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#Re dei Topi
settegiorni · 3 days
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Gli ormoni di Lacan
Il salmone precario
disinteressato al minino scoglio. il salmone precario conduce il pascolo spesso controcorrente. sicché in casa sua la luce s’accende al contrario aspirando il colore dagli oggetti e gettando ombre sinistre. mancine e ambidestre. il salmone durante i diluvi trasversali. salmodia riti reti e peti. così. giusto per non fare qualcosa. si narra. si narra addosso. che ai tempi del terzo concistoro di castori. il salmone smise di essere controcorrente e aprì un conto corrente. oltre tutto il contro corrente non esisteva e non sarebbe mai esistito per ovvi motivi illogici. infatti versare soldi sul latte macchiato non è proprio un gargarismo da nulla. e d’altra parte è simile allo scus-scus tipico piatto camaldolese. che si serve o si prepara quando non si ha nulla in casa e si trovano. mille scuse. per non andare a pranzo o a cena e. però sembra ineducato declinare l’invito. a pranzo o a cena. e allora si inventano mille scuse. da cui. appunto. il piatto scus-scus. e sarebbe vero se esistesse il piatto scus-scus. ma non esiste. per questo è preparato dai migliori chef. ma il salmone precario. ancora non si conosce l’origine del comportamento salmonico. sappiamo solo che nel primo millennio prima della nascita del salmone e dei pesci. moltiplicare i pani e i pesci era molto ambiguo. non sappiamo perché. l’unica cosa sicura è la morte. e quindi. sicuramente. anche se il salmone precario non esiste. è sicuramente morto. abbiamo. infatti. un morto-metraggio. esiguo documento filmico sulla morte del salmone precario. girato dal cugino. il salmone martoriato e dalla sorella del medesimo. la pannocchia striata delle ardenne. Le famose ardenne paraboliche che permisero. agli scalatori dell’everest di seguire i programmi televisivi dal vicino Egitto. nelle ore di punta quando erano in cima. e qui apro una breve parentesi. voglio parlare della parentesi e del suo ruolo nella statocastica dei baluginii. la parentesi. infatti. nacque alla fine di un periodo lungo e incomprensibile. dove lutti e letti si condensavano a furor di popolo. sulle finestre aldobrandine e sulle aldobrandine dormivano a frotte le cicale cilene di belgrado. le parentesi ebbero un ruolo incisivo. a differenza di altri segni che hanno ruoli molari. canini o premolari. fu l’incontro tra la parentesi e il salmone a detestare lo scandalo. ai tempi del re salmone e non il contrario. in quanto che. il contrario fu rinomato per il vino ancestrale di borgogna. ai tempi della seconda involuzione francese e della penultima convulsione industriale. a quel tempo. le parentesi concessero al salmone più di quanto il salmone stesso avrebbe concesso alle parentesi. e di qui. infine. nacque il disinteresse del salmone al minimo scoglio. allo stato attuale degli studi. leonardo da vinci non ha ancora destato il minimo interesse nei salmoni precari.
Le arance del Bangladesh
le arance verdi del bangladesh conciliano i temporali. assieme alle porte e alle finestre. gli aranceti del bangladesh trillano come telefoni arancioni. al tempo delle risacche a crepapelle. il mare si sganasciava di onde elettromagnetiche. v’erano agenti di pompe funebri. che praticavano sesso orale ai morti per impiccagione. c’erano anche i cavilli. cavalli puntigliosi il cui dado non era tratto ma era trotto. al tempo delle arance verdi tutti i nodi venivano al vento. e in tutti i modi e questa associazione. invero. erano in pochi a comprenderla. me compreso incompreso. si parla addirittura di 8000 lingue. e si sapeva già che la lingua batte un po’ dove capita. per strada e nei parchi. e clienti occasionali di facevano ladri di piacere. d’altra parte a quel tempo. il tempo delle arance verdi. le gatte frettolose mettevano ansia e se i topi non c’erano. si andava a cercarli per non far ballare i gatti. che organizzavano feste rumorose fino all’alba. da cui il fenomeno e la successiva fondazione della rabbia saudita. il tempo delle arance verdi fu un bel periodo. gli spremiagrumi non esistevano ancora. i divani ospitavano raramente strisce pedonali. gli automobilisti soccombevano più facilmente al flashback dell’autovelox.
Inconvenienti del canto a cappella
cantare a cappella è rischioso. poiché esiste la possibilità di un organo. molti cantano a cappella nella spermanza di raggiungere i chioschi dell’orgasmo. a pen vedere. non c’è divertimento senza farfugliamento e se poi ci mettiamo l’organo a canne. ecco. il discorso non cambia. insensato era prima insensato resterà. trallallero trallallà. un po’ come l’infradito dei canti gregoriani. ma non c’entra questo. cantare a cappella coinvolge parte delle alpi svizzere. parte delle alpi apuane. parte delle alpi a pois. e parte della alpi relgine. le alpi relgine producono il muco ambrosoli che è proprio il gargarismo più adatto ai canti a cappella. d’altro canto non si può prescindere da alcuna scala. soprattutto se la scala è a chiocciola. vista la sua lentezza. le scale a chiocciola sono di madri con i pioli. e se non avete capito la metafora. vuol dire che non potrete mai capire la doppiafora. d’altronde il doppio è sempre stupefacente. anzi didascalico o se volete. diarreico. e la diarrea non si augura a nessuno. figuriamoci la triarrea e la quadriarrea. il canto a cappella è essenzialmente d’altri tempi. i tempi cambiano e restano sempre gli stessi. il 68 c’era solo nel 68 e il 69 esisteva solo l’anno dopo. e non prima. nel 69 i canti a cappella erano abbastanza proibiti perché cappella io cappella tu. alla fine nessuno cantava per via. appunto. dell’eccessiva spermanza nel futuro orale. anche il futuro è passato. perché fu turo. è un passato terremoto e il presente è un congiuntivo apoplettico. per non parlare del condizionale areato e dell’infinito impresentabile. ecco. tutto questo mallarmé di concetti deriva dalla pulsione del canto a cappella. pulsione dubbiosa. a volte animalesca. dubbiosa perché. beh. pecora. sulle prime si direbbe ah si? no. Una pulsione asinina pecoral statuaria. eppure. spesso. priapo d’iniziare a cantare a cappella. ci si marmorizza bene il fallo. il calcio d’angolo. e si inizia immantinente il giuoco del coglione. dunque ando coglio coglio. e non si capisce perché solo duomo è il canto a cappella. e mai di donna. tanto di cappella. dunque. dunque un canto a cappella non solo non è consigliabile ma. nemmeno scaricabile dalla tasse. da ciò ne consegue che il canto a cappella è solo un canto del cazzo. un canto del cigno. il famoso cigno delle ande.
Il cigno giallo
il cigno delle ande è giallo. verde. ha forma di semaforo grigio. la sua personalità è quella tipica dell’orso yoghi. orso yoghi? no. non yogo. E quando ti affacci alla finestra il cigno ti spiega che quella non è una finestra. ma una iniziostra e lì appunto inizia. incigna la storia del cigno. pure la sua geografia. si stima che il fallo del cigno. infatti. abbia la forma di una clessidra elettrica. e il corpo del cigno sia enorme come un piccolo stato dell’asia. ma il cigno tutto questo non lo sa. e le nostre sono soltanto congetture astrali. congiunture a strali. congiunzioni a strati. congiuntivi astratti. confetture di cloaca. si narra. a questo sproposito. che le confetture di cloaca fossero un palliativo della cloaca di monza. suora sporca e puzzolente che non avendo pallone per giocare e. scarpe per calciare. s’inventò il palliativo della cloaca. rimedio sferico a forma di palla di cacca. un solido di merda. cosa che non riguarda il cigno delle ande. che non ha mai fatto la cacca. di questo mistero non si sa ancora la mistura. non si conosce nulla. fatto sta che il cigno non fa la cacca. se ne ciba ma non la fa. è un altro mistero. la donna di cigno. infatti. è così oscura o chiara. comunque. per gentilezza la si chiama sempre miss tero. si dice che il cigno delle ande è giallo. ma questo è in parte vero in parte pure. in parte falso in parte parte. in parte resta in parte ha ragione il cigno delle ande quando s’inalbera. mettendo su foglie e rami. e muovendosi al vento gelido delle ande. ha proprio ragione nel dire che non c’è motivo di voler scoprire il mistero del cigno giallo delle ande. perché. come si ostina ormai da secoli a ribadire. egli non esiste. non è giallo. non è delle ande. e da cento secoli e due minuti. il cigno quando gli si chiede. ma tu. chi sei veramente? risponde col tono grazioso di un cellulare e dice. fatti i cazzi tuoi.
