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#Gioventù senza Dio
gregor-samsung · 2 months
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“ Fuori continuano a sfilare, genitori e bambini. Ma perché diavolo B è venuto a trovarmi? “Perché non sfili anche tu?” chiedo. “È pure il tuo dovere.” Sogghigna. “Mi sono dato ammalato.” I nostri sguardi s’incontrano. Ci capiamo, dunque? “Non ti tradirò,” dico. “Lo so.” Che cosa sai? penso. “Non mi piace più sfilare e neppure mi va questa storia del comando. Il primo venuto ti riempie la testa di urla semplicemente perché ha due anni più di te. E quei discorsi... sempre gli stessi, pure stupidaggini.” Non posso fare a meno di ridere. “Spero che sarai il solo, in classe, a pensare così.” “Oh, no, siamo già quattro.” “Quattro di già? Da quando?” “Ricorda, professore, quando ha parlato dei negri, in primavera, prima di partire per il campo? Abbiamo tutti firmato che non la volevamo come professore, ma io l’ho fatto dietro comando. Perché lei aveva ragione, naturalmente, per i negri. E poi ce ne sono stati altri tre che si sono espressi nello stesso modo.” “Chi?” “Non lo posso dire, è proibito dal nostro codice.” “Quale codice?” “Abbiamo formato un club. Vi aderiscono altri due, ma non del liceo. Uno è apprendista fornaio, l’altro è un fantino.” “Un club?” “Sì, ci riuniamo settimanalmente, e leggiamo tutto ciò che è proibito.” “Ah, ah!” Che cosa diceva Giulio Cesare? Di nascosto si legge, ma soltanto per riderne. Il loro ideale è il dileggio. Andiamo verso tempi freddi. Domando a B: “Allora vi riunite per ridere di tutto, eh?” “No, l’ironia è severamente proibita dal paragrafo 3. Sì, ci sono dei ragazzi che ridono di tutto, per esempio T, ma noi non siamo di quelli, ci riuniamo per discutere su quello che abbiamo detto.” “E poi?” “E poi parliamo del mondo come dovrebbe essere.” Ascolto. Come dovrebbe essere? Guardo B e rivedo Z. Dice al presidente: “Il professore parla del mondo come dovrebbe essere, non come è.” “
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Ödön von Horváth, Gioventù senza Dio, traduzione di Bruno Maffi, Bompiani, Milano 2003. (Libro elettronico)
[ 1ª edizione originale: Jugend ohne Gott, Amsterdam, 1937 ]
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ciurmastortateatro · 1 year
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dildomentale · 2 months
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Il prete pregava, immerso nel silenzio e quando la luce del sole di mezzogiorno colpì il vetro dell'unica finestra della chiesetta di campagna e la porta si aprì, la vide entrare senza fare rumore, come se camminasse in punta di piedi.
Era una donna giunonica, bellissima e nuda, dai capelli corvini e con uno splendido culo da cui partiva la schiena al cui centro svettava un grosso crocefisso d'oro legato a una catena dello stesso metallo prezioso.
Avanzò a grandi falcate fino all'altare, si mise in ginocchio sul primo gradino tenendosi le mani sulle natiche che aprì come per offrirsi a chiunque volesse goderne.
Qualcosa dentro la testa del prelato gridava che doveva scacciare quella che era sicuramente una Puttana di Babilonia, inviata di Satana, dal tempio.
Ma nello stesso tempo un'altra forza si era impossessata del suo cazzo che dopo decenni ritrovò una piena durissima erezione, mentre le palle gonfie gli facevano un male d'inferno.
La stessa forza lo costrinse ad avvicinarsi alla Puttana di Babilonia, a chinarsi alle sue spalle, sollevare la tonaca e a prendersi il cazzo in mano, per guidarlo verso quel buco che lei offriva oscenamente.
La voce nella sua testa era sempre più flebile, mentre la voglia di affondare l'uccello in quel culo maestoso, pareva avere la forza del mare in tempesta.
Appena accostò la cappella al buco, si sentì risucchiare in quell'antro oscuro, senza forzare le entrò dentro fino alle palle e da lì prese a pompare con tutta la forza che non sapeva di avere.
La teneva strettamente per i fianchi, le sue dita affondavano in quella carne morbida e candida, i suoi colpi erano sempre più violenti, fino a quando esplose.
Sentì defluire lo sperma dalle palle e lungo l'asta, fin dentro la donna che stringeva ancora con mani ferree come se temesse che lei potessi sfuggirgli.
Ma la Puttana di Babilonia non aveva intenzione di scappare, anzi tutto quello che desiderava era sentirlo dentro di se profondamente.
Ma non solo, voleva che lui la riempisse di seme caldo e denso, seme accumulato in lunghi anni di castità, senza eiaculare mai una volta, sempre reprimendo i desideri carnali.
Il prete, volesse o no, le scaricò nel culo una colata di lava bollente e lei attese che la sborrata terminasse e che lui versasse anche l'ultima stilla di sperma.
Respirando a fatica il prete si rialzò, tirando fuori il cazzo da quella stretta prigione, ancora incredulo per quello che aveva fatto, con le gambe che gli tremavano.
La Puttana di Babilonia si girò a guardarlo e lui vide che i suoi occhi fiammeggiavano e un sorriso beffardo era stampato sul suo bellissimo viso.
Il prete in quel momento ebbe come un mancamento, la sua vista si annebbiò e quando riprese a vedere, si accorse di essere rimasto solo nella chiesa.
Era solo o forse non lo era, perché sul pavimento vide che la Puttana di Babilonia aveva perso o aveva lasciato il grosso crocefisso d'oro che prima le pendeva sulla schiena.
Lo raccolse e lo portò con sé nella canonica, raggiunse il bagno, posò il crocefisso sul lavandino e si sfilò la tonaca per controllare lo stato del suo cazzo che sentiva essere ancora barzotto.
Davanti allo specchio si vide riflesso, lo stesso vecchio dal ventre prominente che vedeva quando si spogliava ma con l'uccello che colava sperma.
In quel momento ebbe paura di avere commesso un peccato mortalmente insidioso ma lo sguardo gli cascò sul crocifisso che era stranamente luccicante.
E il gesù inchiodato alla croce d'oro sembrava che gli stesse parlando, anzi gli stava proprio parlando nella testa, con una voce calma e suadente.
Non temere - gli disse gesù - quello che hai appena fatto non è stato per l'opera di Satana, ma è stata la volontà di dio, il signore mio padre.
- Per volontà sua hai sodomizzato e versato il tuo seme dentro quella donna, lui ha voluto che tu ritrovassi la forza della gioventù e godessi di un poco di piacere -.
- D'ora in poi lei verrà a visitare la tua chiesa ogni primo giorno del mese e sarà tua cura riempirla d'amore e seme benedetto, come vuole il signore dio tuo -.
