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#Mia madre è un fiume
affascinailtuocuore · 9 months
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D. Di Pietrantonio-BORGO SUD, due sorelle, una storia di passioni e incontri
Le avevamo già incontrate nell’ Arminuta le due sorelle. Le ritroviamo a Borgo Sud di Pescara, in arrivo da posti diversi, da Macerata, da Grenoble. Hanno scelto strade diverse, hanno fatto incontri diversi, ma ora sono qui, di nuovo a Borgo Sud, tra odori e sapori di mare, di popolo, di vita. Le due sorelle non si sono mai frequentate molto, quasi non si conoscono. Hanno in comune due genitori…
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lunamagicablu · 1 month
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Io sono ovunque, nel centro e nel fondo, in cielo, in terra, ai confini del mondo, nel cuore del fiore, nel seme del frutto, e in ogni stella che incorona il deserto, perché Io sono la Vita che conosce se stessa, Io sono la Luce che fu antica promessa. Sono, sono, immensamente Io sono, dentro la lacrima che cerca il perdono, nascosto Io sono e fin troppo chiaro, nell’eterno passato che cerca il futuro, nell’eterno presente che vivifica l’Uomo, guido i suoi passi, perché sempre Io sono. E guardo dall’alto le vostre battaglie, e ancora con voi il mio cuore si doglie. Io sono il fratello, Io sono lo sposo, il diamante cercato, più raro e prezioso, madre e sorella del vostro dolore, amante perfetta che sempre sa dare. Io sono e vi dono, Io sono e vi amo, Io sono la Pace, la lotta non temo, perché dal sigillo del vostro cuore nasca la fiamma dell’eterno Volere, perché il patto antico che a voi mi lega è un fiume potente che raggiunge ogni riva, perché chi cerca che il sogno si avveri e sempre mi tiene nei suoi pensieri, abbia infine la Forza di spostar la montagna col Fuoco potente che ognor l’accompagna. Io sono tutto e nel tutto mi espando, se pur non udite, Io sempre vi ascolto. Tenete salda nel centro del vostro sentire ogni parola e ogni goccia di questo fluire, perché la penna, che per voi ho infiammato, regge forte, con polso, ciò che le ho dato, per voi, che cercate e non volete trovare, per voi, che guardate e non sapete vedere. Io sono l’Uno e la chiave vi porto, fusa nell’oro che a lungo ho raccolto lungo le strade percorse dall’Uomo, di guerra e dolore, di oblio e abbandono, forgiata nel sangue della sua ferita, lavata nell’acqua della mia cascata. Chiaro sia, e sicuro, il vostro sguardo, e vedrete le stelle che ora vi mostro, troverete nel centro del loro bagliore la sola via che sarà fine al cercare, poiché questo è il dono che ho preparato bevendo il calice che mi fu dato a eterna salvezza di tutti i fratelli che con Me han percorso i deserti e le valli. Siate certi di questa parola che vi porta la Via per giungere a casa, dove arde ciò che non fu mai spento, dove sempre Io sono e qui vi attendo. Faireliza art _by_suzu2_
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intotheclash · 3 months
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CAPITOLO 2
“Pietro! Pietro! Affacciati!” Urlò la prima voce.
“E muoviti! Sei diventato sordo?” Fece eco la seconda.
Cazzo, no che non ero sordo! Ci sentivo benissimo, l’inconveniente era che avevo solo dodici anni. E a quell’età non puoi fare come ti pare, specialmente se è domenica e sei a pranzo con la tua famiglia. Tutta la tua famiglia, tuo padre compreso, che, gli altri giorni della settimana, è sempre via per lavoro: camionista per una ditta di travi e tavolati in castagno. Lavoro di merda, secondo i miei pochi anni, ma pur sempre un lavoro.
Sentivo le spine sotto al culo, ma guai a sollevare le chiappe senza permesso, così continuavo a fissare il minestrone, che tra le altre cose mi faceva pure schifo, e a giocherellare con il cucchiaio fingendo indifferenza.
“Pietro! E forza! Sei sempre l’ultimo!” Insistettero dal vicolo.
Mio padre sbuffò un paio di volte, mollò le posate, distolse lo sguardo dal telegiornale e mi allungò uno scappellotto.
“Ahio! Cosa ho fatto ora?” Protestai.
Mi fissò con i suoi occhi chiarissimi e l’aria burbera di sempre, poi ordinò: “Su, affacciati e senti cosa vogliono quei piccoli rompicoglioni dei tuoi amici; ché così non mi fanno capire una sega! Già non lo sopporto quello del telegiornale, se non mi fanno neanche capire quello che dice, me lo spieghi tu cosa cazzo lo guardo a fare?”
Controllò il suo orologio e aggiunse: “Ma è appena l’una e quaranta! Come li fanno mangiare ‘sti bambini quelle scansafatiche delle loro madri? Li imboccano con la fionda? Su sbrigati Pietro, che sento che stanno iniziando a girarmi.”
“Tanto a te girano sempre!” Pensai mentre mi precipitai sul balcone.
“Era ora Pietro! Ma che te stai a magna'?” Dissero in coro Tonino e Sergio non appena mi videro.
“Veramente ho iniziato adesso! Ma che volete a quest’ora? E’ troppo presto, i miei si incaz… si arrabbiano se rompete all’ora di pranzo.” Risposi.
Fortunatamente avevo fatto marcia indietro in tempo. O almeno così speravo. Mia madre diventava una iena quando mi scappava qualche parolaccia. Diceva che, per quel genere di vocabolario, bastava e avanzava mio padre. E non è che avesse tutti i torti.
“Ma che ti sei rincoglionito? La proposta l’hai fatta tu ieri sera ed oggi già non te la ricordi più?” Mi ammonì incredulo Tonino.
“Allora davvero sei rincoglionito!” Aggiunse Sergio, che, dei due, era quello che andava sempre a rimorchio.
Finalmente lo sguardo mi cadde sulle biciclette appoggiate al muro scrostato della casa di fronte e la nebbia nella mia mente si diradò all’istante.
“Cazz…volo! Il fiume! Dobbiamo andare al fiume a fare il bagno! Me l’ero proprio scordato! Che testa di legno che sono!” Dissi
“Di legno è dir poco! Di cazzo è più esatto!” Disse Tonino ridendo e facendo ridere anche Sergio.
“Aspettatemi lì, finisco in fretta di mangiare e scendo. Non vi muovete!” Dissi ancora.
“Sbrigati però, che gli altri sono già sotto porta che ci aspettano. Avevamo detto alle due precise!” Insistette Tonino.
“E allora? Non sono ancora le due, stronzi!” Stavolta mi era scappata sul serio e sperare che sarebbe passata inosservata era un’illusione che neanche io potevo concedermi.
“Pietro! Vieni subito dentro!” Fu l’ordine militaresco di mia madre. Come volevasi dimostrare.
Rientrai immediatamente in cucina e la trovai già in posa per la predica. Si era tolta il tovagliolo da sopra le ginocchia, si era alzata in piedi, aveva divaricato leggermente le gambe, ma, quel che è peggio, aveva appoggiato il dorso delle mani sui fianchi, che era davvero peggissimo. Tutte e due le mani, la posizione della brocca, praticamente tuoni e fulmini in arrivo. Fosse stata una sola mano, la posizione a tazzina, come l’avevamo battezzata noi ragazzini, te la potevi anche cavare a buon mercato, ma con la brocca eri finito. Avrei volentieri pensato: “Erano cazzi!” Ma in quel frangente avevo persino paura a pensarle, le parolacce; non tanto per la sgridata, o gli scappellotti, che avrei potuto prendere e che avrei sicuramente preso; quanto per la paura che mi avrebbero potuto vietare di uscire. Quella si sarebbe stata una catastrofe planetaria.
“Allora, signorino? Quante volte ti ho ripetuto che non voglio che tu dica le parolacce?”
“Scusa mamma, mi è scappata!” Risposi col tono più innocente che riuscii a trovare.
Non vidi partire la mano, ma l’impatto con la mia testa lo sentii; eccome se lo sentii.
“Ahio!” Urlai tra il sorpreso, l’arrabbiato e il piagnucoloso. Poi guardai mio padre di traverso.
Lui raccolse il tovagliolo con la mano assassina, si pulì i folti baffi castani, mi fissò e disse: “Scusa, mi è scappato. Non volevo. Magari se ci avessi pensato prima, sarei anche riuscito a non dartelo; ma purtroppo è così che va il mondo e io non posso farci un cazzo di niente!”
