Tumgik
#Fotografia e natura
Text
25 Aprile 2023-Quando i campi di papaveri raccontano la Storia.
Tumblr media
View On WordPress
1 note · View note
fashionbooksmilano · 2 years
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Carlo Valsecchi  Bellum
progetto grafico Christoph Radl
testi di Florian Ebner, Yehuda Emmanuel Safran
SilvanaEditoriale, Cinisello Balsamo 2022, 100 pagine, 90 illustrazioni, 33.5 x 27.5 cm, cartonato con plancia, Italiano, Inglese, Tedesco,  ISBN 9788836651511,  Edizione limitata, in copie numerate
euro 34,00
email if you want to buy :[email protected]
Mostra Reggio Emilia, Collezione Maramotti dal 1 Maggio al 31 Luglio 2022
Il volume documenta Bellum, il nuovo progetto artistico di Carlo Valsecchi (Brescia, 1965). Quarantaquattro fotografie di grande formato raccontano il conflitto ancestrale tra uomo e natura e tra uomo e uomo; l’uso della natura come difesa dall’altro uomo e parimenti la difesa dell’uomo dalla natura. Con la montagna come sua simbolica rappresentazione, il progetto origina da un’esplorazione dei territori e delle costruzioni fortificate del nord-est italiano legati al primo conflitto mondiale, uno degli ultimi momenti nella storia dell’umanità occidentale in cui il destino e l’esperienza dell’uomo erano strettamente connessi all’ambiente naturale, alla sua conformazione, alle sue leggi e al suo controllo. Attraverso un lavoro durato circa tre anni, Valsecchi ha percorso quelle montagne con il suo banco ottico, sublimando nei suoi scatti una realtà cruda in forma spesso astratta, intimamente estetica e assoluta nella sua essenza. Le immagini di Bellum diventano squarci, portali fatti di luce e composizione, sospesi in un tempo senza termine tra silenzio, isolamento e attesa. Il volume accoglie i testi di testi di Florian Ebner, curatore capo del Cabinet de la Photographie del Centre Pompidou di Parigi, e Yehuda E. Safran, critico d’arte e di architettura e professore presso il Pratt Institute di New York.
22/09/22
orders to:     [email protected]
ordini a:        [email protected]
twitter:         @fashionbooksmi
instagram:   fashionbooksmilano, designbooksmilano tumblr:          fashionbooksmilano, designbooksmilano
5 notes · View notes
Text
Tumblr media
Lo scrigno dei sogni
<<Col ditino, sul nasino, io faccio un piccolo girino e il ditino che prima era sul nasino ora indica oooo il giusto cammino>>
<<Prendi la strada che porta nel bosco seguila sempre di più, cerca tra i rovi e i cespugli la strada, che di sicuro vedrai e se qualcuno smarrisce la via niente paura, la ritroverà! Grazie agli gnomi, gli elfi e i folletti voi canterete con noi>>
<<Ogni luce è tale solo se c'è il buio>>
<<Il dono più prezioso è invisibile: la fantasia>>
5 notes · View notes
diceriadelluntore · 4 months
Text
Tumblr media
Storia Di Musica #309 - Led Zeppelin, Led Zeppelin, 1969
Come iniziare un nuovo anno di storie musicali? Si inizia con la scelta di 4 dischi che portano lo stesso nome dei loro autori, 4 band molto differenti tra loro, alcune famosissime, altre molto di meno (la scoperta di grandi dischi da artisti sconosciuti vorrei fosse una sorta di cardine di tutte le scelte del 2024). La Storia di Musica della prima domenica di gennaio 2024 parte con un modo di dire inglese: Go over like a lead ballon, che significa “è fallito del tutto” perché un lead ballon è un palloncino di piombo che ovviamente non può volare. Leggenda vuole che fu questo detto ad ispirare Keith Moon e John Entwistle, che suggerirono a Jimmy Page il nome per quella che diventerà una delle più formidabili formazioni di sempre: i Led Zeppelin. La storia è piuttosto nota: Page entra nel 1966 negli Yardbirds (già di Eric Clapton) come seconda chitarra di Jeff Beck. La band era già allo sfascio, e Page aveva intenzione di formare una nuova band con Moon ed Entewinstle. I tre con Jeff Beck registrano la storica Beck’s Bolero, registrata nel Maggio del 1966 ma pubblicata come singolo solo mesi più tardi, nel Marzo del 1967, brano fenomenale ma dalla storia travagliatissima, tra cui una intricata questione di diritti d’autore. Page, titolare del nome Yardbirds, prende accordi come leader degli Yardbirds per un mini tour in Scandinavia, ma nessuno dei suoi compagni accetta. Ne trova di altri: convince un session man mago delle tastiere, John Paul Jones, nel progetto, e tramite l’ex cantante degli Yardbirds Chris Dreja (che nel frattempo si è dato alla fotografia) assolda un biondo cantante, Robert Plant, che si porta con sé un batterista un po’ pazzo, John Bonham. È il 1968. Nascono così i Led Zeppelin (scritto così per non confondere il lead “piombo” con il lead “guidare”).