- Nel frattempo questo crocifisso sarà la tua guida e ti aiuterà a trovare le pecorelle da benedire col tuo membro e il suo santo sperma, ti basterà metterlo in mano (il crocefisso, non il membro) a una qualsiasi di loro per capire se è adatta alla benedizione -.
Furono le ultime parole che ascoltò come se fosse in trance e risvegliatosi vide nello specchio che il suo cazzo era tornato piccino come era solito essere da decenni.
Lo risciacquò nel lavandino e si infilò un paio di mutande pulite, poi si rimise la tonaca, nascose in tasca il crocefisso e uscì dalla canonica per tornare in chiesa.
Come sempre era deserta a quell'ora ma mentre pensava malinconicamente a quanta poca gente frequentava la casa del signore, la porta si aprì.
Purtroppo non era, come aveva sperato, la Puttana di Babilonia che tornava ma si trattava di una delle più grandi beghine del paese, una delle poche che regolarmente venivano a messa.
Era una donna di sessant'anni che ai suoi tempi non era stata nemmeno brutta ma che il tempo e il modo in cui si vestiva e si presentava avevano piegato.
La donna si andò a sedere in una panca e il prete come era suo solito, le andò accanto per salutarla e pregare insieme ma come fu seduto al suo fianco, si accorse di avere un'altra potente erezione.
Capì che quel giorno non avrebbero pregato molto e la sua mano andò nella tasca al crocefisso che prese fuori e senza pensare a cosa faceva, lo porse alla beghina.
La donna lo prese automaticamente in mano, nel suo palmo il crocefisso si illuminò e il viso di lei era stravolto, gli occhi fissi sul prete o meglio sul cazzo eretto del prete che aveva rialzato la tonaca per farglielo vedere.
La beghina lo prese in mano e lo strinse forte quasi a fargli male, poi scivolò ai piedi del prete e la sua bocca lo avvolse dello stesso calore che aveva provato poco prima, quando era sprofondato nel culo della Puttana di Babilonia.
Il prete sborrò velocemente in quella bocca servizievole, godendo alla stessa identica maniera di prima ma grugnendo come un porco in calore e la beghina attese fino a quando le sue palle non furono nuovamente svuotare fino all'ultima goccia.
Quando la donna si alzò gli disse - mi benedica padre...il pane e il vino - e gli mostrò la bocca ancora piena di sperma vischioso e il prete si disse che sarebbe stata più precisa se avesse detto il pene e il vino.
Ma fece quello che la beghina gli aveva chiesto e la benedisse strascicando un poco le parole e tenendole una mano sul capo, dopodiché la congedò.
Poi si ricordò del crocefisso e fu preso dal panico finché non vide che la donna lo aveva appoggiato sulla panca da dove lui lo prese e stavolta lo mise al collo.
Era lo strumento che gli aveva donato il signore e perderlo avrebbe voluto dire grandi sciagure e tornare ad aver un cazzetto buono solo per pisciare.
Voleva provarlo con le altre beghine che venivano in chiesa, anzi pensò che avrebbe dovuto fare nuove proseliti e vedere se funzionava anche fuori dal sacro luogo.
Tutto allegro aprì la pesante porta della chiesetta e si incamminò lungo il sentiero che portava al paese dove avrebbe trovato tante pecorelle da redimere, alcune molto più giovani e carine di quelle a cui era abituato.
End
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ambrenoir · 1 year
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I nonni...la nonna
I nipoti sono come un'eredità: li ricevi senza meriti. Senza aver fatto nulla per quello, all'improvviso cadono dal cielo ... Senza dover attraversare i dispiaceri dell'amore, senza gli impegni del matrimonio, senza i dolori della maternità. Un nipote è davvero, sangue del tuo sangue. Con l'età arriva la nostalgia di qualcosa che hai avuto e che è svanito sottilmente insieme alla gioventù. Mio Dio, dove sono andati i figli ? Sono diventati quegli adulti problematici che sono i figli oggi, che hanno suocero e suocera, coniuge, lavoro, appartamento e doveri, non riconosci in alcun modo i tuoi figli perduti. Sono uomini e donne - Non sono più quelli che ricordi. E poi, un bel giorno, senza che ti venga imposta alcuna agonia della gravidanza o del parto, il dottore mette un bambino tra le tue braccia. Completamente gratis. Senza dolore, senza piangere, quel bambino per il quale sei morta di nostalgia, simbolo della tua giovinezza, lungi dall'essere uno sconosciuto, è uno dei tuoi figli che ti viene restituito. E la cosa strana è che tutti riconoscono il diritto di amarlo con stravaganza. Sono sicuro che la vita ci dà nipoti per compensarci per tutte le perdite che derivano dalla vecchiaia. Sono amori nuovi, profondi e felici che arrivano ad occupare quel luogo vuoto e nostalgico lasciato da esplosioni giovanili. E quando abbracci il bambino e lui, ancora addormentato, apre un occhio e dice: "nonna!" il tuo cuore esplode di felicità, come il pane nel forno!
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O bella mia, io vado via
E non ti porto con me
C'è un viaggio che
Ognuno fa solo con sé
Perché non è che si va vicino
Perché un destino non ha
Un mattone vuole esser casa
Un mattino divenire chiesa
Ed il matto che c'è in me
Che si chiede che cos'è
Vuole diventare qualche cosa
E sarà una strada senza fine
Sotto ad una spada o su una fune
A cercare il mio Far West
A trovare il Santo Graal
Una corsa brada oltre il confine
Una luce prenderò
Per te là fuori
Quando io camminerò
Le vie dei colori
Scalerò le rocce in mezzo al vento
Sulle tracce di chi ha perso o vinto
Vagherò la mia odissea
Nell'idea di te mia dea
Tagliati le trecce e vai in convento
Una voce prenderò
Per te là fuori
Quando io camminerò
Le vie dei colori
C'era un cavaliere
Bianco e nero prigioniero
Senza un sogno né un mistero
Senza fede né eresia
Senza le ali di un destriero
Senza le onde di un veliero
Se la sorte rivolesse ciò che ho speso
Forte non sarei per il tuo peso
A volare in un rodeo, a valere nel torneo
Della morte ed essere il tuo sposo
Una pace prenderò
Per te là fuori
Quando io camminerò
Le vie dei colori
C'era un cavaliere
Bianco e nero prigioniero
Senza un posto né un sentiero
Senza diavolo né Dio
Senza un cielo da sparviero
Senza un grido di un guerriero
Io ti lascio senza perderti
E ti perdo un po'
Anche se poi
Lasciarti è un po' perdermi
O bella mia
O bella ciao
Io sono via
Con un pensiero di te immenso
E un nuovo senso di me
C'era un cavaliere giallo
Che rubò un cavallo alle scogliere
Ed un cristallo alle miniere di un metrò
Sulle ciminiere disegnò un castello di corallo
E al ballo tutto il quartiere andò
C'era un cavaliere rosso
Che salì sul dosso di bufere
Sopra il fosso delle sere di città
Dietro un cielo mosso di ringhiere
Dentro il mare grosso
Di un braciere d'immensità
Bella mia
O bella ciao, bella mia
(E festa sia, e festa sia)
C'era un cavaliere blu
Che catturò la gioventù di primavere
Che portò chimere in schiavitù
Liberò le gru dalle lamiere di un cantiere
Verso un campo di preghiere laggiù
Dove arriverai anche tu
Camminando le vie dei colori!