Da una parte mia madre, ovvero la teoria, dall’altra mio padre, senza ombra di dubbio la pratica. Insieme formavano una morsa d’acciaio che mi avrebbe stritolato senza scampo. Potevo dire addio agli amici, al fiume, al bagno e a chissà quanti altri divertimenti.
Ma non andò così. Una via di fuga esisteva, ridotta al lumicino, ma esisteva ed io la imboccai di filata, incurante dei tremendi pericoli ai quali sicuramente andavo incontro. Non fu una scelta consapevole, proprio no, fui costretto ad imboccarla dalla rabbia e dal desiderio di vendetta per essere stato colpito, a mio avviso, ingiustamente e a tradimento.
“Allora perché lui le dice in continuazione?” Urlai verso mia madre, ma rivolgendomi più che altro a mio padre. Gli occhi mi si affollarono di lacrime, ma le trattenni stoicamente. Ero schifosamente orgoglioso, fin da piccolo. Era un colpo basso, lo ammetto, avventato e alla cieca, l’ultimo colpo, di quelli che come va, va; quello della disperazione, che ti può regalare il KO, ma che, più spesso, fa finire te al tappeto e trionfare l’avversario.
“Cosa, cosa?” Ringhiò basso mio padre.
“Le parolacce ecco cosa! Perché tu puoi dirne quante ne vuoi, ma se ne scappa una a me sono guai? Penso che se una cosa è sbagliata, è sbagliata per tutti!” Dissi, sempre con le lacrime in bilico e sforzandomi di non abbassare lo sguardo. Un rischio della Madonna!
Fu ancora svelto come un gatto, mi afferrò per la maglietta e mi trascinò a pochi centimetri da lui, facendomi rovesciare la sedia dove prima ero seduto. Ma come aveva fatto? Era grosso come un armadio e con la pancia di chi non sa mai dire di no ad una bella bevuta; ma quando si muoveva era Flash Gordon in persona. Certo che da grande avrei voluto essere come lui! Nessuno mai si sarebbe azzardato a prendermi in giro!
“Ascolta bene, stronzetto,” Mi disse inondandomi col suo alito di vino. Di vino: staccato,”L’unica persona che poteva dirmi ciò che dovevo, o non dovevo fare, era mio padre ed ora sta sotto un paio di metri di terra. Pace all’anima sua.”
Devo dire che il sospetto che lo avesse ammazzato lui mi attraversò la mente, ma mica potevo dirlo.
“Adesso ho quarantacinque anni,” Proseguì,” e nessuno, dico: nessuno, può permettersi di darmi degli ordini.”
“Io non…” Tentai di giustificarmi.
E giù un altro scappellotto, stavolta un po’ più sonoro, visto che mi rimbombarono i pensieri. Il vecchio ora era incazzato sul serio. Ora non potevo fare passi falsi. Dovevo stare attento a giocare bene le mie carte. Soprattutto dovevo uscire il più in fretta possibile da quella spiacevole situazione. Fortunatamente ed inaspettatamente mia madre arrivò in mio soccorso. Cuore di mamma non tradisce mai.
“Dai Alfredo, lascialo stare. Basta con gli schiaffi!” Disse con tono pacato ma perentorio.
“Cosa fai ora, Maria? Prendi le sue difese? Io intervengo a darti manforte e tu mi vieni contro? E’ ora che qualcuno insegni davvero l’educazione a questo moccioso sfrontato e se non vuole capire con le buone, peggio per lui! Io sono cresciuto a pane e scapaccioni tuttavia non mi sono mai sognato di rispondere a mio padre; anche perché mi avrebbe scorticato vivo!”
“Ma io non ti ho risposto male! Ho solo dett…”
Fu il terzo scappellotto della giornata a troncare il discorso e a sbaragliare la mia timida difesa.
“E basta Alfredo! Piantala di alzare sempre quelle tue manacce! Poi non picchiarlo sulla testa che è pericoloso!” Lo ammonì di nuovo mia madre.
“Così impara a parlare soltanto quando è interrogato! In quanto agli schiaffoni invece, di cosa hai paura? Per il tuo marmocchio la testa non è un organo vitale, visto che è vuota. O forse temi che il rimbombo possa causargli danno all’udito?” Concluse ridendo di gusto.
Cosa volete farci, mio padre era fatto in questa maniera: se la suonava e se la cantava. Faceva le battute e rideva da solo. Era capace di passare dall’incazzatura più nera all’ilarità più sfrenata, e viceversa, in un battibaleno. Difatti mi strizzò l’occhio, mi scompigliò i capelli neri e arruffati e disse:”Dai, finisci la minestra, mangia la carne e fila via. I tuoi amici saranno già in pensiero.”
“E no, cari miei!” Intervenne mia madre sempre mantenendo la posizione; ma ebbi l’impressione che la “brocca” in questa circostanza, fosse tutta per mio padre: “Con te facciamo i conti dopo,” Disse rivolta al vecchio, “In quanto a te signorino: ora finisci di pranzare, poi te la fili dritto, dritto in camera tua. Uscirai domani. Sempre che tu sia capace di non dire ancora parolacce.” E questo era per me.
“Ma dai, Maria! Tre sberle, per oggi, vanno più che bene come punizione. Domani, se si azzarderà ancora ad essere maleducato, lo portiamo al fiume e ce lo affoghiamo! Così ci togliamo il pensiero!” Detto ciò si batté forte sulle gambe e rise a crepapelle.
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myborderland · 8 months
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Mia madre non aveva mani per tenermi unita, mentre andavo in pezzi, non sentiva il crepitio, ignara del mondo dentro di me. [...] Non ha potuto contenere le angosce della bambina, sono diventate dopo, attacco di panico, incubo e, ancora oggi, sottile disagio. Divenne quella la fantasia ogni sera. Al mattino mi ricomponevo viva e delusa. Non avevo trovato la sua attenzione morendo. Mi ricomponevo alla meno peggio, indossavo i vestiti piegati sulla sedia, i calzini appesi allo schienale.
Mia madre è un fiume
Donatella Di Pietrantonio
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ingridsciuto · 1 year
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L'italiano lo abbiamo imparato a scuola. Fino ad allora io e mia sorella parlavamo una specie di lingua nostra, un miscuglio fra il tedesco di mia madre ed il siciliano di mio padre. Che in realtà, non era neanche tedesco, ma un idioletto nato in Transilvania nelle regioni che per secoli sono appartenute all'impero austro-ungarico. È la condizione naturale di chi nasce bilingue, il bagaglio di parole è limitato e pronunciato in maniera scorretta.
In questa foto siamo sul fiume che scorre in Maramures, una regione dai boschi compatti e profondi, col cielo talmente basso e gonfio di nuvole che sembra sia fatto di lana. I ritmi sono lenti, i costumi e le tradizioni fermi da qualche parte nel tempo, senza contaminazioni di modernità. Infinite file di steccati chiudono piccoli mondi di legno, con i tetti tanto scricchiolanti da sembrare cose vive.
Mescolavamo le parole, ed i suoni diventano storie. Colapesce si confondeva con gli esseri che scatenavano tempeste di vento contro gli avari, Polifemo si perdeva nei boschi insieme a fate dai capelli rossi con i campanelli alle caviglie.
Nel lungo termine le difficoltà linguistiche sono diventate accoglienza, e le parole si sono aperte a culture e sentimenti lontanissimi, abbracciandoli.
Per portare avanti le cose belle serve pazienza.
#maramures #transilvania #pensodunquesono
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ilsalvagocce · 1 year
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fiera
oggi c'era il sole alle 15 d'autunno, quel sole che rende giallograno il muro, accende l'asfalto, ripassa due, tre, quattro volte d'azzurro il cielo, lascia il pennello mangia una castagna e ricomincia
allora sono uscita ho preso un tulipano che pareva un bacetto e ho guidato fino alla pietra di mamma
ho cambiato i fiori, ho messo il mio fiore, ho accarezzato la foto ho accarezzato la foto ho riposizionato il fiore ho accarezzato la foto ho accarezzato la foto son andata via. due, tre volte d'azzurro il cielo
poco più in là son passata avanti l'abbazia del funerale, ho parcheggiato, sono scesa pure lì
ho attraversato la navata, piccola vuota. anche lì arrivava il sole nell'antro buio delle sedute, fin ai ciclamini ai piedi dell'altare, alla panca dove stavamo noi. mi sono seduta allo stesso posto d'allora, accanto alla colonna ghiaccia come il tremore e ho pianto
piangevo e pensavo che ho sempre tanto paura a parlare davanti a tutti, io non voglio non mi piace, sono timida, emotiva, non performativa tutti i nomi possibili, ma evito, sto nascosta, davanti al pubblico io sto nascosta. mi tireranno con i buoi per farmi parlar su di un palco, e parlerò male, incespicherò, non ricorderò il mio nome, perderò il filo, mai prenderò la parola, avanti a un gruppo di persone son quella che ascolta, rimane zitta ma ascolta, segna, appunta, c'è in tutta sé, solo che non parla.
