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#Il Ragazzini dizionario
affascinailtuocuore · 3 years
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Nuovi significati per parole vecchie, al tempo del Covid: LANGUISHING nel monologo COME MI SENTO? BOH, di Stefano Massini. Ma che vuol dire?
Nuovi significati per parole vecchie, al tempo del Covid: LANGUISHING nel monologo COME MI SENTO? BOH, di Stefano Massini. Ma che vuol dire?
    Cambridge Advanced Learner’s Dictionary– da To languish: to exist in an unpleasent and unwanted situation, often for a long time. Il Ragazzini 2007–To Languish: Languire, venir meno, infiacchirsi, struggersi.     Le due definizioni si integrano perfettamente nel monologo  “Come mi sento? Boh” – Il racconto di Stefano Massini (la7.it) In questo lungo periodo COVID ci sentiamo proprio…
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34 anni, fidanzato, solo.
Quando avevo 20 anni mi immaginavo la mia vita quando avrai fatto 30 anni e gli avrei passati.
Ero sempre in questa condizione, nessun amico vero e al massimo qualche conoscente, ma nulla di importante.
Non sono mai stato bravo con le persone, fin da bambino son sempre cresciuto avendo difficoltà nei rapporti, essendo sempre quello in una posizione sociale favorevole, il più piccolo, il più basso, o il più "sfigato".
I miei genitori sono dei burberi, persone cresciute in campagna, con mentalità abbastanza chiusa e ridotta, con poche sfumature e "pochi colori", con dei modi di fare veramente grotteschi. Un po' come un immagine a 256 colori.
Da piccolo avevo una fortissima fantasia, immaginavo sempre tante situazioni tante cose strane mosche giganti contro dei palazzi situazioni abbastanza surreali e avevo una fantasia che si autoalimentava. Non ricordo bene come mi sentivo in generale, ho rimosso/sepolto un po di cose.
Con la scuola però ricordo che poi invece è cambiato tutto: questo nuovo mondo in cui non era solo solita storia tra me e gli altri miei 2 amichetti vicini di casa, gira il mondo là fuori e incomincia va a farsi seria la questione, e nessuno mi ha mai spiegato ho aiutato a trovare un equilibrio durante qui momenti di sconforto quando tornavo a casa, quando non capivo che cosa stava succedendo o perché i miei compagni di scuola avessero fatto una qualsiasi cosa in gruppo, giochi scherzi eccetera.
L'unica cosa che notavo era che io ero sempre escluso, ero trattato come i bambini trattano i loro compagni di classe disagiati, handicappati.
E non capivo perché.
Poi tornavo a casa, e a scuola non avevo "fatto tutto", Come mi diceva mia mamma con tono minaccioso, e in quel momento mi sentivo come se fossi in un interrogatorio di quinto grado in cui sei così sotto pressione che anche se fossi stata una scimmia avrei risposto sì ho fatto tutto.
Ovviamente non era vero, non avevo la testa per stare dietro alle elezioni e alla scuola, dovevo stare attento ai miei compagni di classe e difendermi. Ma che ne sanno due burberi e grotteschi operai non si capisce nemmeno perché si siano sposati, quali erano i miei genitori.
Tornare a casa virgola alla fatidica domanda "Hai fatto tutto a scuola?" Rispondevo "Sì" con il terrore negli occhi, loro scoprivano che non era vero, e giù botte.
E così fino alle superiori. Elementari 5 anni, scuole medie 3 anni, superiori 5 anni. E relativi periodi estivi.
Alle superiori poi la stessa storia fino alla Terza circa, Con la differenza che le difficoltà si erano quintuplicate rispetto alle medie.
Ricordo come se fosse ieri i miei primi 2 giorni alle superiori.
Il primo giorno, non trovo la classe(le aule avevano i numeri, indicati sui un tabellone all'entrata) , e arrivo in classe un po in ritardo (come detto resto tutta la mia vita) e prendo il primo posto che vedo libero: davanti, di fianco alla ragazza down, io vestito come un coglione con una camicia a quadri tipo scozzese infilata dentro i jeans, e di un'ingenuità spiazzante, di fronte a una classe di ragazzini provenienti da vari paesini della romagna, tutti già fighettati, truccati, fighi e belli da vedere, che non giocavano più coi Lego e le bambole da almeno 7 anni. Il che, agli occhi di un gruppo di ragazzini fighetti si traduce con un solo semplice termine: "sfigato". Questo ho sentito quel pensiero echeggiare nelle loro menti come campane.