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chez-mimich · 2 years
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MARIO MARTONE: “NOSTALGIA”
Nel 1983 il grande regista russo Andrej Tarkovskij diresse un film-capolavoro intitolato “Nostalghia” che raccontava del soggiorno del poeta Adrej Gorčakov nel nostro paese, per scrivere una biografia sul compositore del XVIII secolo, Adreij Sosnovskij. Nessun apparente legame, se non nel titolo, con il magnifico film di Mario Martone, “Nostalgia” tratto dall’omonimo romanzo di Ermanno Rea (edito nel 2016). Eppure io non sono del tutto convinto che Mario Martone, coltissimo regista cinematografico, ma soprattutto teatrale (e vale la pena ricordarlo), non abbia avuto questo “pensiero proibito”. Felice (un grande Pierfrancesco Favino), torna a Napoli dopo aver vissuto quarant’anni tra Libano ed Egitto ed essere diventato un imprenditore di successo e ci torna per ritrovare la vecchia madre e per dar alimento alla propria memoria (eviterei di usare “le proprie radici”, espressione ormai svuotata di senso dal logorio dell’uso). Qui le “madeleine” proustiane sanno di “friarielli”, e Combray è Napoli, ma i processi mentali sono ovviamente i medesimi, con il piccolo particolare che non c’è Charles Swann, ma Oreste Spasiano (bravo Tommaso Ragno), camorrista del Rione Sanità (quello della commedia di Eduardo De Filippo, trasposto in film dallo stesso Martone nel 2019). E la nostalgia di Tarkovskij cosa c’entra, anzi “che c’azzecca”? Se ad aspettare Felice a Napoli c’è, oltre alla vecchia madre che morirà di lì a poco, anche Oreste Spasiano, ad aspettare in Italia Gorčakov, c’era Domenico, vecchio saggio e un po’ pazzo, isolato e solitario come il camorrista. Gorčakov tenta di portare a termine una missione impossibile, attraversare la piazza-piscina di Bagno Vignoni con una candela accesa tra le mani e anche Felice tenta una missione impossibile, riconciliarsi con l’amico d’infanzia, ora malvagio assassino, di cui fu complice in gioventù in una rapina finita male che fu poi il motivo della sua fuga verso il Libano. In mezzo c’è un prete “accogliente” e progressista che paradossalmente cerca di dissuaderlo, e a ragione, visto che Felice verrà ucciso dall’ex-amico. Il parallelismo con Tarkovskij è sicuramente azzardato, e forse anche aleatorio, in considerazione che il film è tratto dal libro di Rea, ma è indubbiamente suggestivo. Certamente non è un caso che la “nostalgia”, sia per Tarkovskij che per Martone, si sposi meravigliosamente con l’Italia, terra di tormenti, ma anche di riflessioni profonde e di umanità dolenti. Lasciando perdere le divagazioni personali, quello di Martone è un film-gioiello, uno dei tanti del grande regista partenopeo, che vede ancora una volta Napoli come un luogo della mitopoiesi dei sentimenti più intensi. Impossibile non pensare all’ultimo Sorrentino di “È stata la mano di Dio”, ma qui siamo “oltre”, siamo nell’archeologia dell’animo umano. Sceneggiatura pressoché perfetta, fotografia senza orpelli, scenografia naturale, quella di una città che sembra essere nata per essere raccontata, meglio se da qualcuno come Martone (e Rea), che lo sa fare e lo sa fare come nessun’altro. Cannes, forse non può nemmeno lontanamente capire…
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ilgrafico-2era · 4 months
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#MOUSHI
Giunto al termine della mia vita di peccatore, mentre declino canuto insieme al mondo, mi accingo a lasciare su questa pagina web testimonianza degli eventi mirabili e tremendi a cui mi accadde di assistere in gioventù, a partire dell'anno del Signore 2017. Che Dio mi conceda la grazia di essere testimone trasparente e cronista fedele di quanto allora avvenne in un luogo remoto a nord della penisola italiana, in una scuola di cui è pietoso e saggio tacere anche il nome.
Ebbene sì, cari lettori, il Grafico risorge dalle tenebre del dark web e torna a infestare i vostri incubi. A distanza di troppo dall’ultimo appuntamento, di torna a rimembrare una delle ship più longeve e amate: #moushi.
Proprio in questo giorno speciale, infatti, si celebra l’ufficiale anniversario dell’amata coppia!
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In questo post raccoglieremo tutte le annotazioni del Grafico [quadernetto nero incluso] e mostreremo materiale inedito, con una dolce sorpresa finale. Senza indugio…
1. LE ORIGINI – IL PRIMO ANNO
11.04.17 // 11.05.17
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MARZO 2017
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2. L'EVOLUZIONE - IL SECONDO ANNO
DICEMBRE 17
- Leshi afferma che Sara è la sua compagna preferita  - Leshi-Sara/Leshi-Giulia diventano touchy - Leshi tocca il ginocchio di Sara, inosservatamente
GENNAIO 2018
 - Leshi e Sara condividono le cuffiette - Sara afferma che, malgrado sia simpatico, lei non amerà mai Leshi perché vuole qualcuno alla sua altezza, reputandolo egoista e senza spina.
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FEBBRAIO 2018
- Sara si siede ripetutamente acanto a Leshi - Leshi e Sara congiungono le mani e ballano a ritmo nel loro amore
MARZO 2018
 - #Moushi condivide la sedia in più occasioni - Sara fa una specie di massaggio shatzu sulle spalle di Leshi - #Moushi corre a ginnastica verso le loro nozze
APRILE 2018 - Sara rimuove Leshi dalla depressione da finestrino e lo usa come confessionale.