Le prugne scissioniste
a quel tempo. oggi 7 novembre 2012. accadde la rivoluzione delle prugne secche. che decisero di occupare le piazze perché reclamavano diritti e. manrovesci in quanto che. non sopportavano più la nomea di essere frutti da evacuazione. i diritti dei lavoratori intestinali. infatti. come i diritti dei lavoratori interinali. erano stati lesi e gli stipendi da fame. invece. continuavano a essere illesi. Sempre gli stessi. la gente non mangiava più e dunque. le prugne non potevano più assolvere ai loro diritti. di lavoratrici intestinali. avvenne la rivoluzione. durò poco. finì in un battipanni. in un battito di cinghia ma non delle forze ordinate. infatti. in seno e in intestino a queste lotte di piazza. si collocarono. tra capo e collo del sistema digestivo e politico. s’insinuarono. i diritti delle prugne scissioniste. le quali. al contrario delle prime. reclamavano il diritto di essere considerati frutti da evacuazione e. volevano essere ingerite dai ricchi. questo era il punto. i ricchi. quei pochi rimasti. non mangiavano più per non evacuare. ragion per cui. il consumo di prugne scissionista calò radicalmente. scontri di piazza di una violenza inaudita. e puzzolente. la spuntarono le prugne scissioniste. ovvero le prugne orgogliose di essere considerate frutti da evacuazione. e. infatti. quella fu una rivoluzione di merda. e le prugne antagoniste. che odiavano essere considerate frutti adibiti allo smaltimento della cacca. furono costrette a autoingerirsi e quindi evacuarsi. proprio le prugne pruriginose e. stanche di essere considerate frutti di merda. si trovarono nella loro stessa cacca. in linea con il famoso principio della fisica per cui. nulla si crea e nulla si distrugge. sicché le prugne antagoniste si trovarono nel circuito chiusino di mangiarsi e cacarsi. ad libitum. condizione stagnante che favorì la parte contraria. cioè delle prugne scissioniste. ultraortodosse. che chiedevano. imponevano. di essere consumate in maggior quantità dai ricchi che. per l’appunto. si rifiutavano di mangiare per non cacare. le prugne rivoluzionarie. divennero il frutto preferito dai poveri i quali per. far girare l’economia si misero a mangiare solo. le prugne autodivoranti e come loro. mangiavano per cacare e cacavano per mangiare la loro stessa merda. non che la merda la si mangiasse sempre e unicamente allo stesso modo. intorno al consumo autarchico di merda nacque tutto un sistema di ristoranti. pub. birrerie. pizzerie che riciclavano la merda e anche in televisione spopolavano i piatti di merda. al vapore. cotti. fritti. freddi. persino la cacca dura dei cani. lo scizio e lo scilabo. trovò un suo utilizzo per fare collanine. vestiti. certo sempre vestiti di merda erano alla fine. ma l’industria del riciclo conobbe un notevole escremento. persino i ricchi. invidiosi come sempre della merda altrui. specie della merda dei poveri. iniziarono a cacare e a riciclare la loro stessa merda. meno profumata. e questo con buona pace delle prugne scissioniste. quelle ultraortodosse che finalmente si videro decimate. dagli intestini pigri dei ricchi stitici. tutto ritornò al suo posto. la rivoluzione della merda riportò la serenità e la prosperità. per quanto puzzolente. con lentezza. politica ed evacuazione permisero all’economia di riprendere il suo ciclo digestivo. da quel momento in poi ‘nazione di merda’ significava ‘superpotenza economica’ e. allo stesso modo. ottenere l’epiteto di ‘popolo di merda’ divenne l’aspirazione massima di ogni popolo assennato. l’ambizione spinse tutti a considerarsi uomini e donne di merda. la merda divenne oro e l’oro. di conseguenza. divenne merda. il problema restava l’oro. quando il lingotto da evacuare. attraversare il retto. sfiorire aldilà del buchetto anale. ma l’ingegno umano supera i confini della fantasia. e per ovviare al provante problema dei lingotti impossibili da evacuare. gli uomini e le donne di merda. si sottoposero alla semplice operazione dello sfondamento del culo. ma di questa operazione si parlerà più avanti. se avremo tempo e culo.
La morte della morte
che poi. disse. e morì. la cassa da morto insonorizzata con lo sterco di capro espiatorio. morte avvenuta all’improvviso. proprio mentre era ancora in vita. avesse potuto scegliere. avrebbe aspettato ancora un po’ prima di morire. il giorno prima stava così bene che il giorno dopo morì. i familiari non ne furono molto felici. ma faceva sempre di testa sua. la bara fu infibulata in un terrapieno vuoto sotto il balcone. il giradischi se lo portò con sé. portò con sé anche i vinili. i birrili. i campi di soia. e il corpo. nemmeno il corpo lasciò alla famiglia. che so. almeno un arto. una vena. un pelo di cazzo o il buco del culo. nulla. lasciò solo il niente. e del niente che cosa ce ne facciamo. ora che ci affacciamo al balcone della sua bara. non possiamo esporre che la foto di niente. e così avvenne. il cielo era grigio come un lampadario sporco. le mani non avevano lavate. e il san dalo e la san pantofola. e la sant anche. anche lei. venne accumulata nei cimeli di famiglia. tra i gioielli di famiglia. tra i testicoli. testimoni del cazzo che preannunciarono la venuta della morte. la cassa. intanto. era di legno di frassino con bordure di frattempo. per resistere ai temporali sottoterra. da che morì. i suoi lo mandarono via da casa. e da quel giorno. sconcluso come una cisterna in pieno deserto. tutti lo vissero felice e contento.
Senza indugi
senza indugi. il barattolo scalcagnò via il concetto stesso di contenitore. si scambiò per un altro e fece un baratto. camminò al contrario e confuse la lana caprina per una questione di lana pecorina. la mattina dopo. senza indugi. chiuse il calendario. ovvero sia l’insiemistica delle calende greco-romane e. vidimò un biglietto causando il cortocircuito delle amebe. il barattolo. si sa. è un infischiante monogamo dalle sopracciglia a spazzola e i piccioni redimono. coi loro canti tubistici. i dolori del giovane merder. egli diede inizio alla saga delle serpi. colanti contenute nel barattolo di cui sopra e. di cui a destra e a sinistra. la mattina che avvenne la saga. era sera. e tra una saga e l’altra. si accavallò un pomeriggio robo-dionisiaco. il barattolo. senza indugi. scapicollò le finestre e tradusse le porte in chiese chiuse. dopo i fedelissimi del giovane merder. trassero bigodini dal fondo del tempo. in tutto questo parapiglia in puglia. il giovane merder creò il primo barattolo di pietra secca e. lungi dall’essere solo un contenitore. il barattolo che ne derivò si trastullò. per poco col concetto di. contenitore. tanto da essere senza indugi definito baratto. questo provocò. per la storia ufficiale. la crisi arabo-marziana ai tempi della rivoluzione gaelica nei pressi di albarattolo bello.
Il meteorismo dei gatti
sillabanti e sterili i gatti. spesso. attraversano le strade maestre infischianti delle classi che sono acqua. in modo simile e contrario. i tappertugi sillabici consolano coi loro portolani i cieli assiderati della notte di san lorenzo. proprio nel cemento di questa notte. sfolgorano i cieli le pertugie meteoriche che danno. alito ai meteorismi celesti. antichi navigatori utilizzavo il portolano. ovvero sia un essere marino che si premurava di portare l’ano. con il passare degli ani. questa usanza divenne parvenza e infine rientranza. a tutt’oggi non esistono più navi da guerra. romane nascoste con sotterfugio dentro. la barriera corallina di una qualsivoglia isola cottura. ma torniamo ai gatti. e ai loro attraversamenti stradali. sempre più rari. avari e ilari. quindi è meglio non torniare ai gatti. bensì proseguire con il sidereo annuncio dei meteorismi di san lorenzo. accade in questa notte che. lunghe scie di zolfo e merda solchino il cielo e ognuno. se non è stitico. desidera esserlo e non lo è. si gloria e s’inalbera per la sua consustanziale cretineria cacchesca. i gatti che miagolano alla luna. sono un problema della luna stessa. laddove i prepuzi dell’aurora testicolano contro gli orizzonti del cielo. i gatti che abbaiano. invece. sono un problema del meteorismo celeste. in particolare per i gatti che nascono sotto il segno dei pesci. se li mangiano e non per fame. ma per vantarsi con gli amici. sono questi i gatti ratti. i cui ani generano meteorismi giganti in trasformazioni costanti nel cielo. infatti. proprio san lorenzo. si dice fosse un gatto estetico dalla stitica. protuberanza alciona che proprio la notte di san lorenzo meteora. di stelle il cielo. in realtà non di altro si tratto che. appunto. di flatulenze feline.
Tracontanti soldi
quando finì la crisi io ero morto. decisi di resuscitare perché. dopo la crisi è possibile farlo. senza farsi a dismisura di usura. le banche danno soldi a gogò. a gagà. ai gigolò e ai baccalà. cioè i pesci che hanno conseguito il baccalaureato in gnoseoidrologia dell’ascolto. una specializzazione in nulla. per questo il temporale fu talmente gentile che si poté. a ragione. parlare di buon tuon in quanto che. la cerniera lampo scalpitava nel cielo. seguita da un silenzioso tremore intergalattico. ero morto in un orto in un. battibaleno di battiscopa rullante. povero e belando come una pecora slava. slava come lava. battendo i denti contro i consigli del ministro di soda caustica. gluostrato di neuroletti a vapore. incetriolato di vampiti cuneiformi.
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La dame à la licorne
Gli animali dalle zampe fesse
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Quanti animali vedete che abbiano la zampa fessa cioé lo zoccolo? C’é l’ipnotico (o ipnotizzato?) unicorno e poi quello strano cagnolino col muso appuntito, il quale non é un cagnolino...
