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#ascesa del nazismo
lamilanomagazine · 1 year
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Scandicci, nel comune apre una sezione di Arcigay Firenze
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Scandicci, nel comune apre una sezione di Arcigay Firenze.   A soli due anni dalla sua nascita Arcigay Firenze apre la prima sezione distaccata nel territorio della città metropolitana. Il prossimo venerdì 16 dicembre infatti una sede di Arcigay sarà inaugurata presso la Casa del Popolo del Vingone (Via Roma, 166 - Scandicci). Un’occasione per l’intera città di Scandicci e per gli altri comuni limitrofi. Arcigay da poco ha eletto come Presidente Nazionale Natascia Maesi, donna transfemminista esponente del Comitato provinciale di Siena, Movimento Panessuale. Il corso dell’associazione negli ultimi anni ha visto un'evoluzione sempre più intersezionale e transfemminista, con la nascita di reti nazionali e coordinamenti tematici. La comunità Lgbtqia+ ha attraversato la pandemia e si è ritrovato con un clima d’odio e di repulsione politica che ha avuto culmine nell’affossamento del ddl Zan in Parlamento. Le soggettività Lgbtqia+ nel mondo sono sempre più criminalizzate e attaccate, basti vedere la recente legge approvata in Russia contro ogni forma di espressione pubblica sul tema. Questo non ci può che ricordare come nella Berlino anni ‘20 del secolo scorso in un solo mese di ascesa del nazismo sono sparite nell’ombra decine di migliaia di persone che vivevano la loro vita alla luce del sole. Il tema dei diritti sociali e civili deve essere sempre tenuto in considerazione e all’attenzione dell’opinione pubblica e dell’attività politica dei territori, al fine di debellare ogni tentativo di strumentalizzazione e propaganda d’odio che possa riproporre schemi repressivi e violenti nei suoi confronti. "Da sempre Arcigay crede nell'attività nei territori, non limitandosi solo ad attività nelle grandi città" dice il Presidente di Arcigay Firenze Mauro Scopelliti. "È fondamentale vivere e portare i nostri temi nell'intero territorio metropolitano, in particolar modo in un periodo storico che sta superando la centralità culturale e sociale della Città. Di fatto è giunto il momento di portare servizi, aggregazione e cultura Lgbtqia+ anche nel più piccolo paese della provincia. Ogni giorno ci arrivano richieste di aiuto, conoscenza, informazione e formazione dall'intero territorio metropolitano. Molte delle persone volontarie in associazione provengono dalla provincia e anche oltre; ad esempio le persone che frequentano le nostre attività viaggiano anche per più di un'ora ogni volta pur di trovare un ambiente accogliente e non giudicante dove poter essere se stesse". Scandicci sta diventando sempre di più riferimento culturale e sociale, con una propria identità, e capace di attrarre le persone con un flusso contrario che proietta il Fiorentino fuori dalle strade classiche del centro. "Diventa sempre più necessario allargare le nostre visioni, in un'ottica intersezionale delle lotte" dice la Presidente della Casa del Popolo del Vingone Claudia Sbolci, "una Scandicci che porta avanti culturalmente, politicamente e socialmente le battaglie di diritti e rivendicazione è ancora più urgente. Adesso, in un periodo che sembra incupirsi, dove i conflitti sociali aumentano e le difficoltà di tutte le persone stanno diventando ordinarie, non si può essere vittime di approssimazioni. Noi vogliamo una società che riconosca le libertà e che veda a un modello di accrescimento collettivo per tutte". "Salutiamo con grande piacere ed entusiasmo la nascita di una sezione Arcigay nel nostro territorio" commenta la Presidente di Arci Firenze Marzia Frediani, "e ci rallegriamo che le giuste battaglie per i diritti trovino radicamento nei quartieri e nelle strade. È un ottimo segnale che in quelle strade le pratiche per un mondo accogliente per tutte e tutti, senza giudizi, possano trovare casa in un circolo Arci. Ringraziamo la Casa del Popolo del Vingone a Scandicci per aver lasciato aperte le sue porte, per voler dare spazio oltre che alle giustissime rivendicazioni, anche a pratiche di accoglienza e di ascolto." L’appuntamento quindi è per Venerdì 16 Dicembre dalle ore 20:00 per un apericena insieme e dalle ore 21:00 per l’evento di inaugurazione che vedrà partecipare le Istituzioni locali e continuerà con performance e talk dal mondo della Ballroom Culture con la Kiki House Utopia. Arcigay Firenze - Sez. di Scandicci - Circolo Arci Vingone - Via Roma, 166 – Scandicci. Tel. +393792787426, www.arcigayfirenze.    ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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carmenvicinanza · 1 year
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Ursula Hirschmann
https://www.unadonnalgiorno.it/ursula-hirschmann/
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“Giorni fa, in una riunione politica, ho capito di colpo perché per me fosse tanto più facile essere ‘europea’ che per altri. Dovevo parlare e mi sono accorta che non avevo nemmeno più una lingua a mia disposizione. L’italiano che parlo da tanti anni mi è rimasto sempre estraneo; non ho mai voluto addentrarmici troppo per non perdere la mia lingua: il tedesco. […] Questa mancanza di lingua non è tutto: non sono italiana benché abbia figlie italiane, non sono tedesca benché la Germania una volta fosse la mia patria. E non sono nemmeno ebrea, benché sia un puro caso se non sono stata arrestata e poi bruciata in uno dei forni di qualche campo di sterminio”.
Ursula Hirschmann è stata una madre fondatrice dell’Europa. Antifascista, socialdemocratica, femminista, ha militato per i suoi ideali per tutta la sua esistenza.
Nata a Berlino il 2 settembre del 1913. in una agiata famiglia ebraica, crebbe durante gli anni della Repubblica di Weimar, della nascita e ascesa del nazismo a cui si oppose da subito entrando, nel 1932, nell’organizzazione giovanile del partito socialdemocratico.
Costretta a scappare in Francia per la sua attività politica, ebbe modo di incontrare il filosofo e socialista italiano Eugenio Colorni, che seguì in Italia e che sposò nel 1935. Insieme ebbero due figlie e presero parte attiva al movimento clandestino di opposizione al fascismo.
Ha seguito il marito quando venne arrestato e confinato sull’isola di Ventotene, nel 1939.
Lì conobbero Ernesto Rossi e Altiero Spinelli, che nel 1941 scrissero il Manifesto di Ventotene “per un’Europa libera e unita“, il punto d’inizio del federalismo europeo che invitava a una rottura con il passato per formare un nuovo sistema politico attraverso la ristrutturazione e una profonda riforma sociale.
Il documento ebbe ampia diffusione tra i membri della resistenza italiana anche grazie al contributo di Ursula Hirschmann che, non essendo soggetta a provvedimenti restrittivi, ebbe modo di portarlo con sé sulla terraferma, come altre donne legate ai confinati, e diffonderlo a Roma, a Milano e in Germania, grazie alla sua traduzione.
Nel 1943 è stata presente alla riunione di fondazione del Movimento Federalista Europeo di Milano e collaborato alla redazione e diffusione del foglio clandestino L’Unità Europea.
Quando il marito venne ucciso dai fascisti della banda Koch, nel 1944, iniziò una relazione con Altiero Spinelli che sposò e da cui ha avuto altre tre figlie.
Ursula Hirschmann ha preso parte all’organizzazione del primo congresso federalista internazionale, a Parigi, nel 1945, impegnandosi per la formazione del Movimento Federalista Europeo.
