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#Alberto Maccari
realismovisceral · 5 months
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Sadie Grey
by Alberto Maccari
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fadedday · 11 months
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Photographer - Alberto Maccari. Model- Sadie Gray
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reginadeinisseni · 6 months
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Bianco, Rosso e... | Film completo
TONINO GUERRA CARLO PONTI
Regia Alberto Lattuada Soggetto Tonino Guerra, Ruggero Maccari Sceneggiatura Jaja Fiastri, Alberto Lattuada, Tonino Guerra, Ruggero Maccari Produttore Carlo Ponti Casa di produzione Compagnia Cinematografica Champion Distribuzione in italiano C.E.I.A.D. Fotografia Alfio Contini Montaggio Sergio Montanari Musiche Fred Bongusto Scenografia Vincenzo Del Prato Costumi Mario Ambrosino Interpreti e personaggi Adriano Celentano: Annibale Pezzi Sophia Loren: suor Germana Fernando Rey: primario Juan Luis Galiardo: Guido Giuseppe Maffioli: dottor Arrighi Sergio Fasanelli: dottor Filippini Luis Marín: brigadiere libico Pilar Gómez Ferrer: suor Teresa Patrizia De Clara: suor Caterina Valentine: infermiera Martina Tina Aumont: Ricci, la diva ingessata Teresa Rabal: Lisa, l'infermiera giovane Giovanni Dagnoni: autista-soccorritore Anna Carena: paziente con i bigodini Bruno Scipioni: "Chiacchiera" Enzo Cannavale: Quinto Attilio Dottesio: scioperante della Pol Ovo Dori Dorika: Dorotea Adolfo Lastretti: ladro di banca Gianni Magni: altro ladro Carlo Gaddi: altro ladro Bruno Biasibetti: Ottolenghi Alessandra Mussolini: suor Germana da bambina Guido Spadea: Amilcare
Bianco, rosso e... è un film del 1972 diretto da Alberto Lattuada con Adriano Celentano, Sophia Loren e Fernando Rey.
Trama Dopo molti anni passati in Libia, suor Germana ritorna in Italia e si trasferisce in un ospedale della Lombardia (le scene furono girate all'ospedale vecchio di Lodi e presso l'Ospedale di Vigevano). Qui tutti i pazienti le vogliono bene e la considerano una vera amica, ad eccezione di Annibale Pezzi, un comunista poveraccio che occupa abusivamente un letto di corsia perché non ha una casa dove andare.
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Longanesi è artista
Una delle fortune di lavorare nella Sezione Manoscritti di una Biblioteca eterogena e complessa come la Sormani è quella di avere la possibilità di fare quotidianamente delle piccole scoperte che ci permettono di conoscere più da vicino alcune incredibili figure dei secoli appena trascorsi. Capita così che mentre si fanno scorrere le schedine degli artisti raccolte da Roberto Aloi nel suo archivio si incappi in un nome che non ci si aspetta di trovare…Cosa ci fa l’editore Leopoldo Longanesi, meglio conosciuto come Leo, tra il ricco novero di artisti destinati al Dizionario incompiuto di Aloi?
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Dall’Archivio Aloi della Biblioteca Sormani: 1-Autocaricatura di Leo Longanesi; 2-Leo Longanesi alla Saletta. Biglietto di ingresso per la mostra di Leo Longanesi con testo di Domenico Melli 
Ci offrono alcuni indizi la biografia curata da Indro Montanelli e Marcello Staglieno nel 1984 e il più recente saggio di Francesco Giubilei (2015), che delineano il complesso ritratto di una delle figure più versatili e geniali del Novecento: scrittore, editore, intellettuale, umorista, Leo Longanesi fu anche illustratore, grafico e caricaturista. Cercando un termine adatto a definire l’amico Leo, Alberto Savinio, nel suo breve saggio introduttivo al catalogo edito da Hoepli nel 1941, afferma:
“Longanesi è artista. La testata di un giornale, i caratteri di una pagina stampata, la copertina di un libro, un fregio, il particolare di una fotografia, Longanesi se li studia, se li combina, se li lavora come Giovanni van Eyck si lavorava le sue nature morte […] Perché Longanesi è pittore nato”.