ho pensato, penso, pensa che io, che tu quel giorno, io davanti a tutte quante le persone sono uscita da quella panca, sono uscita da mia sorella, da mio padre, ho aggirato la bara con sopra gli iris e con dentro mia madre, con sopra la foto di lei che mi sorride dal mare di scogli, son salita all'ambone ho aperto il libro mio e ho parlato.
ho letto, ho fatto uscire la voce, ho parlato. ho letto la poesia più lunga del mondo, l'ho letta fino alla fine ho superato i singulti come scalini colossi di pietra, sono arrivata fino alla fine ho detto mano destra mano sinistra ho detto mare ho detto lucciole ho detto gelsomini ho detto fuoco ho detto cani gatti ho detto divinità ho detto inesauribile e ho detto ringraziare
ho detto desidero
ho fatto rimbombare il suono nella mia cassetta toracica dentro l'aria dell'abbazia tra la gente e il buio degli sguardi che sentivo e non vedevo, sentivo tutti e non erano paura, erano, e basta. la voce stava lì correva come fiume tra le scanalature le colonne i petali l'invisibile la non luce. Forza sovrumana che mi ha trascinato, la invoco spesso da allora, io l'ho tirata fuori lei m'ha tirato fuori. tutto potere in tutta la fragilità possibile d'un momento lungo quanto una vita-figlia.
Allora perché piangi, qui sulla panca d'una chiesa vuota alle 16 di pomeriggio d'autunno con il sole che ripassa l'azzurro, dice la candela unica accesa che frizza mentre singhiozzo
piango perché, ora che sono seduta qui, so che lì sentivo che mamma sarebbe stata fiera di me, ancora sentivo che poteva essere vero, che era verosimile, esistente, la fierezza, che la morte un poco era finta, perché ancora non era passato questo tempo in mezzo.
ora sta passando il tempo in mezzo, per questo piango
era come l'ultima poesia recitata in piedi sulla seggiola un giorno qualsiasi meraviglioso di festa
(sii fiera, invece, anzi sii fiè, così non è mai imperfetto, così non è mai passato)
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spettriedemoni · 2 years
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La Zia d'America
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Oggi avrebbe compiuto 97 anni Zia Carmela. Partì per gli Stati Uniti nel 1956 e per puro caso non riuscì a salire sulla Andrea Doria nel suo ultimo viaggio. Sì perché se avesse preso quella nave sarebbe rimasta coinvolta nel naufragio del transatlantico italiano. Accadde che le sue valige si smarrissero per un lasso di tempo sufficiente da costringere lei, il marito Rocco e il figlio Vincenzo a tardare la partenza. Mi raccontò questa storia dicendomi che Zio Rocco era diventato comprensibilmente felice di aver dovuto attendere l'imbarco perché mentre erano in viaggio seppero del naufragio della Andrea Doria.
A volte il destino sa scrivere delle trame assurde.
Il marito negli anni aveva aperto un'attività da calzolaio. Mi raccontava sempre di quest'uomo che le aveva preso il cuore da giovanissima. Disse che lo aveva sentito cantare mentre lui era in strada e la sua voce era entrata dalle finestre aperte, poi era venuto il resto: la simpatia (raccontava tante barzellette), la dolcezza, la bellezza, ma la voce era stata la prima cosa.
Ebbe un altro figlio negli USA, Antonio, che imparò l'italiano in famiglia e dalla baby sitter di origine siciliana che lo accudiva i primi anni di vita mentre mia zia era a lavoro. Vincenzo invece l'italiano lo parlava già bene anche se era molto dialettale.
Hanno sempre questa lingua ibrida gli italoamericani che non è più italiano ma non è neppure del tutto inglese.
Sono stato da lei 3 mesi circa, viveva a Little Falls nel New Jersey a circa 40 minuti da New York. In pratica bastava attraversare il fiume ed eri nella Grande Mela. Era già in là con gli anni, aveva perso il primo marito, Zio Rocco, molti anni prima e si era risposata con un uomo di origine irlandese ma, mi disse, più per far stare tranquilli i figli che per sé perché il suo cuore era sempre per il primo marito al punto da aver chiesto al figlio maggiore di dare il nome Rocco al suo primo figlio maschio. Quando andai a trovarla il secondo marito era pure deceduto e dopo di lui si era ripromessa di non sposarsi mai più. Di sicuro il secondo marito le aveva lasciato la passione per il baseball: era tifosissima degli Yakees.
Aveva avuto anche un ictus poco tempo prima che arrivassi io, fuori casa si appoggiava a un bastone ma in casa era spedita e sicura di sé. Mi disse che avevano insistito tanto perché andasse a stare dal primo figlio Vincenzo subito dopo essere uscita dall'ospedale, ma lei si era rifiutata perfino davanti al parroco della chiesa del suo quartiere lei era stata risoluta e lo zittì con un perentorio "Shut up!"
Non voleva dipendere da nessuno e non voleva pesare su nessuno e sapeva bene che se fosse stata dal figlio (che comunque abitava a neppure 100 metri da lei) non si sarebbe ripresa e si sarebbe abituata ad essere servita e aiutata da figlio, nuora e nipoti. Stando da sola invece aveva ripreso la mobilità di gambe e braccio e tutte le mattine aveva preso la sana abitudine di fare lunghe passeggiate nelle strade alberate del suo quartiere. Si svegliava sempre prima di me e mi faceva trovare la colazione pronta con latte, cereali, una banana e delle vitamine. Nonostante gli anni aveva ancora la destrezza di guidare un'auto che le aveva regalato il figlio.
Ci siamo tenuti in contatto negli anni, non sempre come avrei voluto, era pure venuta in Italia per qualche giorno e aveva salutato mia madre, la figlia di sua sorella più grande, prima di ripartire.
I suoi problemi di salute erano peggiorati al punto da costringere i medici a un'amputazione della gamba ma lei aveva continuato a vivere con la determinazione solita e il suo amore per la vita che non è mai mutato nel corso degli anni. È riuscita a stare fuori dagli ospedali in questi anni di pandemia e poi ha deciso che era troppo stanca.
Little Ghost la chiama la sua nipote Angela, la prima figlia del suo primogenito Vincenzo, per via di quella storia che la nonna le raccontava sempre quando era bambina di riuscire a rubare dei dolcetti senza che la madre la vedesse. Per lei invece Angela era la sua regina "That's my Queen" mi ripeteva. Rocco era il suo King, invece, il nipote che rinnova il nome del primo marito, l'unico che abbia mai amato.
Mi piace ricordarla ad esultare in poltrona con la sua vestaglia per il baseball e i suoi amatissimi Yankees, magari sorseggiando un buon vino e fumando una di quelle sigarette cui non rinunciava ogni tanto anche dopo l'ictus.
La più piccola delle sorelle di mia nonna materna, ma la più tosta e cocciuta.
Mi sarebbe piaciuto rivederla ancora una volta.
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lasvocesdelosotros · 1 year
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octubre 2022
01
Mio marito morí a Roma nelle carceri di Regina Coeli, pochi mesi dopo che avevamo lasciato il paese. Davanti all’orrore della sua morte solitaria, davanti alle angosciose alternative che precedettero la sua morte, io mi chiedo se questo è accaduto a noi, a noi che compravamo gli aranci da Girò e andavamo a passeggio nella neve. Allora io avevo fede in un avvenire facile e lieto, ricco di desideri appagati, di esperienze e di comuni imprese. Ma era quello il tempo migliore della mia vita e solo adesso che m’è sfuggito per sempre, solo adesso lo so.
 Natalia Ginzburg
  02
La mia amica qualche volta dice che è stufa di lavorare, e vorrebbe buttar la vita ai cani. Vorrebbe chiudersi in una bettola a bere tutti i suoi risparmi, oppure mettersi a letto e non pensare piú a niente, e lasciare che vengano a levarle il gas e la luce, lasciare che tutto vada alla deriva pian piano. Dice che lo farà quando io sarò partita. Perché la nostra vita comune durerà poco, presto io partirò e tornerò da mia madre e dai miei figli, in una casa dove non mi sarà permesso di portare le scarpe rotte. Mia madre si prenderà cura di me, m’impedirà di usare degli spilli invece che dei bottoni, e di scrivere fino a notte alta. E io a mia volta mi prenderò cura dei miei figli, vincendo la tentazione di buttar la vita ai cani. Tornerò ad essere grave e materna, come sempre mi avviene quando sono con loro, una persona diversa da ora, una persona che la mia amica non conosce affatto.