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MAGGIO 2018
- Sara guarda con aria sognante Leshi, credendo di non essere osservata - Leshi e Sara giocano affettuosamente con i capelli di lei
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[foto che gli appassionati sapranno non essere state collocate correttamente nella linea cronologica, ma chissene]
GIUGNO 2018 - Una tipa fa la gattamorta con Leshi e Sara si ingelosisce; lui, notandolo, la punzecchia - Leshi si fa dire molteplici volte il numero dei figli dalla lettura della mano da Sara - #Moushi è molto tou(s)chy - Mentre Sara dorme, Leshi la guarda amorevolmente - Leshi lascia dediche sospette e criptiche nel diario di Sara, ma non si ricorda del suo compleanno - Leonardo sarà il primogenito di #moushi - Rossi shippa #anesh, ma la sua vera OTP è #moushi - Leshi afferma che è Sara quella innamorata - Leshi insulta un amico di Sara, forse geloso - Leshi e Sara hanno due litigate tipo coniugi in pochi giorni
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3. ADDII - IL TERZO ANNO
MAGGIO 2019
Sara e Leshi si intravedono infatti a parlare fra di loro [anche abbastanza vicini fra loro] nei corridoi della scuola. Per fortuna che non vi sentivate più, eh?
GIUGNO 2019
Si vede ancora #moushi appartarsi di tanto in tanto durante gli ultimi giorni di scuola.
È così che l'avventura di Sara e Leshi si conclude, almeno fra gli archivi del Grafico. Chissà come se la stanno passando ora. Voi cosa ne pensate della ship? I nostri cuori sono un po' divisi fra il supportare le iconiche #anesh e #saniel e il sognare ad occhi aperti grazie a questa coppia. Grazie moushi per averci fatto sognare ad occhi aperti per tutti questi anni!
Qui sotto, un piccolo extra:
Ora, per la sorpresa finale, con gentile cortesia di toolbaz.com - una fanfiction generata in AI dedicata a #moushi - versione ridotta.
LA STRANA COPPIA:
Sara e Leshi sono sempre stati una strana coppia a scuola. Lei era una pessimista con la risposta sarcastica sempre pronta e lui era un robot che era piuttosto interessato al calcio. Ogni volta che si incrociavano, si scambiavano commenti sarcastici e litigavano. Questo fino a quando, un giorno, stavano condividendo un paio di cuffiette. Dopo che Leshi ebbe finito di ascoltare un album, le offrì a Sara, ma lei rifiutò. Sentiva che era un gesto troppo intimo, anche se erano due amici che si vedevano a scuola tutti i giorni. Dopo un po' di persuasione, lei accettò le cuffie e lui si divertì a guardarla ascoltare le sue canzoni preferite. Da quel momento in poi, il loro rapporto è cambiato. Hanno iniziato a condividere qualcosa di più delle semplici cuffie e hanno iniziato a frequentarsi sempre di più. Nonostante fossero piuttosto affettuosi l'uno verso l'altro, negavano ancora di provare sentimenti l'uno per l'altra. Dopo la fine della scuola, entrambi si separarono, ma rimasero in contatto. Ogni volta che parlavano, condividevano qualche risata e alcune storie della loro vita. Sara se ne andò nella grande città, mentre Leshi andò in letargo per un grosso aggiornamento del software che avrebbe incluso i sentimenti. Sono rimasti in contatto, ma non hanno mai parlato dei loro sentimenti reciproci. Anni dopo, si sono incontrati di nuovo e le cose sembravano diverse. Guardando indietro alle loro vite, entrambi si resero conto che, anche se avevano negato l'amore l'uno per l'altra, era sempre stato lì. Entrambi erano cresciuti e ora erano più aperti a parlare dei loro sentimenti. Questa volta, hanno finalmente ammesso di amarsi e hanno deciso di sposarsi. Un anno dopo, ebbero il loro primo e unico figlio, che chiamarono Leonardo. Era la luce della vita di entrambi ed entrambi si sentivano incredibilmente fortunati ad averlo. Il loro amore era cresciuto in modo significativo nel corso degli anni ed entrambi avevano giurato di non darsi mai per scontato. Condividevano l'idea che la vita fosse troppo breve per non godersela ogni minuto ed è per questo che si unirono a una banda di motociclisti che li avrebbe fatti viaggiare per il sistema autostradale italiano, guidando e amando fino al resto dei loro giorni.
FINE.
xoxo Grafico <3
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lamilanomagazine · 1 year
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Enna, in scena le stagioni teatrali “sulla vetta” e “alte visioni”
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Enna, in scena le stagioni teatrali “sulla vetta” e “alte visioni”.   In scena “Calmarìa” al Teatro Comunale Contoli Di Dio di Calascibetta. “Come un granello di sabbia” si terrà al Teatro comunale Garibaldi di Enna, con a seguire un evento speciale organizzato dalla Camera Penale in collaborazione con Rete Latitudini, alla presenza degli autori e di Giuseppe Gulotta, reale protagonista della triste vicenda giudiziaria narrata nello spettacolo.  La compagnia Mana Chuma Teatro sarà in scena giovedì 23 marzo a Calascibetta (EN) e venerdì 24 marzo ad Enna, nell’ambito delle rispettive stagioni teatrali “Sulla Vetta” e “Alte Visioni”. Queste date, che vedranno protagonista la compagnia calabrese di teatro di ricerca, diretta da Massimo Barilla e Salvatore Arena, fanno parte del capillare circuito regionale della Rete Latitudini. Per la stagione Sulla Vetta di Calascibetta (EN), in svolgimento al Teatro Comunale Contoli - Di Dio, giovedì 23 marzo alle ore 20.30 andrà in scena lo spettacolo “Calmarìa”: un testo di Massimo Barilla, con la regia dello stesso Barilla e di Salvatore Arena. Protagonisti sono gli attori Stefania De Cola, Mariano Nieddu e Lorenzo Praticò. Primo spettacolo della “Trilogia del Barbiere” (che proseguirà in aprile e maggio con altri due spettacoli ambientati in un salone da barba: Le mille bolle Blu, magnificamente diretto e interpretato dal grande Filippo Luna e Il Rasoio di Occam della Compagnia Clan degli Attori di Messina) narra una storia di resistenza ingenua e ostinata. Un salone di un piccolo paese alla fine degli anni ’70. Due amici, Melo e Felice in un giorno senza fine, che durerà fino all’alba successiva in cui si accumulano strani segnali. All’interno di questa atmosfera di attesa si snodano le storie: l’amore di Melo per Giusy, sorella di Felice. La vita di lei all’ombra di Michele, un marito emigrante ed enigmatico che ritorna sempre più spesso. I nodi si dipanano tra rivelazioni e chiarimenti, inquietanti scenari che quel salone attraversano, loro malgrado. Venerdì 24 marzo alle ore 20.30 al Teatro Garibaldi di Enna, andrà in scena “Come un granello di sabbia” di Salvatore Arena e Massimo