Uno dei maschi, che che negli anni successivi si è rivelato essere il mio peggior incubo, mi disse testuali parole: " Se vuoi domani vicino a noi". In un secondo mi è tornata in mente in quel momento, quel pomeriggio alle elementari all'uscita del rientro pomeridiano in cui io ero rimasto terrorizzato dalla attraversare un parcheggio dove avevo visto dei ragazzi(piu grandi) rincorrersi (x scherzo, ovviamente, ma l'ho capito anni e anni dopo) proprio nel parcheggio davanti a un bar che da bambino mi avevano detto è inculcato l'idea che girasse la DDRROOOOGAAAAAAHHHHH. Rimasi così terrorizzato che non riuscivo a muovere un passo oltre il marciapiede davanti a scuola virgola al punto che mia madre quando è uscito al lavoro alle 18,00 non trovandomi a casa Vieni a cercarmi e mi provò davanti a scuola ancora in panico. Ovviamente gridandomi perché non ero tornato a casa e si era preoccupata, con una serie di rimproveri e sberle. Hai presente quel calore materno, umano ed empatico? Io no.
Tornando alle superiori, in eureka classe, il primo giorno, alla domanda del bullo "domani vuoi sedi qui con noi?" Mi è sembrata una situazione così strana è pericolosa come quella volta credo di aver risposto una specie di "uhm ok, g-g-graz-z-zie" praticamente quasi balbettato.
Ovviamente il giorno dopo non c'era nessun altro posto libero all'infuori di quello dove mi ero seduto il giorno prima. E lì ho pensato, e mi ricordo benissimo, "oh no, altri 5 anni così! Ancora!". Terribile.
E così arriviamo in 3a, motorino, 16 anni, giorno dei compleanni tristissimi.
Da un paio d'anni mi rifugiavo nelle chatroom: a quei tempi, non esistevano Facebook, instagram, i social, fashion blogger, WhatsApp, i cellulari avevano ancora tutto i tasti, prima che Google diventasse un colosso.
Che ricordi...: ci si scriveva ancora con gli sms usando il dizionario T9, ci si faceva gli squilli per far sapere a quella persona che la stavi pensando. O per scherzo. Che poi, non è che scrivevo così tanti messaggi, e a chi li dovevo mai scrivere... che tanto avevo un giro di amicizie tendente a zero?
E allora, mio fratello, forse per compassione, forse per cercare di aiutarmi, da bravo nerd mi installò un programma per chattare, il maledettissimo "C6".
Prova, interagisci, "ciao", nessuna risposta, entra nelle "room", niente di concreto.
Poi ho cominciato a cercare su Virgilio.it altre chat, e ho trovato Jumpy.it con la sua chat libera, dove c'era la stanza "Bologna", che comprendeva tutta la Romagna. Pervertita e non.
Dopo vari mesi, che si parlava con le stesse persone, si decide di incontrarci tutti, a Bologna.
Io, sedicenne, ci vado con mio fratello più grande.
Serata carina, trovo anche da limonare con una tipa. Ma, l’inesperienza, forse era la prima tipa “mordi e fuggi”? Chi si ricorda adesso a 34 anni...
Potevo anche portarmela in bagno a chiavare, niente, non ci sono arrivato.
Troppo ingenuo.
Però ho capito che poteva essere una cosa proprio figa!
Qualche mese dopo mi sono trovato una morosina. Tenuto nascosto fino all’ultimo, fino a quando non mi è scappato di fare un disegno per una materia.
Tralasciando i particolari, siamo stati assieme per qualche mese, e con lei ho scoperto la bellezza e l'arte del cunnilingus :)))
Ma non voleva andare oltre... Sì "agitava"... Avevo una fotta e un cazzo duro come il cemento quando dicevo turbare a casa mia.
Pazienza, ci lasciamo. Avanti con la solita vita di prima per un po'. C6, pomeriggi interi a non fare un cazzo davanti al PC.