Nel 1975, a Bruxelles, ha fondato l’associazione Donne per l’Europa per affermare il ruolo delle donne nel processo europeo, fatto di emancipazione e consapevolezza, capace di portare “una dimensione umana secondo il nostro modo di pensare”.
L’anno successivo, venne colpita da un aneurisma cerebrale da cui non si riprese più completamente, pur continuando a seguire l’attività politica di Spinelli.
La consapevolezza critica e originale che la caratterizzava l’ha accompagnata per tutta la sua esistenza, fatta di passione e impegno instancabile, di viaggi, sconfinamenti, impegni e frenetica attività.
È morta a Roma, l’8 gennaio 1991.
Ursula Hirschmann è stata una donna che non si è lasciata incatenare, ha vissuto la sua vita da protagonista, l’Europa è stata la sua casa e il progetto di tutta una vita.
Ha saputo insegnare il coraggio di essere libere, affrontato le difficoltà che le si sono parate davanti, riconoscendo le sue fragilità, potenzialità e la capacità di adattarsi e riformulare la sua esistenza vissuta in serramento, sconfinamenti, superamenti di confini e di barriere reali e esistenziali.
Le è stato dedicato un albero nel Giardino dei Giusti a Villa Pamphili a Roma.
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fs7518 · 3 years
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La globalizzazione, finirà nel 2023. Ecco spiegato come e perchè.
La globalizzazione, finirà nel 2023. Ecco spiegato come e perchè. Non so se ora ci sia questo complotto, per fare chi sa quale dittatura. Io vedo altro. Un periodo precedente di merda. Dominato da una ideologia, la globalizzazione liberista. L'ultima ideologia totalitaria del '900. Che ha fatto solo disastri e adesso sta crollando. Questo periodo attuale (secondo decennio del ventunesimo secolo), è il risultato della globalizzazione, e segna la sua fine. Per me, che finisca, è un bene. A prescindere da qualsiasi considerazione. Un regime, è peggio quando è forte. Mentre quando crolla, starai anche peggio. Ma dopo, hai l'opportunità di costruire qualcosa di migliore. Bisogna sempre tenere presente il nazismo. Il più estremo, e quindi il più chiaro esempio di regime ideologico totalitario. La globalizzazione, come il nazismo, ha distrutto la vita di milioni di persone. Sia nei posti coinvolti nelle guerre, sia nel terzo mondo, sia in occidente. Ha invece leggermente avvantaggiato la Cina, ma per errore strategico degli americani. Infatti l'America sperava di trarne lei, e solo lei i vantaggi. Il nazismo, era sicuramente peggiore. Ma l'analogia è questa: nel periodo di nazismo al potere, vennero perseguitati milioni di tedeschi. Soprattutto ebrei. Ma anche dissidenti politici. E semplici cittadini, costretti a combattere guerre assurde, tornando morti o mutilati. Costretti ad adeguarsi ai voleri del regime (si pensi ad artisti e docenti. Imprenditori costretti a perdere mano d'opera capace ma non ariana, scienziati costretti a dimostrare idee pazzesche in modo para-scientifico, giornalisti, semplici cittadini privati della libertà di azione e parola). Quando il nazismo crollò, crollò per le proprie scelte. Le persecuzioni e le guerre, gli si ritorsero contro. La Germania venne rasa al suolo. Città come Dresda, vennero date alle fiamme insieme ai loro abitanti. Berlino era distrutta. E i suoi abitanti superstiti, alla fame. Tuttavia, la situazione, era meglio di quando il nazismo era al potere. Perchè, appunto, il nazismo era finito. Mentre finchè era forte, poteva proseguire le sue atrocità. Tutti i sistemi ideologici totalitari, hanno questa caratteristica comune: la capacità di piegare la realtà in una determinata direzione, stabilita precedentemente. Lo fanno con forza, violenza, e impongono il loro volere. Governando in questo modo, accumulano tutte le loro contraddizioni. Finchè queste esplodono in modo piuttosto rapido. Portando al crollo del sistema stesso. In modo sempre catastrofico. Per loro stessa natura, sono incapaci di cambiare ed evolversi. Per diventare altro. Così facendo, dovrebbero mettere in discussione tutti i loro fondamenti ideologici. Tentano a volte di riformarsi. Ma sempre, sempre, sempre, questo viene fatto quando il crollo è già in corso. E queste riforme, si traducono solo in una estremizzazione delle basi ideologiche e delle azioni. Questa breve fase, è un tentativo disperato, che allunga di poco l'agonia. Mussolini, gli ultimi anni, ridisegnò tutto l'apparato politico. Poi tentò di trasformarsi da monarchico a "repubblicano". Ovviamente, restava non solo quello che era, ma scivolava sempre più verso l'abisso. Hitler, invece non cambiò nulla. Limitandosi ad eliminare gerarchi ritenuti incapaci. Il comunismo sovietico, ebbe quasi trent'anni di agonia, in cui tentò più volte di riformarsi per restare se stesso. Il destino della globalizzazione neo liberista, è , forse più simile a quello del comunismo marxista leninista, che a quello nazista. Il comunismo marxista leninista era una variante del comunismo. Si caratterizzava per un forte realismo. Era congegnato, per governare concretamente un territorio in modo collettivistico. Abolendo la proprietà privata, accentrava tutto il potere economico nelle mani dello stato. Stato che doveva poi essere retto da una dittatura. Per brevità, chiameremo il comunismo marxista leninista, semplicemente comunismo. Tenendo presente che non stiamo parlando dei comunismi asiatici, maoisti o sudamericani. Ma del comunismo che governò Russia, URSS, e Europa Orientale. E sempre tra l'altro, lo fece chiamandosi Socialismo. Poichè il comunismo, sarebbe stata la sua futura evoluzione. A differenza del nazismo (che durò dieci anni) o del fascismo (venti), il comunismo governò in Europa per oltre settanta anni. Ventotto (1917-1945) solo nell'ex impero zarista che aveva rovesciato (cioè Russia e paesi dell'ex URSS, Ucraina, Armenia, Georgia, Moldavia, Lettonia ecc.) E per 44 (1945-1989) in tutta l'Europa orientale, mediante l'instaurazione di regimi comunisti fantoccio.Per quanto se ne dica, il comunismo, era molto diverso dal nazismo. Era un regime meno estremo. Con una certa democrazia interna, che ne permetteva deboli aggiustamenti. Aveva una base ideologica, con delle finalità teoriche positive. La giustizia sociale. Che anche se mai raggiunta, rimaneva un fine teorico imprescindibile. Mentre la base ideologica nazista era sostanzialmente questa: il più debole va ucciso. Se i più deboli sono gli altri, li ammazziamo. Se saremo più deboli noi (come fu), ci faremo ammazzare. Il nazismo predicava e praticava questo. E durò ovviamente pochissimo. Mentre il comunismo, ha sempre sostenuto la giustizia e la pace tra i popoli. Solo, da ottenersi con regimi comunisti. Che in realtà ottenevano strutturalmente il contrario. Nel nazismo era sbagliato il fine ed il mezzo. Nel comunismo, solo il mezzo. Un sistema sbagliato, e repressivo ai massimi termini. Ma in grado di funzionare a