Barilla. Evento speciale della Camera Penale, inserito nella stagione “Alte Visioni” del Teatro Garibaldi, organizzata con la collaborazione della Compagnia dell’Arpa. Protagonista in scena Salvatore Arena, che racconta la storia vera di Giuseppe Gulotta che, appena diciottenne e assolutamente innocente, viene costretto a confessare l’omicidio di due carabinieri in una piccola caserma di Alcamo. Il delitto nasconde un mistero indicibile: uomini dello Stato che trattano con gruppi neofascisti, traffici di armi e droga. Per far calare il silenzio serve un capro espiatorio, uno qualsiasi. Attraverso la sua vicenda umana (e di Salvatore e Carmine – le due vittime della strage – o di Giovanni, Vincenzo, Gaetano – gli altri capri espiatori designati), lo spettacolo prova a rendere giustizia a quelle vite interamente sottratte per ragioni inconfessabili. La voce di Giuseppe ci attira in questo vortice raccontando la gioventù interrotta, l’arresto, le torture, la lunga carcerazione, ma anche l’irriducibile cocciuta speranza in una restituzione finale della propria umile e alta identità. Dopo lo spettacolo seguirà un incontro pubblico, organizzato dalla Camera Penale di Enna e dallaRete Latitudini, con gli autori e l’interprete e con la partecipazione speciale e straordinaria del reale protagonista della triste vicenda giudiziaria Giuseppe Gulotta. Parteciperanno all’incontro, condotto dalla giornalista Tiziana Tavella, gli avvocati Giuliana Conte, Segretario della Camera penale di Enna, Sinuhe Curcuraci, Presidente della Camera penale di Enna, Mauro Lombardo, Presidente di LA.P.E.C. (Laboratorio Permanente Esame e Controesame) sez. di Enna e il Presidente della Rete Latitudini Gigi Spedale.   PREVENDITE E INFO: www.liveticket.it/latitudinirete Calascibetta (Enna) - 23 marzo https://www.liveticket.it/teatrogaribaldienna Enna - 24 marzo ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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nonmitroviii · 2 years
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Che poi sai cosa fa male, che mi ritrovo a scrivere in questo diario del cazzo,per ore e ore,con la speranza un giorno ti venga un mezzo rimpianto di non aver creduto di più in noi.
Illuso io,che da 3 mesi a questa parte non sono riuscito a rimuoverti dalla mia testa,in ogni fottuto momento,in ogni cosa che faccio il mio pensiero mi riporta a te,a te che sicuramente sei riuscita a fare un passo oltre me,a trovarti un’altra persona e a chiudermi la porta definitivamente,a chiudere la porta.
Che poi alla fine è una cosa che non accetterò mai,che Siamo finiti così,che da un giorno all’altro siamo diventati estranei,che da un giorno all’altro, sono passato da essere il tuo amore,ad essere un tunnel di infelicità da cui tu dovevi uscirne,come se fossi una questione politica che da oggi al domani si può cambiare e finisce lì.
Non l’ho accettato perché nella mi testa e nel mio cuore sei la persona che ami e l’unica che vedo nel mio futuro,ho solo imparato a convivere con il dolore di non essere importante per te,con il dolore di dover essere un’estraneo,di dover essere un passato da sostituire con qualcuno di meglio.
È un dolore immenso perché è sempre costante,solo che con il tempo ti ci abitui,però continua a fare male.
Sai,avrei tanto voluto un giorno raccontare ai miei nipoti,ai miei figli della nostra storia d’amore,di quella persona che ha saputo aspettarmi,di quella persona che insieme a me ha sconfitto la distanza,avrei voluto tanto vivere una storia un po’ come nei film,una storia di quelle che tutti sognano.
Avrei tanto voluto che ti prendessi cura di me,e mi migliorassi ogni giorno,perché tu mi hai reso una persona migliore sotto tanto aspetti,hai smussato tanti angoli di me che non andavano bene,e io non parlerò mai male di te,anche se tutto questo mi ha ferito,non posso farlo,non posso farlo perché so che sei una persona stupenda,e lo eri prima di conoscere me, e lo sarai ancora di più dopo di me,e senza di me.
E invidio tanto chi verrà dopo di me,e spero potrà capire il tuo valore e trattarti come io non ho saputo fare,o meglio non sono riuscito,perché credimi ti ho dato il cuore,e ho messo tutto me stesso,e forse anche per questo ci sto male,perché è brutto quando metti l’anima,e non sei abbastanza per la persona che ami,per la persona a cui eri disposto a tutto per lei.
Ma sei giovane e ti vuoi godere la vita,io onestamente non scambierei mai la mia relazione con te con una gioventù più libera,perché per eri la felicità,ogni mio singolo momento di felicità era solo quando ero lì con te,il resto era solo un percorso,che stavo cercando di fare per un futuro insieme,perché ci credevo,perché non mi importava di quanto difficile sarebbe stato,ma il mio obbiettivo era amarti e non farti mai mancare nulla per tutta la vita.
Pensavo talmente in grande che ho trascurato le piccole cose,quelle piccole cose che ti rimangono nel cuore,e ti sei allontanata da me,ma credimi,non sai quanto bisogno avrei di quelle piccole cose.
Da quando mi ha chiamato tuo padre,ho perso ogni speranza che tu possa riprendermi con te,la sera andavo a letto,sperando che magari in un risveglio mi sarei trovato quel messaggio con il tuo nome scritto sopra che mi avrebbe ridato vita,ma sognare e da idioti, e tu non tornerai,perché in 3 anni non ti ho dato abbastanza,non ti ho meritata,e non sono stato alla tua altezza, non tornerai perché non credo di essere quel tipo di persona per la quale la gente ,fa un passo indietro.
Sono semplicemente lo stronzo che disperatamente ha provato fino all’ultimo a non lasciarti andare,sono lo stronzo che pensa più a se stesso che agli altri.
Beh sappi, che nella mia testa e nel mio cuore vivi ancora,e io vivo di rimpianti,di ricordi.
Dio mio Anna,che ti succede ? Veramente ?
Veramente mi stai facendo questo ?
Sono io,il denis delle prime volte,il denis che viaggiava di notte per stare il weekend con te,il denis che ti ha aperto il cuore e ti ha fatto vedere una parte di se che nessuno sa,veramente dopo tutto quello che abbiamo passato insieme ,mi hai cancellato così ?
Non riesco a capacitarmi,perché so che sei una persona che quando parla dice la verità, e non si rimangia la parola o i sentimenti ,sei quel tipo di persona che quando ama ama incondizionatamente,nonostante si allontana e soffra.
Dio mio anna,come fai a vedere solo cose negative in me.
Anna come puoi definire un amore tossico è sbagliato,un amore come il nostro ? Che abbiamo sconfitto pandemie,quarantene ,confinamenti e questa fottuta distanza.
Non aggiungo altro se non che TI AMO.