Poi all'improvviso mi contatta una tipa. Sembrava ok, ci incontriamo. Lei abitava a Rimini. Jennifer. Jenny nei miei ricordi.
Come Forrest Gump, lo sfigato ingenuo e la tipa di città con milioni di amicizie. Che paura. Ci vediamo ogni tanto ma non facciamo niente. Mi porta su in casa, in camera a porte chiuse ma io non so neanche dove mettere le mani. Neanche come fare l'intro iniziale pre-flirt.
E poi la vita che per una volta che avevo trovato un po' di serenità, mi gioca un bruttissimo scherzo.
Su C6, quel maledetto C6, mi fa incontrare una metallara.
Ci incontriamo e io per piacerle mi incomincio a travestire da darkettone. Tutto nero, giacchetto di pelle, anfibi. Così dal giorno alla notte.
Un giorno, che non me lo dimenticherò mai. Un po'per la cazzata che ho combinato, ma soprattutto per la delusione che ho dato, a me, e alla Jenny.
Fatto sta che ero con la mucca, e Jenny mi scrive. Per fare il figo esclamo "ma che cazzo vuole questa?".... Merda, non l'avessi mai detto. La mucca &Friends mi convincono a chiamarla e infamarla. Perché ora io sto con loro. Ora io ero in metallaro. Yeah, e fanculo tutto. Ero roba loro.
Ed io indovinate un po', da bravo coglione pirla sfigato e suscettibile cagnolino del male... l'ho chiamata e infamata.
Mi sentivo una merda, ero fra incudine e martello. Se non lo facevo la ciurma mi avrebbe escluso - o menato? - seduta stante.
Se lo facevo perdevo l'unico punto luce da quando ho incominciato la carriera scolastica. Ho scelto l'incolumità immediata in quel momento.
Dio cosa ho fatto. Se ci penso mi vien da piangere.
Qualche settimana dopo, in queste modo, e in totale finto menefreghismo merdallaro non ci pensavo già più. Mi avevano già dato lo zucchero filato quegli altri. La mucca la figa, e il gruppo l'appartenenza.
Avanti.
A scuola è stato un trauma. Come se già non lo fosse. Ma avevo l'approvazione della tipa. Tra l'altro una bionda liscia di 90kg per 1,70 cm, con una 6a di tette.
Età un tipo. Un tipo di mucca!
E con lei la prima chiavata, a 16 anni.
I capelli si allungavano, il tempo passava. Io ero sempre con lei, scopavamo e basta praticamente. A parte quando uscivamo con gli altri ragazzetti "alternativi", mi sentivo cool. O quando non giravamo in 2 in scooter - il mio - fra Covignano(collina) e Rimini.
Jenny non era già più nella mia vita, nella mia mente.
Ma tanto ero in un gruppo, ero accettato, ero alternativo - quindi fico(in realtà ero un cesso puzzone) e bevevo... Yeah. Autostima a sprazzi a mille, e quando ero da solo a zero.
Con la tipa scopavo tutti i weekend. A casa dei miei. Un miracolo se non è rimasta incinta. Devo dire che la scopavo veramente come un toro. Una cosa di me che non conoscevo.
Tutto questo, finché i miei compagni non hanno scoperto chi fosse, o cosa fosse, o che "tipo" fosse. E via! Giù di altra carne al fuoco. Tanto ormai...
Una volta poi, ho scoperto al Dylan Dog pub, uno dei posti più lozzi della Romagna, gli shortini di Southern Comfort.
Maledetto liquore dolciastro simil wishkey. Acido muriatico zuccherato.
E ho incominciato a comprarmi la bottiglia direttamente, ci soldi della paghetta. Me le tenevo in camera. E la bevevo di nascosto.
Se prima non avevo uno scopo nella vita, figurati in quel periodo.
Ho iniziato a metterla nelle bottiglie del thè alla pesca, perché quel liquore aveva lo stesso colore.
Poi i miei compagni mi hanno frugato nello zaino e l'han portata al prof, con relativa sua delusione. E relativo senso di inutilità e fallimento mio.
[In aggiornamento...]
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sonosole · 7 years
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Ignoranza e pregiudizio.