 Natalia Ginzburg
   03
La natura essenziale della città è la malinconia: il fiume, perdendosi in lontananza, svapora in un orizzonte di nebbie violacee, che fanno pensare al tramonto anche se è mezzogiorno; e in qualunque punto si respira quello stesso odore cupo e laborioso di fuliggine e si sente un fischio di treni.
 Natalia Ginzburg
 04
Non c’era nessuno di noi. Scelse, per morire, un giorno qualunque di quel torrido agosto; e scelse la stanza d’un albergo nei pressi della stazione: volendo morire, nella città che gli apparteneva, come un forestiero.
 Natalia Ginzburg
 05
I suoi versi risuonano al nostro orecchio, quando ritorniamo alla città o quando ci pensiamo; e non sappiamo neppure piú se siano bei versi, tanto fanno parte di noi, tanto riflettono per noi l’immagine della nostra giovinezza, dei giorni ormai lontanissimi in cui li ascoltammo dalla viva voce del nostro amico per la prima volta: e scoprimmo, con profondo stupore, che anche della nostra grigia, pesante e impoetica città si poteva fare poesia.
 Natalia Ginzburg
 06
Non sarà necessario lasciare il letto. Solo l’alba entrerà nella stanza vuota. Basterà la finestra a vestire ogni cosa D’un chiarore tranquillo, quasi una luce. Poserà un’ombra scarna sul volto supino. I ricordi saranno dei grumi d’ombra Appiattati cosí come vecchia brace Nel camino. Il ricordo sarà la vampa Che ancor ieri mordeva negli occhi spenti.
 Natalia Ginzburg
 07
Ogni occhiata che torna, conserva un gusto Di erba e cose impregnate di sole a sera Sulla spiaggia. Conserva un fiato di mare. Come un mare notturno è quest’ombra vaga Di ansie e brividi antichi, che il cielo sfiora E ogni sera ritorna. Le voci morte Assomigliano al frangersi di quel mare.
 Natalia Ginzburg
 08
un occhio che ci dimentica subito, non appena lasciamo il brevissimo raggio della sua iride.
 Natalia Ginzburg
 09
Nel paese della malinconia, il pensiero è sempre rivolto alla morte. Non teme la morte, assomigliando l’ombra della morte alla vasta ombra degli alberi, al silenzio che è già presente nell’anima, perduta nel suo verde sonno.
 Natalia Ginzburg
 10
Nada es más misterioso, para el hombre, que el espesor de su propio cuerpo. Y cada sociedad se esforzó, en un estilo propio, por proporcionar una respuesta singular a este enigma primario en el que el hombre se arraiga. Parecería que el cuerpo no se cuestiona. Pero, a menudo, la evidencia es el camino más corto del misterio. El antropólogo sabe que «en el corazón de la evidencia —según la hermosa fórmula de Edmond Jabés— está el vacío», es decir, el crisol del sentido que cada sociedad forja a su manera, evidente sólo para la mirada familiar que ella misma provoca. Lo que es evidente en una sociedad asombra en otra, o bien no se lo comprende. Cada sociedad esboza, en el interior de su visión del mundo, un saber singular sobre el cuerpo: sus constituyentes, sus usos, sus correspondencias, etcétera. Le otorga sentido y valor. Las concepciones del cuerpo son tributarias de las concepciones de la persona. Así, muchas sociedades no distinguen entre el hombre y el cuerpo como lo hace el modo dualista al que está tan acostumbrada la sociedad occidental. En las sociedades tradicionales el cuerpo no se distingue de la persona. Las materias primas que componen el espesor del hombre son las mismas que le dan consistencia al cosmos, a la naturaleza. Entre el hombre, el mundo y los otros, se teje un mismo paño, con motivos y colores diferentes que no modifican en nada la trama común (capítulo 1).
 David Le Breton
 11
NIEBLA
 La única niebla
endémica de mi ciudad
es la lluvia;
la llevo como un suéter gris
entre texturas de otra gente
y estampados.
 Mi única niebla,
la de la espera bajo cualquier techo,
de coches ciegos, lentos
bajo el chubasco,
me siembra cataratas en el ojo,
esconde los contornos.
 Es el punto inmóvil
al centro del trompo,
no me moja, me rodea,
esfera al vacío
yo adentro,
gris apenas, suéter grueso
con su olor a húmedo.
 Es la gasa que impide
que mi propia sangre me hiera.
 (Aurelia Cortés Peyrón)
  12
EMPALAGARSE
 es alargarse en algo
que anega
 el paladar
como un relámpago
de azúcar
 o de grasa
que lo surca
y lo rasga.
 Es la flaca
paradoja
de saber
 que saber
es un sabor
que no se aprende:
 en cambio,
se desprende,
se desaprende
 y muda
a su medida;
es pulga
 peligrosa,
pura
pulpa
 y papel
prensil
de las palabras
 que purga
la atención,
la descalabra
 y hurga.
No la rompe;
la sopla.
 No la burla:
la labra
porque la abre
 y la revuelve.
Empalagarse
es alojarse,
 alegre,
entre el diente
y la lengua:
 es cuchara
que escucha,
que pesa
 porque espesa
y se clava
porque endulza.
 (Ezequiel Zaidenwerg)
  13
THINGS EXPOSED TO THE AIR
 Say sugar has a mouth. How would I taste
in it? Like sweat, like lake water, like dust
from a ceiling fan, like the lowest leaves
of the squash plant, like how soft and yellow
they are, like oil, like badly sharpened knives,
like hail just after it pelts the yard, snow
just before it melts? Thank god it doesn't.
Have a mouth, I mean. Though maybe my scent
still saturates it like a mood, covert
and everywhere. This is the mistake
of leaving things exposed to the air, I say
to my daughter. It's not fair. And it's why
I don't need to read the climate change report.
When I brush her hair, the world smells like smoke.
 (Claire Wahmanholm)
  14
El dualismo contemporáneo opone el hombre y el cuerpo. Las aventuras modernas del hombre y de su doble hicieron del cuerpo una especie de alter ego. Lugar privilegiado del bienestar (la forma), del buen parecer (las formas, body-building, cosméticos, productos dietéticos, etc), pasión por el esfuerzo (maratón, jogging, windsurf) o por el riesgo (andinismo, «la aventura» , etc). La preocupación moderna por el cuerpo, en nuestra «humanidad sentada», es un inductor incansable de imaginario y de practicas. «Factor de individualización», el cuerpo duplica los signos de la distinción, es un valor.
 David Le Breton
 15
È inutile credere che possiamo guarire di vent’anni come quelli che abbiamo passato. Chi di noi è stato un perseguitato non ritroverà mai piú la pace. Una scampanellata notturna non può significare altro per noi che la parola «questura». Ed è inutile dire e ripetere a noi stessi che dietro la parola «questura» ci sono adesso forse volti amici ai quali possiamo chiedere protezione e assistenza. In noi quella parola genera sempre diffidenza e spavento. Se guardo i miei bambini che dormono penso con sollievo che non dovrò svegliarli nella notte e scappare. Ma non è un sollievo pieno e profondo. Mi pare sempre che un giorno o l’altro dovremo di nuovo alzarci di notte e scappare, e lasciare tutto dietro a noi, stanze quiete e lettere e ricordi e indumenti.
 Natalia Ginzburg
  16
LA MATA (fragmento)  Añade La Mata:  Para quienes volvieron: un manojo de flores del totumo, piñuelas con sus pulpas jugosas, su tomento estrellado de blanco color. Estas flores de pétalos carnosos, vainillas, olorosas durante la noche, y también otras flores furiosas, expertas en la desobediencia: varias flores del pico de loro, las espinas que rasgan la piel escondidas. Una invasión de trinitarias, un desfile coronado por sépalos persistentes. Unas con cáliz, que acompaña al fruto, otras estériles; también racimos de flores amarillas del bombito, de la flor de la bajagua, de esa flor que se llama amor que zumba, racimos abundantes, retoñadas de sí.
 (Eliana Hernández Pachón)
 17
Il mio mestiere è quello di scrivere e io lo so bene e da molto tempo. Spero di non essere fraintesa: sul valore di quel che posso scrivere non so nulla. So che scrivere è il mio mestiere.