lungo. E in questo del tutto simile alla globalizzazione. Quasi speculare. La globalizzazione, si proponeva anch'essa pace, giustizia e benessere tra i popoli. Ma da ottenersi con la disastrosa ideologia liberista, anzichè con la disastrosa ideologia comunista. Già nel 1977, il sistema comunista era in crisi irreversibile. Lo sapevano tutti, sia i capi occidentali, che quelli orientali. Tuttavia tentò di sopravvivere, riformandosi, fino al 1989. Prima, tentò un'estremizzazione repressiva delle libertà e una accentuazione dell'economia collettivistica. Il breve periodo dopo Brežnev e prima di Gorbaciov. Che nella Globalizzazione, coincide con la Troika, Monti e company ecc dopo la crisi economica. Poi con Gorbaciov, tentò di immaginare un rinnovamento totale, senza riuscirci. Ottenne solo di precipitare la popolazione in miseria, distruggere definitivamente l'economia, inasprire i regimi satelliti, creare conflitti etnici, disastri ecologici ( Chernobyl ) e infine crollare. Quello di Gorbaciov,  è assimilabile nella globalizzazione, all'attuale periodo. La "Next generation UE", Trump e Biden e il ripensamento tardivo sulla Cina, il disastro del Covid, speculare a quello di Chernobyl .Potremmo addirittura usare un parametro, un vincolo temporale. Per allineare i due sistemi ideologici e la loro durata. E vedremmo che ripercorrendo a ritroso la storia, i momenti di ascesa, crisi e crollo sono identici. Se Chernobyl avvenne nel 1986, passarono tre anni alla fine totale del comunismo marxista leninista (1989). Che sopravvisse nel suo cuore, l'URSS (Russia ecc), fino al 1990. Quindi Chernobyl non rappresenta solo un disastro ecologico-sanitario. Ma l'incapacità, ormai raggiunta dal sistema ideologico comunista, di gestire le situazioni. Mentre esplodeva la centrale nucleare, anche tutto il resto dell'apparato stava crollando, facendo meno rumore, come la centrale. Il Covid, rappresenta esattamente la stessa cosa. Il raggiungimento di marcescenza del sistema. Non più in grado di fronteggiare, e tanto meno prevenire, gli eventi prodotti dal suo modo di esistere. E quindi, in entrambi i casi, i sistemi sono davanti a due soluzioni: o proseguire fino al crollo totale, o decidere di cessare di esistere. Dualità, che si risolse nel comunismo, in un mix delle due scelte. Nel nazismo, nella scelta di proseguire fino alla catastrofe, dopo il disastro della guerra che aveva voluto. Nella globalizzazione, non possiamo ancora saperlo.Probabilmente sceglierà a pezzi. Proseguendo fino al crollo in America e Cina, scegliendo di cessare di esistere in parti d'Europa. Anche il comunismo alla fine, scelse a pezzi. Scegliendo di smettere di esistere i paesi come Germania Est e Polonia. Scegliendo di proseguire fino al crollo in URSS. In ogni caso, abbiamo tempi certi. Il nazismo, iniziò  a crollare dopo tre anni di guerra, dal 1943. Durò altri due anni. Era appunto un regime estremo, con tempi di vita e di crollo accelerati.Ma il comunismo ebbe Chernobyl nel 1986. Crollò tre anni dopo in tutta Europa (1989) e finì in URSS nel 1992, sei anni dopo. Il covid, è scoppiato nel (e per) la globalizzazione nel 2020. Quindi la globalizzazione neoliberista, dovrebbe finire quasi ovunque nel 2023. E tentare di sopravvivere forse in America e Cina, fin verso il 2026. Anche se questo tentativo sarà assurdo, dato che non può esistere una globalizzazione senza “globo” con pochi paesi.
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gregor-samsung · 3 years
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“ Era festa. Si celebrava il compleanno del plebeo in capo. La città era piena di bandiere. Nelle strade sfilano le ragazze che cercano l’aviatore scomparso, i ragazzi che vorrebbero che tutti i negri morissero, i genitori che credono alle bugie scritte sui manifestini, e quelli che non ci credono sfilano lo stesso. Divisioni di gente senza carattere, al comando di idioti. E tutti con lo stesso passo. Cantano di un uccellino che canta sulla tomba di un eroe, di un soldato che muore asfissiato, di ragazze nerobrune che mangiano i rifiuti rimasti a casa, e di un nemico che non esiste. È così che i deboli di mente e i bugiardi celebrano il giorno in cui è nato il plebeo in capo. E mentre così penso, noto con una certa soddisfazione che anche alla mia finestra sventola una bandierina. L’ho messa fuori ieri sera. Quando si ha a che fare con dei criminali e dei pazzi, bisogna agire da criminali e da pazzi; altrimenti, addio. Bisogna imbandierare la casa, anche se non si ha più casa. Quando non si sopporta più il carattere, ma soltanto l’obbedienza, la verità fugge e viene la menzogna. La menzogna, madre di tutti i peccati. Fuori le bandiere! Piuttosto il pane che la morte. Così pensavo quando mi chiesi: ma che cosa vai fantasticando? Non ricordi che sei stato sospeso dall’insegnamento? Non sei stato spergiuro. Hai confessato di aver forzato la cassetta. Metti pure fuori la bandiera, rendi pure omaggio al plebeo in capo, striscia pure nella polvere e menti più che puoi, le cose stanno come stanno, hai perduto il pane. “
Ödön von Horváth, Gioventù senza Dio, traduzione di Bruno Maffi, Bompiani, Milano 2003. (Libro elettronico)
[ 1ª edizione originale: Jugend ohne Gott, Amsterdam, 1937 ]
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paoloxl · 6 years
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nazisti e gli altri capi fascisti puntavano, sì, sulla efficacia della parola, ma perfino in questo caso i loro discorsi adempivano più a una funzione liturgica che a costituire un’esposizione didascalica dell’ideologia. La parola detta si integrava con i riti culturali e,in realtà, quello che veniva detto finiva per diventare meno importante dello scenario e dei riti che facevano da contorno al discorso. (George L. Mosse, La nuova politica)
Con non poca enfatizzazione è stato dato l’annuncio della “svolta” che dal 5 settembre vedrà la “sperimentazione” del taser in numerose città italiane. Una sperimentazione che, con ogni probabilità, verrà estesa all’intero Paese. A un primo sguardo potrebbe apparire come un “semplice” salto tecnologico finalizzato alla gestione dell’ordine pubblico. Un salto sicuramente repressivo ma che, tutto sommato, rientra nella logica delle cose. I tonfa, i nuovi gas lacrimogeni, le sostanze urticanti non sono stati qualcosa di diverso. Volta per volta, l’apparato repressivo statuale, si dota di innovazioni tecnologiche al fine di reprimere in maniera sempre più efficace ogni forma di insubordinazione. Del resto che oggi la guerra, pur con gradi e intensità diverse, sia una guerra contro la popolazione è qualcosa che si ritrova in un qualunque manuale di “studi strategici”. Al di là degli avveniristici e sempre più improbabili scenari da “guerre stellari”, ciò con cui il “pensiero strategico” fa ormai da anni i conti è la guerra di bassa soglia condotta in ambito urbano contro i civili.