Si potrebbe trattare di un Tragulo meglio conosciuto come topocervo (le uniche immagini somiglianti sono queste e non posso pubblicarle dovrete vederle direttamente sul sito:  https://www.alamy.it/tragulus-javanicus-stampa-il-mouse-java-deer-tragulus-javanicus-e-una-specie-di-anche-toed-ungulato-nella-famiglia-tragulidae-quando-si-raggiunge-la-maturita-e-circa-le-dimensioni-di-un-coniglio-il-che-lo-rende-il-piu-piccolo-ungulati-viventi-si-trovano-nelle-foreste-in-java-e-forse-di-bali-sebbene-gli-avvistamenti-non-sono-state-verificate-1700-1880-image328703655.html?imageid=F2985E1A-458B-4301-AD51-E877B46007DB&p=546931&pn=1&searchId=d6866be71c5f8580142d2624ebab8aa1&searchtype=0  )
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Ne esistono diverse specie https://it.wikipedia.org/wiki/Tragulus  come potete leggere anche su Wikipedia, ma la cosa più importante é non solo che si trovano soprattutto in Malesia, quindi nella zona vicina all’Australia (la parte del continente sott’acqua), il continente semi-distrutto nel quale vivono gli animali più strani al mondo, quelli al confine fra due razze, fra due specie opposte, ma anche che potrebbero essere la chiave del mistero per eccellenza (o la bufala per eccellenza?): quella raccontata da Primo Levi in “Ranocchi sulla Luna e altri animali”, al capitolo “Figli del vento” (pag. 100 nell’edizione Einaudi)
Perché figli del vento? Perché i maschi della specie (dei roditori) di cui parla Levi affidano il loro sperma al vento, come fossero piante, e le femmine lo ricevono quindi per via aerea, cioé senza nessun contatto fisico con il maschio verità biologica o leggenda?  Questo dovete dirmelo voi perché i vicini del piano di sopra continuano a infettare l’aria con una sostanza, facendo finta di sbattere tappeti o pulire la scopa sulla ringhiera (cosa già di suo poco simpatica, soprattutto in periodo di pandemia) e l’aria si riempie di una strana sostanza che puzza come di grasso acido o di latte acido Questa stessa puzza l’avevano addosso il fratello e la cognata di mammina Di Filippo (lui morì cieco e paralizzato) ma anche l’automobile di Alfio D’Amico (il dj di Gela sosia dell’arcibishop di Canterbury Rowan Williams) Questa sostanza qualcuno la utilizza e probabilmente l’ha anche creata e si mormora in giro che si tratti di spore che entrano dentro lo pneuma e vi crescono dentro, che insomma si tratta delle spore dalle quali nascono gli esseri invisibili che dominano gli esseri umani facendoli diventare pazzi Questa leggenda deve essere molto antica se era già raccontata negli arazzi della Dama con l’unicorno e l’arazo stesso rappresenta poi in letteratura il contatto telepatico, cioé l’essere umano abitato dall’essere invisibile che può creare pseudo contatti telepatici con altri esseri umani, meglio comprensibili come una comunicazione vera e propria tra “ospiti” alla quale assistiamo da marionette senza alcun potere
Sembra che anche il Re dei Topi di Hoffmann sia un topo cervo e la parola “samen”, cioé sperma, é nascosta nella parola seltsam, cioé strano, che si ripete almeno una quindicina di volte nel testo In fondo si tratta di uno sposalizio, quindi quel che accade serve a conquistare una moglie, una moglie bambola più esattamente Quindi abbiamo il topo con sette teste e lo schiaccianoci che le teste le schiaccia, anche la testa più dura, e queste due cose sembrano essere essenziali per lo sposalizio Ma secondo la leggenda metropolitana che sta correndo per il mondo nella nostra epoca, lo “schiaccianoci” é l’arma elettromagnetica che stanno utilizzando i miei vicini di casa su di me e di tanto in tanto buttano sulla mia finestra aperta una quantità molto abbondante della loro sostanza puzzolente, poiché secondo questa leggenda occorre che la donna sia piena di un particolare campo magnetico perché le spore si appiccichino (ma si appiccicano dove? Mi sembra piuttosto impossibile che arrivino dentro l’utero) Quindi i miei vicini di casa starebbero cercando di fecondarmi per farmi mettere al mondo un Umpalumpa per dirla alla Roal Dahl, un Sammy Basso, per dirla più chiaramente
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Verità biologica o bufala? A me puzza di bufala, ma vorrei che comunque raccoglieste dei campioni di questa sostanza che gli Alessi buttano nell’aria, per sapere di cosa si tratta, così magari se ne fanno una ragione e la smettono di spararmi addosso i loro taser elettromagnetici e di infettarmi l’aria 
Per quanto riguarda lo Schiaccianoci e il Re dei Topi di Hoffmann penso che racconti qualcosa di molto più interessante, ma al momento non so dirvi altro...
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lamilanomagazine · 1 year
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Rovigo, in arrivo al Teatro Sociale il balletto “Lo schiaccianoci”
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Rovigo, in arrivo al Teatro Sociale il balletto “Lo schiaccianoci”.   Nella giornata dell’Epifania, venerdì 6 gennaio alle 16, debutta al Teatro Sociale, la stagione di balletto con il primo spettacolo in cartellone, “Lo Schiaccianoci”. In scena il Russian Classical Ballet, con la direzione artistica di Evgeniya Bespalova. Un classico e magnifico spettacolo, per un pubblico di tutte le età e danzato da una prestigiosa compagnia composta da un cast di stelle del balletto russo. Basato sulla fiaba Lo schiaccianoci e il re dei topi di E.T.A. Hoffmann, racconta la storia di una ragazza che sogna un principe. In una selvaggia battaglia contro il Re dei Topi lo Schiaccianoci è in pericolo. Clara, superando le sue stesse paure, entra in questa battaglia e lancia la sua scarpa, annientando la terribile creatura e rompendo l’incantesimo; lo Schiaccianoci diventa un bellissimo Principe. La fredda notte copre la città di fiocchi di neve. Lo Schiaccianoci porta Clara nel suo regno, il Regno dei Dolci, dove la Fata dello Zucchero condivide la gioia con tutti i bambini che, come lei, possono ancora sognare. Una storia che attiva l’immaginazione in ognuno di noi, portandoci nel regno della fantasia. LA STAGIONE 2022/2023 DEL TEATRO SOCIALE DI ROVIGO è realizzata grazie al contributo e alla collaborazione di Ministero della Cultura, Regione del Veneto, Comune di Rovigo, Fondazione Cariparo, Fondazione Banca del Monte, Fondazione Rovigo Cultura, Banca del Veneto Centrale, Asm set, Arteven, Associazione Musicale Francesco Venezze, Conservatorio Statale di Musica Francesco Venezze. Mediapartner La Piazza. LO SCHIACCIANOCI: musiche di Pyotr Ilyich Tchaikovsky, coreografie di Marius Petipa e Lev Ivanov, libretto di Marius Petipa e Vasili Vainonen (basato sulla fiaba di E.T.A. Hoffmann), scenografie di Russian Classical Ballet, costumi di Evgeniya Bespalova. Info botteghino del Teatro Sociale di Rovigo: Piazza Garibaldi, 14 - Rovigo. Telefono 0425 25614 - e mail [email protected] Orari di apertura: 9.00 - 13.00 / 15.30 - 19.30. Giorni di spettacolo: - mattutini 8.30/13.00 - 15.30/19.30; - matinée 9.00/13.00 - 15.00/19.30; - serali 9.00 - 13.00 / 15.30 - 22.30. Giorno di chiusura: domenica. Aperto nei giorni di spettacolo domenicale con chiusura il lunedì successivo. Sabato 31 dicembre apertura solo al mattino ore 9.00 - 13.00. Info prezzi: www.comune.rovigo.it/teatro, www.myarteven.it  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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🤔 ma perché due versioni praticamente uguali? 👉🏻 #loschiaccianoci La sera della vigilia di Natale, Marie e il fratello Fritz aspettano impazienti di aprire i regali. Quando i genitori gli danno il via libera assaltano i vari pacchi. Ecco poi arrivare anche il loro padrino Drosselmeyer, un uomo ingegnoso quanto bizzarro nell’aspetto. È un genio, non c’è meccanismo che non sappia riparare. Ai bambini regala un sua invenzione: un castello in miniatura pieno di personaggi in movimento, c’è perfino il padrino stesso. Le figurine ballano, passeggiano, si fanno aria con il ventaglio, c’è perfino la musica e la luce nelle stanze. Peccato che ai bambini viene subito a noia, le figurine fanno gli stessi movimenti, meglio un soldatino che muovono a loro piacere. C’è un altro regalo però sotto l’albero: un omino dai bei vestiti, uno schiaccianoci. Fritz riesce a romperlo nel giro di pochi minuti, Marie allora lo prende per sé e lo cura amorevolmente. Quella notte però, mentre Fritz dorme, Marie vede lo schiaccianoci prendere vita e combattere contro il re dei topi. 👍🏻👎🏻 Marie è una bambina dolce e ubbidiente. Fritz è l’opposto della sorella, è abbastanza viziato e ingrato. In certe scene mi ha fatto venire il nervoso. 👍🏻 All’interno della storia c’è un’altra storia, quella dello schiaccianoci e del padrino. 👎🏻 Non capisco perché #alexanderdumas abbia scritto una seconda versione di questo libro praticamente uguale all’originale 😅 cambia giusto qualche parola e aggiunge qualche dettaglio. 👍🏻 Tra le due versioni preferisco quella di Dumas perché più fluida e dettagliata. Se ne poteva fare a meno però di una seconda versione dove cambia così poco 🫣 👍🏻 Una fiaba rocambolesca, una battaglia tra giochi, un regno incantato e un amore così tenero in grado di spezzare le maledizioni. ❓Voi lo avete mai letto o visto a teatro? #loschiaccianocieilredeitopi #antrodilibri #bibliophilelegentibus #amicandito #ilclubdeilettorifelici #storiebookitissime #thebookclubpost https://www.instagram.com/p/CmtCn_cM-Bv/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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corallorosso · 3 years