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Leo Longanesi, a cura di Alberto Savinio, Milano, U. Hoepli, 1941 (Arte Moderna Italiana ; 37)
Longanesi era un pittore autodidatta e si era creato un proprio stile prendendo spunto, inizialmente, dai giornalini e dalle copertine dei libri per l’infanzia e, poi, osservando con attenzione, e una certa dose di sarcasmo, il mondo che lo circondava. Per capire meglio la stretta relazione tra la sua produzione artistica e le vicende sociali e culturali del tempo, tuttavia, è opportuno ripercorrere per sommi capi la sua intensissima biografia.
Leo Longanesi nacque a Bagnacavallo nel 1905 da una famiglia benestante. Ancora giovanissimo, nella Bologna del primo dopoguerra, si affacciò al mondo giornalistico e alla politica affascinato dai grandi dibattiti del tempo: leggeva “La Voce” di Prezzolini, ma anche “Lacerba” di Papini e Soffici, frequentava i caffè letterari e in breve entrò in contatto con personaggi come Bruno Cicognani, Galvano Della Volpe, Gustavo Del Vecchio, Italo Balbo e soprattutto Giorgio Morandi, che lo presentò a Giuseppe Raimondi e a Vincenzo Cardarelli. Nel 1924 cominciò la sua attività di giornalista collaborando con “L'Assalto” e, nell’anno successivo, con “Il Selvaggio” di Mino Maccari. Nel 1926 fondò un settimanale di cultura artistico-letteraria, “L’Italiano”, al quale collaborarono gli stessi Cardarelli e Maccari. Nel 1927 Longanesi iniziò anche la sua attività di editore con una piccola casa editrice, L'Italiano Editore, che pubblicò opere di Riccardo Bacchelli, Curzio Malaparte e Vincenzo Cardarelli. Dieci anni più tardi diede vita a “Omnibus”, un settimanale di attualità politica e letteraria che poté vantare le firme di Indro Montanelli, Alberto Moravia, Vitaliano Brancati, Mario Soldati, Mario Pannunzio, Arrigo Benedetti e molti altri. Il periodico ottenne un immediato successo, ma venne improvvisamente sospeso dal Minculpop il 2 febbraio 1939.
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Immagini tratte da: I. Montanelli – M. Staglieno, Leo Longanesi, Milano, Rizzoli, 1984 
Nel 1940 fu nominato consulente tecnico-artistico del Ministero della Cultura Popolare e, su richiesta di Mussolini, si dedicò alla propaganda per la guerra, disegnò molte copertine e pagine interne per la rivista “Primato”. Nel gennaio del 1946, Longanesi si trasferì a Milano con la famiglia, dove il 1º febbraio fondò la casa editrice Longanesi & C. e, poco dopo, un bollettino mensile di informazione sulle novità editoriali, “Il Libraio”. Nel 1950 fu la volta de “Il Borghese”, una rivista culturale che si occupava soprattutto del costume dell'Italia intellettuale, a cui collaborano Giovanni Ansaldo, Indro Montanelli, Giuseppe Prezzolini, Giovanni Spadolini, Goffredo Parise e molti altri.
Questo, in estrema sintesi (lungi dal poter essere esaustiva) l’excursus di una vita, quella di Leo Longanesi, che non poteva prescindere dai cambiamenti che stavano trasformando la società italiana in quegli anni; una vita passata a cercare di analizzare quella stessa società attraverso gli innumerevoli strumenti che gli offrivano il giornalismo, l’editoria e la cultura in generale. Non ultima tra questi l’arte.