Oggi mi sono imbattutta in una discussione molto animata su Facebook. Generalmente non prendo parte a discussioni online ma ho deciso comunque di esprimere la mia opinione. Il post era una semplice foto postata da un ragazzo gay della mia città che mostrava il significato della parola "amore" su un dizionario del 2006 della lingua italiana. Il significato diceva: "amore: inclinazione affettuosa dell'animo verso persona o cosa cui si vuole bene | sentimento profondo che lega due persone di sesso DIVERSO ecc...". Questo ragazzo si sentiva molto sconsolato da quella definizione da quel che ho capito. Sono cominciati i commenti solidali nei suoi confronti ma poi è subentrato un ragazzo. Definirlo omofobo sarebbe un complimento! Definiva gli omosessuali malati e da curare e con disturbi mentali. Io sono rimasta basita da tanta ignoranza! Il senso del post di questo ragazzo era un altro! Tutte le persone stavano analizzando l'aspetto morale del post in questione! Giustamente! Questo ragazzo invece se n'è uscito con i soliti discorsi che l'omosessualità è contro natura e che tutti noi siamo nati da un uomo e da una donna! È vero che siamo nati da un uomo e da una donna! Su questo non ci piove ma l'atto sessuale non ha niente a che vedere con un sentimento d'amore provato nei confronti di una persona. La gente deve imparare a stare al passo con i tempi! Fortunatamente ci siamo evoluti e se ci sono discriminazioni è solo colpa della gente ignorante come questo soggetto. Ricordiamoci sempre che l'omosessualità è presente in tantissime specie animali e inoltre Omero narra scene di atti sessuali tra Patroclo e Achille come cose normalissime! Infatti nell'antica Grecia, l'amore era libero e andare a letto con una persona dello stesso sesso era all'ordine del giorno! Aprite la mente! È per colpa di persone come voi che i ragazzini si suicidano e vivono un'adolescenza tra pregiudizi e discriminazioni!
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marcoleopa · 7 years
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2017: analfabetismo Italia
http://www.lavocedinewyork.com/arts/lingua-italiana/2016/03/28/analfabetismo-italiano-e-la-repubblica-fondata-sullignoranza/
Tullio De Mauro è il più autorevole linguista italiano. De Mauro ha insegnato linguistica  in diverse università italiane e ha diretto il Dipartimento di Scienze del Linguaggio nella Facoltà di Filosofia, e successivamente il Dipartimento di Studi Filologici, nella Facoltà di Scienze Umanistiche dell’Università la Sapienza di Roma. Già ministro della pubblica istruzione (aprile 2000-giugno 2001, governo Amato), ha presieduto la Società di Linguistica Italiana (1969-73) e la Società di Filosofia del Linguaggio (1995-97). Nel novembre 2006 ha contribuito alla fondazione dell’associazione Senso Comune per un progetto di dizionario informatico, di cui è tuttora presidente. È socio ordinario dell’Accademia della Crusca, e dal novembre 2007 dirige la Fondazione Maria e Goffredo Bellonci. De Mauro presiede il comitato direttivo del Premio Strega. Ha scritto moltissimi libri, tra i quali il recente Storia linguistica dell’Italia repubblicana (Laterza, Bari 2014).
Professor De Mauro, nel 2010 aveva condotto uno studio sull’analfabetismo in Italia.  Ci fa il punto sui  dati raccolti allora, sulle novità e come si dividono?