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“Ho tollerato ogni restrizione in silenzio per il bene delle comunità. Ma la comunità cosa ha fatto per il mio bene? Più passo il tempo in questo Paese e più sono convinta di volermene andare. Avete sulla coscienza me e il mio futuro”. Queste parole sono di Camilla, studentessa di Firenze, pubblicate ieri dal Corriere della Sera. Cara Camilla, se vuoi andare via dall’Italia è difficile darti torto. Ma permettimi un “ma”. Se vai via perché da decenni lo Stato italiano non aiuta i giovani a inserirsi nel mondo del lavoro, a essere indipendenti e avere una famiglia, è comprensibile. Se vai via perché da decenni investiamo meno di tutti in istruzione e ricerca e siamo indietro in digitalizzazione e tecnologia, è comprensibile. Se vai via perché non avrai una pensione e perché aprire una tua attività significa pagare il 60% di tasse e riempire milioni di moduli, è comprensibile. Se vai via perché sulle tue spalle pesa uno dei debiti pubblici più alti del pianeta, è comprensibile. Se vai via per queste e le altre mille piaghe che affliggono l’Italia e che hanno delle responsabilità decennali e politiche precise ok, è comprensibile. Ma se vai via perché un virus voluto da nessuno si è impadronito del mondo e per proteggere te e la tua famiglia lo Stato è costretto a privarti per qualche mese della compagna di banco e dell’aperitivo dopo le 18, perdonami, ma è comprensibile un po’ meno. Quello che oggi a te è chiesto e sarà chiesto per qualche mese ancora è sì un sacrificio enorme e gli errori ci sono stati. Ma non è la guerra in trincea che i milioni di tuoi coetanei dovevano affrontare tra cadaveri, zecche, topi, piscio prima di andare all’assalto e beccarsi una pallottola in bocca. Per il capriccio di qualche re o generale. Né i tuoi sacrifici ti sono chiesti per una generica e astratta “comunità”. La comunità di cui parli è tuo nonno, tua nonna, i tuoi genitori, forse te stessa. Non è necessariamente colpa di qualcuno. Vuoi andare in Spagna, Francia, Belgio, Inghilterra, Repubblica Ceca? Vuoi andare nei mitici USA? In bocca al lupo. Ma se credi di trovare Paesi dove governi migliori hanno azzerato i contagi e dove oggi regna la libertà temo che troverai una brutta sorpresa. Fuori dall’Italia si muore e si è chiusi e sacrificati come e peggio di noi. Giovani e vecchi. E i lockdown, le lezioni da casa e i coprifuoco li troverai ovunque. Perché nessun governo ha capito come fare, con questo virus, a vivere senza condannare qualcuno a morire. Cara Camilla il tuo sfogo è comprensibile. Di errori ce ne sono stati tanti. Ma se credi che esista una formula per evitare al Paese il collasso sanitario senza chiusure o sacrifici, allora dovresti spiegarla al mondo intero. Perché è il mondo intero, per ora, a non sapere dove sbattere la testa. Emilio Mola
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empedoclecielo · 3 years
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"Ladri del nostro sangue, ladroni di passo, briganti senza battesimo, vi siete comprata la giustizia e la religione coi vostri soldacci che puzzano di formaggio! Perché avete trovato quegli altri ladroni pari vostri, quegli affamati con l'aquila sulla testa che si mangeranno fino all'ultimo sasso di questa terra disgraziata, se Domineddio non ci pensa in tempo e non li brucia come topi! Vi siete messi d'accordo e avete combinato la polpetta come avete voluto voi, gentaccia col pelo sul cuore, canteri! Ma non sempre ride la moglie del ladro! Deve venire, perdio, la libertà che vi potremo scaracchiare in faccia! Deve venire il giorno dei galantuomini! E intanto vi dico questo: abbasso il re, abbasso il!...duce"
da il bell'Antonio di Vitaliano Brancati
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napoliglamour · 3 years
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Arturo Schwarz, viene voglia di cominciare il racconto della sua vita con l'incipit di Cent' anni di solitudine di Gabriel García Márquez: «Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendía si sarebbe ricordato...». Cosa pensava lei, in quella primavera del 1949, prima di salire sul patibolo in Egitto?
«Patibolo, esatto. Non mi aspettava un plotone, ma il nodo scorsoio: mi avevano condannato all' impiccagione lasciandomi tutto il tempo per riflettere sugli anni vissuti fino ad allora, 25, pochi ma intensi. Da tempo sapevo in cosa credevo e cosa volevo dalla vita. Come disse lo scultore Constantin Brancusi: "Tutte le mie opere sono databili dall'età di quindici anni". Per me, forse, da prima ancora».
Riavvolgiamo il nastro: com'era finito un italiano, quasi settant' anni fa, in una galera egiziana con la pena capitale pendente sulla testa? E com' è che oggi, a 94 anni, è qui, di fronte a noi, nella sua casa di Milano, zeppa di capolavori e libri, con una moglie giovane e bella, Linda, a raccontarcelo?
«Sono nato ad Alessandria d'Egitto da padre tedesco di Düsseldorf e da madre milanese, Margherita Vitta, figlia di un colonnello dell' esercito italiano. Entrambi ebrei. Si conobbero lì e si sposarono. Avevo la doppia cittadinanza ma nel 1933, con l'ascesa di Hitler al potere, rinunciammo a quella tedesca e mio padre, separatosi da mia madre e trasferitosi al Cairo, mi vietò di rivolgermi a lui nella sua lingua madre.
Non feci fatica: mi sentivo italiano, studiavo in scuole prima inglesi e poi francesi, e avevo una naturale repulsione per la Germania. Mio padre era influente in Egitto: aveva inventato la formula per disidratare le uova e le cipolle, dando un grande impulso alle esportazioni di un Paese esclusivamente agricolo.
Nel '38, a 14 anni, ero già trotskista. Con un paio di amici copti e uno musulmano, io, ateo, fondai la sezione egiziana della Quarta internazionale, voluta da Lev Trotskij da poco riparato in Messico. Aspetti, le mostro una reliquia che ha segnato tutta la mia lunga esistenza...».
(Si alza, stacca dalla parete un quadretto e me lo mostra) Ma questo è il biglietto da visita di Trotskij. Lo ha incontrato?
«Me lo fece avere dal poeta Benjamin Péret. Doveva essere il lasciapassare per il mio viaggio in Messico. Due mesi prima della partenza, però, i sicari di Stalin lo assassinarono e io decisi di dedicare la mia esistenza ad affermare le sue idee. Nel frattempo era scoppiata la Seconda guerra mondiale ed entrai, come volontario, nella Croce Rossa. Ero ad El Alamein a caricare i feriti sulle ambulanze, italiani o inglesi che fossero, e mi presi qualche scheggia nel polpaccio.
Di notte scrivevo poesie, come ho fatto per tutta la vita. Mandai le prime ad André Breton. Avevo letto il Manifesto del surrealismo ed avevo chiesto all' ambasciata di Francia al Cairo chi fosse questo Breton. Dissero che faceva lo speaker di Radio France Libre a New York. La risposta mi giunse sei mesi dopo, sfidando l'Atlantico infestato dagli U-Boot nazisti. Cominciò allora a trattarmi come fosse un padre. Mi incoraggiava, mi coccolava quasi. Finita la guerra mi iscrissi a medicina ma non dimenticai Trotskij».
Fu per causa sua che venne arrestato?
«Sì, aprii una libreria e cominciai a pubblicare i suoi libri in Egitto. All'alba di una mattina del gennaio 1947, la polizia irruppe in casa mia. Ero accusato di sovversione. Regnava Re Farouk. Da giovane sembrava potesse diventare un governante illuminato ma si rivelò un despota crudele.
Aveva abbandonato persino le buone maniere, a tavola mangiava come un animale, per dimostrare che a lui tutto era concesso. Mi trascinarono nella prigione di Hadra e mi rinchiusero nei sotterranei, in una cella piccola, senz' aria, solo con topi e scarafaggi. Dopo qualche settimana cominciarono le torture, mi strapparono le unghie dei piedi, causandomi la cancrena e la perdita di un dito, ma non parlai. Non era comunque necessario, perché l' amico musulmano spifferò tutto, raccontò della cellula trotskista, della nostra visione del mondo, dei contatti internazionali.
Mi trasferirono al campo di internamento di Abukir, dove venni a sapere della condanna a morte. Non la eseguirono subito perché servivo loro come ostaggio. Era scoppiata la guerra arabo-israeliana, e io ero ebreo. Dopo due anni di prigionia, l' impiccagione venne fissata per il 15 maggio, ma poche settimane prima Egitto e Israele firmarono l'armistizio. Negli accordi era prevista la liberazione dei prigionieri ebrei detenuti in Egitto.
Una mattina mi rasarono, lasciandomi credere che di lì a poco sarei salito sul patibolo. Invece mi accompagnarono al porto e mi imbarcarono su una nave diretta a Genova con il foglio di via e stampato, su tutte le pagine del passaporto, "Pericoloso sovversivo - espulso dall' Egitto". Così com' ero, senza poter rivedere i miei genitori, né procurarmi un ricambio d' abito».
Come le apparve l'Italia, quando sbarcò a Genova?
«Il paradiso terrestre. Raggiunsi Milano e trovai lavoro da un ebreo, Marcus, che aveva un ufficio d' import-export dietro al Duomo. Allora nessuno conosceva bene l'inglese e il francese. Appena possibile, una notte presi il treno per Parigi. Alle sei del mattino salii su un taxi, lasciai la valigia in un albergo di quart' ordine, e bussai alla porta di 42 rue Fontaine, a Montmartre. Aprì Breton, lo vedevo per la prima volta, ma mi abbracciò come fossi un vecchio amico.