Senza nemmeno un po’ di gavetta registrano in 36 ore, sotto la guida del grande ingegnere del suono e produttore Glys Johns per poco più di 1700 sterline il loro primo, omonimo album per la Atlantic Records (fa più impressione il dato temporale che quello economico, 1700 sterline del 1968 sono 35 mila di adesso). E bastano: Led Zeppelin esce il 12 gennaio 1969 e diviene uno dei 10 album di debutto più belli ed importanti della musica rock. Venderà decine di milioni di dischi e manda in orbita, forse quasi troppo velocemente, il dirigibile più famoso del rock. In copertina mettono l’incidente del dirigibile Zeppelin LZ 129 Hindenburg avvenuto il 6 maggio 1937 nel New Jersey (vicenda leggendaria, su cui aleggia un complotto internazionale e non l’ufficiale incidente aereo). I 4 partono dal furente suono del british blues, ma arrivano dove nessuno si era mai spinto: rifanno due classici del blues, I Can’t Quit You Baby (eccezionale, caldissima e stupenda) e You Shook Me di Willie Dixon, e prendono da Jack Holmes Dazed And Confused (che nei live diverrà infinita con medley di altri classici della Musica del Delta). Per capire il suono Zeppelin e la sua travolgente natura, basta capire come strutturano il suono di una canzone tutto sommato banale come Good Times Bad Times. Your Time Is Gonna Come è quasi corale, come la veloce How Many More Times. Black Mountain Side è uno strumentale acustico in cui Page rincorre la maestria del fingerpicking di Bert Jansch, allora in auge con i superbi Pentagle. Communication Breakdown diviene un altro classico, con il suo stile particolare: parte blues, poi sale con l’intensità della voce di Plant e diviene furiosa ed accesa, e per molti è la nascita dell’hard rock. Gemma dell’album è però Babe I’m Gonna Leave You: presa da Joan Baez, in realtà la canzone, accreditata come traditional, è dalla folksinger inglese Anne Bredon (che fu ricompensata con un cospicuo assegno dalla band una volta risolto il mistero). Plant canta babe come mai nessuno più farà, la canzone ha un intro acustico ma poi esplode nel nuovo suono elettrico e potente, diviene struggente, torbida, assolutamente memorabile.
Questo fu il primo episodio di un modo di “gestire” le ispirazioni da altre canzoni che fece scuola, e si potrebbe aprire un dibattito infinito sulla loro musica. Per alcuni (pochini, va sottolineato) il loro rock blues portato all'estremo, con la chitarra rivoluzionaria di Page (che influenzerà 3 generazioni di chitarristi), il bombardamento ritmico di Bohnam (davvero feroce), l’elegante e mai invasivo tessuto sonoro di Jones (che suona basso e tastiere) e la voce, straordinaria e incantatrice di Plant, non è niente di così innovativo. Per altri (la stragrande maggioranza degli appassionati) il loro suono, le idee, la maestria tecnica dei musicisti e l’alone leggendario che la band riesce a costruire su di sé, li pongono ai vertici assoluti della storia del rock, ne fanno i padri putativi dell’Hard Rock (con i coevi Deep Purple), e la loro genialità è dimostrata dalle future evoluzioni stilistiche e musicali. È innegabile però che per farlo saccheggiarono un po’ dovunque, dal blues del Delta a quello urbano di Chicago, spesso non accreditandolo sui dischi, con picchi assoluti di sorrisetti ironici (tipo il caso di Stairway To Heaven per l’intro uguale ad una canzone degli Spirit, Taurus, caso che finirà addirittura in tribunale con la vittoria di Page e Plant, sebbene lo stesso tribunale ne riconosce le somiglianze). All’epoca era prassi comune raccogliere i semi del blues e riadattarli nel suono, un po’ per convenienze e un po’ perché non esistevano le normative precise e puntuali che esistono oggi sui diritti d’autore (molti altri, tra cui i Rolling Stones, furono protagonisti di episodi analoghi). Il successo dei Led Zeppelin amplificò la questione: il problema fu molte volte la paternità delle musiche, spesso passate come traditional (vedi il caso della canzone della Bredon) e quindi non riconducibili ad un artista detentore dei diritti. In tutti i casi di presunta usurpazione di diritti altrui, hanno sempre pagato i richiedenti ufficiali. Quelli che li accusano di scarsa inventiva, sinceramente non li hanno mai ascoltati: nessuno prima di loro suonava così, probabilmente sono tra le band più imitate in assoluto, saranno centinaia quelli che dopo vorranno suonare come loro. E rivoluzionarono anche altri aspetti del mondo del rock: l'andare in tour, i rapporti con le case discografiche, con i promoter, persino con le radio: ruolo centrale lo ebbe in ciò il loro manager Peter Grant, un gigante di stazza e di potere, passato alla storia anche per i modi tutt'altro che amichevoli con cui convinceva i gestori dei locali o chiunque potesse danneggiare il gruppo a farla finita. Un’ultima curiosità: con il crescente successo, una discendente dei Von Zeppelin citò la band per uso improprio del nome, e per un unico, storico concerto a Copenaghen la band si presentò come The Nobs. Poi però tornarono ad essere quel dirigibile di piombo che volava altissimo.
28 notes · View notes
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
BUON 2024 - di Gianpiero Menniti
INGANNI IRRIPETIBILI
La prima immagine è di Louis Faurer, colta in una strada di New York nel 1947.