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1-immagine tratta da: F. Giubilei, Leo Longanesi. Il borghese conservatore, Bologna, Odoya, 2015; 2-immagine tratta da: I. Montanelli – M. Staglieno, Leo Longanesi, Milano, Rizzoli, 1984
L’uso dell’immagine per Longanesi assumeva un ruolo di primo piano nel suo lavoro editoriale: nelle riviste affiancava registri diversi per creare un maggiore impatto, curava la riproduzione delle sue opere con la stessa attenzione che utilizzava per quelle degli altri, attentissimo ai dettagli. La sua arte era un tutt’uno con il testo, con le didascalie e i titoli scelti, senza i quali perdeva gran parte della sua efficacia. Diffidava dalle avanguardie artistiche, troppo preoccupate di sembrare nuove e moderne, ma che in realtà invecchiavano velocemente, e auspicava invece un ritorno all’arte di Morandi e De Pisis. I volti che ritrae sono principalmente quelli della borghesia in vista della quale cercava di raccontare le sensazioni e le psicologie dei personaggi rappresentati, con quel suo tratto veloce, geniale, capace di improvvisare. Capacità che gli fu utilissima quando si impegnò nelle campagne pubblicitarie di marchi come Olivetti, Cinar, Pirelli, Piaggio, Cirio, creando immagini e slogan.
Tutte le pitture di Longanesi e le sue opere grafiche “hanno questo di diverso dalle altre, che si fanno guardare a lungo, hanno sempre qualcosa di nuovo da dire, mettono in moto il cervello di chi le guarda. Praticamente, chi compra un quadro di Longanesi, ne compra dieci.” (Savinio)
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1-ritaglio da Archivio Aloi; 2-immagine tratta da: : F. Giubilei, Leo Longanesi. Il borghese conservatore, Bologna, Odoya, 2015
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giancarlonicoli · 4 years
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24 MAR 2020 17:05
ARBASINO MEMORIES – ‘’NON SO COME OGGI SAREBBE CONSIDERATO PASOLINI. FORSE UN PEDOFILO. COME BALTHUS. E DEGAS, CON QUELLE BALLERINETTE QUATTORDICENNI? E CÉZANNE, COI SUOI POMPIERI AL BAGNO? FORSE I TEMPI ERANO ALLORA PIÙ PERMISSIVI?” – “CON VIGNETTE E COMMENTI PRO O CONTRO CRAXI E BERLUSCONI, MOLTI HANNO GUADAGNATO. NON IO. CON IL VECCHIO BRECHT DICO CHE QUANDO LEGGO “IL CAVALIERE” SENTO TINTINNARE IL REGISTRATORE DI CASSA”
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Aldo Cazzullo per corriere.it
C’erano, in casa di Alberto Arbasino (scomparso domenica 22 marzo a 90 anni), una Madonna in calze a rete firmata da Guttuso, un disegno di Mino Maccari con i preti che su ordine di Andreotti mettono i mutandoni alle statue del Foro Italico, lettere di insospettabile cortesia dei grandi con cui aveva polemizzato, da Bassani a Paolo Grassi; tracce di un’avventura intellettuale, Roy Lichtenstein e Toti Scialoja, Giosetta Fioroni e Antonietta Raphael. E c’era un ritratto con dedica — «Arbasino alla macchina da scrivere in un atto di industria culturale, abietto naturalmente. PPP» —, cui Pier Paolo Pasolini aveva prestato i suoi stessi lineamenti e zigomi.
Però nei suoi libri gli amori omosessuali erano narrati in chiave lieve, non in quella drammatica di Pasolini. «Anonimo lombardo era un romanzo epistolarfrocesco da far sobbalzare, perché trattava l’omosessualità studentesca come una cosa normale, ovvia, com’era considerata a Oxford e a Cambridge — raccontava Arbasino —. Infatti fui rimproverato, e non per scherzo, da Pier Paolo e da Testori, che criticarono la mia leggerezza, la mia mancanza di sofferenza, di tormento. Non sapevo cosa rispondere. Forse dipendeva dal fatto che loro fossero così cattolici».
Un giorno andò a trovare Pasolini su un barcone sul Tevere, sotto il ponte di Castel Sant’Angelo: «Un posto frequentato da ragazzi di vita molto disponibili. Ero a Roma di passaggio, dopo sarei stato al “Mondo”, vestito come si addiceva a un incontro con Pannunzio, Ercolino Patti, Sandro De Feo, che portavano certe grisailles chiare, un po’ meridionali, da avvocato. Mario Ferrara era un avvocato elegantissimo, così come l’avvocato Battaglia: scarpe nere lucidate bene, baffetti bianchi molto curati.