“Da molti anni, perlomeno dalla Storia linguistica dell’Italia unita del 1963, ho cercato di raccogliere dati sull’analfabetismo strumentale (totale incapacità di decifrare uno scritto) e funzionale (incapacità di passare dalla decifrazione e faticosa lettura alla comprensione di un testo anche semplice) e ho cercato di richiamare l’attenzione dei miei illustri colleghi sul peso che l’analfabetismo ha sulle vicende linguistiche e, ovviamente, sociali in Italia. Avevamo dati sull’analfabetismo strumentale, ma per l’analfabetismo funzionale avevamo solo sondaggi parziali e ipotesi, a elaborare le quali abbiamo lavorato a lungo in diversi, ricordo qui almeno e soprattutto il professor Saverio Avveduto a lungo presidente dell’UNLA (Unione Nazionale per la Lotta all’Analfabetismo). Dai tardi  anni novanta dello scorso secolo per merito di Statistics Canada (il centro statistico nazionale canadese) sono state promosse accurate indagini comparative e osservative su estesi campioni statistici delle popolazioni per determinare  diversi gradi di analfabetismo nei diversi paesi del mondo. Già nel 2005 ho potuto utilizzare questi dati. Nel 2014 è giunta a compimento la terza indagine comparativa internazionale gestita dall’OCSE (l’Organizzazione di cooperazione e sviluppo economico).  L’indagine è chiamata PIAAC, Programme for International Assessment of Adult Competencies), e per quasi trenta paesi del mondo, tra cui l’Italia,  ha definito cinque livelli di alfabetizzazione in  literacy e numeracy delle popolazioni  in età di lavoro (16-65 anni), dal livello minimo di analfabetismo strumentale totale, a un secondo livello quasi minimo e comunque insufficiente alla comprensione e scrittura di un breve testo, ai successivi tre gradi di crescente capacità di comprensione e scrittura di testi, calcoli, grafici.   Dati analitici sul nostro e altri paesi possono trovarsi in un mio libro più recente, Storia linguistica dell’Italia repubblicana (Laterza, Bari 2014). Qui il nostro focus è l’Italia. Come in Spagna il 70% della popolazione in età di lavoro si colloca sotto i due primi livelli. Soltanto un po’ meno di un terzo della popolazione ha quei livelli di comprensione della scrittura e del calcolo dal terzo livello in su che vengono ritenuti necessari per orientarsi nella vita di una società moderna. Ma il fenomeno ha gravi dimensioni in tutti i paesi studiati anche se nessuno raggiunge i livelli negativi di Italia e Spagna. Più della metà della popolazione è in condizioni che potremmo dire “italo-spagnole” negli USA e (a decrescere), in Francia, Gran Bretagna, Germania ecc. Perfino in paesi virtuosi, per eccellenza dei sistemi scolastici e diffusione della lettura, si trovano percentuali di analfabeti prossime al 40%: così in Giappone, Corea, Finlandia, Paesi Bassi.
Il problema dunque, pur a diversi livelli di gravità, non è solo italiano. Anche dopo avere acquisito buoni, talora eccellenti livelli di literacy e numeracy in età scolastica, in età adulta le intere popolazioni sono esposte al rischio della regressione verso livelli assai bassi di alfabetizzazione a causa di stili di vita che allontanano dalla pratica e dall’interesse per la lettura o la comprensione di cifre, tabelle, percentuali. Ci si chiude nel proprio particolare, si sopravvive più che vivere e le eventuali buone capacità giovanili progressivamente si atrofizzano e, se siamo in queste condizioni, rischiamo di diventare, come diceva Leonardo da Vinci, transiti di cibo più che di conoscenze, idee, sentimenti di partecipazione solidale”.
L’analfabetismo fa credere che la realtà sia diversa da quella vissuta. Quali sono i problemi che il nostro paese affronta a causa dell’inconsapevolezza dei cittadini?
“I problemi sono molti. Mi limiterò qui a ricordare solo quel che illustri economisti come Luigi Spaventa o Tito Boeri hanno spiegato: il grave analfabetismo strumentale e funzionale incide negativamente sulle capacità produttive del paese e, a loro avviso, è responsabile del grave ristagno economico che affligge l’Italia dai primi anni novanta”.
Qual è la percentuale degli italiani che ha una comprensione dei discorsi politici o che capisca come funzioni la politica italiana?
“È certamente inferiore al 30%”.
Secondo Socrate “c’è un solo bene: il sapere. E un solo male: l’ignoranza”. Oggi si combatte l’analfabetismo altrui oppure si usa come arma di sfruttamento per arrivare al potere?
“Purtroppo l’analfabetismo è oggettivamente un instrumentum regni, un mezzo eccellente per attrarre e sedurre molte persone con corbellerie e mistificazioni”.
Qual è la percentuale degli italiani che ha comprensione dei vocaboli ambigui e di locuzioni straniere usati dai politici e dalla TV?