Le successive sono di Nino Migliori, bolognese, classe 1926, tuttora vivente: racconti silenziosi dell'Italia dal 1950 al 1957 circa.
La fotografia è una delle forme d'arte più intimamente tragiche emerse nell'età contemporanea: s'affianca alla millenaria pittura e come tutto quello che è accaduto e accade in quest'epoca assiale, è anch'essa fagocitata dalla velocità della trasformazione di ogni artefatto in traccia digitale.
È divenuta "storia", "momentum" che permane nel suo "movimento" intriso in una radice e proteso in uno sviluppo: si arresta e lascia il passo ai pensieri.
E in questi non riusciamo a farci capaci di accettare che i bagliori chiaroscuri siano fantasmi.
Come l'Anno che scompare e l'Anno che inizia formino l'illusione di un passaggio.
Ci affliggiamo nell'insensata scansione del tempo, rifiutando di abbandonarci ai suoi cicli segnati dalla sola natura.
Eppure, anche questa è civiltà che sarebbe irragionevole disprezzare: un edificio complesso, labirintico, spesso ineffabile.
Così, sovvengono a definirla le forme artistiche e la storia.
Per necessità.
Viviamo immersi in inganni irripetibili.
13 notes · View notes
francescacammisa1 · 8 months
Text
Che non dipende dalla nostra natura, che non c’è nessuno che ci ha destinati, prima che nascessimo, alla salvezza o alla perdizione, che dipende da quello che facciamo, tutti i giorni, che tutti i giorni costruiamo il nostro valore e che delle volte, se valiamo qualcosa, non è grazie a noi, è il mondo che ci trasmette il suo valore, in dei modi impensabili.
Paolo Nori – Vi avverto che vivo per l’ultima volta – noi e Anna Achmatova
Ph Sevil Alkan
9 notes · View notes
unsognoallavolta · 6 months
Text
Persona in cerca di amic* ☀️✨️
Ehi ciao!
Sono Benny (o Ben), she/they, ho 23 anni. Mi sono appena laureata all'Accademia di Belle Arti e tra poco inizierò un master riguardo i videogame e il mondo 3d.
Sono un'ottimista, amante della vita e delle esperienze, di qualsiasi tipo, dal viaggio in macchina improvvisato alla serata tranquilla a guardare film e chiacchierare. Tra l'ascoltare e il parlare preferisco decisamente il primo: adoro poter conoscere le persone attraverso i racconti delle loro esperienze di vita.
La mia chiacchierata ideale è stesi sul letto, sul pavimento o su un prato, a guardare il soffitto o il cielo e chiedersi il perché delle cose, parlare di sogni, delle esperienze passate e di quelle che ci piacerebbe vivere. Senza vergogna o giudizio. Uno spazio sicuro di condivisione.
Sto cercando persone con cui chiacchierare della vita, commentare serie tv insieme, viaggiare e sognare, scoprire nuovi interessi e passioni, riscoprire ogni giorno quanto, nonostante tutto, siamo fortunati ad essere vivi.
Mi ritrovo spesso (quasi sempre) sola. Mi sono accorta che le persone buone molto spesso vengono usate e poi dimenticate. Attraverso questo blog mi piacerebbe trovare qualcuno che almeno una volta si sia sentit* così. Nessuno è destinato a rimanere solo, combattiamo insieme la solitudine 🌻
Qui vi lascio un elenco delle cose a cui sono interessata, spero potremo avere qualche interesse in comune 😊:
Serie Tv: Heartstopper, Good Omens, Loki, One Piece, Arcane, The Dragon Prince, The Owl House, Jujutzu Kaisen, Attak on Titan (e molte altre. Accetto volentieri consigli su nuove serie da vedere).
Film: mi piacciono tutti i generi tranne l'Horror (mi fanno troppa paura 😂). Sono un'appassionata dei film d'animazione.
Libri: non leggo molto ma sono super disposta a leggere qualche libro insieme. Alcune mie letture correnti sono: La casa sul mare celeste, La canzone di Achille e Finché il caffè è caldo.
Videogiochi: Genshin Impact e Honkai Star Rail (ma spero di ampliare la mia lista al più presto).
Hobby: giardinaggio (amo le piante 🌱), disegno, fotografia, mondo 3d e animazione digitale, passeggiare immersa nella natura, viaggi.
Altri hobby a cui spero di avvicinarmi a breve: imparare a cucire e a usare l'uncinetto, dipingere sia su carta che su tessuti, imparare a scolpire con l'argilla e realizzare vasi e tazzine. Sono aperta ad imparare qualsiasi tipologia di arte 🎨
Se siete arrivat* fin qui vi ringrazio e se siete interessat* potete anche solo lasciarmi un 🩷, vi scrivo io 🥰
(Il mio main è @thinkingaboutminds, potete trovarmi anche lì)
14 notes · View notes
intotheclash · 3 months
Text
Capitolo 2 (seconda parte)
Mia madre, al contrario, non si stava divertendo affatto. Non aggiunse nulla, ma capii che non vedeva l’ora di restare da sola con suo marito per l’inevitabile resa dei conti. Sfruttai la situazione e mi sbrigai ancora di più. Trangugiai la minestra a palate, con quattro rabbiosi morsi distrussi anche la fettina alla pizzaiola e sprofondai giù per le scale salutando mentre richiudevo la porta alle mie spalle. Scesi gli scalini due alla volta, andai in garage, montai in groppa al mio fido destriero, una femmina per la verità, un’Atala 24 giallo oro, con cambio a tre marce e raggiunsi i miei compagni.