Quando arrivai sul Tevere in cravatta, Pasolini mi derise, così come tutti i marchettoni e le marchettine; ma quando videro che sotto avevo un costume hawaiano, con i palmizi e i fiori, fui molto ammirato dai pischelli. Non so come oggi sarebbe considerato Pasolini. Forse un pedofilo. Come Balthus, un altro grande che ho avuto ospite qui in casa. E Degas, con quelle ballerinette quattordicenni? E Cézanne, coi suoi pompieri al bagno? Forse i tempi erano allora più permissivi? Non so».
Pasolini l’aveva visto l’ultima volta alla Carbonara, la trattoria di Campo de’ Fiori. «Lui aveva invitato a cena Sandro Penna, certo per fare una buona azione: Penna era lagnoso e querulo, difficile da reggere, sempre a lamentarsi di cani o gatti malati, come del resto la Morante; i gatti della Morante non erano mai in buona salute. Quando Pier Paolo mi vide fu una liberazione: “Alberto, vieni qui…”».
E la sua fine? «Non ho mai pensato che se la fosse andata a cercare, come pare abbia commentato Moravia; ma che ci fosse qualcosa sotto. Non un delitto fascista; pensai piuttosto a una banda, di quale tipo non so. Fu una strana imprudenza: nel momento della sua massima visibilità polemica, contro la Dc contro gli americani contro l’Eni, rischiare non una coltellata ma il flash di un paparazzo dietro un cespuglio, con le mutande in mano?».
Anticomunista e avversario del politicamente corretto senza essere di destra, antifascista e pronto a intervenire nel dibattito civile senza essere di sinistra, Arbasino ha coltivato una certa idea dell’engagement, dell’impegno. Faceva notare che i padri della Repubblica non erano schierati a priori né di qua né di là, né democristiani né comunisti.
«Croce, Einaudi, gli azionisti torinesi: gli uomini della generazione di mio nonno, presidente del partito liberale di Voghera, e di mio padre, che aveva della farmacie e forniva le medicine ai capi partigiani dell’Oltrepo. Anche venendo arrestato. A Voghera lavorava come impiegato in un’azienda elettrica Ferruccio Parri».
Rivendicava di non essersi unito a nessun coro: «Su Berlusconi come su Craxi, posso dirmi vergine di servo encomio e di codardo oltraggio. Entrambi hanno inciso sull’economia, anche su quella del fronte avverso: sono stati una fonte di reddito. Con vignette e commenti pro o contro Craxi e Berlusconi, molti hanno guadagnato. Non io. Con il vecchio Brecht dico che quando leggo “il Cavaliere” sento tintinnare il registratore di cassa».
Nell’83 Arbasino fu eletto alla Camera nelle liste repubblicane, e fino all’87 fu tra i deputati più presenti. «Legai molto con i miei vicini in commissione: Adolfo Sarti, di Cuneo, ministro importante e uomo coltissimo, e Michele Zolla, che poi lavorò al Quirinale con Scalfaro. Di fronte c’era Natalia Ginzburg, che smistava tutte le carte a me: “Fai tu anche questo…”.
Detestavo il Transatlantico, i divani, i baci e abbracci tra panzoni, le passeggiate sottobraccio alla buvette. Con Sarti e Zolla ci facevamo il caffè alla macchinetta. La Iotti era scrupolosissima: ascoltava tutti, anche gli ostruzionisti, senza farsi mai sostituire; contava i minuti, al massimo 45, e al quarantaseiesimo scampanellava. Mi ricordava le presidi della mia infanzia. La direttrice didattica di Voghera».
Chi le offrì la candidatura? «Visentini, cui mi legavano l’arte e la musica. E Spadolini, che era stato il mio direttore al “Corriere”. Spadolini era simpaticissimo. Animato da vanità e golosità infantili. Non da sensualità; quella non gli importava, e credo davvero non la praticasse, se in quattro anni di gossip sul direttore al “Corriere” non venne fuori nulla».
Arbasino veniva dal «Giorno». «Avevo legato molto con Murialdi, il caporedattore, e con Pietrino Bianchi; non tanto con Bocca, che credo mi considerasse frivolo, e neppure con il direttore Pietra. Era lui il capo partigiano cui mio padre passava le medicine. Conosceva anche mia madre e di fronte ai redattori allibiti, scherzando ma non troppo, mi diceva: “Se usi troppe parole straniere e troppe citazioni, dico alla mia amica Gina che ti prenda a schiaffi!”.