“All’interno del 30% di meglio alfabetizzati solo una percentuale modesta ha una buona conoscenza di lingue straniere e di linguaggi tecnico-scientifici. In attesa di indagini mirate e specifiche, che stiamo avviando, si può ipotizzare che solo il 10% della popolazione in età di lavoro capisce bene tecnicismi e forestierismi”.
Secondo Lei il governo italiano fa abbastanza per il mantenimento e l’insegnamento della lingua italiana all’estero?
“Ci sono da qualche tempo molte buone intenzioni, ma scarseggiano iniziative di sostegno paragonabili a quelle delle istituzioni pubbliche che promuovono lo studio delle lingue di altri paesi. British Council, Cervantes, Centre culturel français, Confucio, Japan Foundation, Goethe…. La Dante Alighieri ha nome analogo ad alcune grandi ed efficienti istituzioni straniere, ma, anche se con un  po’ di finanziamenti pubblici, è lontana per struttura e natura dal poter assolvere ai compiti della complessiva promozione della lingua e cultura dell’Italia fuori di Italia. Di più potrebbero fare i nostri Istituti di cultura se fossero più numerosi nel mondo e ben sostenuti da finanziamenti statali.  Resta da sperare (e a mio avviso non è poco) nel faidatè dei milioni di italiani e oriundi italiani sparsi nel mondo”.
http://www.corriere.it/scuola/universita/17_febbraio_04/gli-studenti-non-sanno-l-italiano-denuncia-600-prof-universitari-3db50faa-eb16-11e6-ad6d-d4b358125f7a.shtml
Possibile ritrovarsi a correggere una tesi di laurea dovendo usare la matita rossa e blu come in un temino della scuola elementare? Purtroppo sì. Basta leggere alcune delle testimonianze drammatiche dei 600 professori universitari che in pochi giorni hanno sottoscritto un accorato appello al governo e al Parlamento per mettere in campo un piano di emergenza che rilanci lo studio della lingua italiana nelle scuole elementari e medie. Ripartendo dai fondamentali: «dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi grammaticale e scrittura corsiva a mano». Può sembrare un ritorno indietro ma, come spiega Giorgio Ragazzini, uno dei quattro docenti di scuola media e superiore del Gruppo di Firenze che hanno promosso la lettera, «forse stiamo risentendo anche di una svalutazione della grammatica e dell’ortografia che risale agli anni 70». E invece, come già si diceva in un film diventato di culto dopo gli anni del riflusso, «chi parla male pensa male». O, come preferisce ricordare il professor Ragazzini citando Sciascia, «l’italiano non è l’italiano, è il ragionare».
Errori da terza elementare
«E’ chiaro ormai da molti anni che alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente - si legge nella lettera -. Da tempo i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare. Nel tentativo di porvi rimedio, alcune facoltà hanno persino attivato corsi di recupero di lingua italiana». La notizia non è nuova, ma non per questo è meno drammatica. Anche dall’ultimo rapporto Ocse-Pisa che misura le competenze dei quindicenni di mezzo mondo i nostri ragazzi sono usciti con le ossa rotte. E a sorpresa è soprattutto in italiano che andiamo male. Con buona pace della stanca retorica anti-crociana. Dal 2000 a oggi non abbiamo recuperato mezza posizione, mentre in matematica, dove pure eravamo molto più indietro, abbiamo fatto enormi passi avanti.
Cosa vuol dire «penultima»?
Tra i firmatari della lettera si contano (al momento) 8 accademici della Crusca, quattro rettori, il pedagogista Benedetto Vertecchi, gli storici Ernesto Galli della Loggia, Luciano Canfora e Mario Isnenghi, e poi filosofi (Massimo Cacciari), sociologi (Ilvo Diamanti), la scrittrice e insegnante Paola Mastrocola, da sempre in prima linea per una scuola severa e giusta (giusta anche perché severa), matematici e docenti di diritto, storici dell’arte e neuropsichiatri. Tutti uniti nel denunciare la condizione di semi-analfabetismo di una parte degli studenti universitari. Come racconta bene questa testimonianza di uno dei firmatari: «Mi è capitato di incontrare in treno una studentessa che non sapeva quale fosse la “penultima” lettera del codice di prenotazione del suo biglietto».
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giovannivolpeit · 7 years
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