 Natalia Ginzburg
 18
Una volta sofferta, l’esperienza del male non si dimentica piú. Chi ha visto le case crollare sa troppo chiaramente che labili beni siano i vasetti di fiori, i quadri, le pareti bianche. Sa troppo bene di cosa è fatta una casa. Una casa è fatta di mattoni e di calce, e può crollare. Una casa non è molto solida. Può crollare da un momento all’altro. Dietro i sereni vasetti di fiori, dietro le teiere, i tappeti, i pavimenti lucidati a cera, c’è l’altro volto vero della casa, il volto atroce della casa crollata.
 Natalia Ginzburg
 19
Tenevo un taccuino dove scrivevo certi particolari che avevo scoperto o piccoli paragoni o episodi che mi ripromettevo di mettere nei racconti. Nel taccuino scrivevo per esempio cosí: «Egli usciva dal bagno trascinandosi dietro come una lunga coda il cordone dell’accappatoio». «Come puzza il cesso in questa casa, – gli disse la bambina. – Quando ci vado, io non respiro mai, – soggiunse tristemente». «I suoi riccioli come grappoli d’uva». «Coperte rosse e nere sul letto disfatto». «Faccia pallida come una patata sbucciata». Tuttavia ho scoperto che difficilmente queste frasi mi servivano quando scrivevo un racconto. Il taccuino diventava una specie di museo di frasi, tutte cristallizzate e imbalsamate, molto difficilmente utilizzabili. Ho cercato infinite volte di ficcare in qualche racconto le coperte rosse e nere o i riccioli come grappoli d’uva e non m’è mai riuscito. Il taccuino dunque non poteva servire. Ho capito allora che non esiste il risparmio in questo mestiere. Se uno pensa «questo particolare è bello e non voglio sciuparlo nel racconto che sto scrivendo ora, qui c’è già molta roba bella, lo tengo in serbo per un altro racconto che scriverò», allora quel particolare si cristallizza dentro di lui e non può piú servirsene.
 Natalia Ginzburg
 20
Ho scoperto allora che ci si stanca quando si scrive una cosa sul serio. È un cattivo segno se non ci si stanca. Uno non può sperare di scrivere qualcosa di serio cosí alla leggera, come con una mano sola, svolazzando via fresco fresco. Non si può cavarsela cosí con poco. Uno, quando scrive una cosa che sia seria, ci casca dentro, ci affoga dentro proprio fino agli occhi; e se ha dei sentimenti molto forti che lo inquietano in cuore, se è molto felice o molto infelice per una qualunque ragione diciamo terrestre, che non c’entra per niente con la cosa che sta scrivendo, allora, se quanto scrive è valido e degno di vita, ogni altro sentimento s’addormenta in lui. Lui non può sperare di serbarsi intatta e fresca la sua cara felicità, o la sua cara infelicità, tutto s’allontana e svanisce ed è solo con la sua pagina, nessuna felicità e nessuna infelicità può sussistere in lui che non sia strettamente legata a questa sua pagina, non possiede altro e non appartiene ad altri e se non gli succede cosí, allora è segno che la sua pagina non vale nulla.
 Natalia Ginzburg
 21
Quando uno scrive un racconto, deve buttarci dentro tutto il meglio che possiede e che ha visto, tutto il meglio che ha raccolto nella sua vita. E i particolari si consumano, si logorano a portarseli intorno senza servirsene per molto tempo. Non soltanto i particolari ma tutto, tutte le trovate e le idee.
 Natalia Ginzburg
 22
in quell’epoca ho visto una volta passare per strada un carretto con sopra uno specchio, un grande specchio dalla cornice dorata. Vi era riflesso il cielo verde della sera, e io mi son fermata a guardarlo mentre passava, con una grande felicità e il senso che avveniva qualcosa d’importante.
 Natalia Ginzburg
 23
What is static if not the sound of the universe's grief? Anywhere static reigns.
 (J. Estanislao Lopez)
 24
EL PUESTO DEL GATO EN EL COSMOS
 Uno siempre se equivoca cuando habla del gato.
Se le ocurre por ejemplo que junto a la ventana
el gato se ha planteado en el fondo de los ojos
un posible fracaso en la noche cercana.
Pero el gato no tiene un porvenir que lo limite.
A uno se le ocurre que medita, espera o mira algo
y el gato ni siquiera siente al gato que hay en él.
¿Cómo admitir detrás del movimiento de la cola
una motivación, un juicio o un conocimiento?
El gato es un acto gratuito del gato.
El que aventure una definición debería
proponer sucesivas negaciones al engaño del gato.
Porque el gato, por lo menos el gato de la casa,
particular, privado e individuo hasta las uñas,
comprometido como está
al vicio de nuestro pensamiento
ni siquiera es un gato, estrictamente hablando.
 (Joaquín Giannuzzi)
  25
En el fondo del mar, realmente al fondo, los humanos vemos en blanco y negro, como algunas aves.
[...]
Orden. Desapareció tu especie. Pero cuando nadie las ve, las islas toman la forma de tu nombre.
(Isabel Zapata)
 26
SOMETHING
 Something went wrong.
That’s what the machine
says when I call to say
my paper didn’t arrive.
Machines are trained
by people, so they’re
smart, they know a thing
or fifty trillion. Did you miss
your Sunday delivery?
it asks. I did, I say. I
miss everything, I say,
because it’s a machine and
it has to listen, or at least
it has to not hang up
without trying to understand
why I called, which means
trying to correct what
went wrong. Let me
see if I got this right,
the voice says, you
missed your Sunday paper?
Yes, I say, but also I
miss my childhood and fairy
tales, like Eden. I miss sweet
Rob Roys with strangers.
I’m sorry, the machine says.
I’m having trouble understanding.
Did you miss today’s paper?
Yes, I say, but that’s not
the half of it. Sometimes
I just feel like half
of me, and even that
feels like too much. I’m
having trouble understanding,
the machine repeats, its
syllables halted, as if
trying to mimic an empath.
I’m having trouble understanding
too, I say. I used to understand
so much: photosynthesis, the
human heart, I’d even
memorized the Krebs cycle,
but now all I remember
is lifting the golden coil
of the kitchen phone to maneuver
under my mother’s conversations.
It was like lifting
the horizon. There’s
a silence, and the machine
asks: Are you still there? In
a few words, please describe
your issue. Where do I begin
being a minimalist? Time,
I say, I’ve got a problem
with that. Also, loss, and
attachment. That’s pretty
much it, and the news in its sky-
blue sleeve is meant to be
a distraction, isn’t it? I ask.
More silence, and then:
You miss your mother?
a voice asks. It’s
a human voice.
Me too, she says.
(Andrea Cohen)
 27
(Otro mito habitual sobre la inmigración: que no tenía vuelta atrás. Y, en realidad, eran muchos los que no encontraban en sus nuevos lugares lo que buscaban y se volvían, derrotados o aliviados, a sus viejos.)
Caparrós
 28
Si Ñamérica es el territorio de las mezclas, la mezcla de aquella zona es peculiar: allí las distintas culturas europeas se mezclaron como nunca habrían podido mezclarse en sus lugares de origen y dieron origen a una cultura nueva: Borges, Boca Juniors, el rubio pobre, la milanesa a la napolitana y el franfruter y las once, la chantada.
(Yo, con perdón, soy eso: hijo de un español que llegó, jovencito, tras la Guerra Civil porque sus padres debieron exiliarse derrotados, y una argentina cuyos padres eran un judío polaco y la hija de un judío ruso recién llegados a esas playas. Ser argentino, está claro, es una forma de la mezcla más imprevisible. Durante décadas nos creímos, por venir de esos cruces, menos ñamericanos; no entendíamos que éramos justamente lo contrario: que éramos ñamericanos por mezclados, porque la mezcla es la marca decisiva de Ñamérica.)
Caparrós
 29
La frontera es el lugar donde un estado empieza: donde te dice de aquí p’allá estoy yo, donde te dice no te creas; donde te dice mando. La frontera es la primera línea de defensa y ataque de un estado. La frontera es un modelo de estos tiempos: una de esas creaciones arbitrarias, fruto de los poderes, que se empeñan en vendernos como algo natural, eterno. Otro efecto de la publicidad: de este lado estamos nosotros y allí, a unos metros, están ellos —y ellos son otros, radicalmente otros porque están unos metros más allá. Es sorprendente que la patraña de las patrias —la patriaña— sea tan poderosa como para convencernos de esa farsa.
Caparrós
 30
(Hay algo irreal, casi hilarante, en ver cien metros de agua y saber que esa tierra que hay del otro lado es otro mundo, que usan otra moneda, siguen a otros jefes, gritan otros goles, y que tantos que quieren, de este lado, no consiguen entrar: tan allí mismo, tan lejano.)