Al “Corriere” mi portarono Enrico Emanuelli e Alfio Russo, che mi affidava elzeviri e brevi corsivi contornati, lunghi mezza matita. Per prima cosa Spadolini mi informò che erano aboliti. Quanto agli elzeviri, li avrebbero scritti solo accademici e luminari». Poi venne Ottone. «Con cui mi trovai bene, e mi lasciai ancor meglio quando passai a “Repubblica”: era il Natale del ’75, portai due bottiglie in redazione, e Ottone mi ringraziò: “Finalmente uno che va via dal “Corriere” non a male parole ma offrendo champagne”…L’unico problema era l’America. Vi ero stato la prima volta nell’estate del ’59, a seguire un corso di Kissinger che ai suoi picnic ci portava Eleanor Roosevelt, Riesman, Galbraith e Schlesinger. Ma non potevo tornarci per il “Corriere” perché il grande Stille non voleva che nessun altro scrivesse di America, neppure sulla letteratura o su Broadway, tranne lui. Così andavo per conto mio».
Con Bassani era andata peggio. Enzo Siciliano ha raccontato che gli amici di Arbasino alla Feltrinelli dovettero scassinare un cassetto per recuperare il manoscritto di Fratelli d’Italia. Ma lui negava: «Non è così. Io non ero litigioso, e Bassani con me era severo ma simpatico. Tanti altri cercavano di mettere zizzania attorno al Gruppo 63, inventavano voci per creare difficoltà: “Quelli vogliono prenderci tutti i posti”. Come poi nel ’68. L’uscita di Fratelli d’Italia fu preceduta da una campagna preventiva che infastidì molti, compreso me: veniva annunciato un romanzo scandalistico a chiave, con dentro tutti i protagonisti della dolce vita, da Agnelli in giù. Bassani si allarmò.
Quando ebbe tra le mani il libro, molto sinceramente mi disse che non corrispondeva alla sua idea del Romanzo. Fu Giangiacomo Feltrinelli a risolvere la questione: Fratelli d’Italia non sarebbe uscito nella collana curata da Bassani accanto a Forster e Lampedusa, ma in un’altra insieme con Pasternak e Grass. La strana storia dei cassetti forzati, che non so se vera, avvenne molto dopo, con l’acuirsi delle rivalità tra le redazioni romana e milanese, quando il mio libro era già uscito».
Era già nato il Gruppo 63, con Angelo Guglielmi, Furio Colombo, Edoardo Sanguineti, Giorgio Manganelli e Umberto Eco. Per prendere amichevolmente in giro Eco, diceva: «Non saprei giudicarlo. I suoi libri sono molto lunghi, e sono bestseller. La questione non riguarda Umberto, ma tutti. Ove si tratti di bestseller che muovono denaro, il compenso per ogni ora di lettura di noi addetti ai lavori non andrebbe commisurato alla tiratura e alle vendite, bensì deontologicamente regolato dalle vigenti tariffe degli ordini professionali. Più Iva».
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architectnews · 4 years
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Barozzi Veiga designs Musée cantonal des Beaux-Arts Lausanne with ridged brick facade
Slender grey brick walls protrude from the front of fine arts museum Musée cantonal des Beaux-Arts Lausanne, which Barcelona studio Barozzi Veiga created in the Lausanne city centre. 
The studio won an international competition to design both art museum the Musée cantonal des Beaux-Arts Lausanne (MCBA) and the masterplan for the city's new art district, where the museum is located, in 2011.
The art district, Plateforme 10, was established near Lausanne's central train station and covers more than two hectares.
Photo by Simon Menges
"Since the beginning we have been thinking about a design for the new art district to be not just a detached entity in the city but also as a trigger project for the redevelopment of the abandoned area by the railways," Barozzi Veiga co-founder Fabrizio Barozzi told Dezeen.
"Our approach pursued the intention to transform and give back to the city that central large urban space that at, that time, was unused and fragmented."