Louis A. Di Marco, tenente colonnello dell’esercito statunitense e insegnate all’Army Command and Staff College - dove tiene corsi dedicato ai combattimenti in centri urbani e alle guerre nel Medio Oriente - ha dato alle stampe, già nel 2012, un interessante volume, La guerriglia urbana. Da Stalingrado all’Iraq il quale non poco ha a che vedere con ciò. In questo volume, che rispecchia tutto l’interessamento che il “pensiero strategico” statunitense riversa nei confronti dei conflitti contro i civili in ambito urbano, l’autore identifica lo scenario proprio della guerra contro la popolazione come lo scenario prevalentemente assunto dalla forma – guerra nel presente. Sulla scia di ciò, l’impiego a tempi brevi e su ampia scala del taser, è una notizia che potremmo definire persino di routine. Molto più utile e interessante, invece, diventa osservare a cosa è stata associata. Insieme al taser entreranno in vigore una serie di provvedimenti contro tutte le “occupazioni abusive”. Apparentemente sembrerebbe difficile trovare un nesso logico e immediato tra i due provvedimenti ma, a una osservazione un poco più attenta, le cose assumono non solo un altro aspetto ma la correlazione si fa persino evidente. Si annuncia l’utilizzo del taser e, in contemporanea, si apre la “campagna d’autunno” contro i senza casa, i centri politici “abusivi”, i poveri e, perché sicuramente tra i senza casa e i poveri gli immigrati saranno numerosi, gli stranieri. In questo senso il taser, da strumento tecnologico, si fa indicatore politico:la guerra la facciamo e ci rafforziamo per condurla al meglio. Questo il messaggio, neppure troppo velato, che il potere politico sta dando. Su questo passaggio pare utile e doveroso provare a ragionare poiché, a partire da un fatto apparentemente minimale, è possibile aprire un ragionamento su quanto si sta dipanando davanti ai nostri occhi. È possibile provare a cogliere la progettualità strategica di ciò che comunemente definiamo come populismo.
Si è soliti dire che il Governo gialloverde in questi mesi non ha fatto nulla. In realtà ha fatto tantissimo. Difficile, infatti, non vedere quanto questo Governo sia stato in grado di delineare il nemico e, a partire da ciò, quanto consenso abbia ulteriormente acquisito per la formalizzazione di autentiche politiche di guerra. In fondo questo è l’unico vero mandato che il Governo ha. Perché? Proviamo a dare, o per lo meno a ipotizzare, una risposta. Chiediamoci che cos’è il populismo e perché è in grado di suscitare tanta approvazione e consenso nonostante, a conti fatti, sul piano materiale abbia restituito o dato poco o nulla a quel popolo del quale si riempie la bocca in continuazione. Non dimentichiamo, però, che, ancor più della teoria, l’ideologia, una volta che le masse se ne sono impossessate, diventa forza materiale.
Cominciamo, intanto, col vedere contro chi questi stanno avendo ragione. Verrebbe da dire l’Europa, e tutto ciò che ha significato, ma sarebbe una risposta troppo generica. Concretamente i populismi stanno avendo ragione di quel modello sociale fondato sulla classe agiata o elite transnazionale il cui progetto strategico era liberarsi delle “società di massa” e, con queste, delle masse stesse. L’utopia, perché a conti fatti di ciò si tratta, di questa elite era inaugurare un corso storico dove la “questione sociale” veniva del tutto rimossa. Un mondo di neoaristocratici globali contornati da una moltitudine di servi territorializzati. Idea non particolarmente originale poiché, a ben vedere, le medesime retoriche erano state appannaggio delle elite del primo Novecento. Tutta la critica, neoaristocratica, che fa da sfondo alla teoria politica e filosofica degli inizi del Novecento mira esattamente a ciò. Il povero Nietzsche, che gli stolti annovereranno tra i precursori del nazismo, in realtà non era altro che il cantore, più fine, acuto e suggestivo, dellanuova aristocrazia cosmopolita. Per Nietzsche la nuova classe di dominatori, i ben nati del tempo, i nuovi barbari sono esattamente quella elite borghese che ipotizza di esercitare il suo dominio senza dover in alcun modo tenere a mente la “questione sociale” e tutto ciò che questa si porta appresso. Tradotto in epoca contemporanea Marchionne e non Salvini incarnerebbe al meglio la figura del barbaro dominatore.
Sappiamo che il nazionalsocialismo è stata la risposta reazionaria di massa ai fautori del dominio dell’elite cosmopolita. Il plebeo Rosemberg sostituì l’aristocratico Nietzsche e, in tal modo, la “società di massa” ritornò a essere coprotagonista della realtà politica e sociale. Il che non avvenne dall’oggi al domani. Quel processo per il quale Mosse ha coniato quel folgorante e sintetico nazionalizzazione delle masse è stato il frutto di un brusio che, per quanto inavvertito e invisibile alle elite, ha avvolto la società, non solo in Germania ma anche in Francia e in Italia, sino a porre in campo un ordine discorsivo che faceva del mitologema del volk l’essenza di ogni cosa.
Discorso plebeo, straccione profondamente anti intellettuale, ancorché portato avanti da intellettuali rancorosi che non erano riusciti a farsi spazio tra i circoli della elite, costruito intorno alla idealizzazione del popolo, delle tradizioni, del bel mondo che fu e, soprattutto, attraverso una narrazione in grado di trovare un colpevole alle miserie del presente; questo discorso riuscì a farsi politicamente egemone tanto che, le elite, dovettero ben presto farlo proprio pagando, per quanto minimo, un prezzo alla società di massa. Centrale, in questo processo, è stata proprio la capacità di contrapporre continuamente la bellezza e la bontà del popolo a tutto ciò che gli si mostrava, o così poteva sembrare, estraneo. Il nazionalsocialismo, nella sua irresistibile ascesa, non fece altro che giocare su questi elementi: il popolo e la sua narrazione da un lato, il nemico dall’altro.
Tutto ciò ha a che vedere con quanto dovrebbe andare in scena a breve? La risposta è sì. Non dobbiamo mai dimenticare che, il popolo dei populisti è un popolo immaginato, un popolo che si inventa e reinventa in continuazione e che non ha alcuna connotazione di classe. Essere popolo significa rimarcare una differenza, significa non tanto essere ma soprattutto non essere il nemico. Significa non essere straniero, significa non essere povero, significa, come l’ultimo stupratore di Parma, essere regolare e integrato quindi non sfigato. Significa non essere omosessuale, significa essere credente del Verbo giusto. Significa non essere un “artista di strada”, significa non essere intellettualizzato e colto, significa considerare le donne un “terreno di caccia” e così via. Aggiungerei anche cacciatore ma potrebbe essere una mia forzatura animalista. Il suo essere positivo è sempre giocato attraverso una negazione, non sono come loro. Questo popolo può esistere solo se, dinanzi a sé, riesce a concretizzare l’altro, il nemico. Dentro questo processo siamo immessi. Mercoledì 5 settembre, di tutto ciò, ne rappresenterà un ulteriore passaggio. Loro, il bersaglio, verrà ulteriormente messo a fuoco. Il taser, e il suo possibile utilizzo, diventa così la concretizazione empirica del noi
Rimane da chiedersi: ma tutto questo per cosa? Qual è il progetto che si sta coltivando? Veramente siamo di fronte al risorgere del nazionalismo? Dietro l’angolo c’è la nuova “Marcia su Roma” o l’incendio del Reichstag? Il fascismo è alle porte? Porre le cose in questo modo sarebbe però sbagliato. La storia non si ripete se non altro perché i contesti concreti e materiali non possono ripresentarsi nella stessa maniera. Ciò che, invece, può reiterarsi è una certa “aria di famiglia” ma, sicuramente, al di fuori di un contesto perimetrato intorno al nazionalismo. Oggi, più sensatamente, più che di nazionalizzazione delle masse pare sensato parlare di europeizzazione delle masse. In altre parole ciò che può ipotizzarsi è l’affermazione reazionaria della “società di massa” su scala Europea. Ipotesi eccentrica? Non troppo. È nella natura dell’imperialismo, indipendentemente dai suoi originari intenti, assumere un carattere transnazionale. Lo stesso nazionalsocialismo, in apparenza il massimo del nazionalismo, si ritrovò, strada facendo, a “pensare” in termini di Europa nazionalsocialista. In merito il “testamento politico” di Göring non lascia molti dubbi al proposito. Sulla scia di ciò la destra radicale, già negli anni ’50 del secolo scorso, parlò inequivocabilmente di Europa Nazione, non a caso l’utilizzo della celtica nasce proprio come simbolo Continentale e post – nazionale. Di ciò i populismi più che la continuazione ne rappresentano una filiazione. Ciò che stanno ipotizzando è un’altra idea di Europa, non di Nazione, bensì un Europa imperialista non governata nella logica esclusiva e utopica delle elite ma fondata sulla europeizzazione reazionaria delle masse. Per questo, tornando a taser, sgomberi e dintorni occorre prendere molto sul serio la presunta inazione del Governo. Questo Governo agisce, fin troppo, in direzione della guerra. Il 5 settembre ne incarna una non secondaria tappa.