“Alla buon’ora, Pietro! Stavamo per rassegnarci ad andare da soli!” Disse Sergetto non appena mi vide.
“Che casino hai combinato su in casa? Oltre alle urla, mi sembra di aver udito il rumore della tua zucca vuota che sbatteva contro qualcosa di duro!” Fece eco Tonino con tono di scherno.
“Andate a fare in culo tutti e due!” Li insultai. Però a voce bassissima, mica ero scemo del tutto!
“Pietruccio! Non devi dire le parolacce, altrimenti Gesù bambino piange!” Mi canzonò Tonino.
“Potresti ritrovarti all’inferno con tutte le scarpe, o potrebbe sentirti tuo padre, che è ancora peggio! Almeno all’inferno non ti mena nessuno!” Aggiunse Sergetto ridendo.
Mostrai loro il mio piccolo dito medio alzato e schizzai via a rotta di collo, pigiando forte sui pedali. Tagliammo a fette le strette vie del paese, rigorosamente contromano, tanto a quell’ora, di domenica e d’estate, il Deserto dei Tartari era sicuramente più affollato. Percorremmo a tutta birra sia le discese che le salite; ma non i tratti in piano, per il semplice motivo che non c’erano. Un cazzo di paese abbarbicato su uno sperone di tufo senza un metro di strada piana; c’era da farsi il culo sulle biciclette, mica scherzi!
Due minuti dopo eravamo sul luogo dell’appuntamento: Sotto Porta, appunto, che poi altro non era che l’unica porta di accesso e di fuga del nostro borgo. Il resto della banda era già li ad attenderci. Ma a ben guardare i conti non tornavano: tre persone e soltanto due biciclette. Decisamente non tornavano!
“Ciao raga'!” Li salutai.
“Ciao Pietro!” Risposero in coro.
“Be’? Che succede? Chi è rimasto senza cavallo?” Chiesi.
“Io!” Rispose timidamente Giovanni, detto Bomba, perché assomigliava sputato alle bombe degli aerei della seconda guerra mondiale: testa piccola, quasi sprovvisto di orecchie, spalle strette e leggermente cadenti, poi pian piano si allargava, fino all’enorme pancione, dove la circonferenza diventava davvero esagerata; scendendo andava di nuovo restringendosi e si arrivava a due piedi anch’essi enormi e piatti, quasi sempre aperti a centottanta gradi. La fotografia di una bomba appunto.
“Ma che sei deficiente? Dobbiamo fare quattro chilometri per arrivare al fiume e tu ti presenti senza la bici?” Lo rimproverò Tonino che era sempre pronto all’incazzatura.
“Non ho potuto prenderla! Mica l’ho detto a mia madre che andavamo al fiume, se no col cavolo che mi ci mandava! Dice sempre che è pericoloso e che ogni anno ci affoga qualcuno.” Si difese Bomba.
“Amore di mamma, allora era meglio se rimanevi a casa; tanto stai pure appiedato!” Lo canzonai.
“Tua madre deve essere una sparapalle come te, Bomba! Ecco da chi hai preso! Ma ti pare che se era vero non lo dicevano al telegiornale?” Obiettò Sergetto; anche se non troppo convinto. Lui era un pauroso per natura e quel discorso non è che gli andasse troppo a genio.
“Mia madre non è una sparapalle, stronzo!” Protestò Bomba: “E neanche io lo sono! E a quelli del telegiornale sai che gliene frega di qualche morto affogato nel Tevere. Con tutti quei casini che ci sono in giro!”
“Sparapalle! Sparapalle! Sparapalle!” Gli urlammo in coro.
“Te e tua madre!” Aggiunse ancora Sergetto.
“Adesso mi fate incazzare sul serio!” Urlò Bomba facendosi tutto rosso in viso.
Era il momento di darci un taglio, il fiume non poteva aspettarci in eterno, o forse si, eravamo noi a non avere abbastanza tempo. Poi avevamo un problema da risolvere in fretta: sei persone e cinque biciclette; fosse stato il contrario sarebbe stato tutto molto più facile.
“Basta! Smettetela! “ Dissi, “Diamoci una mossa, se no facciamo notte. Ma te, Bomba, come pensi di fare?”
Lui non dovette pensarci neanche un secondo.”Salgo dietro uno di voi!” Rispose tutto felice.
Lui sarà stato pure felice, ma noi col cazzo che lo eravamo. Pesava ottanta chili buoni e scorrazzarlo sulla bici somigliava a una punizione divina.
“Te lo scordi!” Fecero in coro tutti gli altri.
Io non dissi nulla, stavo valutando la situazione. Non mi andava di lasciarlo a casa. Certo non volevo neanche essere io a trasportarlo, ma era simpatico ed era un buon amico. No, non volevo proprio abbandonarlo, dovevo trovare in fretta una soluzione.
Alla fine l’illuminazione arrivò, non un granché, ma ci si poteva stare.
“lo portiamo un po’ per uno. A turno!” Dissi, felice per l’idea che avevo avuto.