Photo by Simon Menges
Musée cantonal des Beaux-Arts Lausanne, which holds more than 10,000 works of art, was built on the site's southern edge, parallel to the train tracks. The 145-metre-long building features a distinctive ridged facade that is meant to reference its industrial surroundings.
"The project carries and expresses the memory of the site, echoing the former industrial condition with pragmatic forms, rigorous geometry and hard, sharp lines," the studio said.
Photo by Matthew Gafsou
A 19th-century train hall previously located in the space was demolished, but Barozzi Veiga preserved its arched window for the art museum – which is longlisted in the cultural building category for Dezeen Awards 2020.
"The old arched window becomes the main protagonist of the building façade from the railway and, once within the foyer, it reveals its full role as a substantial structuring component of the new building's sequence of spaces," Barozzi said.
Photo by Matthew Gafsou
The building is "relatively hermetic" in order to protect the museum's collections. An almost closed facade faces the train tracks to the south while opening up more towards the northern side, where there is a new public plaza.
"We decided to implement a brick facades which could offer a texture, a vibrant pattern to the blind monolithic elevation and, simultaneously, it could evoke the industrial history of the site," Barozzi explained.
"On the square, the vertical blinds' rhythm breaks the massiveness of the monolith and reveal the openings," he added. "At night, these brick blinds serve as a canvas to diffuse the interior light coming from the museum."
Photo by Matthew Gafsou
Inside, the studio used terrazzo for the floors and plaster for the walls, both in a light grey hue, with the ground floor functioning as an extension of the public space outside. The upper levels, which house the exhibitions, have been given wooden floors.
Barozzi Veiga aimed to reach "the highest sustainability standards" when constructing the building. The architect said it "follows the Swiss label Minergie ECO, the SMEO procedure and the grey energy calculation, according to The Swiss Society of Engineers and Architects (SIA) 2023".
Photo by Simon Menges
"The compactness of the form, the use of natural light to light up the interiors and the high flexibility of the spaces, which allows for different public events to take place within the walls of the museum, are among the essential architectural features that contribute to make the MCBA a sustainable building," Barozzi added.
Lausanne's two other major art institutions, photography museum the Musée de l'Elysée and the museum of contemporary design, Musée de Design d'Arts appliqués Contemporain, will also open in the art district in 2022.
Both museums will be housed in one building designed by Aires Mateus, which won a 2015 competition.
Barozzi Veiga also recently completed a trapezoidal riverside arcade for the Tanzhaus dance centre in Zürich.
Photography is by Simon Menges, unless stated otherwise.
Project credits:
Authors: Fabrizio Barozzi , Alberto Veiga Project leader: Pieter Janssens Project team execution phase: Claire Afarian, Alicia Borchardt, Paola Calcavecchia, Marta Grządziel, Isabel Labrador, Miguel Pereira Vinagre, Cristina Porta, Laura Rodriguez, Arnau Sastre, Maria Ubach, Cecilia Vielba, Nelly Vitiello Project team competition phase: Roi Carrera, Shin Hye Kwang, Eleonora Maccari, Verena Recla, Agnieszka Samsel, Agnieszka Suchocka Local architect: Fruehauf Henry & Viladoms Project manager: Pragma Partenaires SA Structural engineers: Ingeni SA Services engineers: Chammartin&Spicher SA, Scherler SA, BA Consulting SA Façade consultant: X-made SLP Lighting consultant: Matí AG
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bluebookweb · 6 years
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Icons of Italian Wine
Wine and spirits importer Kobrand Corporation recently hosted the “Kobrand Tourd’Italia, a four-city event presenting iconic Italian wine brands and principals. The collection offered wines from renowned Italian wine producing regions: Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Veneto, Piedmont in the North, the central regions of Tuscany and Umbria and the islands of Sicily and Sardinia. Kobrand invited guests to meet with the winery principals to enjoy the terroir-driven wines that demonstrate the depth and breadth of Italy. 