L'appartamento era piccolo, il letto in un angolo e ogni spazio occupato da oggetti e opere d' arte. Sul muro, in fondo, occhieggiava una raccolta di bambole Hopi. Nello studio, straordinarie sculture africane e, sotto la finestra, La boule suspendue di Alberto Giacometti. Alle pareti, Giorgio De Chirico, Marcel Duchamp, Yves Tanguy, Max Ernst, Man Ray, Dalí... Salvador Dalí non mi è mai piaciuto, non era dei nostri, era Dalí e basta. Come, da trotskista, non ho mai accettato l' approccio commerciale di Pablo Picasso».
Quando decise di tornare a fare il libraio, l'editore e poi il gallerista?
«Un fratello di mia mamma, direttore di una filiale della Comit, mi fece avere un piccolo fido. Pubblicavo libri difficilmente commerciabili, giovani poeti e saggistica: Breton, Einstein e, soprattutto, Trotskij. Mandai in stampa La Rivoluzione tradita con una fascetta gialla: "Stalin passerà alla storia come il boia della classe operaia". Sa cosa accadde? Me lo confidò, tempo dopo, Raffaele Mattioli, amministratore della Comit e uomo di grande cultura.
Lo chiamò personalmente Palmiro Togliatti, chiedendogli di togliere il fido "alla iena trotsko-fascista di Schwarz". Così finì la mia prima esperienza di editore: per rientrare dovetti vendere tutto il magazzino a meno del 10% del prezzo di copertina e anche la libreria rischiò di chiudere. Per sopravvivere, cominciai a organizzare mostre di incisioni, acqueforti e libri illustrati dagli artisti.
Mi aiutarono molto Carlo Bo, Raffaele Carrieri, Elio Vittorini, Salvatore Quasimodo e molti altri amici. Non potendomi permettere l' arte contemporanea che andava per la maggiore (e nemmeno m' interessava), decisi di sfidare la legge capitalistica della domanda e dell' offerta: recuperai il Dadaismo e il Surrealismo che nessuno voleva. Feci uscire dalle soffitte le opere di Marcel Duchamp, che da tempo si era ritirato e non era più interessato ad esprimersi artisticamente. Con lui il rapporto fu meraviglioso: presi lezioni di scacchi dal maestro Guido Capello per un anno intero per poter giocare contro di lui. Rimase imbattibile, ma qualche soddisfazione riuscii a togliermela».
Poi, una mattina del 1974, senza avvisare nessuno, chiuse la sua galleria, ormai divenuta mitica, per dedicarsi agli studi di arte, di alchimia, di kabbalah. Cominciò a collocare (spesso donandole), in giro per il mondo, le sue collezioni. Sentiva il bisogno di prendere le distanze dal passato?
«No. E poi non le chiami collezioni, è una parola che non mi piace. Sentivo il bisogno di trasmettere un patrimonio senza smembrarlo. Resto trotskista e surrealista, ho venduto opere d' arte, ma ne ho anche donate moltissime, chiedendo in cambio che fossero trattate in maniera scientifica: catalogate, documentate, fatte sopravvivere, insomma. Del denaro non ho mai fatto una necessità, ho sempre cercato di sfuggire alla logica del suo dominio. Tutto questo ha a che fare anche con gli studi alchemici e cabalistici. Mica andavo cercando l' oro materiale, cercavo quello spirituale».
L' Italia, come ha detto lei, è stata il suo «paradiso terrestre», però molte delle sue opere sono finite in musei all' estero. Come mai?
«Un migliaio sono in quattro grandi musei internazionali, però un consistente nucleo di opere surrealiste e dada sono alla Galleria d' Arte Moderna di Roma. Non ha idea di quanto sia stato difficile. La burocrazia italiana è un nemico spietato: devi giustificarti per il tuo atto di liberalità, vissuto quasi con sospetto, mentre lo Stato non fornisce garanzie di corretta gestione. Mi sono anche visto rifiutare la donazione dei testi dada e surrealisti. Qualcuno pare li abbia definiti "robaccia pornografica". Li ho così regalati a Israele»
Per cosa combatte ora il trotskista Arturo Schwarz?
«Per l' amore di Linda. Così come ho amato la mia prima moglie, Vera, strappatami vent' anni fa da un tumore. E per un soffio d' aria fresca e pulita, un bisogno lasciatomi da quei mesi passati nei sotterranei di una prigione egiziana»
[Pier Luigi Vercesi]
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fenitelaminaperdue · 5 years
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Yup
Settembre. Qualcuno dall’altro lato dello schermo a qualche centinaio di chilometri dalla mia scrivania, mi ha appena scritto “Yup”. “Yup?’’”  La noia ha anche lei assunto il suo ” status  internazionale” ed un “si” dal colorito grigio risplende così di nuovi arcobaleni glitterati “Yup”, in fondo anche lei vuole una bella confezione sfavillante al sapore di niente, i suoi 15 secondi di gloria, siamo in un’epoca veloce, i 15 minuti di Warhol oggi sarebbero già troppi. “Yup” Noia che chiama sottovoce altra noia, per non disturbare la noia altrui. Mi accorgo che oramai non scopo dal 5 giugno, non bacio qualcuno dal 5 giugno, non accarezzo la fronte di qualcuno  mentre siamo nudi a letto sfatti ed ancora affamati dal 5 giugno , non mangio una piadina chimica dal 5 giugno, non giro di notte solo per il gusto di farlo dal 5 giugno. La noia mi ha preso, ma non dal 5 giugno. La noia è come la colla per i topi. Inizialmente, quando ci resti attaccato, inizi a dimenarti lanciandoti in 1000 cose che poi non concluderai mai, mentre in realtà l’unica possibilità che hai di venirne fuori  è quella di restare fermo e sperare che nessuno passi di li a darti il colpo finale, in attesa che cessi quanto prima la sua efficacia.  Io sono il re dei topi da colla, ci sono rimasto imbrigliato spesso, ed ho imparato che ce ne sono tanti tipi diversi. Quella bianca quasi liquida utilizzata dai principianti che non unirebbe neanche due fogli di carta di grana sottile, che ti imbratta e ti sporca ma che tiri via con un po’ di acqua lasciandoti addosso un po' di olezzo, ma tanto tu sei un topo e non hai ascelle da improfumarti. Poi c’e’ la colla “sbagliata” quella che serve per la plastica o i metalli che riesce invece a strapparti via, con un po’ di dolore,qualche pelo qua e là, niente di troppo grave ma alquanto spiacevole. Ed infine c’e’ la famigerata colla topicida quella che se spalmata con cura e dovizia sulla giusta superficie non lascia scampo alcuno. Adesso mi ritrovo  così, incollato al divano, alla tavola, alla sedia, al letto, ad uno strano tempo di vita che sembra infinito come il tormentone estivo che si ripropone allo scoccare di ogni 1 maggio pronto per il “concertone” in eurovisione, “ti mando un vocale di 10 minuti soltanto per dirti..Yup”. Inutilmente e scioccamente ho provato a dimenarmi, a sbattermi, a rialzarmi, ma ho rimediato solo epidermide a brandelli, contusioni varie ed eventuali, botte in testa, risa di scherno, sguardi di sospettosi, scazzi ed odi sparsi. Sono io la mia colla, quella più forte di tutte, quella che mi impedisce sempre di andare oltre, che mi tiene invischiato e non mi fa guardare con la leggerezza necessaria neanche una scopata. Perché non é scopare in realtà che mi manca ma tutto quello che lo circonda. Scopare é l'atto conclusivo di un incontro, di uno scontro, di una guerra di parole, di sguardi, di promesse non mantenute e menzogne, di frasi lascive, di lingue e bocche che si incontrano per eccesso di voglia reciproca nella stanza di una città scelta a caso. É una danza sinuosa di passi avanti e passi indietro, di forse, di sì ho voglia, però, vedremo, ma si dai, mi manchi, adesso non ho tempo, stronzo, stronza. Scopare è una dichiarazione di guerra biunivoca e non unilaterale, con cui ci si sfida a singolar tenzone, si scavano trincee, si indossa l’elmetto , si stende il filo spinato e ci si azzuffa, ci si sporca, ci si ferisce, ci si imbratta, non faremo prigionieri mio caro nemico, perchè siamo già prigionieri tutti i giorni nelle  nostre divise perfettamente stirate ed inamidate al profumo di autocontrollo, mentre questa guerra è libertà, questa guerra è sudiciume, vestiti da strappare, tagli sulla pelle, sangue da tamponare, è  la voglia di possedersi per un tempo che va dall’apertura di una porta di una stanza alla sua riapertura dopo il tempo necessario ad essersi colpiti ed affondati. Scopare  ha come unico atto di pace quello che si scrive mentre ci si guarda negli occhi incastrati l'uno nell'altro, dopo l’ultima battaglia combattuta corpo a corpo, dove io e te caro nemico alzeremo bandiera bianca per poi pugnalarci alle spalle alla prima occasione dopo esserci abbracciati,baciati 3 volte sulle guance, regalatici promesse scritte con lo stencil sulla schiuma del cappuccino che spariranno al primo sorso, giurin giuretta, mignolino, parola di lupetto, 
“Stai diventando qualcosa che non sei”..”Si”
“You're turning into something you are not”..”Yup”..High & Dry - Radiohead.