“Tu hai svinato!” Disse Schizzo impaurito,”Lui pesa tre volte me, mi dici come cazzo posso farcela?”
Era vero, Schizzo era un fringuello spennato. Faceva si e no una trentina di chili, dai quali andavano sottratti un paio di chili per gli occhiali: due culi di bottiglia tenuti insieme da una montatura di ferro battuto e altri cinque chili di naso. Una proboscide spaventosa, imbarazzante persino per un elefante. Noi lo prendevamo spesso per il culo, per via di quell’attrezzo smisurato, ma lui niente, imperturbabile come una roccia.
“Occhéi,” Dissi,”Schizzo è fuori. Il passaggio glielo diamo noi quattro, come i quattro dell’Ave Maria!”
“Ave Maria tua sorella, Pietro! Questo bisonte te le fa dire le Ave Marie, se te lo devi tirare dietro!” Rispose Tonino preoccupato. Ma, in fondo, non più di tanto.
“Allora facciamo così, ma non voglio sentirvi più, perché o portiamo anche Bomba, oppure non vengo neanche io. Il viaggio di andata me lo faccio io, da solo, tutti e quattro i chilometri, tutti di un fiato. Al ritorno non mi rompete i ciglioni e fate a turno voi tre! Poco più di un chilometro a testa. Che sarà mai!” Era la mia ultima offerta, prendere o lasciare.
“Certo, che sarà mai! Tutt’al più ci viene l’ernia! E che sarà mai!” Rispose Andrea, detto il Tasso, l’ultimo della banda; quello che si lavava soltanto quando si andava al fiume.
Li guardai fisso in viso tutti e tre e tutti e tre annuirono. L’accordo era stato raggiunto. Si poteva partire.
5 notes · View notes
lucabaldassari · 6 days
Text
Movimentazioni al Festival di Fotografia di Castiglion Fiorentino
Sono felice di annunciare che il mio progetto fotografico ‘Movimentazioni’ è stato selezionato per il prestigioso Festival di Fotografia di Castiglion Fiorentino. Utilizzando la tecnica del foro stenopeico, cerco di esplorare l’essenza di ciò che vedo in movimento, riflettendo sulle intersezioni tra natura, movimento e percezione umana Appuntamento: 27 aprile – 12 maggio. Un periodo per…
Tumblr media
View On WordPress
2 notes · View notes
fashionbooksmilano · 2 months
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
Alessandro Giampaoli “AION”
Giacomo Belloni: La danza perfetta tra uomo e natura
testi di Serse Cardellini, Marina Dzhigarkhanyan, Debora Ricciardi, Giacomo Belloni
Greta Edizioni, 2018, 114 pagine, 24,5x29,5cm, ISBN 978-88-99367-04-6, italiano/inglese
euro 40,00
email if you want to buy [email protected]
“AION”, edito da Greta Edizioni raccoglie cinque anni di lavoro dal 2013 al 2018
Il disegno e la pittura caratterizzano la prima fase della sua formazione artistica. Diplomatosi all’Accademia di Belle Arti di Urbino, si perfeziona all’Istituto Europeo di Design di Milano. Da questo momento inizia ad esplorare nuove soluzioni espressive attraverso fotografia, video e installazione, creando situazioni immersive, con una struttura narrativa, spesso dialogica. La tradizione figurativa del passato viene vivificata nella rappresentazione essenziale di simboli e archetipi, pilastri di un’architettura visiva unitaria e onnicomprensiva, multiculturale ed inclusiva. Le sue opere, in cui la Natura è sempre una presenza viva, fluida e avvolgente, si nutrono di una costante tensione verso la dimensione del sacro, affrontando la tematica della disarmonia causata dalla separazione tra uomo e natura. Emergono evidenti anche riferimenti al mito e suggestioni letterarie.
13/02/24
0 notes
susieporta · 3 months
Text
Tumblr media
Forse tutti avete visto la foto che ritrae l’allineamento della Luna con la Basilica di Superga e il Monviso. È una foto perfetta che racconta di un’attesa lunga sei anni. Io però voglio raccontarvi un’altra storia, quella del fotografo che l’ha scattata. Una storia di pazienza, di tenacia e di coraggio. Coraggio di cambiare radicalmente strada nel momento più difficile della propria vita.
Voglio iniziare però proprio da quello scatto, e da una domanda: si possono aspettare sei anni per scattare una #fotografia? Alla fine del 2017 Valerio aveva segnato sul calendario tutte le date delle fasi lunari, in particolare quelle in cui la luna tramontava in un determinato punto. Ogni sera “giusta” partiva per provare a portare a casa l’immagine che aveva sognato, ma c’era sempre un problema: le nuvole, la pioggia, la nebbia, la foschia… Così per sei volte, all’inizio di ogni anno, ha compilato il calendario e non ha mai sprecato una data possibile, ma senza successo. Alla fine, alle 18:52 del 15 dicembre 2023, la lunga attesa è stata premiata e la sua vita è cambiata.