“In our seventh year, we are proud to once again take these exceptional brands with a remarkable cast of winery principals on the road,” said Kobrand President and CEO Robert T. DeRoose. “This year, we focus on the Northeast region of the U.S., where we look forward to showcasing Kobrand’s entire iconic Italian portfolio. This portfolio embodies century’s old commitment to quality, and it is a true privilege to taste these iconic wines and meet these principals and winemakers.” 
The following Kobrand Italian principals presented their portfolios:
Giovanna Moretti: Tenuta Sette Ponti, Feudo Maccari
Emilia Nardi: Tenute Silvio Nardi
Giovanni Folonari: Tenuta di Nozzole, Tenute del Cabreo, Tenuta Campo al Mare, Tenuta La Fuga, Tenuta TorCalvano
Giacomo Boscaini: Masi Agricola
Alberto Chiarlo: Michele Chiarlo
Alberto Medici: Medici Ermete
Roberto Pighin: Fernando Pighin & Figli
In this MRM News video story, Marco Sorio, Kobrand Italian Portfolio Brand Director, discusses the tour's importance and the diversity of Italian wines.
Icons of Italian Wine posted first on happyhourspecialsyum.blogspot.com
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fadedday · 11 months
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Sadie Gray - Alberto Maccari photoshoot
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Svolto il 7°congresso provinciale Cosip
In occasione del VII° Congresso Provinciale del Sindacato di Polizia Co.I.S.P., con una notevole presenza di Autorità e rappresentanti delle Forze dell’Ordine, lo scorso 23 marzo si è svolto ad Acqui Terme presso il Centro Congressi –Zona Bagni- il Convegno “ Sicurezza Scuola e Sanità sono le mie priorità”, seguito dall’Assemblea Sindacale curata dal Segretario Generale del Coisp Franco Maccari e dal Segretario Generale aggiunto Domenico Pianese, giunti ad Acqui dalla Segreteria Nazionale per incontrare il personale, informarlo sulle le novità del Comparto Sicurezza e partecipare attivamente alle fasi elettorali del VII° Congresso provinciale. Il Convegno, realizzato da Antonio Frisullo con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria ed il patrocinio della Regione Piemonte, della Provincia di Alessandria, del Comune di Acqui Terme e dei principali Comuni della Provincia di Alessandria, ha visto la presenza di numerosi studenti, ed ha visto realizzarsi l’approfondimento dei tre argomenti-cardine grazie alla presenza di molti relatori, tra cui il Questore di Alessandria Andrea Valentino, il Sindaco di Acqui Terme Enrico Bertero, quello di Arquata Scrivia Alberto Basso, la Sindaca di Casale Monferrato Titti Palazzetti, il Primo Cittadino di Novi Ligure Rocchino Muliere, quello di Serravalle Scrivia Alberto Carbone, il Vice Sindaco di Tortona Marcella Graziano, il Dirigente ASL Alessandria-Asti Giacomo Bruzzone, il Dirigente Scolastico Rita Levi Montalcini di Acqui Terme Claudio Bruzzone e il Comandante della Polizia Municipale di Serravalle Scrivia Ezio Bassani. Il Segretario Generale del Sindacato di Polizia Coisp, Franco Maccari, in chiusura di Convegno, ha presentato ed aperto i lavori del VII Congresso Provinciale, nella prima delle tre fasi Congressuali che porteranno il 12 aprile p.v. all’elezione del nuovo Staff Regionale per poi arrivare al 24 e 25 maggio prossimi a Roma per la nomina dei Dirigenti e Componenti la Segreteria del Co.I.S.P. Nazionale. L’elezione dei componenti della struttura provinciale ha riconfermato Carlo ROSSO alla guida della Segreteria di Alessandria che risulta così composta: Segretario Generale Provinciale ROSSO Carlo Segretario Gen.prov. Aggiunto GNONI Lucia Segretario Provinciale LUISI Amedeo Segretario Provinciale VIVINO Marina Segretario Provinciale SANTORO Luigi Segretario Provinciale OTTRIA Andrea Segretario Provinciale COLANDREA Salvatore Segretario Provinciale FRISULLO Antonio (in quiescenza) Revisori dei Conti: RAVERA Fabio, FLOCCO Cinzia, SCIALO’ Vincenzo, GARINO Marco, LO FORTE Giustino. http://dlvr.it/NkbRwK
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