Caparrós
 31
finora mi è successo sempre di scrivere in fretta e delle cose piuttosto brevi: e a un certo punto m’è sembrato anche di capire perché. Perché ho dei fratelli molto maggiori di me e quando ero piccola, se parlavo a tavola mi dicevano sempre di tacere. Cosí mi ero abituata a dir sempre le cose in fretta in fretta, a precipizio e col minor numero possibile di parole, sempre con la paura che gli altri riprendessero a parlare tra loro e smettessero di darmi ascolto. Può darsi che sembri una spiegazione
  Natalia Ginzburg
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vaginosibatterica · 2 years
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Che fai?
Sono venuta a pranzare accanto ad un laghetto che ha il divieto di balneazione, ho gettato il telo sui sassi al sole che la secca ha lasciato scoperti ed ora leggo un libro che propone di scavare un fosso in città per buttarci dentro i bambini ed i pastori tedeschi, poi va tutto coperto di calce viva per nascondere l'odore di decomposizione. Ho scoperto questo posto perché Timothy Challamet e l'attore che ora Hollywood ostracizza perché
Ho il ciclo, ho fatto pace col mio fidanzato dopo un paio di giorni di maretta. Mi scappa la pipì per cui mi preoccupa il fatto che il posto inizi a farsi affollato. Ai lati del bosco, tra le sterpaglie, c'è un salvaslip (rifiuto) che ha ormai perso colore.
Ho portato con me dell'autan e della pasta che ho mischiato in una coppetta di plastica con il sedano, i pomodori e le zucchine che mi ha spedito mia mamma (mia madre ha pagato quindici euro di corriere espresso per mandarmi della verdura che avrei potuto comprare sborsandone soltanto sei al Lidl dietro casa,💓).
Dietro un recinto elettrificato c'è un asino che si rotola nell'unico punto del giardino senza su un filo d'erba. Tenta di scacciar via gli insetti che gli ronzano attorno, gli abbiamo allungato due pesche; è stata un'idea di Luca.
Per via della siccità e del caldo la superficie del torrente è ricoperta di alghe verdi. Ci sono tratti in cui il fiume si era prosciugato al punto che era possibile percorrere a piedi sporcandosi giusto le scarpe di fanghiglia. Abbiamo seguito gli scalini per i pesci realizzati in cemento ai lati del corso d'acqua, li aiuta a combattere l'impetuosità della corrente nel caso in cui volessero risalirlo.
Ho visto delle libellule, svariati pesci ed alcune farfalle. Un vecchino in bici mi ha visto rimettere su le mutande mentre facevo pipì tra l'erba secca, Luca avrebbe dovuto fare da palo... non ho afferrato quello che mi ha urlato, ma sembrava infastidito.
Spero di incontrare una rana, le toccherei il dorso e arrischierei un bacio. Volevo mettere qui una battuta sulle molestie sessuali ma non riesco a pensarne una divertente abbastanza.
#r
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duca-66 · 2 years
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la madre
La madre passa di lì,
con gli zoccoli di legno. Ieri sera
il vento soffiava dal palo, i tetti si rompevano , i muri e i ponti
sono crollati , ha ululato tutta la notte con i suoi puma, e ora, in un mattino di sole gelido , arriva mia madre, la signora Trinidad Marverde, dolce come la timida frescura del sole nelle regioni tempestose, una minuscola lampadina e spegnersi, accendersi in modo che tutti possano vedere la strada.
Oh dolce mamma
-non potrei mai
dire matrigna-,
ora la
mia bocca trema a definirti,
perché appena
ho aperto il mio intendimento
ho visto la bontà vestita di un povero panno scuro,
la santità più utile:
quella dell'acqua e della farina,
e questo è quello che eri: la vita ti ha dato lui ha fatto il pane
e lì ti abbiamo consumato,
lungo inverno dopo inverno desolato
con le falle dentro
casa
e la tua onnipresente umiltà che
vacillava
sul ruvido
cereale della povertà
come se
distribuissi
un fiume di diamanti.
Oh mamma, come potrei
vivere senza ricordarti
ogni minuto di me?
Non è possibile.
Porto nel mio sangue il tuo Marverde, il
cognome
del pane che si distribuisce,
di quelle
mani dolci che tagliarono le mutande della mia infanzia dal
sacco di farina , di colei che cucinava, stirava, lavava, seminava, calmava la febbre, e quando tutto fu fatto, e ora potevo stare con piedi sicuri,
andò, appagata, buia,
alla piccola bara
dove per la prima volta rimase oziosa
sotto la forte pioggia di Temuco.
Pablo Neruda
Dal libro Memoriale di Isla Negra. Dal libro Poesie selezionate (1957-1964).
La poesia di Neruda è una commossa rievocazione della madre dell'autore, morta subito dopo il parto. La presenza, la vitalità e l'amore di una mamma nei versi immortali di Neruda. Un augurio a tutte le mamme. ❤️❤️❤️
Tumblr media
Pablo Neruda
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dildomentale · 2 years
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1 Laura e N.
Torno per il funerale del nonno che in realtà non ho mai quasi visto, tranne in poche occasioni quando ero bambino. Nonna è ancora bellissima nonostante l'età avanzata. Mi bacia sulle guance e mi ringrazia per essere venuto. Ha gli occhi che luccicano per la commozione o magari per altro. Laura le sta vicino, come pronta a soccorrerla in caso di bisogno. Ma nonna è forte e resistente alle intemperie. Mi allontano mentre un piccolo fiume di persone reca le condoglianze. Laura mi raggiunge senza farsi notare, è sempre stata brava in questo. Ci appartiamo. Ci stringiamo. Mi bacia sulle labbra e io ricambio. Labbra che hanno lo stesso sapore oggi che ha quasi settant'anni di quando ci siamo baciati per la prima volta e lei ne aveva venti di meno. Si, è invecchiata ma in maniera splendida, esattamente come nonna. La loro amicizia, spesso anche erotica, le ha mantenute giovani e ancora belle. Approfitto del momento per toccarla un po' dappertutto. A lei è sempre piaciuto essere toccata fin da quando ero un ragazzino e non si è mai sottratta alle mie mani affamate. Anche oggi è la stessa cosa, se le mettessi la mano nelle mutandine le troverei bagnate. Arrossisce e sorride, probabilmente ripensa alle notti passate insieme, lei, nonna e io. Lei posa la mano sul gonfiore che si nota sui miei jeans e stringe forte una rapida volta. Smettiamo solo perché c'è gente.
Sapevo che tra loro c'era qualcosa. Ero un ragazzino ma sveglio e con certe voglie e certo pensieri particolari. Il nonno era sempre via, per lavoro o quello che era. Ho sempre pensato che l'unica volta in cui avesse scopato nonna, sia stata quella da cui poi è nata mamma. Nonna e Laura erano sempre insieme, giorno e notte. Grandi amiche ma io sapevo che c'era qualcosa di più. E ne ebbi la certezza quando le sorpresi una notte in cui ero rimasto a dormire da nonna. Avevo la mia cameretta e non riuscivo a dormire. Sentivo rumori strani, forse erano davvero rumori strani o forse era la mia fervida immaginazione a tenermi sveglio. Scesi dal letto in quella calda notte estiva, indossando solo lo slip. Seguii i rumori. Arrivai alla porta della stanza di nonna. Le vidi, nude sul letto che facevano quello che avevo immaginato facessero. Laura distesa sul lettone con la testa di nonna infilata tra le cosce. Gemiti e sussurri come colonna sonora. Nonna che veniva sotto i colpi di lingua dell'amica e io a guardarle col cazzo in mano.
Mamma è arrivata come sempre in ritardo. Sola anche lei visto che mio padre è sparito poco dopo la mia nascita e non si è mai più fatto vivo. Nonna mi ha fatto da padre e anche da madre, praticamente. Mamma si trattiene il tempo indispensabile, non era molto attaccata al nonno, carente anche come padre. E poi era anziano. Invece io ho intenzione di restare a cena e a dormire con nonna. E Laura, naturalmente.
(continua)
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ambrenoir · 2 years
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I MIEI FIGLI DIMENTICHERANNO
"Il tempo, inesorabilmente, svuoterà gli occhi dei miei figli, che ora traboccano di un amore poderoso e incontenibile...
Toglierà dalle loro labbra il mio nome urlato, cantato, sillabato e pianto cento, mille volte al giorno. Cancellerà – un po’ alla volta oppure all’improvviso – la familiarità della loro pelle con la mia, la confidenza assoluta che ci rende praticamente un corpo solo. Con lo stesso odore, abituati a mescolare i nostri umori, lo spazio, l’aria da respirare. Subentreranno, a separarci per sempre, il pudore, il giudizio, la vergogna. La consapevolezza adulta delle nostre differenze.