Emilio Quadrelli
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“Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”
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Con le parole di Bertolt Brecht apriamo questo blog che, in occasione del giorno della memoria (Milano lo celebra con molte manifestazioni, spettacoli, mostre e testimonianze, sotto il titolo Milano è memoria. Senza memoria non c’è futuro), intende celebrare il grande drammaturgo e poeta tedesco e il suo impegno contro il nazismo.
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Al Teatro dell’Elfo si rappresenta, fino all’11 febbraio, Mr Pùntila e il suo servo Matti, di cui Ferdinando Bruni (fondatore, insieme a Gabriele Salvatores, del Teatro Elfo Puccini) è traduttore, regista e attore. La pièce (1940), basata sul tema del doppio, che abbiamo già affrontato in diversi blog, racconta di un ricco possidente, normalmente di carattere tirannico e crudele, che sotto i fumi dell’alcol si trasforma in uno spirito mite e fraterno. Una variante farsesca de Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr Hyde, con tracce di Luci della città (da cui lo scrittore tedesco pare abbia tratto ispirazione), una metafora della società capitalistica, una feroce satira contro ogni tirannide. Le tematiche sono quelle consuete dell’autore: la dualità, come, per esempio, ne L’anima buona del Sezuan, la critica alla società e all’economia capitalistica (Santa Giovanna dei Macelli), la stigmatizzazione di ogni tipo di totalitarismo, come in La resistibile ascesa di Arturo Ui, il cui protagonista è chiaramente ispirato alla figura di Hitler.
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Ecco uno dei suoi più famosi aforismi, vero apologo sull’egoismo umano, che ci ricorda gli ignavi della Divina Commedia, che durante la vita non hanno mai sprecato lacrime, sudore e sangue per nessuno e per nessuna causa, e all’inferno ’nvidiosi son d’ogne altra sorte:
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L’apice dell’impegno antimilitarista dello scrittore di Augusta sarà raggiunto dalle Poesie di Svendborg (1939), ma vogliamo ricordare anche una poesia di Montale dalla raccolta Bufera, dal titolo Primavera hitleriana. Nonostante la presunta dichiarazione di neutralità da parte dell’autore in quella poesia-manifesto tratta da Ossi di seppia, Non chiederci la parola, che si conclude con gli emblematici versi Codesto solo oggi possiamo dirti, / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo, espressione della volontà di disimpegno del poeta, in Primavera hitleriana, scritta nel 1938, in occasione della visita di Hitler a Firenze, Montale sembra voler prendere decisa posizione contro l’indifferenza che diventa complicità e connivenza della popolazione di fronte al dramma che si sta vivendo e al presagio della guerra. Hitler è definito messo infernale, i bottegai, in un gesto di supino servilismo, chiudono i negozi per partecipare all’evento, alcuni mostravano già nelle vetrine cannoni e giocattoli di guerra: a questo punto più nessuno è incolpevole, nessuno può negare la propria responsabilità. Non dimentichiamo che Montale fu tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti.
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Sul tema dell’olocausto vi consigliamo un libro di recente pubblicazione (2016), Io non mi chiamo Miriam di Majgull Axelsson, un thriller originale e coinvolgente. Miriam è il nome che la protagonista, una ragazzina rom, ha assunto da un cadavere, per avere un’opportunità di sopravvivenza, anche se questa significava il lager. “In occasione del suo ottantacinquesimo compleanno, essa sente l’esigenza di dire la verità. Io non mi chiamo Miriam parla ai nostri giorni di crescente sospetto verso l’'altro' interrogandosi sull’identità – etnica, culturale, ma soprattutto personale – e riuscendo a trasmettere la paura e la forza di una persona sola al mondo, costretta nel lager come per il resto della vita a tacere, fingere e stare all’erta, a soppesare ogni sguardo senza mai potersi fidare di nessuno, a soffocare i ricordi, i rimorsi, il dolore per gli affetti perduti.”
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Vi proponiamo ancora un classico, Il silenzio del mare di Vercors, che dimostra come gli aguzzini non sempre siano dei mostri, ma è la guerra che li trasforma e li costringe ad essere diversi da come sono, magari anche contro la loro stessa volontà. In questo breve e godibilissimo romanzo (da cui è stato tratto uno splendido film del 1949) il protagonista, un ufficiale tedesco affascinante, educato e colto (particolarmente versato proprio nella cultura francese), si innamora della nipote del padrone di casa, costretto ad ospitarlo in un paesino della Francia occupata. La giovane non lo ricambierà neppure con uno sguardo, ma la dinamica dei rapporti che si creano tra queste quattro mura è descritta con grande passione e sensibilità. L’edizione Einaudi contiene la pregevole traduzione di Natalia Ginzburg.
Un’ultima suggestione: il recentissimo film di Simon Curtis, voluto dagli stessi produttori di Philomena, Woman in Gold, con Helen Mirren. La pellicola, tratta da una storia vera, racconta la vicenda di un’ebrea fuggita da Vienna proprio alla vigilia dell’arrivo dei nazisti, che saccheggiarono la sua casa trafugando un quadro di Klimt. Cinquant’anni dopo la donna intraprenderà un’azione legale per poter tornare in possesso del prezioso quadro, che dà il titolo al film.
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samdelpapa · 5 years
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{La moneta fiscale del Terzo Reich di Sylos Labini - 22/03/2017 Fonte: Il Sole 24Ore Sylos Labini spiega come funzionava il MEFO, la moneta fiscale che permise al Terzo Reich di riguadagnare la sovranità monetaria dopo la depressione economica di Weimar (1921-1923) e Bruning (1930-32). La tesi dell’economista è che questo meccanismo, i Certificati di Credito Fiscale potrebbe essere usato di nuovo per portare l’Italia e il paesi del Sud Europa fuori dalla stagnazione in cui versano a causa degli squilibri dell’euro, possibilmente prima che la xenofobia nazista si prenda una seconda opportunità. Credo che ci sia un tema importante, che bisognerebbe portare all’attenzione dei tedeschi. Ogni anno c’è il giorno della memoria, in cui si ricordano le atrocità del nazismo, ma in realtà bisognerebbe riflettere su che cosa ha determinato l’ascesa del nazismo e perché poi il nazismo ha trovato un grande consenso nella popolazione ed è stato in grado di lanciarsi nella seconda guerra mondiale con una forza industriale e militare spaventosa. E la risposta è semplice: il Trattato punitivo di Versailles, che umiliò la Germania e la politica economica di Hjalmar Schacht, che permise di migliorare le condizioni di vita dei tedeschi e di ricostruire un apparato militare-industriale potentissimo. Attraverso una politica di sovranità monetaria indipendente e un programma di lavori pubblici che garantiva la piena occupazione, in cinque anni il Terzo Reich riuscì a trasformare un’economia in bancarotta, gravata da rovinosi obblighi di risarcimento postbellico e dall’assenza di prospettive per il credito e gli investimenti stranieri, nell’economia più forte d’Europa. In Billions for the Bankers, Debts for the People, Sheldon Emry ha commentato: La Germania iniziò a stampare una moneta libera dal debito e dagli interessi ed è questo che spiega la sua travolgente ascesa dalla depressione alla condizione di potenza mondiale in soli 5 anni. La Germania finanziò il proprio governo e tutte le operazioni belliche senza aver bisogno di oro né debito e fu necessaria l’unione di tutto il mondo capitalistico e comunista per distruggere il potere della Germania sull’Europa e riportare} https://www.instagram.com/p/BwXdw0hgu3M/?utm_source=ig_tumblr_share&igshid=tqxbkt7fmu0n
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charlieconese · 4 years
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L'archivio "stregato" di Himmler.