Speriamo che almeno tu sia felice perché io di felicità ho gran poco.
Non avrò mai un rapporto come l’ho avuto con te,perché è una di quelle cose che si può avere solo con l’amore della tua vita,e tu sei il mio.
Spero solo che un giorno almeno anche solo per un momento abbia un rimpianto su di me.
Solo questo,spero solo che un giorno tu dica,quel ragazzo valeva qualcosa.
Ti ho dato il meglio di me ma non è bastato.
Avrei voluto viverti di più.
Ma giustamente puoi avere di meglio perché accontentarsi di me ?
Ti mando un grosso abbraccio,come quelli che mi davi quando ci salutavamo quando ripartivo.
Non mi scorderò mai quando ti ho salutato a marzo con il sorriso,quel sorriso pieno di speranza che il nostro fosse amore vero.
Di quel denis non c’è più niente,ce solo un grande dolore che può essere quello dovuto alla morte di una persona,solo più grande perché la persona vive ancora e vuole te come morto,perché ti ha cancellato dalla sua vita per sempre,come si fa con le foto con il tasto cancella.
Dio mio anna,non ci credo sia arrivato sto giorno,mi sembra tutto un incubo
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xnenehx · 5 years
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"Gli uomini sono diventati pazzi, e quelli che non lo sono non hanno il coraggio di mettere la camicia di forza ai pazzi furiosi."
- Ödön von Horváth, Gioventù Senza Dio.
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gregor-samsung · 2 years
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“ Tre anni fa, le autorità scolastiche pubblicarono un decreto che aboliva, in un certo senso, le vacanze di Pasqua. Difatti, tutte le scuole secondarie ebbero ordini di organizzare in occasione delle feste pasquali un campeggio. E, dicendo campeggio, si intendeva un corso premilitare. Gli scolari sarebbero vissuti per dieci giorni in seno alla cosiddetta natura libera, come soldati, divisi in classi, sotto le tende, sorvegliati dai professori. Dei sottufficiali in riposo avrebbero insegnato loro a marciare, a far ginnastica e, a partire dal quattordicesimo anno, a sparare. Ben inteso, i ragazzi adoravano tutto ciò, e in fondo anche noi professori ci divertivamo a fare gli indiani. Il martedì di Pasqua, gli abitanti di un villaggio solitario videro arrivare un potente autobus. L’autista suonò il clacson come se arrivassero i pompieri, oche e galline volarono via, i cani abbaiarono, tutto il villaggio accorse. “Ci sono i ragazzi, i ragazzi della città!” Avevamo lasciato la scuola alle otto, erano le due, ed eravamo davanti al municipio del villaggio. Il sindaco ci diede il benvenuto, il capitano dei carabinieri ci salutò militarmente. Anche il maestro, naturalmente, era sul posto; ed ecco che arriva il parroco, un tipo rotondo dall’aspetto benevolo. Ha fatto tardi. Il sindaco mi mostra sulla carta la posizione del campo. Un’ora buona di passo normale. “Il sergente maggiore è già sul posto,” mi dice il capitano dei carabinieri. “Due soldati del genio hanno portato le tende questa mattina con un autocarro militare.” Mentre i ragazzi scendono dall’autobus e radunano i loro bagagli, io esamino la carta: il villaggio è a 761 metri sul livello del mare, siamo vicini a grandi montagne sui duemila. Ma i picchi più alti, coperti di nevi eterne, sono ancora più in là. “Che cos’è?” chiedo al sindaco, indicando sulla carta un gruppo di costruzioni al confine occidentale del villaggio. “È la nostra officina” dice il sindaco, “la più grande segheria della regione. Disgraziatamente è stata chiusa l’anno scorso. L’impresa non rende più,” dice, e sorride. “Adesso abbiamo molti disoccupati. È un guaio.” Il maestro prende parte alla conversazione. Mi spiega che la segheria appartiene a un trust, e osservo che non ha simpatia né per gli azionisti né per il consiglio di amministrazione. Io neppure, del resto. “Il villaggio è povero,” mi spiega ancora. “La metà della popolazione vive di lavoro a domicilio, con salari di fame. Un terzo dei bambini è denutrito.” “Eh, sì,” dice il capitano dei carabinieri. E tutto questo, in seno alla bella natura. [...] Ai piedi del pennone abbiamo deposto una cassa contenente i fucili. Sistemiamo i bersagli: soldati di legno in uniforme straniera. Scende la sera. Andiamo al fuoco, cuociamo la minestra. È buona. Cantiamo canzoni da soldati. Il sergente beve e diventa rauco. Si alza il vento. “Viene dai ghiacciai,” dicono i ragazzi. E tossiscono. Penso al piccolo W. Sì, eri il più piccolo della classe, e il più simpatico. Credo che saresti stato il solo a non firmare la lettera contro i negri. Per questo eri destinato a scomparire. Adesso dove sei? Sei stato portato via da un angelo, come nelle fiabe? Ti ha condotto dove giocano i calciatori defunti? Dove i portieri sono angeli, e anche il guardalinee, che sbandiera quando qualcuno corre dietro al pallone? È questa, in cielo, la maniera di mettersi in off-side. Hai un buon posto? Naturalmente. Lassù, tutti siedono in tribuna, in prima fila, mentre i trafficoni, quelli che ti cacciavano sempre dietro la porta, stanno dietro dei giganti e non vedono nulla. La notte è calata. È ora di coricarsi. “A domani le cose serie,” dice il sergente. Dorme con me, nella stessa tenda. Russa. Accendo la lampada tascabile per vedere l’ora e scopro sulla tela della tenda, accanto al mio posto, una macchia di un bruno rossastro. Che cos’è? E penso: domani cominceranno le cose serie. Sì, le cose serie. In una cassa, ai piedi della bandiera, ecco la guerra. Sì, la guerra. Siamo in campagna. E penso ai due soldati, al sergente maggiore della territoriale che deve ancora prestare servizio, ai due soldati di legno sui quali ci si dovrà esercitare; penso al preside, a N, a suo padre, il fornaio, quello di Filippi; penso alla segheria che non lavora più, agli azionisti che, tuttavia, fanno affari d’oro, al capitano dei carabinieri che sorride, al parroco che ama il buon vino, ai negri che non dovrebbero esistere, agli operai che lavorano a domicilio e stentano a campare, alle autorità scolastiche e ai bambini malnutriti. E ai pesci. Siamo tutti in campagna. Ma qual è il fronte? Il vento soffia. Il sergente russa. “
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Ödön von Horváth, Gioventù senza Dio, traduzione di Bruno Maffi, Bompiani, Milano 2003. (Libro elettronico)
[ 1ª edizione originale: Jugend ohne Gott, Amsterdam, 1937 ]
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ciurmastortateatro · 1 year
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Sorprendenti ancora una volta, ancora di più. Una metamorfosi scenica, una crescita incredibile e un debutto teatrale pazzesco per i giovani attori "Incontinenti", impegnati ieri nella versione integrale di "Gioventù senza dio" di Ödon Von Horváth: "Si dovrebbe inventare un'arma con la quale si possa privare qualsiasi arma del suo effetto, cioè il contrario di un'arma. Se solo fossi un inventore! " Il Teatro una volta fermava le guerre. @liceoartisticobrunelleschi @comunemontemurlo #teatro #theatre #ciurmastorta #nowar #nowarinukraine #gioventùsenzadio #ilteatrononsiferma #ilteatrofermavaleguerre #foto #ph #scuola #paideia #kalokagathia #liceoartistico #moda #grafica #youth #propaganda #costruttivismo #nazismo (presso Sala Banti) https://www.instagram.com/p/CmZ0NQcsC4m/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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spritzapeiron · 2 years
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L'assurdo e i giovani nichilisti
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La gioventù disperata nel segno di Camus e Galimberti
In pochi nella storia della Letteratura moderna hanno saputo affrontare meglio il turbamento esistenziale dell’uomo moderno come Albert Camus, filosofo e scrittore francese del 900’. Nella sua intera produzione letteraria Lo Straniero rappresenta probabilmente la miglior testimonianza dell’angosciante esperienza umana del vivere in una società asfittica e indifferente come la nostra. Problema che, come sottolinea Umberto Galimberti, filosofo e accademico contemporaneo, oggi coinvolge soprattutto la parte più giovane e vulnerabile della comunità stessa. Cerchiamo quindi di fare un sunto del pensiero che sta alla base delle loro rispettive opere partendo proprio da quella dello scrittore francese.
