avevo visto e fatto. I miei ricordi erano vividi, non è che non ricordassi più cosa era successo, ma ecco, per me semplicemente non avevano il ben che minimo senso.
Da allora sono passati tanti anni, la mia vita è cambiata radicalmente, ma nessuno ancora riesce a superare quel momento. Io lo avevo accettato già allora ed in seguito avrei fatto in modo che la mia, ecco, condizione, non avesse influenzato le vite altrui. Avevo dovuto compiere delle scelte e seguire certune strade invece di altre. Ma non era così facile per tutti accettarlo e non capivo ancora il perché.
Ma in quel momento dovevo rassegnarmi e quindi mi decisi a parlare e raccontai.
La prima volta accadde per caso. Ero a pranzo, accanto al camino. Mi riposavo in attesa di un'altra portata, (sì, perché, naturalmente, a casa mia ancora non ci si era rassegnati ad essere solo in tre). Le mani vicino al fuoco, il lento scoppiettare delle fiamme era l'unico rumore percepito.
L'unico.
Fino a quando non li sentii urlare. Naturalmente sapevo che la quiete sarebbe durato poco, la nostra famiglia non è mai stata tranquilla. Ci si infiamma anche per la sterile discussione sul nome di un attore nel film che si sta vedendo.
Dicevo, li sentii urlare.
Questa volta era diverso. Questa volta erano ai due angoli opposti del ring. Questa volta mia madre non voleva non vedere. Si era stancata di incassare in silenzio.
La rabbia accumulata negli ultimi tre mesi esplose. Partirono urla, grida. L'orrore a cui stavo per partecipare si stava facendo strada facilmente. Avevo paura, la tensione mi irrigidiva i muscoli. Ero ferma, immobile con le mani vicino al fuoco. Pietrificata nello sguardo.
Mamma ne era sicura ormai, suo marito aveva un'altra.
Le sue lacrime erano sgorgate giù come rubinetti aperti. Si agitava, bestemmiava e imprecava contro quell'uomo che, se prima considerava il suo Salvatore, ora stava diventando il suo nemico più importante.
Lei cercava di colpirlo debolmente sul petto, ma si agitava convulsamente e con uno schiaffo gli colpì la faccia.
Si fermò.
Calò il silenzio, lei immobile continuava a piangere e singhiozzare.
Lui si portò le mani al viso arrossato, vidi nascere nei suoi occhi una furia improvvisa. Mise la mano dietro la schiena, sulla penisola della cucina, afferrò il coltello e fece per colpirla.
Il tutto mi parve lentissimo, ancora ora se ci penso, non capisco come possa essere successo. Le mie mani erano ancora vicino al fuoco, ma all'improvviso non le sentivo più calde. Era come se la mia pelle avesse inglobato la temperatura del fuoco. Il mio primo istinto fu quello di tendere le mani verso il polso di lui, per fermarlo, ma nel fare quel gesto le mie mani si bloccarono a mezz'aria. Dai palmi uscì un getto di fiamme, così violento da colpire immediatamente il polso di lui, il quale urlando, per il dolore e lo stupore, cadde a terra.
L'ultima cosa che ricordo fu lo sguardo di mia madre, su di me. Incredulo, spaventato, sollevato.
Nel cadere la mia testa sbatté sul pavimento opaco.
Questo è tutto ciò che ho da dire, su quell'episodio.
~λ.
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