All’inizio l’idea era quella di allineare la Basilica di #Superga e il #Monviso per fotografarli insieme. Valerio si era fatto aiutare dal mappamondo di Google Earth e aveva individuato quattro possibili punti. Il punto ideale lo aveva trovato a nord-est di Torino, sopra Castagneto Po, a 380 metri d���altezza. La prima volta che c’è salito si è reso conto che in quell’istantanea che aveva immaginato poteva entrare anche un terzo soggetto: la luna. Da quel momento si è messo a studiarne le fasi per scoprire che ci sarebbe stato soltanto un giorno perfetto in tutto l’anno.
E al sesto tentativo, dieci giorni prima di Natale, ha capito che forse ce l’avrebbe fatta: il cielo era limpido e l’aria asciutta. Così si è messo ad aspettare e quando tutto si è allineato e ha visto la sagoma del Monviso disegnata sulla Luna ha scattato. La mattina dopo, soddisfatto del risultato, ha spedito il file alla #Nasa, per partecipare al concorso “Astronomy Picture of the Day”, la risposta non si è fatta attendere: per l’ente spaziale americano la sua è stata la foto del giorno di Natale.
«È come se questa foto avesse sbloccato qualcosa, migliaia di persone hanno condiviso quell’immagine e hanno scoperto le mie foto che sono uscite dal Piemonte e sono andate in giro in tutto il mondo».
Conosco Valerio Minato pH da più di dieci anni, da quando ho notato il suo banco sotto i portici di Piazza Vittorio a Torino. Non vendeva libri, borse di cuoio, gioiellini, ma le sue fotografie, stampate su un supporto rigido e a prezzi accessibili a tutti. Ricordo che mi avevano colpito i soggetti ricorrenti: il Monviso, la Mole Antonelliana, il Po, le vecchie vetture del tram, ritratti però con prospettive originali.
Lo vedevo ogni fine settimana, con qualsiasi tempo, dietro il suo banco dalla mattina alla sera. Ho cominciato a fermarmi a chiacchierare e siamo diventati amici. Valerio è nato nel 1981 a Biella e nella sua vita la fotografia è arrivata dopo i trent’anni. Si era diplomato perito chimico tintore, aveva trovato subito un lavoro in un’industria tessile, poi era passato in una fabbrica chimica del settore gomma: «A 24 anni, dopo cinque passati in fabbrica, ho avuto un bruttissimo incidente sul lavoro: ho quasi perso un braccio, risucchiato da una macchina. Sono stato un mese e mezzo in ospedale, ho subito cinque interventi chirurgici, e tra un’operazione e l’altra ho deciso di cambiare tutto».
Così ha lasciato Biella e si è iscritto all’università a #Torino: Scienze forestali e ambientali. «Volevo una vita nuova, stare in un mondo completamente diverso. Volevo la natura e l’aria aperta».
All’ultimo anno di università compra una macchina fotografica e per gioco inizia a scattare, dopo la laurea trova lavoro in un’azienda, ma la passione per l’immagine occupa sempre più spazio dentro di lui. «Quando mi hanno offerto un contratto a tempo indeterminato ho deciso di dire di no, di fare una scelta ancora più totale di libertà. Ispirato dai banchi sotto i portici di Via Po mi sono iscritto all’albo degli “Operatori del Proprio Ingegno” e ho aperto il punto vendita delle mie foto».
Mario Calabresi
5 notes · View notes
moonyvali · 1 year
Text
«Saper ascoltare significa possedere, oltre al proprio, il cervello degli altri.»
Chi di voi non ha visto un’opera di Leonardo Da Vinci almeno una volta nella vita? Eppure pensate che Leonardo, uno dei più grandi geni dell’umanità, un Socrate dell’epoca rinascimentale, era in realtà un uomo straordinariamente umile. Sì, l’uomo che dipinse la Gioconda, l’Ultima Cena, che progettò senza nessuna tecnologia il paracadute, la macchina volante, la bicicletta e l’automobile (il carro semovente), era solito definire se stesso un «omo sanza lettere», uomo senza cultura. Assurdo vero? Perché oggi un qualunque dottore alle volte si sente in diritto di dire: «ma lei lo sa, chi sono io?»
Leonardo Da Vinci era stato cresciuto dai nonni paterni e non aveva ricevuto una vera istruzione. Come fece allora diventare uno dei più grandi geni dell’umanità? Aveva due qualità, due qualità che giovani più ricchi, dai nomi più importanti di lui non avevano: la curiosità e l’umiltà.
Osservava, osservava con attenzione tutto ciò che capitava sotto i suoi occhi, osservava i volti delle persone che incontrava, il modo in cui si muovevano, osservava la terra, il cielo. Ascoltava. Non si formò sui libri, in qualche scuola, in qualche Accademia, ma fece della natura la sua unica maestra. Ciò gli permise di realizzare opere straordinariamente realistiche. Pensate all’Ultima Cena o alla Gioconda o alla Vergine delle Rocce. È come se steste guardando una fotografia.
Ma il grande segreto di Leonardo era uno, uno soltanto: «i perché». Questa domanda, questa semplicissima domanda, cambia tutto. Leonardo, a differenza di tanti altri, si poneva continue domande, voleva conoscere il perché delle cose, non si accontentava delle risposte che si trovavano nei libri dell’epoca. Ecco perché inventò cose che gli altri non riuscivano neanche ad immaginare. Leonardo era un filosofo. Ecco, se volete invogliare i bambini e i giovani allo studio, se volete dar loro un modello a cui ispirarsi: parlategli di Leonardo.