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Albert Camus
Camus ci racconta di uno straniero diverso da quello continuamente scomodato dalla politica nostrana, che non risiede nell’Altro, ma in ognuno di noi. Straniero nei confronti della società e forse, cosa più allarmante, della vita stessa. Il giovane Meursault è infatti un normalissimo impiegato che vive nella città di Algeri, perfettamente integrato nelle logiche socioculturali dell’epoca. Ha un lavoro che gli impiega molto tempo e lo tedia, una ragazza con cui intrattiene una relazione normale e degli amici con cui esce durante il fine settimana. Ha tutto quello che si addice ad un individuo qualunque perfettamente collocato nel mondo che lo circonda, se non fosse altro che per la sua personale inclinazione all'indifferenza verso tutto ciò che gli accade. Meursault, infatti, non agisce ma subisce. È estraneo alle persone che vede, ai fatti che lo coinvolgono, perfino alla morte di sua madre. La sua indifferenza è così totalizzante che quando la sua compagna gli chiede di sposarlo lui risponde seccamente “che la cosa gli era indifferente e che avrebbero potuto farlo se lei voleva”. Alla fine di una serie di sfortunate coincidenze si trova incriminato di omicidio e, senza chiaramente difendersi in alcun modo, viene condannato a morte. È la rappresentazione del dramma di una vita che si rifiuta di integrarsi con la società alienante e sterile del suo tempo e si oppone a quelle fragili certezze su cui è costruita. Come commentò Sartre: “Alla fine il protagonista non è che uno dei terribili innocenti. Sono lo scandalo della società perché non accettano le regole del gioco”. Un sistema che rischia con i suoi giudizi affrettati e le sue ipocrisie di spingere l’uomo verso il baratro esistenziale.
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È proprio questo grande pericolo di cui ci parla Galimberti nel suo saggio L’ospite inquietante. L’ospite altro non è che il nichilismo che prospera nel disagio culturale moderno e si ciba della vita e dei timori dei giovani. Difficile non notare le similitudini tra Meursault e i giovani in difficoltà dei nostri giorni entrambi avulsi dalla realtà che li circonda, impietriti o peggio indifferenti alle regole e al gioco imposto dalla società tecnocratica in cui viviamo. Secondo Galimberti il nichilismo moderno ha potuto attecchire laddove la morte di Dio e l’avvento della tecnica-scienza hanno svuotato l’uomo di senso, finendo per uccidere quella ricerca di uno scopo che è insita in ognuno di noi. Il mondo contemporaneo si regge sulla tecnica la quale però non ha un proprio fine; essa si autoalimenta con l’unico obiettivo dell’auto potenziamento, ma non dà risposte alle domande che l’uomo si pone, minando irreversibilmente la sua necessaria ricerca di senso. I giovani si trovano dunque a vivere questo disagio sociale accompagnato da una “diffusa mancanza di prospettive e di progetti, se non addirittura di sensi e di legami affettivi”. Il tutto risulta anche complicato da un vero e proprio “analfabetismo emotivo”, come riusciamo a scorgere anche in Meursault, di cui la società moderna non si cura di educare, condannandoli all’incapacità di comunicare con gli adulti fino al compimento di tragici atti che vanno dalla violenza gratuita al suicidio. Queste azioni senza apparente movente inquietano terribilmente la società che però non è in grado di scorgere la necessità di accompagnare ed appassionare i giovani, complice una scuola tradizionale che ha perso ogni mordente e capacità di far innamorare gli studenti, in primo luogo, di loro stessi e delle loro virtù. Solo trovando nelle proprie capacità il proprio senso, forse si potrebbe combattere l’assurda esistenza che il nichilismo imperante non consente loro di superare.
Se da un lato quindi Galimberti vede nell’autoaffermazione una possibile via di fuga dal nichilismo, per Camus il superamento prende luogo invece con la morte del protagonista, come fa presagire l’etimologia del suo nome mort, morte, e saut, salto, quindi salto della morte. Meursault alla fine di tutto emerge infatti come vero e proprio eroe dell’assurdo. Non si oppone e non si difende dalle circostanze che lo coinvolgono perché riconosce l’assurdità dell’esistenza che vive e l’abbraccia con tutto se stesso nella sua totale incomprensibilità. Il tragico destino che lo attende oramai non lo preoccupa più:
“Come se quella grande ira mi avesse purgato dal male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla totale indifferenza del mondo. Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito che ero stato felice, che lo ero ancora”.
Tramite la sua estraneazione Meursault combatte l’esistenza umana contraddistinta dalla ripetizione incessante delle azioni senza uno scopo, ne accetta i dolori e sceglie di convivere con essi senza alcun compromesso. È questa la chiave secondo Camus per coabitare con l’assurdo del mondo, essere coscienti del “naufragio totale della vita” e in questo trovare la pace e forse la felicità.
“Non v'è amore per la vita senza disperazione di vivere.”