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abr · 4 years
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Ho appreso con una certa apprensione la notizia della solenne convocazione degli Stati generali da parte del primo ministro Conte. I ricordi liceali mi hanno riportato alla memoria gli Stati generali convocati da Luigi XVI nel maggio 1789 per riunire tutte quelle che oggi chiameremmo "parti sociali" ed avere da loro indicazioni su come metter fine alla grave crisi economica e sociale della Francia ed evitare il dissesto delle finanze pubbliche. Suona familiare? Come andò a finire lo sappiamo: la crisi è degenerata in una sanguinosa rivoluzione; tre anni dopo il Re è stato destituito e poi ghigliottinato. E mi sono domandato se Conte (o il suo spin doctor) ignori la storia (beh è uno che ha pure intitolato il suo piano "Rinascita", come quello di Gelli, ndr), se abbia voluto fare un gesto volutamente scaramantico, o se si creda oramai un sovrano capace di riuscire dove Luigi XVI fallì. Quale che sia la risposta, auguri. Non a Conte; agli italiani. (...) il rischio (è) che gli italiani si sveglino in preda a un incubo quando anche il Conte Luigi e la sua Corte si renderanno conto che il fiume di soldi che sta arrivando non è manna dal cielo ma un mucchio di debito di cui, prima o poi, dovremo rendere conto.  (...) Leggendo poi che gli Stati generali dovrebbero proporre, o indicare, o condividere (non sono sicuro di averlo capito) come spendere il fiume di soldi mi è venuto un dubbio. Gli obiettivi della spesa - sburocratizzare la pubblica amministrazione; ricerca e innovazione; educazione; sanità; ambiente; tempi brevi della giustizia; tempi e costi certi per gli investimenti pubblici; trasporti efficienti; norme intellegibili; digitalizzazione; abolizione degli sprechi nel pubblico - sono talmente ovvi e condivisi che forse Stati generali, task force, comitati e spending review varie, non servono che a "fare ammuina": massima confusione possibile per mostrare un'operosità che in realtà non esiste.(...)  Se le carriere nella ricerca e nelle università non sono basate sul merito, se i servizi legislativi dei ministeri scrivono norme comprensibili solo ai mandarini e non si preoccupano della loro attuazione, se gli enti pubblici non sono capaci di fare appalti e progetti, se si può fare una causa senza fondati motivi e non c'è certezza del diritto nei vari gradi di giustizia, se i vertici delle strutture sanitarie dipendono dalla vicinanza a chi governa la Regione, se abbiamo un sistema fiscale e di welfare che ci obbliga a ricorrere a Caf, patronati o commercialisti per capirci qualcosa, non è perché non abbiamo abbastanza soldi, ma perché non abbiamo mai avuto abbastanza organizzazione, responsabilità e meritocrazia. Temo quindi che fra tre anni saremo ancora qui a invocare le "riforme". Ma con tanti debiti in più.
REPUBBLICA, non Libero o La Verità, SCARICA CONTE !  Bravi, finalmente si smarcano dal FattoinQ.  via https://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/molinari-passa-maniere-forti-39-39-repubblica-39-39-tira-238650.htm
Dissociazione senza pentimento,  in the name of PD ovviamente; ma si sa, i topi sono i primi a scappare quando la nave fa acqua; noi prendiamo atto del segnale. 
Perciò fuori le confezioni famiglia di popcorn: loro contano sul rimpastone, noi tifiamo per la classica SCOSSA AUTOINCULANTE PIDDINA che ci porti al voto, i sondaggi sono con loro : D 
(di Gonde non glie ne può fregare di meno, il vero bersaglio dei piddini è Renzi: raddoppiamo la dose di popcorn, comunque ci sarà da divertirsi). 
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sciogli-lingua · 4 years
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Fabrizio De André || Sally || Italian lyrics + English translation
Mia madre mi disse: "Non devi giocare My mother told me: "You mustn't play Con gli zingari nel bosco" With the gypsies in the woods" Mia madre mi disse: "Non devi giocare My mother told me: "You mustn't play Con gli zingari nel bosco" With the gypsies in the woods"
Ma il bosco era scuro, l'erba già verde But the woods were dark, the grass already green Lì venne Sally con un tamburello There came Sally with her tambourine Ma il bosco era scuro, l'erba già alta But the woods were dark, the grass grew tall Dite a mia madre che non tornerò Tell my mother I won't be back
Andai verso il mare senza barche per traversare I went to the sea without ships to sail with Spesi cento lire per un pesciolino d'oro I spent a hundred liras on a golden little fish Andai verso il mare senza barche per traversare I went to the sea without ships to sail with Spesi cento lire per un pesciolino cieco I spent a hundred liras on a blind little fish
Gli montai sulla groppa e sparii in un baleno I jumped on its back, I was gone in a flash Andate a dire a Sally che non tornerò Go tell Sally I won't be back Gli montai sulla groppa e sparii in un momento I jumped on its back, I was gone in an instant Dite a mia madre che non tornerò Tell my mother I won't be back
Vicino alla città trovai Pilar del mare Near the city, I met Pilar of the sea Con due gocce d'eroina si addormentava il cuore She'd send her heart to sleep with two drops of heroin Vicino alle roulottes trovai Pilar dei meli Near the trailers, I met Pilar of the apple trees Bocca sporca di mirtilli, un coltello in mezzo ai seni Blueberries all over her mouth, a knife between her breasts
Mi svegliai sulla quercia, l'assassino era fuggito I woke up on the oak tree, the murderer had fled Dite al pesciolino che non tornerò Tell the little fish I won't be back Mi guardai nello stagno, l'assassino s'era già lavato I looked at myself in the pond, the murderer had already washed Dite a mia madre che non tornerò Tell my mother I won't be back
Seduto sotto un ponte si annusava il re dei topi Sitting under a bridge, the Mouse King was sniffing himself Sulla strada le sue bambole bruciavano copertoni On the streets his dolls were setting tires on fire Sdraiato sotto il ponte si adorava il re dei topi Lying under the bridge, the Mouse King adored himself Sulla strada le sue bambole adescavano i signori On the streets his dolls solicited the gentlemen
Mi parlò sulla bocca, mi donò un braccialetto He spoke on my mouth, gave me a bracelet Dite alla quercia che non tornerò Tell the oak tree I won't be back Mi baciò sulla bocca, mi propose il suo letto He kissed me on the lips, offered me his bed Dite a mia madre che non tornerò Tell my mother I won't be back
Mia madre mi disse: "Non devi giocare My mother told me: "You mustn't play Con gli zingari nel bosco" With the gypsies in the woods" Ma il bosco era scuro, l'erba già verde But the woods were dark, the grass already green Lì venne Sally con un tamburello There came Sally with her tambourine
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kommunalka-blog · 4 years
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“PRAGA MAGICA”. ANGELO MARIA RIPELLINO. “La città tutta si giace in tenebre e orrori. I glutinosi imbratti di creta ricorrono spesso a camuffamenti, mutandosi in microfoni occulti, in bisce, in furetti, in orecchi ciclopici, in fastellacci di incartamenti, in insetti kafkoidi. Asseriscono che è loro proposito ristorarci coi vezzi e coi proteggimenti, i dispensieri di aiuto fraterno, - ma in realtà sono pronti a straziarci con le unghie, a scatenare su di noi enormi rospi di latta, che hanno cingoli invece di zampe.
(...)
Qualunque parola tu dica, un bisbiglio, un ricordo, una tenerezza, essi registrano tutto su piccoli rulli invisibili: ogni tua frase servirà loro a montare contro di te immonde macchine di calunnie e di perdizione. E perciò nelle case regna il silenzio, e si sente solo il raspare dei topi che hanno fiutato il galestro.
(...)
Eppure deve esserci una redenzione. Nulla si tiene quaggiú che non sdruccioli e cada. Ma quando?
(...)
La città vltavina è oggi immersa di nuovo nell’oblivione del sonno, sotto un torbido cielo non salutevole alla vita. E per le sue fogne, per le sue intercapedini, per le sue cripte strisciano occulti Mydlári. Città-Kiebitz, che può solo guardare passivamente il giuoco a carte degli altri sulla sua carne. Immenso emporio di corde e di canapi. Città dove, in ogni taverna, l’ombra sugnosa di un delatore, di un Bretschneider, tende l’udito al chiacchierio degli ubriachi, dei disperati. Città-strega con maschera disciplinare dalle orecchie asinesche e col giogo sul collo. Città in cui basta un bagliore di pensiero ribelle negli occhi, per essere scaraventati in sozze e spaventevoli carceri, in immonde catorbie, con pane ed acqua di tribolazione.
(...)
È curioso, sorella città, quanto più vogliono russificarti, tanto più odori di muffa absburgica. 
(...)
La foltissima schiera di amici morti di crepacuore in questi anni mi dà però la certezza che Praga esista davvero. Ora che nuovamente vi regnano la dottrinaria arroganza e il poliziesco sopruso e la tautologica noia, non potrò più tornarvi.
(...)
Ora che vi si acquattano i soldati di Mosca, la grande prostituta con cui tutti i re della terra hanno fatto fornicazione (Apocalisse 17, 1-2), ora che alcuni zelanti lacchè vi si danno alle crapule mentre Cristo digiuna, non vi potrò più tornare. Ora che Praga è di nuovo, come gridò Marina Cvetàeva, più squallida di una Pompei, mi terranno lontano.
(...) 
Ma oggi nemmeno un bisbiglio: troppi microfoni, troppe orecchie puntate.
(...)
Di nuovo piccoli giudici fatui, ambiziosi, corrotti imbastiscono, appigliandosi a cavilli ideologici, processi contro chi ardisca pensare. 
(...)
Chi è di scena oggi? Soltanto aguzzini, pagliacci maligni, robot dello sfacelo, farisei, negromanti, coadiutori del tribunale di Satana.
(...)
Ma tutto questo è delirio, nebbia di un’inventiva malata, robaccia da untori. 
(...)
Non avrà fine la fascinazione, la vita di Praga. Svaniranno in un baratro i persecutori, i monatti.
(...)