L'archivio "stregato" di #Himmler. Ritrovata a #Praga una parte della sua biblioteca occulta. #streghe #occultismo #esoterismo #nazismo
  Nell’interessante e davvero esaustivo libro di Eric Kurlander, I mostri di Hitler, sulle influenze occulte del nazismo e lo spirito soprannaturale che ne ha influenzato l’assurda ascesa, ci sono davvero molti spunti su cui sarebbe giusto approfondire, ed uno di questi in particolare è un accenno ad una particolare collezione bibliotecaria organizzata da Heinrich Himmler, il terribile comandante…
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21.0530 ott ASCESA E CADUTA DEL NAZISMO - PARTE
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samdelpapa · 5 years
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Il segreto della ww2={La moneta fiscale del Terzo Reich
di Sylos Labini - 22/03/2017
Fonte: Il Sole 24Ore
Sylos Labini spiega come funzionava il MEFO, la moneta fiscale che permise al Terzo Reich di riguadagnare la sovranità monetaria dopo la depressione economica di Weimar (1921-1923) e Bruning (1930-32).
La tesi dell’economista è che questo meccanismo, i Certificati di Credito Fiscale potrebbe essere usato di nuovo per portare l’Italia e il paesi del Sud Europa fuori dalla stagnazione in cui versano a causa degli squilibri dell’euro, possibilmente prima che la xenofobia nazista si prenda una seconda opportunità.
Credo che ci sia un tema importante, che bisognerebbe portare all’attenzione dei tedeschi. Ogni anno c’è il giorno della memoria, in cui si ricordano le atrocità del nazismo, ma in realtà bisognerebbe riflettere su che cosa ha determinato l’ascesa del nazismo e perché poi il nazismo ha trovato un grande consenso nella popolazione ed è stato in grado di lanciarsi nella seconda guerra mondiale con una forza industriale e militare spaventosa.
E la risposta è semplice: il Trattato punitivo di Versailles, che umiliò la Germania e la politica economica di Hjalmar Schacht, che permise di migliorare le condizioni di vita dei tedeschi e di ricostruire un apparato militare-industriale potentissimo. Attraverso una politica di sovranità monetaria indipendente e un programma di lavori pubblici che garantiva la piena occupazione, in cinque anni il Terzo Reich riuscì a trasformare un’economia in bancarotta, gravata da rovinosi obblighi di risarcimento postbellico e dall’assenza di prospettive per il credito e gli investimenti stranieri, nell’economia più forte d’Europa.
In Billions for the Bankers, Debts for the People, Sheldon Emry ha commentato:
La Germania iniziò a stampare una moneta libera dal debito e dagli interessi ed è questo che spiega la sua travolgente ascesa dalla depressione alla condizione di potenza mondiale in soli 5 anni. La Germania finanziò il proprio governo e tutte le operazioni belliche senza aver bisogno di oro né debito e fu necessaria l’unione di tutto il mondo capitalistico e comunista per distruggere il potere della Germania sull’Europa e riportare l’Europa sotto il tallone dei banchieri.
Debiti e depressione dell’economia: questi furono i problemi di ieri e sono i problemi che stanno mettendo in ginocchio il progetto della moneta unica. Oggi in Europa sarebbe necessaria una vasta alleanza per cambiare radicalmente l’impostazione della politica economica. Nel frattempo, prendendo ad esempio l’esperienza della Germania degli anni ’30, sarebbe auspicabile che il nostro Paese lanciasse la moneta fiscale a circolazione interna per aumentare il potere d’acquisto e quindi la capacità di spesa privata e pubblica all’interno dell’euro. Affinché la proposta della moneta fiscale abbia successo, essa dovrebbe essere promossa dalle forze economiche – sindacati, imprese e banche – attraverso un Patto per la crescita.
1. L’economia della Germania tra le due guerre
Tra il 1933 e il 1938, dunque, si realizzò uno dei più grandi miracoli economici della storia moderna, persino più significativo del tanto celebrato New Deal di F.D. Roosevelt, e questo miracolo fu promosso da Hjalmar Schacht che ricoprì sia la carica di presidente della Banca Centrale del Reich sia quella di ministro dell’Economia.
L’obiettivo fondamentale di Schacht fu quello di eliminare la disoccupazione, e fino al 1939 ebbe carta bianca da Adolf Hitler. Ciò gli permise di gestire la politica monetaria e finanziaria del regime nazista in modo geniale e fuori dagli schemi.
In una lettera del 1° settembre 1938 ad Adolf Hitler, il ministro delle Finanze, conte Schwerin von Krosigk, scrisse:
Sin dai primi giorni di governo è stata coscientemente seguita la strada del finanziamento di grandi progetti per la creazione di nuovi posti di lavoro e per il riarmo, mediante l’assunzione di crediti. Quando ciò non era possibile col normale intervento del mercato dei capitali, il finanziamento veniva effettuato a mezzo di cambiali MEFO che erano scontate dalla Reichsbank.
La creazione di nuovi posti di lavoro dunque richiedeva una grande quantità di danaro di cui però non esisteva alcuna disponibilità. Poiché i crediti diretti allo Stato avrebbero messo a rischio il controllo della Reichsbank sulla politica monetaria, Schacht escogitò un sistema monetario non convenzionale. In questo sistema, i fornitori dello Stato emettevano ordini di pagamento che venivano accettati da una compagnia denominata Metallforschungsgesellschaft (MEFO, società per la ricerca in campo metallurgico), creata dal Terzo Reich per finanziare la ripresa economica tedesca e, nel contempo, il riarmo, aggirando i limiti e le imposizioni del Trattato di Versailles.
Di qui l’origine delle cambiali-MEFO che erano garantite dallo Stato, potevano circolare nell’economia ed essere scontate presso la Reichsbank.In pratica, le cambiali MEFO rappresentarono uno strumento monetario parallelo, come lo potrebbero essere oggi i Certificati di Credito Fiscale. Con la ripresa dell’economia e il conseguimento della piena occupazione, le nuove entrate fiscali e la crescita del risparmio permisero allo Stato di riscattare le obbligazioni MEFO in scadenza senza determinare l’esplosione del debito pubblico (Schacht 1967).