G.Middei/ Professor X
14 notes · View notes
lumasara · 4 months
Text
VI racconto un po’ del mio 2023:
Ho fatto il mio primo viaggio alle Dolomiti in inverno
Ho salutato mio cugino (fratello)
Ho imparato ad andare sullo snowboard, una cosa che ho sempre voluto fare
Ho constatato che mi piace festeggiare il mio compleanno con un tema
Mi hanno regalato un pesce
Ho festeggiato con le mie amiche
Ho constatato che mi piacciono i costumi di coppia
Sono stata a Roccaraso con la mia famiglia, per più volte
Mi sono allenata TUTTO l’anno
Ho iniziato la mia corretta alimentazione
Sono stata al concerto dei Maneskin with my sista
Sono stata con i miei nonni
Ho fatto il mio primo regalo handmade
Sono andata al mare con le mie amiche
Ho festeggiato con il mio ragazzo
Sono stata a Bologna (tantissime volte)
Ho finalmente amato il mio corpo al 100%
Ho fatto il mio primo viaggio con mia cugina Silvia
Ho visitato Milano per la prima volta
Ho visto gli arctic monkeys
Sono partita per la Grecia con la mia metà
Ho fatto la mia prima esperienza campeggio
Sono stata 11 gg fuori casa
Sono andata al Clorophilla per la prima volta
Sono andata in barca
Ho amato Sally (anche se lei non lo sa)
Ho fatto foto e video al tramonto con la mia metà
Sono andata in barca con le mie persone preferite
Ho fatto foto alla luna
Sono andata alla cava di Bauxite con mia cugina e anche a Lecce
Ho riscoperto l’amore per la fotografia
Ho usato per la prima volta una skimboard dopo tantissimo tempo
Sono stata malissimo per la partenza del mio moroso per poi superare questo momento
Sono stata al concerto della SIIIEEEDDDDD ed ho iniziato ad ascoltarli senza sosta
Ho festeggiato i 57 anni di mia madre
Ho fatto passeggiate nella natura
Ho fatto un taglio di capelli obbrobrioso
Nicola è partito per Bologna
Sono stata nuovamente male
Ho superato e ho eliminato tutte le paranoie
Ho legato tantissimo con mia cugina
Ho fatto il viaggio della mia vita con mia cugina EDIMBURGO
Mi sono allontanata da Simona
Sono andata 3/4 volte da Nicola a Bologna
Ho ascoltato i QUERCIAAAA
Ho festeggiato il compleanno di mia cugina in anticipo
Ho visto case a laureto con Nicola sognando di averne una insieme
Mio fratello si è comprato la macchina che piaceva troppo a me 🙂
Ho festeggiato l’immacolato con i miei nonni
Sono stata a lecce con le mie amiche
e per concludere questa esperienza, sto per partire per le DOLOMITIII con tutta la mia famiglia per natale! <3
Conclusione posso dire che in questo anno ho amato con tutta me stessa, ho fatto nuove esperienze, ho constatato che la mia relazione ha avuto un'evoluzione, ho pianto tanto, ho fatto i viaggi dei miei sogni, ho amato me stessa.
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
2 notes · View notes
diceriadelluntore · 1 year
Text
Agrumato*
Tumblr media
Questa foto è un particolare magnifico di una statua, l’Ercole Farnese, conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Capolavoro di ogni tempo, è copia in marmo di un originale in bronzo di Lisippo, del III secolo a.C., copiato da Glicone di Atene nel II secolo a.C., il quale firma l’opera sulla base della statua. L’opera racconta un momento di pausa dell’eroe dopo l’ultima delle sue 12 fatiche, la raccolta dei Pomi del Giardino delle Esperidi. Appoggiato alla sua clava d’ulivo, con la leontè tolta, nella sua mano gigantesca, nascosta dietro la schiena, tiene i tre pomi del mitico Giardino.
In greco antico melon indicava un frutto sferico. Per assonanza con malum, da cui effettivamente deriverà la parola mela, si è sempre pensato che i Pomi del Giardino delle Esperidi fossero delle mele, ma la descrizione di questi frutti dorati, che sembravano figli del sole, porta ad una direzione che questi leggendari frutti fossero degli agrumi. Tant’è vero che sin dal Rinascimento, sinonimo di agrume è la parola esperidio, che indicava questi meravigliosi frutti.
Questa storia è una delle tante che Giuseppe Barbera, professore emerito di Arboricoltura all’Università di Palermo e uno dei massimi esperti di agrumicoltura in Europa, analizza in questo libro
Tumblr media
una storia del mondo inedita, che passa attraverso la storia, la conoscenza, la coltivazioni di queste piante meravigliose, che probabilmente come nessun altra ha formato, attraverso l’intreccio tra natura, scienza, arte umana, paesaggi culturali complessi che raggiungono livelli di armonia e e di concentrazione di valori estetici, ecologici ed economici, sconosciuti alle altre specie. Dice Barbera: “La storia li ha tratti dal selvatico, li ha modificati e selezionati per piantarli in un vaso, lungo strade o piazze, in un giardino ornamentale, una campagna produttiva. I loro frutti arrivano ai mercati, alle tavole, alle industrie alimentari.  Accompagnano la nostra vita, anche trovando posto in memorie e sentimenti sollecitati da apparenze, profumi e sapori che nessun altro genere fruttifero presenta così numerosi e differenziati. Li Incontriamo nei romanzi, nelle poesie e nelle canzoni, nelle pitture, nella fotografia d’autore, nel teatro e nei film, anche nella musica” (pag. 17).