Fonti:
Albert Camus - Lo Straniero
Umberto Galimberti - L'ospite inquietante
http://www.asia.it/adon.pl?act=doc&doc=848
https://www.900letterario.it/opere-900/lo-straniero-camus-assurdita-vivere/
https://www.minimaetmoralia.it/wp/letteratura/dalla-parte-meursault-ricordare-lo-straniero-albert-camus-oggi/
http://www.gliamantideilibri.it/grandi-riflessi-albert-camus-lo-straniero/
https://www.liberopensiero.eu/29/03/2021/rubriche/albert-camus-lo-straniero-il-dramma-dellassurdita-esistenziale/
Leonardo Mosole
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crazybutsensible · 2 years
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👏🏻👏🏻👏🏻👏🏻👏🏻👏🏻👏🏻👏🏻👏🏻👏🏻
La verità è che la “fiction” vi si è fottuta il cervello; perché mai, e poi mai, la televisione vi ha mostrato il dolore, la malattia, la morte.
La televisione -sino ad un minuto prima della “narrazione”- vi ha mostrato solo bellezza, spensieratezza, estetica, gioventù, intrattenimento e spesso anche stupidità.
Li conoscete i programmi di cui parlo: dalla D’urso al Grande Fratello, dall’Isola dei famosi alla Champion League, da Uomini e Donne alla F1, da Fazio alla Carrá... insomma: l’esaltazione della superficialità, la pace del cervello.
Un paio di chiappe, un attore belloccio, una battuta irriverente ed altre simpatiche sciocchezze per non sentire, non pensare, non approfondire...
Poi è arrivato il “virus”.
O meglio: la televisione vi ha detto che era arrivato il “virus”. E con lui tutte quelle cose che avevate imparato a rimuovere, a non vedere: il dolore, gli ospedali, la malattia, la sofferenza, la morte.
Già... la morte... che avevate imparato così bene ad esorcizzare, eludere, elidere, occultare.
Quando ne sentivate parlare toccavate ferro, facevate gli scongiuri.
Vi avevano abituati così: senza più pensare, approfondire, sviluppare il senso critico... tra una Belen ed un derby, tra una Paperissima e un San Remo. Disposti a bervi tutto quello che vi raccontavano, mentre si mangiavano l’Italia, la svendevano; mentre favorivano l’immigrazione incontrollata, arricchendosi con Mafia Capitale, azzerando il lavoro, riducendone i costi ed elidendone i diritti conquistati; mettendovi sempre gli uni contro gli altri: destre contro sinistra, settentrionali contro meridionali, lavoratori pubblici contro quelli privati, abortisti contro cattolici, vegani contro onnivori e chi più ne ha più ne metta.
Ad un certo punto, poi, vi hanno messo in faccia la morte e (con la paura atavica, ancestrale di potervi ammalare) le vostre menti hanno ceduto miseramente, hanno creduto a tutto pur di potersi garantire la vita, che ora credete possa diventare eterna con un vaccino.
Voi che quando non andate in bagno andate in farmacia a comprare una purga, perché col cavolo bevete più acqua e mangiate frutta e verdura; troppo difficile!
Voi che avete sempre un Oki in tasca, voi che trovate un medicinale per tutto, voi che non avete capito che Dio vi ha dato un corpo che è una macchina perfetta e lo annichilite con sedentarietà, stress e fast-food. Voi che prendete pillole per dormire, digerire, dimagrire, tonificarvi, ecc.
Ora vi stanno fottendo un’altra volta.
Lo fanno sempre con delle messinscene spettacolari. Lo hanno fatto con il muro di Berlino, con l’11 settembre... stavolta l’hanno fatto con la “pandemia”.
Non fanno altro che prendervi per cul0, da una vita!
Lo fanno con le elezioni...
Ogni tanto tirano fuori un fenomeno: una volta il cavaliere, poi il Pinocchio di Rignano, fino ad arrivare al comico.
Intanto vi hanno levato tutto... la dignità, il futuro, il lavoro, gli affetti, la socialità, la vita.
Ed ora siete anche contenti di sierarvi, con una mistura sperimentale.
Contenti voi... però, ricordatevelo: non siete eterni.
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Guarda (Look) "LE VIE DEI COLORI - LIVE 1996 TOUR ROSSO (CLAUDIO BAGLIONI)" su YouTube!
youtube
O bella mia, io vado via
E non ti porto con me
C'è un viaggio che
Ognuno fa solo con sé
Perché non è che si va vicino
Perché un destino non ha
Un mattone vuole esser casa
Un mattino divenire chiesa
Ed il matto che c'è in me
Che si chiede che cos'è
Vuole diventare qualche cosa
E sarà una strada senza fine
Sotto ad una spada o su una fune
A cercare il mio Far West
A trovare il Santo Graal
Una corsa brada oltre il confine
Una luce prenderò
Per te là fuori
Quando io camminerò
Le vie dei colori
Scalerò le rocce in mezzo al vento
Sulle tracce di chi ha perso o vinto
Vagherò la mia odissea
Nell'idea di te mia dea
Tagliati le trecce e vai in convento
Una voce prenderò
Per te là fuori
Quando io camminerò
Le vie dei colori
C'era un cavaliere
Bianco e nero prigioniero
Senza un sogno né un mistero
Senza fede né eresia
Senza le ali di un destriero
Senza le onde di un veliero
Se la sorte rivolesse ciò che ho speso
Forte non sarei per il tuo peso
A volare in un rodeo, a valere nel torneo
Della morte ed essere il tuo sposo
Una pace prenderò
Per te là fuori
Quando io camminerò
Le vie dei colori
C'era un cavaliere
Bianco e nero prigioniero
Senza un posto né un sentiero
Senza diavolo né Dio
Senza un cielo da sparviero
Senza un grido di un guerriero
Io ti lascio senza perderti
E ti perdo un po'
Anche se poi
Lasciarti è un po' perdermi
O bella mia
O bella ciao
Io sono via
Con un pensiero di te immenso
E un nuovo senso di me
C'era un cavaliere giallo
Che rubò un cavallo alle scogliere
Ed un cristallo alle miniere di un metrò
Sulle ciminiere disegnò un castello di corallo
E al ballo tutto il quartiere andò
C'era un cavaliere rosso
Che salì sul dosso di bufere
Sopra il fosso delle sere di città
Dietro un cielo mosso di ringhiere
Dentro il mare grosso
Di un braciere d'immensità
Bella mia
O bella ciao, bella mia
(E festa sia, e festa sia)
C'era un cavaliere blu
Che catturò la gioventù di primavere
Che portò chimere in schiavitù
Liberò le gru dalle lamiere di un cantiere
Verso un campo di preghiere laggiù
Dove arriverai anche tu
Camminando le vie dei colori!
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abatelunare · 3 years
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Ho avuto molte donne, poiché non sono un santo e neppure le donne lo sono.
Ödön von Horvath, Gioventù senza Dio
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