Come un fiume che scava l’arenaria, il tempo minerà la fiducia che mi rende ai loro occhi onnipotente. Capace di fermare il vento e calmare il mare. Riparare l’irreparabile, guarire l’insanabile, resuscitare dalla morte.
Smetteranno di chiedermi aiuto, perché avranno smesso di credere che io possa in ogni caso salvarli. Smetteranno di imitarmi, perché non vorranno diventare troppo simili a me. Smetteranno di preferire la mia compagnia a quella di chiunque altro, e guai se questo non dovesse accadere.
Sbiadiranno le passioni – la rabbia e la gelosia, l’amore e la paura. Si spegneranno gli echi delle risate e delle canzoni, le ninne nanne e i C’era una volta termineranno di risuonare nel buio.
Con il tempo, i miei figli scopriranno che ho molti difetti, e, se sarò fortunata, ne perdoneranno qualcuno.
Saggio e cinico, il tempo porterà con sé l’oblio. Dimenticheranno, anche se io non dimenticherò.
Il solletico e gli inseguimenti (“Mamma, ti prendo io!”), i baci sulle palpebre e il pianto che immediato ammutolisce con un abbraccio. I viaggi e i giochi, le passeggiate e le febbri alte. I balli, le torte, le carezze mentre si addormentano piano.
I miei figli dimenticheranno. Dimenticheranno che li ho allattati e cullati per ore, portati in fascia e tenuti per mano. Che li ho imboccati e consolati e sollevati dopo cento cadute. Dimenticheranno di aver dormito sul mio petto di giorno e di notte, che c’è stato un tempo in cui hanno avuto bisogno di me quanto dell’aria che respirano.
Dimenticheranno, perché è questo che fanno i figli, perché è questo che il tempo pretende.
E io, io, dovrò imparare a ricordare tutto anche per loro, con tenerezza e senza rimpianto. Gratuitamente. Purché il tempo, sornione e indifferente, sia gentile abbastanza con questa madre che non vuole dimenticare..."
Dal web
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intotheclash · 2 months
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Capitolo 2 (seconda parte)
Mia madre, al contrario, non si stava divertendo affatto. Non aggiunse nulla, ma capii che non vedeva l’ora di restare da sola con suo marito per l’inevitabile resa dei conti. Sfruttai la situazione e mi sbrigai ancora di più. Trangugiai la minestra a palate, con quattro rabbiosi morsi distrussi anche la fettina alla pizzaiola e sprofondai giù per le scale salutando mentre richiudevo la porta alle mie spalle. Scesi gli scalini due alla volta, andai in garage, montai in groppa al mio fido destriero, una femmina per la verità, un’Atala 24 giallo oro, con cambio a tre marce e raggiunsi i miei compagni.
“Alla buon’ora, Pietro! Stavamo per rassegnarci ad andare da soli!” Disse Sergetto non appena mi vide.
“Che casino hai combinato su in casa? Oltre alle urla, mi sembra di aver udito il rumore della tua zucca vuota che sbatteva contro qualcosa di duro!” Fece eco Tonino con tono di scherno.
“Andate a fare in culo tutti e due!” Li insultai. Però a voce bassissima, mica ero scemo del tutto!
“Pietruccio! Non devi dire le parolacce, altrimenti Gesù bambino piange!” Mi canzonò Tonino.
“Potresti ritrovarti all’inferno con tutte le scarpe, o potrebbe sentirti tuo padre, che è ancora peggio! Almeno all’inferno non ti mena nessuno!” Aggiunse Sergetto ridendo.
Mostrai loro il mio piccolo dito medio alzato e schizzai via a rotta di collo, pigiando forte sui pedali. Tagliammo a fette le strette vie del paese, rigorosamente contromano, tanto a quell’ora, di domenica e d’estate, il Deserto dei Tartari era sicuramente più affollato. Percorremmo a tutta birra sia le discese che le salite; ma non i tratti in piano, per il semplice motivo che non c’erano. Un cazzo di paese abbarbicato su uno sperone di tufo senza un metro di strada piana; c’era da farsi il culo sulle biciclette, mica scherzi!
Due minuti dopo eravamo sul luogo dell’appuntamento: Sotto Porta, appunto, che poi altro non era che l’unica porta di accesso e di fuga del nostro borgo. Il resto della banda era già li ad attenderci. Ma a ben guardare i conti non tornavano: tre persone e soltanto due biciclette. Decisamente non tornavano!
“Ciao raga'!” Li salutai.
“Ciao Pietro!” Risposero in coro.
“Be’? Che succede? Chi è rimasto senza cavallo?” Chiesi.
“Io!” Rispose timidamente Giovanni, detto Bomba, perché assomigliava sputato alle bombe degli aerei della seconda guerra mondiale: testa piccola, quasi sprovvisto di orecchie, spalle strette e leggermente cadenti, poi pian piano si allargava, fino all’enorme pancione, dove la circonferenza diventava davvero esagerata; scendendo andava di nuovo restringendosi e si arrivava a due piedi anch’essi enormi e piatti, quasi sempre aperti a centottanta gradi. La fotografia di una bomba appunto.
“Ma che sei deficiente? Dobbiamo fare quattro chilometri per arrivare al fiume e tu ti presenti senza la bici?” Lo rimproverò Tonino che era sempre pronto all’incazzatura.
“Non ho potuto prenderla! Mica l’ho detto a mia madre che andavamo al fiume, se no col cavolo che mi ci mandava! Dice sempre che è pericoloso e che ogni anno ci affoga qualcuno.” Si difese Bomba.
“Amore di mamma, allora era meglio se rimanevi a casa; tanto stai pure appiedato!” Lo canzonai.
“Tua madre deve essere una sparapalle come te, Bomba! Ecco da chi hai preso! Ma ti pare che se era vero non lo dicevano al telegiornale?” Obiettò Sergetto; anche se non troppo convinto. Lui era un pauroso per natura e quel discorso non è che gli andasse troppo a genio.
“Mia madre non è una sparapalle, stronzo!” Protestò Bomba: “E neanche io lo sono! E a quelli del telegiornale sai che gliene frega di qualche morto affogato nel Tevere. Con tutti quei casini che ci sono in giro!”
“Sparapalle! Sparapalle! Sparapalle!” Gli urlammo in coro.
“Te e tua madre!” Aggiunse ancora Sergetto.
“Adesso mi fate incazzare sul serio!” Urlò Bomba facendosi tutto rosso in viso.
Era il momento di darci un taglio, il fiume non poteva aspettarci in eterno, o forse si, eravamo noi a non avere abbastanza tempo. Poi avevamo un problema da risolvere in fretta: sei persone e cinque biciclette; fosse stato il contrario sarebbe stato tutto molto più facile.
“Basta! Smettetela! “ Dissi, “Diamoci una mossa, se no facciamo notte. Ma te, Bomba, come pensi di fare?”
Lui non dovette pensarci neanche un secondo.”Salgo dietro uno di voi!” Rispose tutto felice.
Lui sarà stato pure felice, ma noi col cazzo che lo eravamo. Pesava ottanta chili buoni e scorrazzarlo sulla bici somigliava a una punizione divina.
“Te lo scordi!” Fecero in coro tutti gli altri.
Io non dissi nulla, stavo valutando la situazione. Non mi andava di lasciarlo a casa. Certo non volevo neanche essere io a trasportarlo, ma era simpatico ed era un buon amico. No, non volevo proprio abbandonarlo, dovevo trovare in fretta una soluzione.
Alla fine l’illuminazione arrivò, non un granché, ma ci si poteva stare.
“lo portiamo un po’ per uno. A turno!” Dissi, felice per l’idea che avevo avuto.
“Tu hai svinato!” Disse Schizzo impaurito,”Lui pesa tre volte me, mi dici come cazzo posso farcela?”
Era vero, Schizzo era un fringuello spennato. Faceva si e no una trentina di chili, dai quali andavano sottratti un paio di chili per gli occhiali: due culi di bottiglia tenuti insieme da una montatura di ferro battuto e altri cinque chili di naso. Una proboscide spaventosa, imbarazzante persino per un elefante. Noi lo prendevamo spesso per il culo, per via di quell’attrezzo smisurato, ma lui niente, imperturbabile come una roccia.
“Occhéi,” Dissi,”Schizzo è fuori. Il passaggio glielo diamo noi quattro, come i quattro dell’Ave Maria!”
“Ave Maria tua sorella, Pietro! Questo bisonte te le fa dire le Ave Marie, se te lo devi tirare dietro!” Rispose Tonino preoccupato. Ma, in fondo, non più di tanto.