«MEFO» era dunque l��acronimo riferito a una scatola vuota formalmente privata, dotata di un capitale di appena un milione di marchi e partecipata da Siemens S.p.A., Gutehoffnungshutte, Rheisenstahl S.p.A. e Krupp, in nome della quale vennero create obbligazioni senza gravare sul bilancio pubblico. Al riguardo, vi è chi ha sottolineato che non si trattò né di un diretto finanziamento monetario del Tesoro, né di un immediato aumento del debito pubblico. Tuttavia, tanto lo Stato quanto la Reichsbank ebbero un ruolo determinante perché autorizzarono le emissioni e diedero la garanzia. Così venne creato un meccanismo monetario in grado di fornire i capitali all’industria tedesca.
Prima di esaminare la politica economica del nazismo è opportuno ripercorrere le vicende più importanti degli anni successivi alla fine della Prima guerra mondiale. Nel 1921, in seguito al Trattato di Versailles, la cifra per le riparazioni della Prima guerra mondiale che doveva essere pagata dalla Germania fu quantificata in 33 miliardi di dollari.
John Maynard Keynes criticò duramente il trattato: non prevedeva alcun piano di ripresa economica e l’atteggiamento punitivo e le sanzioni contro la Germania avrebbero provocato nuovi conflitti e instabilità, invece di garantire una pace duratura.
Keynes espresse questa visione nel suo saggio The Economic Consequences of the Peace. Queste misure punitive furono all’origine di tutte le sciagure che seguirono – dall’iperinflazione di Weimar (1921-1923) all’austerità deflattiva del governo Bruning (1930-1932) – le quali generarono un profondo sentimento di rivalsa nel popolo tedesco, che si manifestò pienamente con il sostegno al nazionalsocialismo di Adolf Hitler.
Quando Hitler salì al potere nel gennaio del 1933, la Germania si trovava in una situazione economica disastrosa: oltre 6 milioni di persone (circa il 25% della forza lavoro) erano disoccupate e al limite della soglia della malnutrizione, mentre la Germania era gravata da debiti esteri schiaccianti con riserve monetarie ridotte quasi a zero.
Ma, tra il 1933 e il 1938, si verificò una spettacolare ripresa dell’economia e dell’occupazione (si veda la Figura 1). E non furono le industrie d’armamento ad assorbire la quota più grande di manodopera: i settori trainanti furono quello dell’edilizia, dell’automobile e della metallurgia. L’edilizia, grazie ai grandi progetti sui lavori pubblici e alla costruzione della rete autostradale, creò la maggiore occupazione (+209%), seguita dall’industria dell’automobile (+117%) e dalla metallurgia (+83%).
Figura 1 – Andamento del PIL e dell’indice dei prezzi al consumo in Germania e in Olanda nel periodo 1922-1939 (tassi di variazione %). (Da: Mahe, 2012 ).
2. La politica economica di Hjalmar Schacht e gli effetti MEFO
Schacht era fermamente convinto che il compito della banca di emissione consistesse nel mettere a disposizione tanto denaro quanto fosse sufficiente allo scambio di beni. Per questa ragione, scrive in The Magic of Money, tutte le leggi che regolano le banche di emissione hanno introdotto la cambiale a pagamento delle merci quale elemento fondamentale della loro politica. La cambiale-merci attesta la vendita e lo scambio di una merce; pertanto, Schacht riteneva che la concessione di crediti da parte della banca di emissione contro cambiali merci non comportasse alcun pericolo d’inflazione e difatti le voci attive della Reichsbank consistevano principalmente in cambiali a pagamento merci.
I fornitori dello Stato, dunque, iniziarono a emettere ordini di pagamento (tratte) che venivano accettati dalla società MEFO che pagava con «cambiali-MEFO». Trattandosi di forniture di merci, le cambiali MEFO erano effetti commerciali cui prestavano triplice garanzia i fornitori, la società MEFO e lo Stato, giustificando così il loro sconto presso la Reichsbank. I funzionari della società MEFO controllavano che tutte le cambiali fossero state emesse solamente per forniture di merci e non per altri motivi: a ogni cambiale MEFO era legato uno scambio di merci proprio per compensare la circolazione monetaria con quella di beni. Le cambiali, che normalmente erano a tre mesi, ricevevano dalla Reichsbank il permesso di rinnovo fino a 19 volte per un periodo complessivo di 5 anni. Ciò era necessario perché la ricostruzione economica avrebbe richiesto un certo numero di anni.
Con queste promesse di pagamento spendibili come il denaro ma unicamente entro i confini nazionali, gli imprenditori pagavano i fornitori. In teoria, questi ultimi potevano scontarle presso la Reichsbank in ogni momento e per qualsiasi importo a un interesse del 4% il che rendeva le cambiali MEFO non solo una «quasi moneta corrente» ma anche un denaro fruttifero che poteva essere ritenuto da banche, casse di risparmio e aziende. Non vi è dubbio che se gli effetti MEFO fossero stati presentati all’incasso massicciamente e rapidamente, oltre al rischio di inflazione, sarebbe diventato evidente ai paesi stranieri che la Germania stava incrementando le emissioni di moneta accrescendo i sospetti che la finalità fosse anche il riarmo. Ciò però non avvenne nel Terzo Reich poiché gli industriali tedeschi si servirono degli effetti MEFO come mezzo di pagamento fra loro: fino al 1938, in media, la metà degli effetti MEFO fu sempre assorbita dal mercato senza passare all’incasso presso la Reichsbank.Così queste obbligazioni diventarono una vera moneta a circolazione fiduciaria per le imprese che si protrasse per 4 anni, raggiungendo nel 1938 l’importo complessivo di 12 miliardi di marchi, con una media annuale di erogazioni pari a circa 3 miliardi l’anno.
Questa fu la mossa determinante che fece ritornare sotto il controllo politico la sovranità monetaria della Germania. Si realizzò in tal modo un mutamento fondamentale della strategia economica nazionale che permise allo Stato di riprendere in mano le leve del finanziamento dello sviluppo sostituendo la sua autorità a quella del mercato. Un esempio da manuale di come una politica di sostegno alla domanda finanziata da un’espansione monetaria non convenzionale abbia permesso all’economia di uscire dalla depressione e di conseguire la piena occupazione. La nuova moneta emessa dal Governo non produsse affatto l’inflazione prevista dalla teoria classica poiché offerta e domanda crebbero di pari passo lasciando i prezzi inalterati.
Schacht in The Magic of Money ha scritto:
L’economista inglese John Maynard Keynes ha studiato il problema dal punto di vista teorico e l’operazione MEFO ha dimostrato possibile la sua applicazione. Ma le condizioni alle quali l’applicazione del sistema può essere effettuata senza danno non sussistono sempre. Sussistevano in Germania nel periodo della depressione economica degli anni trenta quando mancavano del tutto le scorte di materie prime, le fabbriche e i depositi erano vuoti, le macchine erano ferme e sei milioni e mezzo di lavoratori erano disoccupati. Non si aveva a disposizione neppure capitale liquido risparmiato da poter investire. Con una produzione tanto limitata anche la produzione di nuovo capitale era evidentemente impossibile. Soltanto quando le inoperose ma ingenti forze produttive furono rimesse all’opera, fu possibile una rapida formazione di capitale. Questo capitale “sperato” fu, nell’operazione MEFO, anticipato dal credito. Mancando la produzione che con questo credito era stata avviata, l’esperimento MEFO sarebbe fallito. Il sistema MEFO non poteva essere un “perpetuum mobile”. Raggiunta la piena occupazione ogni altra concessione di credito avrebbe portato a eccedenze di circolante e all’inflazione. (pp. 160, 162.)