Fatti forza, resisti. Non ci resta altro che percorrere insieme il lunghissimo, chapliniano cammino della speranza”. Angelo Maria Ripellino, Praga magica, 1973 
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jaysreviews · 4 years
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Nell'ultimo periodo, per motivi organizzativi, mi trovo spesso a giocare su smartphone. Poiché la funzione "phone" ha la precedenza sullo "smart", ci tengo alla batteria perciò i giochi devono sempre essere molto semplici e leggeri. La mia bella mi ha fatto conoscere un gioco di questo genere: Hustle Castle. Un gioco che è molto molto simile a Fallout Shelter, di cui vi ho parlato tempo fa, con una differenza: una storia.
Voi vestite i panni del re di un castello in procinto di sposare la bella ma capricciosa Principessa Olivia, la quale viene rapita dal Signore dell'abisso. Perciò si parte per una missione di salvataggio mentre, nel frattempo, si lavora per rendere più grande il proprio regno. Il tutto presentato con uno stile che sembra uscito da una puntata dei Griffin o di American Dad.
Come meccaniche il gioco riprende molto del titolo Bethesda con la gestione del castello, della produzione di beni e della popolazione interna uguali a Fallout ma adattati in chiave fantasy e concedendo un pizzico di libertà in più al giocatore che può lasciare stanze vuote, non è costretto ad armare tutti. Inoltre viene modificato il focus del gioco che passa dalla sopravvivenza ed autosufficienza del proprio vault post-apocalittico all'avventura ed espansione di un maniero medievale. Difatti la ricerca della principessa porta alla liberazione e conquista dei vari territori tramite battaglie con i luogotenenti del Signore dell'Abisso tramite battaglie automatiche (il giocatore non deve fare nulla in quel momento) che richiedono comunque un minimo di strategia a monte, dovendo amministrare il proprio gruppo di eroi nelle tre categorie standard dei fantasy: guerriero, mago ed arcere. Tutte potenziabili, tutte con i propri equipaggiamenti che possono essere trovate negli scrigni vinti in battaglia oppure approfittando delle possibilità di acquisto in game, sia con la valuta di gioco che con soldi reali.
Il gioco offre tante altre occasioni di svago come tornei, eventi stagionali ed un piccolo mondo dedicato all'online "diretto" per unirsi ad un clan ed affrontare nuove sfide oppure "indiretto" combattendo contro altri giocatori che si trovano nelle terre precedentemente liberate.
Il gioco ha una spiccata vena comica che traspare nei dialoghi ma anche in un menu secondario, gestito come un social, dove i protagonisti scrivono post e si commentano tra di loro con frecciatine e battute. Per rendere le cose ancora più buffe, gli abitanti del castello si esprimono con esultanza che vanno dal salto di gioia al "dabbare" oltre che grattarsi il sedere o far puzzette nei momenti di noia. Sono divertenti persino gli imprevisti: quelli che Fallout presentava come incendi, attacchi di predoni, rattotalpe e scarafaggi radioattivi da eliminare con il piombo, qui sono rappresentati da topi giganti da cacciare sventolandogli in faccia un gatto, fantasmi respinti mostrandogli il logo dei Ghostbusters o demoni di fuoco cacciati con l'estintore.
Insomma, Hustle Castle è un Fallout Shelter più leggero e casual che presenta comunque un buon livello di sfida e di divertimento.
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francesca-fra-70 · 5 years
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L'attuale governo Conte bis mi ricorda la Batracomiomachia di Leopardi,La guerra tra topi e rane. ⤵️
Il re delle rane Gonfiagote (PD-STELLE5 ) persuade il timoroso Rubabriciole , figlio del re dei topi Rodipane,(POPOLO PD-STELLE5) a montare sulle sue spalle per visitare il lago, assicurandolo che non correrà pericoli. Tuttavia, appare all'improvviso un serpente d'acqua (RISORSE CLANDESTINE ) e Gonfiagote, per sfuggirgli, si immerge, facendo così annegare Rubabriciole. La guerra scoppia immediatamente, e proprio quando la vittoria sembra ormai dei topi, Zeus scaglia il suo fulmine, e allo stesso tempo i granchi (UNIONE-EUROPA) , giunti sul campo di battaglia, annientano alcuni topi facendoli a pezzi, mentre altri fuggono in preda al panico. 😏
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la capitale (pt.2)
Il tumulto si spense immediatamente e tutti cercarono di aiutarsi l’un l’altro. Poi i garbugli furono sgarbugliati, il Gran Mogol, sporchissimo, si ripulì e la testa del Brahmano venne rimessa a posto. E quindi riprese l’allegro clamore.
“Mio buon signor Drosselmeier, cos’è questa storia del pasticciere?”, domandò Marie.
“Mia cara signorina Stahlbaum”, rispose lo Schiaccianoci, “Pasticciere è il nome che diamo a un potere sconosciuto ma terrificante che secondo noi può fare qualsiasi cosa a un essere umano. È la minaccia che pende su questa nazione piccola e allegra. E questa piccola nazione ne ha talmente tanta paura che basta pronunciarne il nome per placare i tumulti peggiori, come ha appena dimostrato il sindaco. Allora ognuno smette di pensare alle cose materiali, come spintoni nei fianchi e botte in testa. Invece si ritrae in se stesso e dice: ‘Che cos’è l’uomo? E cosa può esserne di lui?’”
Marie non poté trattenere un’esclamazione di ammirazione, anzi, di estremo stupore. Improvvisamente si ritrovò davanti a un castello rosa tutto luccicante con aeree torrette rosa. Ma qua e là sulle mura erano sparsi odorosi bouquet di violette, narcisi, tulipani e garofani. E i loro colori scuri, intensi erano semplicemente abbacinanti quando facevano risaltare la tinta rosea contro lo sfondo bianco. L’ampia cupola della costruzione centrale e i tetti a piramide delle torrette, erano cosparsi da migliaia di scintillanti stelle d’oro e d’argento. “Siamo davanti al Castello di Marzapane”, disse lo Schiaccianoci.
Marie era totalmente assorta dalla visone di quel palazzo incantevole, ma non le sfuggì che mancava del tutto il tetto di una delle grosse torri. Alcuni omini, appollaiati su un’impalcatura fatta di bastoncini di cannella, sembravano intenti a restaurare il tetto. Prima che lei riuscisse a chiedere qualcosa allo Schiaccianoci, lui disse:
“Non molto tempo fa questo bel castello venne minacciato di distruzione, se non addirittura di totale devastazione. Arrivò il Gigante Dentidolci e morsicò quel tetto, e stava già per mangiare la cupola. Però gli abitanti di Feliciburgo gli portarono un intero distretto cittadino, più una notevole porzione del Bosco di Marmellate, come tributo. Lui li mangiò e andò via.”
Nello stesso istante si sentì una musica dolcissima e piacevole, i cancelli del castello si aprirono e uscirono dodici paggi che portavano tra le manine dodici steli di trifoglio come lanterne. I paggi avevano una perla come testa, il corpo fatto di rubini e smeraldi e camminavano su piedini bellissimi fatti di oro lavorato. Erano seguiti da quattro dame grandi quasi quanto la Clara di Marie, ma così elegantemente lustre e splendide che Marie non poté non riconoscerle all’istante come principesse nate. Una di questa abbracciò teneramente lo Schiaccianoci ed esclamò, con gioia malinconica:
“Oh, mio principe! Mio caro principe! Fratello mio!”
Lo Schiaccianoci ne fu profondamente commosso. Si asciugò le copiose lacrime dagli occhi, prese la mano di Marie e disse con magniloquenza:
“Questa è la signorina Stahlbaum, la figlia di uno stimatissimo ufficiale medico, colei che mi ha salvato la vita. Se lei non avesse lanciato la scarpa al momento giusto, se non mi avesse portato la spada di un colonnello in pensione, io a quest’ora sarei nella tomba, divorato da quel maledetto Re dei Topi. Oh, la signorina Stahlbaum! È forse da meno di Pirlipat in bellezza, gentilezza e virtù, anche se lei è una principessa nata? Io dico di no!”
E tutte le dame gridarono “No!”, corsero ad abbracciare Marie e dissero: “Oh, salvatrice del nostro principesco fratello, meravigliosa signorina Stahlbaum!”
Poi le dame scortarono Marie e lo Schiaccianoci all’interno del castello, un ambiente vasto le cui mura erano fatte di cristalli scintillanti. Ma le cose che a Marie piacquero di più furono le graziose seggioline, i tavoli, le credenze e i secrétaire sparsi dappertutto. Erano fatti di legno di cedro e verzino ed erano tutti cosparsi di fiori dorati. Le principesse invitarono Marie e lo Schiaccianoci a sedersi e poi loro avrebbero preparato da mangiare. Tirarono fuori un sacco di pentolini e scodelle fatti di finissima porcellana giapponese; e poi coltelli, cucchiai, forchette, griglie, casseruole e altri attrezzi da cucina tutti fatti d’oro e d’argento. Poi portarono deliziosi frutti e dolci, come Marie non li aveva mai visti, e delicatamente spremettero i frutti con le loro manine bianche, pestarono le spezie e grattugiarono le mandorle zuccherate. In breve, sapevano cavarsela in cucina. Ed era chiaro che le principesse stavano preparando un pranzo delizioso.
Mentre comprendeva chiaramente che sapevano bene quel che facevano, Marie in segreto desiderava partecipare attivamente al lavoro delle principesse. Come se le avesse letto nella mente, la più bella tra le sorelle dello Schiaccianoci mise in mano a Marie un piccolo mortaio d’oro e le disse: “Dolcissima amica, cara salvatrice di mio fratello, mi pesti lo zucchero candito?”