Questo è un libro che racchiude il paesaggio agrumicolo in ogni senso: dalla storia botanica delle piante e delle varietà, al loro uso in cucina, nell’arte profumiera, ma soprattutto al valore simbolico ed estetico che queste piante meravigliose (una delle poche varietà legnose che può avere i fiori, i frutti acerbi e quelli maturi contemporaneamente sulle piante) hanno avuto come status symbol, presenti in tutti i giardini delle residenze nobiliari d’Europa (e il concetto stesso di coltivazione in serra nasce per conservare gli agrumi nei rigidi climi dell‘Europa centrale) e poi negli ultimi centocinquanta anni come immensa industria agricola, essendo gli agrumi la specie arborea fruttifera più coltivata al mondo.
Barbera ha il meraviglioso dono di affrontare con maestria il racconto, che spiega bene tante cose: come una peculiarità del nostro paese, “il paese dove nascono i limoni” nella famosa e fortunata descrizione goethiana, sia frutto di una serie di intrecci di dominazioni, di scambi culturali, anche di puro caso (gli agrumi non nascono nel mediterraneo, ma hanno trovato qui un habitat che conferisce loro caratteristiche uniche). È anche una storia, ben poco conosciuta, di colonialismo: le più grandi piantagioni moderne di agrumi sono tutte nelle Americhe, il frutto fu portato lì sin dai tempi di Cristoforo Colombo. Ma è soprattutto la storia di profumi, luoghi, sapori indimenticabili, alcuni dei quali modificati per coltivare questi frutti magnifici, che continueranno ad affascinare sempre. Vi lascio un quadro che non conoscevo, che ritengo bellissimo:
Tumblr media
opera di Francisco De Zurbaran, Natura morta con limoni, arance e una rosa, del 1663, conservato al Norton Simon Museum di Pasadena, che nasce dalla filantropia di Norton Simon, uno dei più ricchi uomini della California, che deve la sua fortuna al commercio del succo di arance.
*Agrumato è un aggettivo recentissimo, che deriva dall’uso che i sommelier  propongono di un vino che ha sentori di agrumi. Non esisteva ai tempi di Ercole, che probabilmente aveva un sentore agrumato sulle sue gigantesche mani.
26 notes · View notes
Photo
Tumblr media Tumblr media Tumblr media
SENSI DELL’ARTE - di Gianpiero Menniti 
COME PIETRA
Se c'è un soggetto del fare artistico capace di attrarre e tenere fisso lo sguardo, ebbene questo è il "ritratto". Una predilezione che, instaurandosi, ha lasciato tracce anche nella fotografia: ma il segno non possiede la medesima presenza. La ragione? La singolarità del ritratto fotografico. Il ritratto pittorico è, al contrario, un atto dialogico: la figura è sempre un'interpretazione. Dunque, ad apparire sono in due. Eppure, questo suggestivo retroscena manca di spiegarne fino in fondo la preminenza. Nonostante il motivo più solido risieda proprio nell'atto del dialogo. Dialogo, da "dia" [dal greco διά] e "logos" indica un atto di comunicazione, di comunanza e scambio, "per mezzo" o "attraverso" (traduzione di "dia") la relazione.  "Dia" può tuttavia essere inteso come "separazione", "decisione" che si determina nell'agone del discorso. S'impone, in questo caso, il dover accettare lo stare nelle cose, l'essere sempre "in res", macchiati, "rei" della colpa determinata nell'inevitabile rottura drammatica dell'unità, della spiegazione compiuta che formando atto di conoscenza, salva. No, nessuno è salvo. Il logos diviene un plurale. Disperdendosi. Nel ritratto si consuma, così, l'anelito disperato al superamento dell'effimero riassunto nella permanenza tragica dell'irrisolto.  Come pietra che pone un pesante sigillo, la figura sfuma nell'immobilità pensosa dell'incertezza, inetta a superare il muro dell'impossibile. 
«“Ma via” vi grideranno, “ribellarsi non è possibile: due più due fa quattro! La natura non domanda mica il vostro permesso; lei non s’interessa mica dei vostri desideri, né se vi piacciano o non piacciano le sue leggi.Voi siete obbligati ad accettarla così com’è, e perciò dovete accettare anche tutti i corollari. Un muro, quindi, è un muro…”» (da "Memorie dal sottosuolo" di Fëdor Dostoevskij).
- Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606 - 1669): "Ritratto di Jan Six", 1654 circa, Six Collectie, Amsterdam
11 notes · View notes
scrittoresolitario · 5 months
Text
Il fatto di essermi avvicinato ad un certo tipo di fotografia mi ha insegnato a vedere la natura con occhi diversi, in maniera più profonda, che anche le cose e gli esseri apparentemente più insignificanti svolgono una funzione essenziale affinché tutto sia in equilibrio. Mi ha insegnato a rispettarla ancora di più e mi ha fatto trovare la mia dimensione immergendomi dentro di essa.
3 notes · View notes