In un periodo di depressione erano proprio i fondi a mancare nelle casse delle imprese e Schacht sapeva che la prosperità della finanza internazionale dipende dall’emissione di prestiti con elevato interesse a nazioni in difficoltà economica. Gli economisti si sono chiesti come sia potuto avvenire il miracolo economico della Germania nazista e alla fine la risposta è stata che il sistema funzionava grazie alla fiducia che il regime riscuoteva presso i suoi cittadini e le sue classi dirigenti, una fiducia ottenuta non solo con la propaganda nazionalista e con il terrore, ma anche attraverso il progressivo miglioramento delle condizioni economiche della popolazione.
Un economista britannico, C.W. Guillebaud, ha spiegato in modo chiaro il meccanismo che consentì di rilanciare l’economia tedesca negli anni Trenta:
Nel Terzo Reich, all’origine, gli ordinativi dello Stato forniscono la domanda di lavoro nel momento in cui la domanda effettiva è quasi paralizzata e il risparmio è inesistente; la Reichsbank fornisce i fondi necessari agli investimenti (con gli effetti MEFO che sono pseudocapitale); l’investimento rimette al lavoro i disoccupati; il lavoro crea redditi e risparmi grazie ai quali aumentano le entrate nelle casse dello Stato e si possono pagare gli interessi sul debito.
La ripresa dell’economia dunque determinò l’aumento delle entrate fiscali e la formazione di patrimoni che permisero di pagare le cambiali alla loro scadenza dopo 5 anni. Negli anni dal 1933 al 1938, le entrate dello Stato crebbero a oltre 10 miliardi di marchi. I mezzi per il pagamento delle MEFO furono largamente disponibili: a partire dal 1939 e per 5 anni vennero pagati annualmente 3 miliardi di marchi.
Hitler raggiunse così il suo scopo primario: il riassorbimento della disoccupazione e la crescita dei salari del popolo tedesco senza alimentare l’inflazione e senza far esplodere il debito pubblico. I risultati furono spettacolari per ampiezza e rapidità: nel gennaio 1933, quando Hitler salì al potere, i disoccupati erano oltre 6 milioni; a gennaio 1934, si erano quasi dimezzati e a giugno erano ormai 2,5 milioni; nel 1936 diminuirono ancora, a 1,6 milioni e all’inizio del 1938 non erano più di 400 mila. Fu questa ripresa economica ad accrescere il consenso di Adolf Hitler e a permettere, purtroppo, alla Germania di lanciare negli anni successivi una politica di riarmo ancora più massiccia che portò allo scoppio della Seconda guerra mondiale.
Schacht decise di chiudere l’esperienza delle cambiali MEFO nel 1938 quando la piena occupazione aveva iniziato a determinare i primi aumenti dei prezzi.Questa decisione fu motivata anche dal fatto che le banche, a causa della crescente richiesta di crediti e della conseguente scarsità di capitali, non furono più in grado di trattenere gli effetti MEFO in portafoglio e si videro costrette a presentarli sempre in maggior numero alla Reichsbank. Ma il Führer si oppose e il 19 gennaio 1939 estromise Schacht dalla carica di presidente della Reichsbank. Dopo la guerra, Schacht fu processato a Norimberga, ma venne assolto dalle accuse di crimini contro l’umanità e cospirazione a danno della pace grazie alla sua seppur tardiva opposizione al regime. Morì nel 1970 a 93 anni.
3. Conclusioni
Considerando l’avversione del governo tedesco a qualsiasi forma di politica fiscale espansiva, il nostro paese deve procedere in modo autonomo per rilanciare la crescita ispirandosi proprio al miracolo economico della Germania negli anni trenta, un’esperienza che è stata completamente rimossa dalla memoria del popolo tedesco.
Siamo convinti che oggi un risultato analogo potrebbe essere conseguito con i Certificati di Credito Fiscale. Ovviamente, l’intervento che proponiamo tiene conto delle grandi differenze con gli anni trenta, prima fra tutte il peso molto più alto della spesa pubblica e della tassazione sul PIL nel periodo attuale (il 50% contro il 20% degli anni trenta). La nostra proposta della moneta fiscale si differenzia da quella di Schacht perché i MEFO bond circolavano solo tra aziende e pubblica amministrazione, mentre i CCF sono assegnati anche ai consumatori e hanno quindi un impatto sulla domanda finale.
Nel nostro progetto, dunque, viene dato ampio spazio alla crescita del potere d’acquisto delle fasce sociali più deboli e alla riduzione delle tasse sulle imprese, anche se non è trascurato il sostegno alla domanda (finanziamento dei lavori pubblici). Un’altra differenza sostanziale sta nel fatto che il valore monetario dei CCF viene garantito dallo Stato, che si impegna ad accettarli per il pagamento delle tasse al valore nominale dell’emissione, mentre nel progetto MEFO era la Banca Centrale del Reich che assicurava il valore monetario delle cambiali permettendo la conversione in marchi con un tasso di interesse fissato al 4% (1). Entrambi i progetti comunque sono basati sull’emissione di titoli a circolazione interna, paralleli alla valuta ufficiale (il marco degli anni trenta e l’euro al giorno d’oggi), e hanno lo stesso obiettivo: riportare l’economia in una situazione di piena occupazione (2).
È fondamentale, dunque, che il maggiore reddito disponibile generato dalle assegnazioni di CCF si tramuti in acquisti di beni e servizi per ottenere la massima espansione dell’economia e quindi del gettito fiscale per compensare le mancate entrate che si avrebbero quando i CCF giungono a scadenza. In questo quadro, si potrebbe immaginare che i CCF si possano convertire in euro solo quando vi è l’intenzione di comprare un bene di consumo o d’investimento. In tal caso, i CCF assumerebbero la funzione di «buoni merce» anche se questa opzione li renderebbe meno liquidi e quindi potrebbe provocare un aumento dello sconto sul mercato finanziario. Per questo si potrebbero studiare dei meccanismi per favorire l’uso diretto dei CCF senza che siano convertiti in euro dal momento che le imprese potranno aumentare le vendite ottenendo dei titoli con cui possono pagare le tasse sul territorio nazionale.
Infine, è cruciale stabilire un forte vantaggio nell’aliquota di assegnazione ai lavoratori con redditi inferiori, per esempio a 15.000/20.000 euro, i quali hanno un’elevata potenzialità di espandere i consumi. Le possibilità operative sono dunque molteplici e vanno considerate con la massima attenzione per valutarne i pro e i contro.
Note
1) Nel progetto dei CCF la conversione in euro avviene sul mercato finanziario (principalmente attraverso le banche private) con uno sconto che può variare, mentre il ruolo della Banca d’Italia è praticamente irrilevante.
2) I CCF, così come furono le cambiali MEFO, sono concepiti per il tempo che serve a riportare l’economia alla piena occupazione. Una volta raggiunto questo obiettivo, il sistema dei CCF può essere chiuso.
Riferimenti bibliografici
Keynes J.M., «Il problema degli squilibri finanziari globali. La politica valutaria del dopoguerra (8 Settembre 1941)», in Keynes J.M., Eutopia, Luca Fantacci et al. (a cura di), 2011, pp. 43-55.
Mahe E., «Macro-economic policy and votes in the thirties: Germany (and The Netherlands) during the Great Depression», Real-World Economics Review Blog, 12 June 2012.
Ruffolo G., Sylos Labini S., Il film della crisi. La mutazione del capitalismo, Einaudi, Torino 2012.
Schacht H.H.G. The Magic of Money, Oldbourne, London 1967}
Copia e incolla
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https://www.staseraintv.com/programmi_stasera_alpha.html#pal
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