“Allora facciamo così, ma non voglio sentirvi più, perché o portiamo anche Bomba, oppure non vengo neanche io. Il viaggio di andata me lo faccio io, da solo, tutti e quattro i chilometri, tutti di un fiato. Al ritorno non mi rompete i ciglioni e fate a turno voi tre! Poco più di un chilometro a testa. Che sarà mai!” Era la mia ultima offerta, prendere o lasciare.
“Certo, che sarà mai! Tutt’al più ci viene l’ernia! E che sarà mai!” Rispose Andrea, detto il Tasso, l’ultimo della banda; quello che si lavava soltanto quando si andava al fiume.
Li guardai fisso in viso tutti e tre e tutti e tre annuirono. L’accordo era stato raggiunto. Si poteva partire.
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myborderland · 8 months
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[...] Le vacanze gli sembrano normali, per tutti. Non sa quanto costa questa normalità, la colpa che sento verso mia madre. Mi ha educata al sacrificio [] Ho disubbidito e sono colpevole per ogni felicità gratuita. Per ogni volta che non ci devo sputare sangue.
Mia madre è un fiume
 Donatella Di Pietrantonio
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leloupbrun · 1 month
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La goccia che ha fatto traboccare il vaso alla fine era un fiume in piena
Ho vissuto una prima parte della relazione con l’ombra costante di uomini definiti “solo amici” che più o meno velatamente puntavano a qualcosa di ben oltre l’amicizia. Innamorato senza riserve come ero all’epoca, chiusi sistematicamente entrambi gli occhi, avendo come unica richiesta quella di non essere bombardato di informazioni riguardanti queste persone o le attività che lei facesse con loro.
Questa costante richiesta più o meno implicita di approvazione maschile, insomma questa necessità di avere quei due o tre simp intorno che la facessero sentire desiderata, iniziò a scemare con il tempo.
Di alcuni amici riuscì a farmene una ragione o a capire che davvero non avessero intenzioni maliziose, altri si auto-eliminarono quando capirono che non avevano davvero chances. Ma ci fu il ricambio generazionale.
L’idea che permettesse a chiunque di scriverle e instaurare un rapporto con lei era qualcosa che dovevo accettare a prescindere, perché lei era solo “compagnona” e “dovevo fidarmi”. E poco potevo farci se questi palesemente erano interessati a lei, perché d’altronde “conta solo che non sia interessata io”. Fa niente se passassero serate insieme in mia assenza e io trascorressi quelle sere a chiedermi quanto il loro rapporto si stesse stringendo e quanto ci avrebbero messo a provare ad affondare il colpo come d’altronde avevano fatto quasi tutti prima di loro.
Sono stato accusato di essere un insicuro, che non si fida, che “non vuole sapere nulla delle cose che la rendono felice se ciò coinvolge altre persone”. Come se non avesse piena libertà di parlarmi di chiunque fosse nella sua vita.
La goccia, il fiume, è stato questo: mi ha detto che non poteva più accettare che non volessi sentire parlare di persone che si sono palesemente messe in mezzo tra me e lei. Che non voleva vedersi tra 1, 5 o 10 anni con questo problema di mezzo.
Così ho capito. Era davvero così.
Anche io non potevo vedermi tra 1, 5 o 10 anni in compagnia di una persona, che a quel punto sarebbe stata madre dei miei figli, incapace di stabilire dei confini di fronte a uomini che in maniera più o meno diretta vogliono introdursi nella sua vita dalla porta principale.
Non posso vedermi tra 1, 5 o 10 anni con qualcuno che valuta l’idea di potermi parlare delle sue attività con questi cosiddetti “amici”, persone che conosce da un mese, più importante dell’uomo con cui vuole passare il resto della sua vita.
Dal mio lato, c’è stata una singola persona che involontariamente è stata messa in mezzo tra me e lei.
Una ragazza che abita nel mio stesso palazzo, conosciuta un anno fa, per cui ho sempre espresso un disinteresse sia sentimentale e fisico, con cui avrei volentieri fatto un aperitivo ogni tanto sfruttando la vicinanza ed un buon feeling con lei.
Penso sia superfluo dire quale fosse la reazione della protagonista di questo racconto all’idea che frequentassi quest’unica persona di sesso femminile che potesse avere un interesse mai confermato nei miei confronti: penso basti dire che, pur abitando a due piani di distanza, l’abbia vista quattro volte in 12 mesi, di cui due quando ero ormai single.
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zenopagliai · 2 months
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Credo che ormai si debbano prendere provvedimento drastici riguardo le identità di chi scriva sul Web.
Basta Nikname, basta pseudonimi, basta nomi di fantasia !Il nome di chi scrive sul Web deve apparire chiaramente su ogni post allo scopo di responsabilizzare direttamente gli scriventi.La tragedia di Giovanna Pedretti, la ristoratrice che si è tolta la vita dopo una recensione negativaLa storia di Giovanna Pedretti, la titolare della pizzeria Le Vignole di Sant’Angelo Lodigiano, ha scosso l’opinione pubblica e sollevato interrogativi sul ruolo dei social media e della cattiva informazione nella vita delle persone.Chi era Giovanna Pedretti e cosa è successo .
Giovanna Pedretti era una ristoratrice di 45 anni, madre di due figli, che gestiva insieme al marito Nello la pizzeria Le Vignole, un locale noto per le sue iniziative di solidarietà verso i poveri e i disabili. Il 14 gennaio 2024, il suo corpo senza vita è stato ritrovato nelle acque del fiume Lambro, vicino al suo ristorante. L’ipotesi più accreditata è quella del suicidio, anche se la procura di Lodi ha aperto un’inchiesta per accertare le cause della morte. La tragedia di Giovanna Pedretti è legata a una recensione negativa che era apparsa sul suo profilo Facebook il 10 gennaio, in cui un utente anonimo si lamentava della presenza di gay e disabili nel suo locale e la accusava di essere una “falsa benefattrice”. Giovanna aveva risposto con fermezza e orgoglio, difendendo i suoi clienti e i suoi valori, e ricevendo il sostegno di molti altri utenti. Tuttavia, nei giorni successivi, alcuni organi di stampa e alcuni influencer avevano messo in dubbio l’autenticità della recensione, ipotizzando che si trattasse di una “operazione di marketing” orchestrata dalla stessa Giovanna per farsi pubblicità. Queste accuse avevano scatenato una serie di commenti offensivi e minacciosi nei confronti della ristoratrice, che si era sentita umiliata e isolata.Le reazioni e le riflessioni sul casoLa morte di Giovanna Pedretti ha suscitato una grande commozione e una forte indignazione tra i suoi familiari, i suoi amici, i suoi clienti e i suoi colleghi. Molti hanno espresso il loro cordoglio e la loro solidarietà, ricordando la sua generosità e la sua passione per il suo lavoro. Alcuni hanno anche organizzato una fiaccolata in sua memoria e una raccolta fondi per sostenere la sua famiglia.Allo stesso tempo, il caso ha sollevato una serie di riflessioni e di critiche sul ruolo dei social media e della cattiva informazione nella vita delle persone. Molti hanno denunciato la facilità con cui si possono diffondere notizie false e calunnie, senza verificare le fonti e senza rispettare la dignità e la reputazione altrui. Molti hanno anche evidenziato i rischi e le responsabilità che comporta l’uso dei social media, sia da parte di chi li usa per esprimere le proprie opinioni, sia da parte di chi li usa per informarsi. Alcuni hanno anche chiesto una maggiore regolamentazione e una maggiore vigilanza sulle piattaforme digitali, per prevenire e contrastare i fenomeni di cyberbullismo, di hate speech e di fake news.Conclusioni e invito ai lettoriLa storia di Giovanna Pedretti è una storia tragica e dolorosa, che ci interpella tutti come cittadini e come utenti dei social media. Ci ricorda che le parole hanno un peso e che le notizie hanno delle conseguenze. Ci invita a essere più attenti e più critici nel valutare le informazioni che riceviamo e nel comunicare le nostre opinioni. Ci esorta a essere più rispettosi e più solidali verso gli altri, soprattutto verso chi è diverso da noi o chi ha bisogno di aiuto.Gentile lettore, commenta questo articolo. Il parere altrui è sempre necessario per fare meglio il punto, grazie. Se vuoi saperne di più su queste avventure nel mondo digitale, ti invito a leggere i miei articoli sul blog: www.pittografica.it.Non dimenticare di seguirmi sulla mia pagina: FB: https://www.Facebook.com/pittografica
Un caro saluto, Zeno.
Ricerche eseguite dal dott. Zeno su fonti ritenute affidabili: [https://www.pittografica.it/fonte-delle-informazioni/
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