Marie pestò così allegramente che il pestello suonò con la grazia e il fascino di un bel motivetto.
Lo Schiaccianoci cominciò a raccontare la sua storia, in verità dilungandosi e divagando. Raccontò della spaventosa battaglia tra il suo esercito e quello del Re dei Topi, della sua sconfitta causata dalla codardia delle sue truppe. Lo Schiaccianoci disse anche che quel repellente Re dei Topi voleva mangiarlo, e che perciò Marie aveva sacrificato alcuni dei suoi sudditi.
Durante il racconto Marie si sentì come se le sue parole e lo stesso battere del pestello si allontanassero, si facessero sempre più confusi. Ben presto Marie vide come dei veli argentei che sorgevano come leggeri sbuffi di vapore nei quali si muovevano le principesse, i paggi e lo Schiaccianoci. Sentì un canto, un ronzio, un sibilo in lontananza. E poi si sentì sollevare, come spinta dalle onde, sempre più in alto. Sempre più in alto.
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UNA VITA PER LA FORESTA: LA STORIA DI SIMONA KOSSAK CHE HA VISSUTO PER TRENT’ANNI NELLA SELVA DI BIALOWIENZA DIFENDENDONE GLI ABITANTI
“La strega”, così Simona Kossak era soprannominata dagli abitanti dei luoghi posti ai margini della foresta di Bialowienza. E come altro poteva essere definita una donna che parlava con gli animali? Convinti che si trattasse di una presenza demoniaca, i locali si guardavano bene dall’entrare in confidenza con quella signora che girava dentro e fuori i boschi accompagnata da animali selvatici con i quali sembrava comunicare agilmente. E forse Simona qualcosa di soprannaturale lo aveva veramente. Un dono che però era sicuramente anche il prodotto di anni di studio e soprattutto di esperienza. Simona Kossak era nata nel 1943 a Cracovia. Laureatasi presso la facoltà di Biologia e Scienze della Terra dell’università Jagellonica, aveva deciso fin da giovanissima di battersi per la difesa delle foreste più antiche. Negli anni ’70, proprio in virtù di tale scelta, si trasferì a Bialowienza, una foresta al confine tra Polonia e Bielorussia. Qui visse per oltre trent’anni conducendo i suoi studi e adottando uno stile di vita privo di impatto sull’ambiente circostante; nella capanna del guardaboschi dove si stabilì non c’erano né acqua corrente né elettricità. Tutta la sua giornata era spesa nella cura e nell’osservazione degli animali selvatici dei quali divenne prima veterinaria e poi compagna di vita. Con il passare del tempo, infatti, la dimora di Simona divenne meta di numerosissimi animali. Alcuni di loro, come il corvo Korasek e la femmina di cinghiale Zabka, rimasero per anni e anni. Altri, come dei cuccioli di cervo, arrivarono persino a nascere lì. Innumerevoli vi trovarono rifugio e attenzioni: tra questi linci, cicogne, pavoni, piccioni, alci, grilli e topi. Alla fine Simona iniziò a sviluppare una particolare capacità di comunicare con la fauna della foresta. Comprendeva i loro segnali e i suoni che emettevano, riusciva, dai loro comportamenti, a prevedere situazioni di pericolo e perfino cambiamenti atmosferici. A partire dagli anni ’90 affiancò al suo tradizionale lavoro una grande battaglia per la difesa dei lupi di Bialowienza che rischiavano l’estinzione. Battaglia che portò avanti fino alla fine al 2007, quando si spense prematuramente. Una bellissima testimonianza del lavoro di Simona Kossak è rappresentatata dagli scatti del fotografo naturalista Lech Wilczek, suo compagno e testimone diretto della sua coraggiosa vita in difesa della foresta.
Cannibali e Re
Cronache Ribelli
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Spasmi di un prigioniero
4 Novembre 1816, Chateau d’If ,Marsigliai
La mia finestra si trova a Sud Ovest della rocca nera e scoscesa sulla quale s’infrangono i flutti e s’innalza la terribile fortezza, sono a Nord Ovest di Marsiglia. Tra il decimo e l'undicesimo rintocco delle campane la mia anima vola via da quella finestra, verso i miei cari ricordi. Scrivo per non dimenticare del tutto ciò che ero, questi scritti, parole, fazzoletti e ritagli di giornale che danzano intorno ad un fuoco che è brace ormai da tempo. Queste mura ormai sono diventate la mia vita e la poetica luce del tramonto, che proietta ombre nella cella non fa che ricordarmi quanto mi sia opprimente questa condizione. Sciocchi, ma credete davvero che non abbia avuto la possibilità di scegliere se far salpare la mia anima per questo purgatorio, o se restare a vivere? Sapevo i rischi del mestiere, li ho accettati e sono andato avanti. Ma non posso negare che la cosa mi ferisca, infatti sono sempre stato diviso tra il demone e l'uomo, e una volta lasciato il demone fuori da queste pareti è rimasto solo uno straccio d'uomo. Tutto ciò mi distrugge ogni giorno un po’ di più fino a rendermi una scheggia di ciò che ero. L’unica cosa che lenisce i miei dolori è il vento che ritorna ogni giorno e odora di salsedine ed entra dall’unica finestra che ho, ritorno alla la mia terra, quando il vento spirava dal mare sui campi che venivano arati da tutte le famiglie assieme, le vecchie che portavano a stendere le lenzuola sui prati di margherite, lenzuola poi odorose di cenere e fiori, le donne con i loro corpetti sudati già facevano pregustare il loro frutto colto nei fienili il giorno della festa del raccolto, la spigolatura dei viandanti di ciò che resta nel campo, il finocchio selvatico e gli asparagi colti lungo le sponde dei fiumi, le castagne cotte sul fuoco d’inverno tra pentolone e brace, il vino fatto a settembre e lasciato per l’anno dopo, le ciliegie in primavera, rosse come le gote di mia sorella, lasciata bambina, che ritroverò nonna al mio funerale. Quando potevo uccidere  giganti con la forza che avevo e prosciugare laghi interi per la sete che mi metteva quel gioco, ma questa è la forza della vita, anzi sono le schegge di vita più belle, quando si sta in prigione la forza, fosse anche di ricordare, pian piano svanisce, e di noi non resta altro che un corpo freddo come queste pareti, perché l'uomo è il suo passato, di me non restano altro che pezzi, frammenti di memoria senza i quali non posso vivere nel presente e perché farlo quando si è arrivati al capolinea? Passato e futuro si confondono nella mia mente, non distinguo più se sono qui da un anno o da un secolo, la memoria mi aggredisce con spazi vuoti, ma non ho la coscienza sporca. Come una donna che spogliandosi mostra la sua vera natura, così la memoria sfilacciandosi mostra se un'anima è angosciata o placida, ed io non ho rimpianti, vorrei solo che questo tedio finisse in fretta. Nel colore pallido della pelle che ancor più si scolora per noi che viviamo nel buio e nel silenzio, nell’ombra come topi che aspettano la venuta di un sole che mai più verrà. Molti perdono la speranza, pregano solo la morte e vivono accasciati, lasciandosi piovere tutto addosso, attaccati al freddo glaciale delle pareti, che ardono la pelle come fuoco vivo. Qui è il suono imperterrito della goccia che cade dal soffitto, è come un metronomo batte il tempo che passa nella mia prigione, chiamo le mie mani, le mie due rose perché piagate, fioriscono ogni giorno nel tentativo di rodere quelle sbarre e quel terreno, le distruggo contro di loro con tutta la forza, finché non mi fermo o non guadagno l'infermeria. Odio il fatto che questo posto sopravviverà a tutto il mio dolore, così inerte ed immobile, resterà immutato col mio teschio ridente ed intatto sopra il pavimento. La mia era solo un'idea di giovinezza messa a marcire dietro una grata e delle sbarre perché purtroppo a questo mondo tutto costa e la vita non fa sconti. Guadagnai questo cubicolo e persi tutto in una scommessa con Dio: un uomo m' aveva sfidato alle pistole per la mano d'una fanciulla, c’incontrammo fuori città, sparai per primo e lo uccisi, vincendo l’incontro. Ahimè! Sopravvissi solo per cadere in una trappola tesami da altri mariti che odiavano la mia bellezza che piaceva tanto alle loro figlie e alle loro mogli, e la mia felicità, che loro non avevano mai provato in giovane età a causa di una vita tanto morigerata. Così finii nelle mani di gendarmi che mi aspettavano con la carrozza pronta sulla strada del ritorno. Il giudice trovò attenuanti nel fatto che il duello fosse un'istituzione piuttosto praticata nelle alte sfere della società e non poteva essere punita con l'esecuzione sulla pubblica piazza – avrebbe sfigurato di fronte ai suoi amici nel punire così severamente un uomo che si era avvalso di quella nobile usanza, così optò per la prigione a vita, nascosto ai miei cari e ai suoi amici. Domando al giudice che mi ha condannato: “Giudice, che non sarebbe stato meglio farmi uccidere con una pallottola il giorno dopo il verdetto piuttosto che lasciarmi morire qua dentro?!” Ed ora resto qui a marcire, guardando il mio corpo in sfacelo, la mia vita che va in pezzi come la brocca che ho lanciato per terra, ora è diventata solo un mucchio d' inutili schegge sparse sul pavimento. Quei frammenti che riflettono il mio destino, che hanno come unico fine quello di essere buttate nel lerciume e sono lo specchio della mia vita.  Avremo il medesimo destino: morire.  
in realtà il nostro prigioniero sarà tale solo fino al 1848, quando tutti i prigionieri del Castello d'If saranno liberati in seguito alla destituzione del re di Francia.
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